Negli ultimi mesi si è fatto un po’ di chiasso mediatico
sulla Rotta balcanica, solitamente in ombra, a proposito della cosiddetta
questione del Silos di Trieste . Si
tratta di una caratteristica disfunzione e un pasticcio locali, ricaduti
pesantemente su corpi migranti, tra Stato (prefettura e questura) e comune, in
cui si trova infilata anche Coop alleanza 3.0, il più grande gruppo cooperativo
italiano, proprietario anche del gruppo assicurativo-bancario Unipol. Questa
importante azienda commerciale e finanziaria, la cui matrice sociale è
ovviamente ricordo di un lontano passato, è proprietaria del rudere: con i suoi
molteplici mezzi, finanziari e organizzativi, tutto quello che ha fatto è stata
la delega alla questura della denuncia per occupazione abusiva di suolo
privato.
Nella questione del
Silos c’è dentro anche un pezzetto di storia. Cominciamo dalle mura (cadenti): il Silos è uno dei tanti
enormi edifici del vecchio porto austriaco, intorno a cui è nata – a partire
dal Settecento di Maria Teresa d’Austria – la città che conosciamo, principale
porto dell’impero asburgico fino al 1918, in seguito malvissuta città di
confine con il complesso mondo slavo, che ha conosciuto nei primi anni Novanta
una guerra terribile, in cui anche l’Italia ha portato il suo contributo di
violenza. Il Silos ha ospitato a suo tempo anche i condannati ai campi di
concentramento in Germania e in Polonia durante la Seconda guerra mondiale e,
dopo la fine della guerra, i profughi dall’Istria e Dalmazia.
Il Silos si compone
di tre parti uguali e distinte : la
prima è la stazione delle autocorriere con sottostante garage; la seconda è un
supermercato dismesso da anni, entrambe di proprietà comunale; la terza e più
grande, allo stato di rudere, appartiene alla cooperativa. Il rudere è da tempo
l’unico luogo in cui potevano trovare un paradossale riparo tra fango, topi e
rischio di crolli i migranti in transito, la maggioranza degli arrivi (circa
l’ottanta per cento) dalla violenza della Rotta balcanica, nel loro breve e
umbratile soggiorno in città.
2019
Fino all’estate del
2022 gli unici che si occupavano di loro, dall’autunno del 2019, erano nel
piccolo gruppo di Linea d’Ombra :
cure sanitarie, cibo, vestiario. Intorno a quest’impegno si è formata una rete
imponente che ha permesso e permette di fornire il necessario a diverse
migliaia di persone (mediamente, sedici-diciotto mila all’anno) e, inoltre –
indispensabile quanto i primi – solidarietà, socialità, anche affetto.
Queste persone, ex
lege , avrebbero dovuto essere fermate: entrati illegalmente in Italia non
volevano chiedervi asilo. Ma la
gestione concreta dell’ordine pubblico è sempre molto elastica , legata
anche a dinamiche locali, per cui venivano lasciati andar via, senza tener
conto delle loro condizioni spesso anche gravi (abbiamo dovuto chiamare l’ambulanza
diverse volte o portare al pronto soccorso: ciò che non può essere rifiutato
neanche a un illegale).
Nell’estate del 2022, il
prefetto di allora, forse per evitare possibili incidenti, pensò
di concedere ai “transitanti” la possibilità di stare al diurno gestito
dall’associazione San Martino al campo e di poter mangiare alla Caritas, senza
dover presentare documenti. Propose anche al comune di usare l’ex supermercato, in
buone condizioni abitative, per accogliere anche i migranti in transito, ottenendo
il rifiuto della maggioranza consigliare di destra .
Nell’estate del 2023, oltre ai migranti in transito, finì
tra le mura cadenti del Silos anche un numero notevole – fino a seicento – di
migranti teoricamente in accoglienza, ma di fatto in strada per la mancata
rotazione delle persone nel campo di prima accoglienza in Carso. Si trattava di
persone che avevano adempiuto agli obblighi di legge, avrebbero quindi dovuto
avere qualche straccio di diritti.
Chi è fuorilegge?
Ovviamente, un
numero così notevole cominciò a provocare una serie di problemi che
cadevano inizialmente sugli attivisti di Linea d’Ombra ogni giorno in piazza:
tensioni “etniche”, forme di microcriminalità, scontri inevitabili, direi, in
una massa di persone ammassate in un ambiente inospitale. Questi migranti
ebbero anche il coraggio civile di fare una composta manifestazione davanti
alla prefettura: circa settanta, con cartelli, sostando per alcune ore. Per
tutta risposta furono minacciati di gravi sanzioni. Chi era fuorilegge? Sappiamo
bene che governare fuori legge è pratica corrente.
Pian piano, cominciò uno sgombero: i ragazzi vennero un
po’ alla volta portati altrove, spesso in Sardegna, in una sorta di confino
nell’interno dell’isola.
