venerdì 5 luglio 2024

L’assalto dell’eolico in Sardegna - Antonio Lupo e Maurizio Fadda

È davvero impressionante la mappa delle nuove concessioni per l’eolico in Sardegna, dove viene prodotta già più energia di quanto ne viene consumata. Come altre regioni del Sud ha una produzione eolica alta. Che buffo: le regioni che consumano energia importata e non vogliono torri eoliche in casa loro, sono quelle che hanno sostenuto il governo Meloni per l’approvazione della legge sull’autonomia differenziata. I signori del business dell’eolico non avevano però considerato la determinazione dei Comitati sardi contro la speculazione energetica, secondo i quali le priorità sono tre: la riduzione dei consumi; il fotovoltaico ma solo sui tetti degli edifici pubblici e delle zone industriali; la costituzione di comunità energetiche.


Foto di Comitato contro la speculazione energetica Mamoiada

 

Il 15 giugno, giornata Mondiale del Vento, abbiamo partecipato, presso la splendida basilica medievale romanico-pisana di Saccargia (Sassari), alla bella e partecipata manifestazione, promossa dal Coordinamento Comitati sardi contro la speculazione energetica, un insieme di realtà di tutte le provincie sarde, sempre più numerosi e combattivi.

È poco nota e studiata nelle scuole italiane la storia della Sardegna: ad esempio la fantastica cultura nuragica, cominciata nell’età del bronzo, e la realtà sociale medievale di Eleonora d’Arborea, una società di avanguardia che unificò le popolazioni sarde liberandole dagli Aragonesi. La Sardegna è una terra meravigliosa e antichissima, l’unica in Italia con rischio quasi nullo di terremoti, e anche per questo è stata invasa e violentata da sempre, ad esempio dai Savoia che dal 1800, prima e dopo l’Unità di Italia, l’hanno disboscata per un terzo, utilizzando il duro leccio locale per le traversine delle ferrovie italiane, in primis per la linea Torino-Genova (ne parla Fiorenzo Caterini, antropologo, nel libro Colpi di scure e sensi di colpa). E fino ad oggi continuano in Sardegna le occupazioni militari, italiane e della Nato, e persistono gli estrattivismi di ogni tipo, minerario, agricolo, turistico ecc..

Da moltissimi mesi molti sardi si sono mobilitati contro i progetti di invasione di pale eoliche, a terra e in mare, questo ancor prima delle elezioni regionali del 25 febbraio, vinte da un’alleanza di partiti che ha portato alla presidenza della Regione Sardegna Alessandra Todde, già sottosegretaria al ministero dello Sviluppo economico nel governo Conte II (2019-2021) e viceministra allo Sviluppo economico nel governo Draghi (2021-2022). La loro mobilitazione e opposizione non è di certo corporativa e di stampo “leghista”: si basa su analisi approfondite della situazione attuale e delle prospettive future.

Per conoscere le analisi dei Comitati sardi contro la speculazione energetica, che si nasconde dietro ai progetti dei parchi eolici, si può consultare, tra gli altri, il sito orthobenessere.com: l’analisi, precisa e indiscutibile, ribadisce che i comitati dicono sì alle fonti rinnovabili e no alla speculazione energetica, dicono sì anche alla chiusura delle due centrali a carbone della regione e ricordano che è possibile produrre energia dal vento senza deturpare l’ambiente e il paesaggio.

Qualche dato

Proviamo a capire meglio la situazione attuale. La Sardegna produce più di quanto consuma, circa 12.335 Gwh di energia elettrica a fronte dei consumi netti pari a 8.426 GWh annui, quindi la produzione generata sul territorio regionale è maggiore del 40,8% del fabbisogno netto isolano. Questo surplus di energia in gran parte dei casi viene esportato (fonte: Regione Autonoma della Sardegna).

In tutto il territorio italiano sono attive sette centrali a carbone, di cui due si trovano proprio in Sardegna, una a Fiume Santo e l’altra a Portoscuso.

In percentuale, la Sardegna produce circa il 33% dell’energia da fonti rinnovabili e ben il restante 67% da fonti fossili, ma eliminando il 40% di surplus prodotto solo dalle fonti fossili, la regione raggiungerebbe immediatamente gli obiettivi fissati dall’UE per il 2030.

Per conoscere i dati sulla produzione, sui consumi e sui costi dell’energia elettrica in Italia e in Sardegna si può partire dai numeri raccolti su openpolis.it. La domanda di energia elettrica italiana nel 2023 è stata soddisfatta per l’83,3% con produzione nazionale e per il 16,7% dal saldo dell’energia scambiata con l’estero. La produzione nazionale netta (257 miliardi di kWh), minore del 6,4% rispetto al 2022, ha le seguenti fonti: in crescita l’idrico (+36,1), l’eolico (+15,1%) e il fotovoltaico (+10,6%); in flessione il termico (-17,4%) e geotermico (-1,9%). Nel 2023 (dati Terna) i consumi elettrici italiani sono diminuiti del 2,8% rispetto al 2022, attestandosi a 306,1 miliardi di kWh. con aumento delle fonti rinnovabili, il 36,8% della domanda, rispetto al 31% del 2022 (terna.it). Il consumo medio di elettricità pro capite/anno/Kwh in Italia è circa 5.000. I consumi risultano ben più elevati al Nord (Friuli Venezia Giulia 8556, Lombardia 6651, Emilia R. 6440, Veneto 6.439, Piemonte 5581) mentre sono più bassi nel Centro e soprattutto nel Sud, ultima la Calabria con 2.792 Kwh. La Sardegna ha consumato 5134 Kwh nel 2022 (1475 kwh per uso domestico, il dato più alto in Italia, perché viene usata anche per il riscaldamento).

Infine soffermiamoci sulla produzione dell’eolico in Italia (dati Terna). Attualmente in Italia ci sono 5.985 impianti eolici (vedi mappa dati Terna su potenza eolico installata per Regione a fine 2022, qualenergia.it). Il documento dei Comitati sardi evidenzia che le regioni del Nord Italia, con più alto consumo di elettricità e forte deficit di produzione, assoluto e in percentuale, rispetto ai consumi (Lombardia -28,3%, Veneto -53,5% e Emilia R. -14,7%), hanno un numero di impianti eolici e una produzione irrisoria, sia le regioni continentali come Lombardia (12 impianti) e Piemonte (18 impianti con produzione annua di 25,7 Gwh), sia quelle con anche territorio marino Veneto (14 impianti con produzione 22 Gwh) e Emilia Romagna (76 Gwh prodotti). Che buffo: queste Regioni, che consumano energia importata e non vogliono torri eoliche in casa loro, sono quelle che hanno sostenuto il governo Meloni per l’approvazione della legge sull’autonomia differenziata.

L’assalto dell’eolico in Sardegna

Le regioni del Sud hanno invece una produzione eolica altissima, prima la Puglia con 5,361 Gwh, poi Campania 3404 Gwh e Sicilia 3228 Gwh. La Sardegna 1660 Gwh con 612 parchi eolici a fine 2022.

In questo scenario ha preso forma un assalto dell’eolico in Sardegna. Le richieste di nuove concessioni per impianti e parchi eolici appare infatti eccessivo e spropositato: i dati ufficiali forniti dalla Regione Sardegna indicano la presentazione di 809 nuove richieste di connessioni per un totale di 57,67 GW (invece dei 6 GW previsti dalla bozza del decreto nazionale per la Sardegna). Un grande pericolo è rappresentato anche dal fatto che molte delle società installatrici sono straniere, con capitale sociale di 10.000 euro…

È davvero impressionante la mappa delle nuove concessioni fornita online direttamente da Terna – Rete Elettrica Nazionale:




Mappa delle concessioni rinnovabili da fonte Eolica


Ci si trova di fronte a una vera e propria speculazione energetica di stampo coloniale e centralistico, con progetti presentati per la realizzazione di parchi eolici onshore e offshore, con centinaia e centinaia di aerogeneratori (in mare alti più di 270 metri l’uno, a terra di 240 metri), che presentano problemi enormi in vari ambiti tra consumo di suolo, consumo di materie prime per la costruzione, impatto paesaggistico e sulla biodiversità.

Ci sono varie alternative

I Comitati sardi restano favorevoli alle energie rinnovabili, ma ricordano che ci sono varie alternative: non esistono solo le “pale eoliche”, le cosiddette HAWT (Horizontal Axis Wind Turbines) – Generatori eolici ad asse orizzontale. Ci sono anche i VAWT (Vertical Axis Wind Turbines) – Generatori eolici ad asse verticale, alti dieci metri e larghi 1,2 metri, con maggior resistenza alle raffiche (orthobenessere.com). I Comitati ribadiscono che le priorità sono: uno, la riduzione dei consumi; due, il fotovoltaico sui tetti degli edifici pubblici e delle zone industriali; tre, l’uso dell’eolico verticale e la costituzione di comunità energetiche.

