«I mendicanti vecchi e incapaci di lavorare ricevono una licenza di
mendicità. Ma per i vagabondi sani e robusti frusta invece e prigione. Debbono
esser legati dietro a un carro e frustati finché il sangue scorra dal loro
corpo». Così uno statuto di Enrico VIII del 1530.
Nel 1547 lo statuto di un altro sovrano inglese, Edoardo VI, «ordina che se
qualcuno rifiuta di lavorare dev’essere aggiudicato come schiavo alla persona
che l’ha denunciato come fannullone». E più avanti stabilisce che «I giudici di
pace hanno il compito di far cercare e di perseguire i bricconi, su denuncia.
Se si trova che un vagabondo ha oziato per tre giorni, sarà portato sul luogo
di nascita, bollato a fuoco con ferro rovente con il segno V sul petto e
adoperato quivi, in catene, a pulire la strada o ad altri servizi». Sono alcuni
dei frammenti di quella che Marx, in un celebre capitolo del Capitale, definiva
la «legislazione sanguinaria» messa in atto dalla
corona inglese a partire dal ‘500, per punire chi si sottraeva al lavoro e dava
spettacolo di povertà o creava insicurezza nelle città con i propri furti.
Siamo alle origini dell’“accumulazione originaria” del capitale e tali
feroci disposizioni contro i proletari dell’epoca vengono in mente a leggere le
cronache su quanto accade alla frontiera tra Messico e Usa, tra la Spagna e il
Nord Africa, presso i fortilizi di Ceuta e Melilla, ai fili spinati e ai muri
alla frontiera tra la Serbia e la Slovenia, alle barriere di cui si è
circondata l’Ungheria, il cui parlamento ha votato l’arresto
cautelare per chiunque entri nel territorio magiaro (leggi anche I mercanti del filo spinato di Tonio Dell’Olio, ndr), al muro politico
innalzato dal Regno Unito nei confronti di chi arriva dal Continente, alla
nostra frontiera con la Francia a Ventimiglia.
Certo, non siamo ancora al marchio di fuoco della lettera C sul petto dei
“clandestini”, ma quanto a crudeltà nei confronti dei disperati che scappano da
guerre e miseria è solo una questione di grado. I gruppi dominanti dei paesi
ricchi e il loro ceto politico sono feroci al punto giusto, quanto è consentito
loro da secoli di habeas corpus e dalle conquiste dello stato di diritto
dell’età contemporanea.
Ciò che tuttavia rende comparabile la situazione descritta da Marx con
quella dei nostri giorni è la causa della formazione dell’esercito degli uomini
e delle donne eslege, vagabondi e
clandestini nel linguaggio dei persecutori. I questuanti che a partire dal XVI
secolo vagavano per le città inglesi erano infatti contadini inurbati, cui
erano state sottratte e recintate le terre da parte della nobiltà cadetta, che
vi allevava pecore merinos. Avevano perso la casa, il cottage, erano rimasti
privi dei “mezzi di produzione”, come dice Marx, e perciò migravano in città
cercando lavoro e fonti di sostentamento. E qui trovavano il lavoro coatto o la
persecuzione: la nuova forma di detenzione della fabbrica industriale arriverà più
tardi.
Quanto somiglia la causa sociale dell’inurbamento proletario inglese alle
guerre scatenate, o segretamente fomentate dall’Occidente nel Sud del mondo,
alla miseria generata dalle sue politiche neocoloniali, ai disastri climatici
provocati dal suo consumismo forsennato, da padroni del Pianeta? Gli stati
ricchi saccheggiano le economie dei paesi poveri, devastano i loro territori e
quando i fuggiaschi si affacciano ai loro confini sono marchiati come
potenziali criminali. Nella marcia all’indietro che la storia ha intrapreso
negli ultimi anni stiamo precipitando alle origini dell’accumulazione
capitalistica…
Ebbene, credo che sia diventato pericoloso ormai per la nostra civiltà il
grado di assuefazione con cui le nostre coscienze e il nostro stesso immaginario
pubblico si sta adagiando all’orrore. Non possiamo più
aspettare reazioni da Bruxelles, né iniziative dal nostro ceto politico. Fanno
parte dell’apparato di potere che lavora, insieme ai media, per renderci tutto
tollerabile, ordinario, normale, accettabile. Ma i semplici cittadini, ridotti ormai
a puri consumatori di merci e di sogni pubblicitari, privi di voce per mancanza
di rappresentanza, devono rassegnarsi, convivere impotenti con la barbarie
quotidiana?
Io credo che noi colpevolmente continuiamo a
trascurare un’arma politica ben nota che potrebbe avere un’efficacia non comune
se utilizzata con sistematicità e su scala almeno europea.
Mi riferisco al boicottaggio delle merci. Diversi anni fa
persino Umberto Eco la raccomandava come strumento legale di lotta. Ebbene, qual è il paniere delle merci dell’import-export tra l’Ungheria e l’UE?
Dal momento che l’Unione che non espelle l’Ungheria, come sarebbe giusto, non
potremmo condurre una campagna di boicottaggio dei prodotti ungheresi mostrando
al governo di Orban che esiste un’opposizione alla sua politica criminale
contro i migranti? Ma deve trattarsi di una battaglia articolata, che deve creare una
rete nella rete, nutrita di buona informazione, che duri dei mesi, in grado di
uscire, dove possibile, fuori dalla rete, con volantinaggi esplicativi davanti
ai supermercati sui prodotti da boicottare, in grado di sostenere una campagna
di massa che arrivi sui grandi media, generando allarme tra le imprese e
l’opinione pubblica ungherese.
È quanto dovremmo fare anche nei confronti di
singole imprese, per esempio contro Benetton, che intende sottrarre le terre dei
contadini in Patagonia (A.P. Esquivel su il manifesto del 30 marzo) perché i
latifondi che già possiede non gli sono sufficienti.
Si tratta di una via potenzialmente dirompente. Il capitale ci ha ridotto a
indifesi consumatori. Facciamo dell’uso mirato dei
nostri consumi un’arma per colpire interessi potenti, trasformiamo la
pubblicità nel suo contrario, una campagna di discredito in grado di far
comprendere ai signori del capitale che possono essere danneggiati dai loro
sudditi e che c’è un limite al
loro dominio.
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