E ora? Dopo la protesta di Saccargia, consapevoli di essere in ritardo, i comitati continuano la mobilitazione: mentre nascono nuovi comitati si spinge per un nuovo confronto con le istituzioni. La presidente della Regione Todde ha proposto da tempo una moratoria sui nuovi impianti, ma fino ad oggi questa non è stata approvata in Consiglio Regionale e si prevede che venga bocciata dal governo Meloni (che confermerà lo sciagurato Decreto Draghi, che ha originato la speculazione).

I Comitati chiedono alla Regione di avvalersi dello «Statuto Autonomo» che assegna alla Sardegna competenze più ampie rispetto a quelle a Statuto ordinario per emanare una legge regionale (sotto la spinta anche dai 377 sindaci dei Comuni sardi, finora latitanti), che recepisca le direttive UE 2018/2001, che tra l’altro istituiscono e regolamentano le comunità energetiche.

Di certo, la lotta sarà difficile e dura, dicono i comitati, ma è importante che in tutta Italia si capisca come non siamo di fronte a lotta corporativa, ma di difesa della natura e delle sue comunità, in nome della sovranità energetica dei territori, che nulla ha a che fare con l’autonomia differenziata e il “leghismo”. In questo senso è evidente che in Sardegna, dove solo il 20% del cibo consumato è prodotto localmente, bisogna rimettere al centro la sovranità alimentare, proposta da decenni dagli oltre duecento milioni di contadini del movimento internazionale Via Campesina e da diverse associazioni sarde, massacrati ogni giorno dall’agrobusiness e dalla grande distribuzione.

Infine molti cittadini e comitati sono dispiaciuti dalle posizioni assunte dalle grandi associazioni ambientaliste nazionali come Legambiente, Greenpeace e WWF: su sardegnarinnovabile.org parlano di sviluppare l’infrastruttura energetica in Sardegna, “passaggio cruciale per il futuro dell’isola e anche per le politiche energetiche nazionali…”. Il 9 maggio, inoltre, Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace ha scritto un articolo su Extraterrestre, l’inserto settimanale del manifesto (La moratoria sulle rinnovabili significa continuare col gas), in cui tra l’altro si legge: “La moratoria sulle rinnovabili della Sardegna, proposta dalla giunta di centrosinistra della Sardegna guidata dalla pentastellata Alessandra Todde, è tra gli ultimi atti di una campagna ostile, che rischia di rallentare o bloccare la transizione dopo la ripresa, tuttora insufficiente, di questi ultimissimi due anni. In Italia c’è un partito, trasversale, del gas e del petrolio…”. In realtà un emendamento di Alessandra Todde e della giunta regionale del 15 giugno ha svuotato la precedente proposta di moratoria (unionesarda.it). Queste grandi associazioni ambientaliste dovrebbero leggere, riflettere, dialogare e rispondere alle analisi e alle proposte dei Comitati sardi contro la Speculazione energetica, che stanno già collaborando con comitati di altre regioni italiane.

Il caso dell’assalto eolico in Sardegna, intanto, è arrivato anche all’università di Cambridge, nel Regno Unito. Una conferenza online organizzata dall’ateneo ha analizzato il fenomeno, mettendolo in correlazione con altri casi simili. La speculazione nell’Isola sulle rinnovabili, infatti, non è un unicum nel mondo: anche le comunità degli zapotechi in Messico e dei sami nel Nord Europa sono interessate dallo stesso fenomeno. Secondo gli studiosi sono le comunità ritenute più deboli ad essere prese di mira dalle imprese multinazionali… (link).

 

[Antonio Lupo (medico per l’ambiente) e Maurizio Fadda (agronomo)]

 

da qui

Essi, tutti lo sanno, l’impero statunitense è la malattia del mondo

 

articoli di Jeffrey Sachs, Caitlin Johnstone, Piero Bevilacqua, Gianandrea Gaiani, Tariq Marzbaan, disegno di Quino, poesia di Charles Bukowski



Salvare l’Ucraina dall’ingerenza americana – Jeffrey Sachs

L’Ucraina può essere salvata solo al tavolo dei negoziati, non sul campo di battaglia. Purtroppo, questo punto non viene compreso da politici ucraini come Oleg Dunda, membro della Rada, che recentemente ha scritto un articolo su questo sito contro il mio appello ripetuto ai negoziati.

Dunda crede che gli Stati Uniti salveranno l’Ucraina dalla Russia. È vero il contrario. L’Ucraina deve essere salvata dagli Stati Uniti.

Kiev incarna il famoso aforisma di Henry Kissinger: “Essere nemici dell’America può essere pericoloso, ma esserne amici è fatale”.

Trent’anni fa, l’Ucraina è stata abbracciata dai neoconservatori americani, convinti che fosse lo strumento perfetto per indebolire la Russia. I neoconn sono i sostenitori ideologici dell’egemonia americana, cioè del diritto e della responsabilità degli Usa di essere l’unica superpotenza mondiale e il poliziotto globale (come descritto, ad esempio, nel rapporto del 2000 del Project for a New American Century, “Rebuilding America’s Defenses“).

I neocons hanno scelto tre metodi per spingere il potere e l’influenza degli Stati Uniti in Ucraina: primo, intromettersi nella politica interna del paese; secondo, espandere la NATO all’Ucraina, nonostante la linea rossa della Russia; terzo, armare l’Ucraina e applicare sanzioni economiche per sconfiggere la Russia.

“Vieni con noi nel glorioso paradiso della terra della NATO e sarai al sicuro per sempre”. Questa la dolce fantasia sussurrata all’orecchio dell’Ucraina negli anni Novanta e i politici ucraini pro-europei, soprattutto nella parte occidentale del paese, hanno creduto realmente che l’Ucraina sarebbe entrata nella NATO proprio come la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca nel 1999.

L’idea di espandere la NATO all’Ucraina era fatua e pericolosa. Dal punto di vista della Russia, l’espansione della NATO nell’Europa centrale nel 1999 è stata profondamente discutibile e ha rappresentato una grave violazione della solenne promessa degli Stati Uniti che la NATO non si sarebbe espansa “di un solo centimetro verso est”, ma non è stata letale per gli interessi della Russia. Questi Paesi non confinano con la Russia continentale. L’allargamento della NATO all’Ucraina, tuttavia, significherebbe la perdita della flotta navale russa del Mar Nero a Sebastopoli e la prospettiva di missili statunitensi a minuti dalla terraferma russa.

In realtà, non c’era alcuna prospettiva che la Russia accettasse l’allargamento della NATO all’Ucraina. L’attuale direttore della CIA, William Burns, lo disse in una nota al Segretario di Stato Condoleezza Rice quando era ambasciatore degli Stati Uniti a Mosca nel 2008. Il memorandum è stato come è noto intitolato “Nyet significa Nyet”.

Burns scriveva: “L’ingresso dell’Ucraina nella NATO è la più brillante di tutte le linee rosse per l’élite russa (non solo per Putin). In più di due anni e mezzo di conversazioni con i principali attori russi, da chi si trascina le nocche nei recessi oscuri del Cremlino ai più acuti critici liberali di Putin, non ho ancora trovato nessuno che veda l’Ucraina nella NATO come qualcosa di diverso da una sfida diretta agli interessi russi”.

I neoconservatori non hanno mai descritto questa linea di condotta russa all’opinione pubblica americana o mondiale, né allora né oggi. Diplomatici e studiosi di alto livello negli Stati Uniti erano giunti alla stessa conclusione sull’allargamento della NATO in generale negli anni ’90, come è stato recentemente documentato in dettaglio.

Gli ucraini e i loro sostenitori insistono sul fatto che l’Ucraina ha il “diritto” di entrare nella NATO. Anche gli Stati Uniti lo dicono ripetutamente. La politica della NATO afferma che l’allargamento della NATO è una questione tra la NATO e il Paese candidato, e che non riguarda la Russia o altri Paesi non appartenenti all’Alleanza.

È assurdo. Inizierò a credere a questa affermazione quando l’ammiraglio John Kirby dichiarerà dal podio della Casa Bianca che il Messico ha il “diritto” di invitare la Cina e la Russia a mettere basi militari lungo il Rio Grande, sulla base della stessa “politica della porta aperta” della NATO. La Dottrina Monroe ha professato esattamente il contrario per due secoli.

I neoconservatori hanno quindi preparato l’Ucraina al disastro. In realtà, l’opinione pubblica ucraina aveva percepito la verità e si era opposta in modo schiacciante all’adesione alla NATO fino alla rivolta del 2014 che ha rovesciato il Presidente ucraino Viktor Yanukovych.

Ripercorriamo la cronologia di questa politica americana scioccamente sbagliata. All’inizio degli anni 2000, gli Stati Uniti hanno iniziato a intromettersi intensamente nella politica ucraina. Nonostante i miliardi di dollari per costruire, secondo Victoria Nuland, la “democrazia” ucraina, cioè per portare l’Ucraina verso gli Stati Uniti e lontano dalla Russia, l’opinione pubblica ucraina è rimasta fortemente contraria all’adesione alla NATO e nel 2010 ha eletto Viktor Yanukovych, che sosteneva apertamente la neutralità.

Nel febbraio 2014, il team di Obama si è schierato attivamente con i paramilitari neonazisti, che hanno preso d’assalto gli edifici governativi il 21 febbraio e hanno rovesciato Yanukovych il giorno successivo, mascherati da “rivoluzione della dignità”. Gli Stati Uniti hanno immediatamente riconosciuto il nuovo governo. La sorprendente telefonata intercettata tra la Nuland e l’ambasciatore americano in Ucraina Geoffrey Pyatt, in cui si parla di chi dovrebbe far parte del nuovo governo ucraino diverse settimane prima della ribellione, dimostra il livello del coinvolgimento americano.

Il governo post-sommossa in Ucraina era pieno di odiatori della Russia ed era sostenuto da paramilitari estremisti di destra come la Brigata Azov. Quando la regione del Donbass, etnicamente russa, si è dissociata dalla rivolta e si è autoproclamata indipendente, il governo centrale ha scelto la via della forza. Nel 2015 è stato raggiunto un accordo di pace, noto come Minsk II, che avrebbe posto fine ai combattimenti estendendo l’autonomia alle regioni etnicamente russe di Donetsk e Luhansk.

Purtroppo, l’Ucraina e gli Stati Uniti hanno minato il trattato, pur avendolo pubblicamente approvato. Il trattato era una mera misura temporanea (secondo il cancelliere tedesco Angela Merkel) per dare all’Ucraina il tempo di costruire il suo esercito. Gli Stati Uniti hanno inviato armamenti all’Ucraina per costruire le sue forze armate, renderle interoperabili con la NATO e sostenere la riconquista delle regioni con la forza.

La successiva opportunità diplomatica per salvare l’Ucraina si è presentata nel dicembre 2021, quando Vladimir Putin ha proposto un trattato USA-Russia sulle garanzie di sicurezza, chiedendo la fine dell’allargamento della NATO, oltre ad altre questioni (tra cui l’urgente questione del posizionamento di missili statunitensi vicino alla Russia). Invece di negoziare, Biden ha ancora una volta detto categoricamente no a Putin sulla questione della fine dell’allargamento della NATO.

Un’altra opportunità diplomatica per salvare l’Ucraina si è presentata nel marzo 2022, pochi giorni dopo l’inizio dell'”operazione militare speciale” della Russia, lanciata il 24 febbraio. La Russia disse che avrebbe fermato la guerra se l’Ucraina avesse accettato la neutralità. Zelensky accettò, furono scambiati documenti e si arrivò quasi a un accordo di pace. Tuttavia, secondo l’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett, gli Stati Uniti e altri alleati della NATO, in particolare il Regno Unito, sono intervenuti per bloccare l’accordo, dicendo all’Ucraina di continuare a combattere. Recentemente, Boris Johnson ha affermato che l’Ucraina dovrebbe continuare a combattere per preservare “l’egemonia occidentale”.

L’Ucraina può ancora essere salvata attraverso la neutralità, anche se centinaia di migliaia di vite sono state sprecate dal fallimento dei negoziati. Anche le altre questioni, compresi i confini, possono essere risolte con la diplomazia. Le uccisioni possono finire ora, prima che altri disastri colpiscano l’Ucraina e il mondo intero. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, 30 anni di malgoverno neoconservatore sono già abbastanza.

(Traduzione de l’AntiDiplomatico)
da qui

 

 

Non c’è possibilità di sovranità finché esisterà l’impero statunitense – Caitlin Johnstone 

Non si possono separare i programmi di sovranità e autodeterminazione dalla massiccia struttura di potere globale che li sostiene per i propri interessi.

Bisogna essere realisti su questo punto.

Non si può separare l’agenda della sovranità nazionale e dell’autodeterminazione del popolo ebraico dall’agenda dell’impero centralizzato statunitense per dominare e destabilizzare il Medio Oriente. Bisogna essere consapevoli del fatto che questi programmi sono indissolubilmente intrecciati e che il fatto che Israele sia una parte permanente della struttura di potere statunitense non significa in realtà indipendenza e autodeterminazione. E bisogna rispondere a questa realtà di conseguenza.

Non si può separare l’agenda della sovranità nazionale e dell’autodeterminazione degli ucraini dall’agenda dell’impero centralizzato statunitense di indebolire la Russia e assorbirla nella struttura di potere imperiale. Bisogna essere realisti sul fatto che questi programmi sono intrecciati e che l’impero vuole effettivamente dominare l’Ucraina per sé. Non si può semplicemente allontanarsi psicologicamente da questa realtà per dare un senso alla propria visione infantile dei buoni e dei cattivi di questo conflitto.

Non si può separare l’agenda della sovranità nazionale e dell’autodeterminazione di Taiwan dall’agenda dell’impero centralizzato statunitense di indebolire, balcanizzare e sottomettere la Cina. Bisogna essere realisti sul fatto che i potenti che sostengono di volere l'”indipendenza” di Taiwan vogliono in realtà uno Stato vassallo al largo delle coste della Cina continentale, da cui Pechino possa essere minata e accerchiata, e che le tattiche del salame a cui stiamo assistendo per attirare Taiwan nella struttura di potere occidentale sono indissolubilmente intrecciate con la difesa di una Taiwan indipendente.

Non si può separare l’agenda della sovranità nazionale e dell’autodeterminazione dei curdi dall’agenda dell’impero centralizzato statunitense di balcanizzare, cambiare regime e assorbire la Siria. Bisogna essere realisti sul fatto che questa agenda imperiale è indissolubilmente intrecciata con l’agenda per la creazione dell'”Amministrazione autonoma della Siria settentrionale e orientale”, nota come Rojava, che viene staccata dalla Siria a costi immensi per Damasco con la diretta facilitazione della macchina da guerra statunitense. Non si può far finta che questo non stia accadendo e comportarsi come se ci fosse una sorta di movimento anarchico organico che è in qualche modo separabile da queste agende.

Se desiderate la sovranità e l’autodeterminazione di qualsiasi gruppo di persone, il vostro primo e principale compito è quello di cercare di smantellare l’impero centralizzato degli Stati Uniti, perché è la struttura di potere che sta facendo di più in tutto il mondo per minare questa possibilità. Finché una popolazione è in qualche modo intrecciata con i programmi di un impero che domina il mondo e che fa di tutto per portare tutti sotto il suo controllo, non c’è alcuna possibilità per quella popolazione di ottenere una vera autodeterminazione. Se rimangono allineati a questi programmi, possono solo sperare di essere sudditi dell’impero.

Chiunque si rifiuti di essere reale su questo fatto sta agendo al servizio dell’impero, sia consapevolmente che inconsapevolmente. O agisce consapevolmente per facilitare gli interessi dell’impero e dei suoi dirigenti, o evita di affrontare la scomoda realtà della situazione per avere una visione del mondo più semplice e facile da digerire.

Una parte della maturità consiste nell’instaurare un rapporto basato sui fatti con la realtà del nostro mondo. Nella misura in cui non riuscite a essere realistici riguardo ai fatti della nostra situazione, la vostra visione del mondo è basata sulla menzogna.

da qui

 

 

La guerra in Ucraina: tappa di un fallimento globale – Piero Bevilacqua

La guerra in Ucraina è uno di quei grandi fatti della storia, destinati col tempo a veder rovesciata la propria verità. Da subito essa è apparsa per quello che effettivamente era: l’invasione da parte della Russia di un paese sovrano, benché da secoli questo paese facesse parte del territorio russo, della sua cultura e della sua storia. Una iniziativa bellica apparsa quasi come la continuazione della nefasta tradizione dell’Urss, che a suo tempo aveva invaso l’Ungheria, nel 1956, e la Cecoslovacchia nel 1968. Non c’è da stupirsi. È nota l’inerzia mentale con cui vasti ambiti di opinione pubblica occidentale vedono, erroneamente, nella Russia putiniana – una società a tutti gli effetti capitalistica – l’erede e quasi la continuazione dell’’Unione Sovietica. Tanto più che nel 2008, in seguito alla seconda guerra nell’Ossezia del Sud, la Georgia era stata annessa alla Federazione Russa, cosi come la Crimea nel 2014. Tutti episodi facilmente interpretati, da gran parte degli analisti occidentali, come la manifestazione delle ambizioni imperialiste di Putin, intenzionato a ridare alla Russia il dominio territoriale e la centralità geopolitica che era stata delle repubbliche socia[1]liste. Che la grandissima maggioranza degli osservatori, i media grandi e piccoli, gli uomini di Stato, i partiti politici, quasi senza distinzioni di schieramento, la vasta platea dell’opinione pubblica dell’Occidente si siano schierati senza perplessità contro la Russia e in difesa dell’Ucraina, era la cosa più naturale che potesse accadere. Persino esponenti della sinistra più avanzata, sia italiana che europea, non hanno manifestato dubbi sulla natura imperialista della mossa di Putin, e hanno invocato

l’appoggio armato in difesa del paese aggredito. E crediamo che l’eredità antistalinista di questa sinistra liberale o libertaria abbia reso ancora più salda tale scelta. Tanto più che la resistenza invocata era diretta contro un autocrate come Putin, a capo di una società autoritaria. Ora questo quadro semplice e apparentemente persuasivo dei nudi accadimenti si è progressivamente sgretolato, a mano a mano che si è passati dalla cronaca alla storia, dalla registrazione dei fatti presenti alla scoperta degli eventi e dei processi che li hanno preceduti. Non è stato facile, perché in questo caso è stato come passare dall’impressione dettata dall’osservazione visiva diretta del moto degli astri, a quella disvelata dalla scienza astronomica. In piccolo, quel che è avvenuto nell’età di Galileo. Per la prima forma di percezione, allora come oggi, il sole sembra girare intorno alla terra, per la seconda accade il contrario, e tale rovesciamento, com’è noto, ha costituito un approdo rivoluzionario alla verità effettiva. Anche per la guerra in Ucraina era inevitabile che accadesse. Fa parte di un meccanismo per così dire fondativo della cultura occidentale, ogni volta che ci si trova di fronte a un fenomeno nuovo da interpretare, a un presente complesso, volgere lo sguardo all’indietro, tentare di ricostruire nel tempo i processi che lo hanno preceduto e formato. Siamo obbligati a fare storia. Ed è sorprendentemente illuminante il fatto che nella lingua antica dei greci il termine indagare, conoscere, esplorare, venga espresso con historein, il ricercare di Erodoto e Tucidide. Conoscere in profondità si identifica con la storia, la ricostruzione del passato. Un grande storico della classe operaia inglese, Edward P. Thompson, ha definito la storia «la scienza del contesto», vale a dire il sapere che ricostruisce nel tempo, e nella loro concatenazione casuale, i nessi che legano fatti e processi e li rendono intellegibili. Senza il ricorso a questa scienza la visione del presente è non solo superficiale, ma spesso fallace ed ingiusta. Grazie ai tanti documenti, saggi, articoli, anche statunitensi, apparsi progressivamente dopo i primi mesi di guerra, abbiamo potuto guardare ai fatti drammatici che i media ci esponevano ogni giorno, con una crescente consapevolezza storica. La guerra in Ucraina iniziata ufficialmente il 24 febbraio 2022, è stata dunque retrodatata al 2014, quando un presidente filorusso democraticamente eletto, Viktor Janukovyč, è stato spodestato da un colpo di Stato, molto probabilmente ispirato e sostenuto dagli usa, seguito dall’insediamento di un governo ucraino antirusso. La risposta russa con l’annessione della Crimea, la secessione delle repubbliche del Donec’k e di Lugansk, dove la maggioritaria popolazione russofona veniva perseguitata, ha poi aperto la strada a una reazione 01_HM41_bevilacqua.indd 6 25/06/24 09:51 7 La guerra in Ucraina: tappa di un fallimento globale ucraina e all’esplosione di una vera e propria guerra civile. Fatti ormai noti, che tuttavia anch’esso costituiscono degli esiti. La ricerca storica ha poi costretto a spostare lo sguardo alle cause meno prossime della guerra, oltre l’Oceano, ai gruppi dirigenti degli usa. In realtà, com’è ormai noto, il coinvolgimento della Russia in una guerra dispendiosa e destabilizzante è il risultato di una strategia lungamente perseguita dagli usa. È bastato osservare la politica estera delle amministrazioni di Washington dopo il crollo dell’Urss per avere un primo quadro di questa prospettiva rovesciata. Tradendo le promesse e gli accordi a suo tempo stipulati con Gorbacev i governi americani hanno esteso le basi Nato nell’Europa dell’ Est, collocandole in gran parte dei Paesi appartenuti al blocco comunista. Più esattamente hanno esteso la presenza dell’Allenza atlantica, con basi militari, per oltre 1600 km sino ai confini della Russia. Al tempo stesso si sono ritirati unilateralmente dal trattato dei missili antibalistici (Anti-Ballistic Missile Treaty) e hanno collocato sistemi di lancio in queste basi, dalle quali è possibile far partire missili da crociera come i Tomahawk dotati di testata nucleare. In tutti questi anni, con le truppe Nato, gli usa hanno ripetutamente svolto esercitazioni militari ai confini con la Russia, mentre aprivano una campagna propagandistica in cui si annunciava la prossima adesione dell’Ucraina all’ Alleanza. Vale a dire l’ingresso nello schieramento militare nemico di un Paese direttamente confinante, per secoli parte della Russia, perché l’accerchiamento delle basi militari fosse completo. Poiché le provocazioni e le minacce non erano sufficienti, gli usa si sono ritirati unilateralmente dal trattato sulle forze nucleari a raggio inter[1]medio, accrescendo la vulnerabilità russa a un primo attacco americano e hanno avviato, soprattutto a partire dal 2014, una politica di armamenti dell’esercito ucraino il cui governo era ormai dichiaratamente antirusso (B. Abelow, Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina, Fazi 2023) Il fine di questa politica ce lo spiega, almeno in parte, un lungo rap[1]porto del 24 aprile del 2019, pubblicato dalla Rand Corporation, un istituto di studi strategici nato nel 1948 e finanziato dalla Difesa usa. Il rapporto si intitola Overextending and unbalancing Russia: sovraccaricare e destabilizzare la Russia: Questo capitolo descrive sei possibili mosse degli Stati Uniti nell’attuale competizione geopolitica: fornire armi letali all’Ucraina, riprendere il sostegno ai ribelli siriani, promuovere un cambio di regime in Bielorussia, sfruttare le tensioni armene e azere, intensificare l’attenzione all’Asia centrale e isolare la Transnistria (un’enclave occupata dalla Russia all’interno della Moldavia). 01_HM41_bevilacqua.indd 7 25/06/24 09:51 8 Editoriale Intensificare la sfida alla presenza militare russa e alle operazioni all’estero potrebbe avere diverse conseguenze. Potrebbe indurre la Russia a ritirarsi da alcuni di questi impegni, il che potrebbe essere una vittoria importante per gli Stati Uniti. La Crimea, l’Ucraina orientale e la Siria sono un salasso per l’erario russo e per il bilancio della difesa. Tali mosse probabilmente imporrebbero serie tensioni aggiuntive alla difesa russa e alla sua capacità economica. (oggi consultabile in Rete) È evidente, dunque, per lo meno a chi analizza i fatti, e li dispone razionalmente nel tempo, che la guerra a cui assistiamo è un progetto strategico degli usa, i quali hanno voluto continuare la guerra fredda, già vinta, per assicurarsi il dominio unipolare del mondo, già conseguito nell’ultimo scorcio del Novecento. Del resto, questa volontà non è rivelabile solo nei documenti storici, nelle ripetute dichiarazioni dei massimi ispiratori della politica estera; essa è stata resa visibile dagli stessi comandi della Nato. In questo caso, come talora accade, la necessità della propaganda politica disvela i propositi lungamente nascosti dei gruppi dirigenti. Nella prima[1]vera del 2023, nella posizione dei governi occidentali e nella stampa che faceva loro eco, è apparsa evidente la determinazione degli usa e dei suoi fedeli alleati di “sconfiggere la Russia”, per poi poter sistemare la partita con la Cina. Del resto, un esperto di geopolitica come Lucio Caracciolo l’aveva già rivelato nel 2021, anche se aveva poi cercato goffamente di nasconderne la paternità, quando la sua previsione si stava realizzando (Liquidare la Russia e isolare la Cina, in «Azione», settimanale ticinese, 12 aprile 2021). Nessun mistero dunque – se non per una stampa spaventosamente asservita, come quella occidentale, in primissimo luogo italiana – che questa posizione bellicistica degli usa non era una conseguenza dell’aggressione russa, ma un vecchio progetto strategico lungamente pianificato: la disintegrazione della Federazione Russa come prosecuzione e copia del collasso dell’Urss del 1991. D’altra parte, e qui ritorniamo alla storia, sappiamo, come ha dichiarato Dean Rusk, Segretario di Stato di J.F.Kennedy, che «l’intervento militare all’estero è una costante geopolitica degli Stati Uniti». Essa è stata tale sin dalla nascita degli usa, con o senza l’autorizzazione del Congresso, ed è diventata sistematica e totalitaria in tempi recenti. Come ricorda Fabio Mini, Dai rapporti del Congressional Research Service aggiornati nel 2009 e nel 2021, risultano effettuate oltre 100 operazioni militari dal 1945 al 1999 (54 anni) 01_HM41_bevilacqua.indd 8 25/06/24 09:51 9 La guerra in Ucraina: tappa di un fallimento globale e ben 184 dal 1999 al 2021 (22 anni). E questo senza contare le centinaia di operazioni coperte effettuate dalla CIA con personale e fondi non militari. (F. Mini, Prefazione a Q. Liang, L’arco dell’impero, Leg Edizioni, 2021, p. 22). D’altro canto, ben 800 basi militari americane sparse in ogni angolo del pianeta e la spesa in armamenti di 800 miliardi di dollari annui, già prima della guerra in Ucraina, avranno pure un qualche scopo. Ebbene, se la storia ci consente di avere uno sguardo rivelatore sul presente e di comprendere “come sono andate realmente le cose”, in questo caso ci offre la possibilità anche di avere una prospettiva cui indirizzare le nostre aspettative e le nostre speranze. Conoscere le origini di ciò che è accaduto ci fornisce la possibilità di un giudizio fondato, di orientarci tra le nebbie della manipolazione mediatica. Infatti, possiamo affermare, nella drammatica condizione di questi giorni, in cui uno dei più potenti eserciti del mondo, quello di Israele, bombarda la popolazione di Gaza ammassata in un lager di 400 km2 , che siamo di fronte a un passaggio storico di vasta portata. La guerra degli usa e della Nato contro la Russia è fallita. Sul piano militare la controffensiva ucraina è stata ricacciata indietro, con perdite umane pesantissime, a dispetto dell’aiuto militare fornito dall’intero Occidente. Essa non mostra possibilità di ripresa. La collocazione tattica sul campo dell’esercito russo non dà molte speranze a chi auspica un’inversione delle sorti del conflitto. La Russia ha resistito alle sanzioni e non solo non ha visto crollare le sue economie, ma conosce oggi una evidente ripresa economica, certificata anche dal Fondo Monetario Internazionale, che prevede una crescita del pil dell’1,5 % per il 2023. Sono piuttosto gli usa che vedono accresciuto il loro gigantesco debito pubblico e la voragine delle loro esposizione con l’estero: «alla fine del terzo trimestre del 2020 la posizione debitoria finanziaria netta degli usa verso l’estero (iip) ha raggiunto il record negativo di 13.950 miliardi di dollari» (F. Mini, Prefa[1]zione, cit. p. 26). E anche all’Europa non è andata molto bene. Secondo dati del «Financial Times» le imprese europee hanno avuto 100 miliardi di soli danni diretti dalla guerra (European companies suffer €100bn hit from Russia operations, F.T., 6/8/2023). Tra l’altro, le sanzioni e i sequestri di cui sono stati oggetto i tanti oligarchi russi formatisi nel decennio di capitalismo selvaggio inaugurato da Boris Elc’in, hanno indotto molti di loro a far rientrare i propri capitali nella madre patria e a impiegarli, grazie alle facilitazioni del governo, in attività direttamente produttive. L’intensificazione dei rapporti economici con la Cina e con gli altri Paesi non occidentali, spaventati dall’aggressività 01_HM41_bevilacqua.indd 9 25/06/24 09:51 10 Editoriale americana e della Nato, ha accelerato il processo di formazione di un blocco geopolitico contrapposto, quello dei Brics, destinato ad allargarsi ad altri Stati e a fondare un ordine multipolare che pone fine al “secolo americano”. Né si è verificato i regime change a Mosca, auspicato dagli usa, vale a dire il cambio di governo da autocratico a democratico, che è la narrazione ideologica con cui gli usa, negli ultimi decenni, hanno giustificato le loro guerre di aggressione e di invasione di Paesi sovrani. Putin non è stato rovesciato, anzi si è ulteriormente rafforzato. Gli strateghi usa e Nato non hanno previsto la reazione del popolo russo nel passaggio da un’accusa di aggressione contro un paese “fratello” a una minaccia di invasione e occupazione da parte di un esercito straniero. L’esortazione alla “vittoria” contro Mosca, sempre più interpretata come una capitolazione bellica dell’intero Paese, di cui si facevano cantori anche i dirigenti dell’Unione Europea, come Ursula Von der Leyen – apparsa in alcuni momenti come una funzionaria del governo usa – ha investito profondamente l’opinione pubblica russa. Più precisamente ha toccato le corde profonde dell’animo di un popolo, che nell’età contemporanea aveva subito l’invasione delle armate napoleoniche e i carri armati di Hitler. Dunque, è vero che gli usa hanno ottenuto dei successi evidenti dalla guerra in Ucraina. Hanno allargato ulteriormente i confini della Nato, hanno spezzato i rapporti tra l’Europa, soprattutto la Germania, e la Russia, hanno mostrato al mondo la pochezza, la viltà e il servilismo delle élites dirigenti europee, esibito la propria capacità di comandarli come pedine subalterne. E tuttavia a quasi due anni dall’inizio della guerra lo scenario appare più complesso. Nel momento in cui si consuma il dramma del popolo palestinese, nei giorni in cui l’esercito di Israele bombarda la popolazione di Gaza dal cielo, da terra e dal mare, questo vero e proprio genocidio non potrà non apparire sempre di più come l’esito della strategia americana. Sono state le decine e decine di veti opposti dagli usa alle risoluzioni ONU, in cui si condannava Israele, ad aver incoraggiato i suoi gruppi dirigenti a una politica di violazione sistematica del diritto internazionale. Senza contare l’ininterrotto supporto economico e militare. Sono stati i governi americani ad autorizzare l’imprigionamento a cielo aperto di un intero popolo entro i confini di Gaza: un esperimento di lager unico forse per dimensioni nella storia del mondo. Oggi sono gli usa a condividere con Israele la responsabilità del massacro della popola[1]zione civile palestinese, l’uccisione di migliaia di bambini, sia dal punto di vista politico e morale, ma anche militare. Le due portaerei americane schierate nel Mediterraneo orientale, che fungono da deterrenza contro 01_HM41_bevilacqua.indd 10 25/06/24 09:51 11 La guerra in Ucraina: tappa di un fallimento globale possibili azioni ostili nei confronti di Israele, sono di fatto a protezione dell’opera di genocidio che Netanyahu può consumare indisturbato nel recinto di Gaza. Per gli usa e l’intero Occidente a questo punto si pone un grande problema: come raccontare la storia di una serie troppo lunga di fallimenti, costata un numero incalcolabile di morti, ingenti perdite economiche, e il disordine politico e militare che domina il nostro tempo. La guerra in Iraq non ha portato la democrazia in quel Paese, ma il terrorismo en[1]demico; la Libia, dopo l’uccisione di Gheddafi, è stata ricacciata ai suoi originari conflitti tribali; l’Afganistan è ritornato ai Talebani; l’Ucraina è semidistrutta, centinaia di migliaia di ucraini sono morti per niente; Gaza muore sotto le bombe e la sicurezza di Israele è stata drammatica[1]mente messa in discussione. Il discredito di chi ha ispirato e condotto tale politica sarà incancellabile presso l’opinione pubblica mondiale. Il tempo svolgerà il suo compito. Questa volta la storia degli sconfitti non si potrà scrivere col silenzio, com’è accaduto per l’Iraq, la Libia e altri Paesi. Ancora oggi i grandi strateghi usa sottovalutano gravemente il danno che verrà all’America dal massacro del popolo palestinese. Esso darà un sigillo incancellabile d’orrore alla catastrofica fallacia della sua politica, all’arroganza di un Impero che cerca di resistere con la violenza al proprio inesorabile tramonto.

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Media, censure e facce di bronzo – Gianandrea Gaiani

Ha suscitato reazioni aspre quanto ingiustificate in Europa la decisione resa nota il 25 giugno dalle autorità russe di imporre restrizioni nei confronti di 81 media europei impedendone l’accesso tv e internet al territorio della Federazione Russa.

Tra i media europei presi di mira figurano i siti di RAI, LA7, La Stampa e Repubblica, come spiega l’agenzia di stampa Ria Novosti ma anche i giornali tedeschi Der Spiegel, Die Zeit e Frankfurter Allgemeine Zeitung, i quotidiani francesi Le Monde, La Croix e l’agenzia France Presse (AFP) oltre a Radio France Internationale. La Russia ha imposto restrizioni anche ai quotidiani spagnoli El Mundo ed El Pais, all’agenzia di stampa EFE, all’emittente statale austriaca ORF e ai giornali web Politico ed Euobserver.

L’iniziativa russa costituisce una “rappresaglia” sul fronte mediatico rispetto alla decisione assunta il 17 maggio dal Consiglio Europeo di vietare sul territorio dell’Unione la diffusione video e internet dell’agenzia Ria Novosti e dei giornali Izvestia e Rossiyskaya Gazeta: divieto che ha preso il via proprio il 25 giugno.

”In risposta alla decisione presa dal Consiglio della Ue il 17 maggio di vietare ‘qualsiasi attività di trasmissione’ su tre media russi che entra in vigore oggi, 25 giugno, vengono adottate contro-restrizioni all’accesso introdotte dal territorio della Federazione Russa alle risorse radiotelevisive di numerosi media degli Stati membri dell’Ue e degli operatori di tutta Europa, che diffondono sistematicamente false informazioni sullo svolgimento dell’operazione militare speciale” in corso in Ucraina, si legge nel comunicato del ministero degli Esteri russo.

I russi, prosegue la nota, hanno ripetutamente e a vari livelli avvertito che ”le molestie politicamente motivate nei confronti dei giornalisti e i divieti infondati nei confronti dei media russi nella Ue non passeranno inosservati”.

Il comunicato nota che ”nonostante ciò, Bruxelles e le capitali dei paesi dell’Unione hanno scelto di intraprendere la strada dell’escalation, costringendo Mosca ad adottare contromisure speculari e proporzionali con un altro divieto illegittimo. La responsabilità di tale sviluppo spetta esclusivamente alla leadership dell’Unione europea e i paesi che hanno sostenuto tale decisione”, ha sottolineato il ministero.

Del resto fin dall’inizio del conflitto la UE aveva messo al bando testate televisive e web quali Russia Today e Sputnik con l’accusa di essere uno strumento mediatico del Cremlino.

La guerra dei media quindi l’ha cominciata la UE mostrando fin dall’inizio del conflitto di temere che il pubblico europeo potesse ricevere informazioni diverse da quelle filo-ucraine e anti-russe che, quasi a reti e testate unificate, vengono diffuse da quasi due anni e mezzo in Europa e in Italia.

Un’informazione settaria e a senso unico che ha dato ampio spazio alla propaganda USA, NATO e Ucraina, ha rinnegato l’informazione equilibrata che aveva caratterizzato molte testate sui temi relativi alla crisi del Donbass prima del 24 febbraio 2022 e in ultima analisi si è coperta di ridicolo raccontando “favole” poi sbugiardate dai fatti.

La cruda realtà dei fatti dimostra che guerra in Ucraina ha gettato il discredito sulla gran parte dei politici e dei media europei negando a essi ogni presupposto per poter attribuire patenti di credibilità, imparzialità e affidabilità.

La censura, comprensibile nelle nazioni in guerra, rischia di diventare un boomerang nelle democrazie e nei paesi non belligeranti come nel caso dell’Europa poiché evidenzia la debolezza dei governi, dei leader e dei loro messaggi. Non a caso per tentare di eliminare le poche voci dissonanti dal mainstream filo-ucraino sono state rese pubbliche su diversi media, anche in Italia, vere e proprie liste di proscrizione contenenti i nomi di intellettuali e giornalisti definiti “putiniani” e “filorussi”.

Iniziative giustificate dalla narrazione ormai consolidata circa l’influenza delle fake-news russe che a dire di molti rischierebbero di condizionare l’opinione pubblica e persino le elezioni in Occidente.

Alla luce di tutto questo appare decisamente sopra le righe la faccia di bronzo con cui la UE ha reagito alla rappresaglia mediatica russa. Oltre il limite del ridicolo il comunicato dell’Alto rappresentate Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, presentato ai media dal portavoce Peter Stano.

“L’Ue condanna la decisione del tutto infondata delle autorità russe di bloccare l’accesso a oltre ottanta media europei in Russia. Questa decisione limita ulteriormente l’accesso all’informazione libera e indipendente ed espande la già severa censura sui media in Russia.

I media europei vietati lavorano secondo principi e standard giornalistici. Forniscono informazioni concrete, anche al pubblico russo, anche sulla guerra illegale di aggressione della Russia contro l’Ucraina. Al contrario, i mezzi di disinformazione e propaganda russi, contro i quali l’Ue ha introdotto misure restrittive, non rappresentano media liberi e indipendenti.

Le loro attività radiotelevisive nell’Ue sono state sospese perché queste emittenti sono sotto il controllo delle autorità russe e sono determinanti nel sostenere la guerra di aggressione contro l’Ucraina”.

In pratica il responsabile per la politica estera dell’Unione dice ai russi che i loro media sono pessima propaganda putiniana ed è giusto bandirli dall’Europa mentre i nostri organi d’informazione sono fonti indipendenti, libere e professionali e a Mosca dovrebbero gioire per l’opportunità di abbeverarsene.

Non pago, Borrell ha concluso sottolineando che “il rispetto della libertà di espressione e dei media è un valore fondamentale per l’Ue che continuerà a supportare la disponibilità di informazioni concrete anche per il pubblico russo. Ecco perché condanniamo la decisione russa come totalmente infondata”.

In realtà la quasi totale sudditanza nei confronti dell’informazione ufficiale e della propaganda Ucraina/NATO /UE senza alcuna analisi critica ha reso gran parte dei media italiani ed europei inaffidabili strumenti propagandistici, amplificatori di informazioni non verificate e spesso rivelatisi inattendibili, non tanto agli occhi dei russi ma a giudizio degli stessi lettori e spettatori europei, come dimostra il crollo dell’audience e delle copie vendute.

Un fenomeno che in Italia ha raggiunto proporzioni tali da mettere ormai in forse la sopravvivenza stessa del giornalismo, rimpiazzato in buona parte da servilismo e piaggeria nei confronti di politica, potenze straniere e lobby di potere.

Inevitabile che anche il ministero degli Esteri italiano condannasse la decisione della Federazione Russa di bloccare l’accesso sul suo territorio alle trasmissioni e ai siti di diversi media europei, tra cui gli italiani Rai, La7, La Repubblica e La Stampa. Sorprendono semmai i toni utilizzati.

“Esprimiamo rammarico per la misura ingiustificata adottata nei confronti di queste emittenti e testate giornalistiche italiane, che hanno sempre fornito un’informazione oggettiva e imparziale sul conflitto in Ucraina”, recita una nota della Farnesina. “Questi media hanno seguito criteri di informazione oggettiva, e comunque legata a una interpretazione autonoma dei fatti conseguenti all’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa”.

Definire “oggettiva” l’informazione dei media italiani sul conflitto in Ucraina non è esagerato, è esilarante! In proposito si potrebbero scrivere interi volumi ma è sufficiente limitarsi a ricordare che il direttore di Repubblica e la corrispondente RAI da Kiev sono stati decorati dal presidente Volodymyr Zelensky per i servigi resi all’Ucraina ed entrambi hanno espresso compiacimento per questo riconoscimento.

Abbiamo visto inviati in Ucraina ostentare con orgoglio il simbolo del Tridente Ucraino sul giubbotto o utilizzare le note di linguaggio imposte USA e NATO circa il conflitto. Quasi tutti i media italiani in due anni e mezzo di guerra si sono distinti nel fornire un’informazione a senso unico offrendo ampio spazio alla propaganda ucraina spacciata per verità e censura sulle fonti e le informazioni dei russi.

Alla RAI resteranno nella storia alcune interviste “in ginocchio” a Zelensky, episodi eclatanti di una tendenza che non ha mai visto nessuno porre al leader ucraino neppure una domanda scomoda sulle opposizioni messe fuori legge, sui giornalisti incarcerati, sulla “questione nazista”, sulla eliminazione dei “filorussi” nelle regioni orientali, sugli arruolamenti forzati nelle strade di “carne da cannone”, o sulle elezioni rinviate sine die nel momento di massima impopolarità del presidente.

Che dire poi della copertura politica e mediatica tesa a evidenziare un preciso ordine di Putin di uccidere Aleksey Navalny, notizia “pompata” pur in assenza di riscontri concreti da tutti gli 0rgani d’informazione in occasione della morte del dissidente: gli stessi media (e politici) che hanno del tutto ignorato (ma non Analisi Difesa) la notizia della morte per cause naturali di Navalny resa nota da una fonte non certo sospettabile di “putinismo” quale il capo dell’intelligence militare ucraino (GUR), Kyrylo Budanov, in altre circostanze fonte quotatissima presso i nostri giornali e TV.

La propaganda è merce comune di tutti in tutto il mondo e viene utilizzata ovunque per gli stessi scopi. La classifica della libertà di stampa stilata ogni anno da Reporters sans Frontières e guidata da Norvegia, Danimarca e Svezia vede l’Italia occupare il 46° posto (5 posizioni in meno del 2023, comunque dietro a Macedonia del Nord, Figi, Samoa, Capo Verde, Mauritania, Montenegro….) e la Russia il 162°, ma questo non rende meno legittima la rappresaglia russa che risponde con la censura dei nostri media alla censura attuata dalle nazioni aderenti alla UE nei confronti dei media russi.

Piuttosto dovremmo chiederci quanto l’Italia (che in Russia mantiene consistenti interessi economici e su molte questioni legate alla guerra in Ucraina ha assunto posizioni meno belliciste di tanti partner Ue), abbia interesse ad aderire a boicottaggi e messe al bando degli organi d’informazione a cui inevitabilmente fanno seguito misure analoghe di ritorsione.

Qui non si tratta di stabilire chi meriti o meno censure e boicottaggi, che non dovrebbero esistere per nessun organo d’informazione in nessuna nazione e tanto meno nel “mondo libero”, semplicemente perché se davvero abbiamo ragioni forti e la nostra informazione è indipendente e oggettiva non dovremmo temere la propaganda altrui.

Il tema vero è come possiamo lamentarci oggi del fatto che i russi mettano al bando i nostri media quando noi abbiamo per primi cominciato a bandire i media russi fin dal 2022?

Del resto che all’Europa non stia così a cuore la libertà d’informazione lo dimostrano le tante dichiarazioni contro il pericolo delle fake-news russe che di fatto puntano a sollecitare un maggiore controllo sui media, tesi subito recepita dall’Unione Europea: un allarme tanto di moda quanto fondato su basi discutibili con cui i leader dell’Occidente cercano di attribuire alla disinformazione di Mosca i loro insuccessi determinati invece dalle politiche fallimentari adottate.

A meno che non vogliamo davvero credere che i siti fake di “Lastampa.in” e “Repubblica.in”, creati clonando quelli dei due quotidiani italiani (opera dei russi secondo il rapporto della East StratCom Task Force della UE, posta alle dipendenze dell’Alto rappresentante per la politica Estera) per diffondere in tutto una decina di articoli su temi per lo più economici con aspre critiche nei confronti della UE, abbiano influenzato marcatamente il voto dell’8 e 9 giugno. O che iniziative simili abbiano ugualmente influenzato nello stesso modo milioni di elettori anche in Francia, Germania, Polonia, Spagna e altre nazioni europee.

Quanto la UE sia preoccupata per la mancanza di libertà di stampa lo si evince bene anche dall’assordante silenzio delle istituzioni e (guarda un po?) di quasi tutti i media di fronte alle denunce di violenze contro i giornalisti in Ucraina.

Come scrive lo statunitense Politico, il regime di Kiev sta prendendo di mira i giornalisti che indagano sulla corruzione tra i funzionari pubblici e mette a tacere i critici del governo. Evgeniy Shulgat ha subito minacce per un articolo sulla corruzione nel Servizio di sicurezza ucraino (SBU).

Anche altri giornalisti ucraini che si occupano della corruzione nel paese, come Alexander Salizhenko e Yuriy Nikolov, affermano che il governo utilizza varie tattiche intimidatorie. Tutti loro sono soggetti a molestie online, accuse di evasione dal servizio militare e minacce di essere mandati in prima linea.

Prima ancora di Politico l’organizzazione Reporters sans Frontières ha più volte lamentato le difficoltà dei giornalisti ucraini e il 19 giugno ha lamentato che “la pressione contro i media indipendenti in Ucraina è in aumento da diversi mesi. Sorveglianza, minacce di arruolamento nell’esercito, maggiore controllo da parte delle autorità…

Sui media ucraini crescono pressioni politiche e ostacoli. Dall’inizio del 2024, almeno cinque giornalisti sono stati sorvegliati o minacciati a causa di pubblicazioni sulla corruzione.

RSF denuncia la nomina di un militare a direttore dell’agenzia di stampa nazionale Ukrinform il 24 maggio e la rivelazione il 29 maggio della diffusione di un elenco di ospiti da escludere dai programmi e l’impossibilità di fornire notizie attendibili sull’andamento (pessimo per Kiev) della guerra.

Su questi temi, nel febbraio 2023, chiudemmo l’editoriale intitolato “Credere, Obbedire, Soccombere” con questa frase, probabilmente ancora attuale: “Ci troviamo nel mezzo della prima guerra convenzionale combattuta sul nostro continente dal 1945 e le sue gravi conseguenze strategiche, energetiche ed economiche hanno colpito duramente l’Europa e l’Italia mentre il futuro potrebbe portarci a fare i conti con sviluppi e realtà concrete ben diversi da quelli prefigurati dalle fanfare propagandistiche che ci siamo sorbiti finora”.

da qui

 

 

Il Moribondo contro il Nascente – Tariq Marzbaan

Gran parte del mondo è stanco dei mostri e cerca non un “re-set” ma una rinascita delle sue identità originali e delle sue eredità storiche… che sono state tenute troppo a lungo in ostaggio da uno spietato Impero divoratore.

Fin dai primi anni del 1900, la “dottrina dell’Heartland” di Mackinder ha dominato la mentalità e le azioni geopolitiche dell’Occidente (in primo luogo i britannici, ma anche la Germania nazista adottò questa ossessione). La strategia prevedeva inizialmente l’indebolimento, lo smantellamento e la presa di possesso totale dell'”Impero russo”… a cui sarebbe seguito il dominio dell’intero continente europeo e asiatico… e poi del resto del mondo. Come hanno sottolineato Zbigniew Brzezinski e George Friedmann di Stratford, si è sempre trattato di controllare le ricche risorse e la posizione geopolitica della Russia e dell’Asia.

Ma dopo la Seconda Guerra Mondiale, durante la successiva Guerra Fredda, questa agenda essenzialmente britannica non sembrava più all’ordine del giorno, poiché il centro di potere imperiale e coloniale si era spostato dal Regno Unito agli Stati Uniti… e gli Stati Uniti avevano già iniziato a perseguire le loro numerose ambizioni imperiali in altre parti del mondo per espandere la propria influenza (attraverso varie guerre, guerre per procura e conflitti in tutto il mondo (Vietnam, Corea, Asia occidentale, Africa, America centrale e meridionale).

Per un certo periodo (in termini storici: 1945-1989) sembrava che la “Dottrina Heartland” non avesse più alcuna rilevanza. In realtà, aveva un’esistenza in ombra, perché nessuno ne parlava apertamente… Perché un certo gruppo – i neocon – non aveva ancora un’influenza sufficiente sulla politica e sull’opinione pubblica degli Stati Uniti… Ma oggi sappiamo che essi sono rimasti impegnati in questa agenda dietro le quinte.

La situazione geopolitica globale cominciò a cambiare alla fine degli anni Ottanta. (Il grande cambiamento avvenne bruscamente nel 1989 con la caduta del Muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica). La fretta e lo zelo con cui prima Gorbaciov e poi Eltsin cercarono di apportare e attuare cambiamenti e “riforme” nel gigantesco impero sovietico si rivelarono in seguito controproducenti, se non addirittura fatali, e non solo portarono al crollo dell’URSS, ma debilitarono gravemente la Russia. A ciò si aggiunse l’ingenua convinzione dei sovietici che, con la scomparsa dell’Unione Sovietica, sarebbero scomparsi anche l’inimicizia e il conflitto ideologico con l’Occidente… e che la “normalità” avrebbe preso il suo posto. (Eltsin a Jeffrey Sachs, da 1:19:08: “Vogliamo essere normali.“) Ma cosa esattamente i russi (o i sovietici) intendessero allora per “normalità” (rispetto al capitalismo/imperialismo statunitense) rimane tuttora poco chiaro.

In seguito a questo drammatico crollo, la Russia fu devastata economicamente, militarmente, politicamente, culturalmente e socialmente.

Le élite occidentali intorno ai neocons, inebriate dall’inaspettata “vittoria” sul “nemico”, si sono messe a divorare la Russia e il resto dell’ex URSS. Si consideravano gli indiscussi autocrati del mondo secondo il motto: “chi vince prende tutto“. Ora nulla ostacolava il vero “sogno americano”, cioè il dominio del mondo intero – tranne forse quei pochi Stati più piccoli che non avevano ancora riconosciuto questo cambiamento di paradigma o non erano disposti ad accettarlo. Per affrontare questi fastidiosi ostacoli, gli strumenti neoliberali vennero in soccorso: l’infiltrazione, la corruzione dei governi e delle loro élite, le rivoluzioni colorate… e, se non fossero serviti, i bombardamenti e il terrore.

Le prime bombe sono cadute sull’Iraq nel 1990; nel 1999 la NATO, guidata dagli Stati Uniti, ha bombardato la Jugoslavia; poi sono seguiti i bombardamenti e l’occupazione dell’Afghanistan, dell’Iraq, della Libia e della Siria… Secondo il generale statunitense Wesley Clark (link), sette Paesi dovevano essere invasi entro cinque anni e sottoposti a “cambio di regime”: Iraq, Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan e Iran.

Nel frattempo è iniziata l’inarrestabile espansione verso est della NATO, nonostante le promesse fatte alla Russia. L’offerta russa di un partenariato tra pari e persino della sua partecipazione alla NATO è stata rifiutata. Gli Stati Uniti hanno invece preteso la subordinazione della Russia alla loro egemonia… ma questa è stata respinta da Yevgeny Primakov (1999 – “l’inversione a U sull’Atlantico”) e di nuovo da Vladimir Putin… che ora ha messo la Russia su una serie di binari sovrani completamente diversi.

Oggi, mentre i neocon rimangono “bloccati alla stazione di Mackinder” di un’agenda imperialista britannica obsoleta e incancrenita… la locomotiva del Grande Progetto Eurasiatico sfreccia su binari nuovi – non alla ricerca dell’egemonia ma di partnership armoniche in un mondo nuovo e multipolare.

 

La discesa nell’irrazionalità

I secoli di egemonia imperialista delle élite occidentali, che avevano assicurato una vita di progresso e prosperità a se stesse e ai loro sudditi in patria impedendo deliberatamente questi stessi vantaggi agli altri – un principio chiave dell’ideologia colonialista che garantiva loro il successo – hanno portato a plasmare la loro psiche, la loro mentalità generale, la loro personalità e, in ultima analisi, la loro identità, i cui effetti possono essere visti nel loro senso di supremazia, nel razzismo, nel fascismo e nell’arroganza.

Tuttavia, le élite occidentali hanno iniziato a temere che il loro sistema capitalistico liberale sarebbe crollato prima o poi, con la conseguenza che esse (le élite) si sarebbero trovate ad affrontare gravi e pericolosi sconvolgimenti economici, politici e sociali, rivolte, rivoluzioni in patria e una perdita di potere ed egemonia su scala globale.

Le loro guerre a Gaza e in Ucraina, le tensioni bellicose da loro create nel Mar Cinese Meridionale, così come le azioni, le dichiarazioni e le reazioni dei politici occidentali e dei loro media, dimostrano chiaramente la loro disperazione.

Di fronte alla resistenza e all’opposizione di altre nazioni, le élite occidentali hanno sempre risposto con le minacce, le sanzioni e la corruzione dei loro leader, e se queste non erano efficaci hanno fatto ricorso a operazioni terroristiche segrete, guerre per procura e infine guerre calde.

Ma ora si trovano sull’orlo del loro stesso abisso, e l’abisso li sta guardando indietro. Il solo pensiero di perdere potere e prestigio alimenta la loro follia.

Il panico crescente li ha portati a diventare sempre più irrazionali nelle loro decisioni, facendoli incorrere in avventate valutazioni sbagliate e gravi errori.

I loro stessi Stati si sono saturati con la russofobia, l’islamofobia, la “cancel culture”, l’armamento della polizia e delle agenzie di sicurezza per scopi di contro-insurrezione, le dannose politiche di immigrazione, la diffamazione e la persecuzione delle figure di opposizione, la sincronizzazione dei media, il crollo delle infrastrutture, dell’istruzione, della società stessa, un’erosione generale della morale e dell’etica… e un Bill Gates e un Klaus Schwab, che stanno architettando piani squilibrati per il futuro dell’umanità.

 

L’agonia dell’Impero: non può vincere, e non può andarsene…

La “Guerra Fredda” era “fredda” perché si era creato una sorta di equilibrio militare tra “Est” e “Ovest”, in quanto entrambe le parti erano costituite da territori con potenze nucleari. Oggi non è cambiato molto dal punto di vista nucleare-militare per quanto riguarda il possesso di armi nucleari. Tuttavia, la situazione di allora (durante la Guerra Fredda) richiedeva che i politici e le élite occidentali pensassero e agissero in modo realistico e razionale, cosa che oggi non avviene più – e questo è il punto critico in cui ci troviamo.

È stato raggiunto il punto in cui l’Occidente può solo decidere di ritirarsi… o di combattere fino in fondo, perché per loro si tratta di una battaglia esistenziale. E – visto che attualmente ci sono troppi pazzi, sprezzanti della vita umana, in posizioni di comando politico e militare nel campo occidentale, che operano secondo il motto “o tutto o niente” e “se non lo abbiamo noi, non lo deve avere nemmeno nessun altro” – sembra che stiano decidendo a favore della lotta fino alla fine, che potrebbe portare all’Armageddon nucleare.

Con questa mentalità, l’Occidente si è portato in una situazione estremamente disperata, tipica di chi ha tendenze suicide, con una differenza: l’Occidente ha scelto di giocare il ruolo di attentatore suicida.

Ma una terza opzione potenziale per le élite occidentali potrebbe essere – se ancora rifiutassero di ammettere la loro sconfitta, ma fossero almeno in grado di sentirsi finalmente dissuasi da una minaccia nucleare – quella di creare una nuova divisione nel mondo tra “l’Occidente e il Resto”, erigendo una sorta di propria Cortina di Ferro e… una sorta di nuova “Guerra Fredda”, durante la quale continuerebbero a vivere in una bolla in cui potrebbero rimanere nell’illusione di preservare la loro supremazia in modo delirante… come un paziente in una clinica psichiatrica che non può essere curato, ma almeno è stato pacificato.

Questo triste stato di cose si manifesta al meglio nella figura dell'”uomo più potente del mondo” (come promulgato dai propagandisti occidentali): Joe Biden (alias “Genocide Joe”). La figura di Biden – quasi per una “coincidenza cosmica” – incarna il mondo occidentale di oggi. È infatti la sua icona… moribonda e in decomposizione… con una visione zombesca del mondo, aggrappata non alla vita ma solo al potere spietato… e completamente fuori dalla realtà.

Senza rendersene conto, Tucker Carlson ha appena descritto in questo video (in cui dice: “Biden sta morendo in tempo reale“) non solo la condizione di Biden, ma quella dell’intera egemonia occidentale.

L’Egemonia ha quasi raggiunto la sua fine… ma non se ne va in silenzio.

 

L’altra sponda… si entra in un’era di nuove percezioni e visioni globali per l’armonia e la cooperazione

Lo stato di decadenza dell’Occidente ha portato all’emancipazione di un numero sempre maggiore di Stati non occidentali, a cominciare da: Cina, Russia, Iran, India, Sudafrica, Brasile… tutti Paesi che hanno già avuto le loro amare esperienze storiche con la natura suprematista e violenta del colonialismo occidentale. In seguito alla formazione dei BRICS e di altre alleanze simili, altri Paesi non occidentali hanno iniziato ad allontanarsi dall’Occidente e a cercare alleanze più opportune e partenariati armoniosi.

In Asia e in altre parti del mondo sta emergendo un sistema multinodale, policentrico e multipolare, guidato da una Russia risorgente, che non è di per sé “anti-occidentale”, ma rifiuta la sua secolare egemonia coloniale e il suo “ordine basato sulle regole” e anela a un nuovo mondo fondato sulla giustizia e sull’uguaglianza.

Gran parte del mondo è stanco dei mostri e cerca non un “re-set” ma una rinascita delle proprie identità originali e delle proprie eredità storiche… che sono state tenute troppo a lungo in ostaggio da uno spietato Impero divoratore.

da qui

 

 

 

ESSI, TUTTI LO SANNO – Charles Bukowski

Chiedete ai pittori da marciapiede di Parigi

Chiedete al sole su un cane addormentato

Chiedete ai 3 porcellini

Chiedete al giornalaio

Chiedete alla musica di Donizetti

Chiedete al barbiere

Chiedete all’assassino

Chiedete all’uomo appoggiato al muro

Chiedete al predicatore

Chiedete all’ebanista

Chiedete al borsaiolo o al prestatore

Su pegno o al soffiatore di vetro

O al venditore di letame o

Al dentista

Chiedete al rivoluzionario

Chiedete all’uomo che ficca la testa

Nelle fauci d’un leone

Chiedete all’uomo che sgancerà la prossima

Bomba atomica…

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