Lo sgombero del 21
giugno 2024
Venerdì 21 giugno lo
sgombero si è concluso (per ora) ,
dopo quasi un anno – forse spinto anche dal vicino arrivo a Trieste del papa in
luglio -, con il trasporto di circa
150 ragazzi in provincia di Milano : in luogo isolato, in grandi stanze
affollate. La condizione è tale che qualcuno ci ha comunicato che vorrebbe
tornare indietro: al Silos, dunque, fra i topi e il fango, ma anche con la
vicina piazza accogliente, che vinceva spesso i disagi materiali. Nello stesso
Silos si era formata una dimensione di socialità, capace persino di fare feste,
anche con l’apporto, oltre che di Linea d’Ombra, di No Name Kitchen.
Nel contempo, pochi altri migranti sono stati portati nel
campo sul Carso, gestito ora dalla Caritas, non ben accolti dalla popolazione
locale.
Il Silos è stato velleitariamente chiuso con una rete di
plastica, tappando le aperture praticate nella sottostante rete metallica.
Ovviamente una chiusura molto precaria, più che altro simbolica.
Il Silos, microcosmo
del mondo
La vicenda del
Silos, divulgata sommariamente dai media, non è che un minuscolo aspetto locale
della complessa ed epocale vicenda di queste migrazioni recenti dall’Oriente e
dall’Africa, incisa su questi corpi in cammino, non di rado incontro alla
morte. Questo fenomeno
migratorio è, per ora, solo il modestissimo inizio di un fenomeno che diventerà
epocale nei prossimi decenni, coinvolgendo miliardi di persone verso la fine
del secolo. Tocca niente di meno che la storia degli ultimi duecento/trecento
anni: la violenza distruttrice del colonialismo e del post colonialismo, che
mantenne e mantiene un ferreo controllo economico su questi paesi, con guerre,
rapine territoriali e violenze di ogni genere. La violenza passata, quindi, e
la violenza presente: la violenza intrinseca al cosiddetto Occidente, che
ancora una volta oggi si svela in pieno nel genocidio di Gaza, ancora una volta
davanti all’indifferenza complice dei più. Ma questi migranti portano anche la
voce inascoltata del futuro: il biocidio, il terricidio inesorabilmente in
atto, di cui i loro paesi sono i primi a soffrire…
Ecco dunque che occuparsi di loro non può essere soltanto
intervenire in una situazione di sofferenza fra le tante: queste migrazioni sono la voce, per ora flebile
perché iniziale, della nostra condizione umana, ma non solo, della condizione
della terra . Ciò deve coinvolgere tutti noi cittadini, privilegiati,
dare una scossa al torpore che sembra caratterizzarci nell’indifferenza per la
devastazione sociale e politica che sta avanzando anche nel nostro paese, in
tutta Europa, in forme che possiamo chiamare di fascismo neoliberista. Voglio
ricordare per quel che riguarda “noi”: l’aumento capillare dell’ingiustizia e
della violenza sociali, la privatizzazione della sanità e di servizi
indispensabili, l’impoverimento della classe operaia e di altre classi
lavoratrici, l’aumento della popolazione in stato di evidente povertà; e, inoltre,
parallelamente, la modificazione della struttura dello Stato che sta portando a
privilegiare le Regioni ricche nella ridistribuzione della ricchezza, che vuol
arrivare al prevalere del potere del governo su ogni altra istanza statale,
parlamento, magistratura… Contro questo processo storico che sembra inesorabile
noi – noi qui a Trieste e da Trieste fin là dove riusciamo ad arrivare con i
nostri mezzi di comunicazione e i nostri viaggi – abbiamo per ora un unico
modo: trasformare in coesione sociale, in comunità attiva, la rete di donatori,
di coloro che direttamente o indirettamente intervengono in piazza. È questo il
senso del nostro impegno, mentre, per ora, il Silos di Trieste si ritrova
soltanto con la sua vasta popolazione di topi.
L’assemblea in piazza
e quell’improvvisato e atipico corteo
Nel pomeriggio di
sabato 22 sulla questione Silos si è svolta un’assemblea in piazza del Mondo (piazza della Libertà, denominata piazza del Mondo
da Linea d’ombra che da anni ogni pomeriggio qui incontra – in modo
completamente autogestito – i migranti in arrivo per supportarli, ndr),
organizzata da molte associazioni su spinta dell’ICS, il cui presidente ha
svolto l’intervento introduttivo, seguito da molti altri, fra cui (oltre a
quello di Lorena e di chi scrive), anche di una rappresentante del Pd. Questo
intervento ha suscitato mormorii e qualche grido di disapprovazione nel ricordo
di Marco Minniti, ministro degli interni nel governo Gentiloni, autore del noto
decreto che, imponendo gravi limiti all’accoglienza, iniziò la serie di
provvedimenti legislativi contro i migranti. In effetti, l’assemblea, in un luogo speciale come la piazza
del Mondo, stava diventando una banale monotona rassegna di opinioni .
Ci ha pensato Lorena improvvisamente a portarla nel giusto cammino, con la
proposta di andare in piazza Unità, davanti alla prefettura. È accaduto così qualcosa di imprevisto ,
nato in quell’attimo, che ha rilanciato l’incontro di corpi vivi, qualità
radicalmente propria della piazza. Si
è avviata di colpo una manifestazione del tutto peculiare perché
tutti sapevamo che non c’era nulla da chiedere, nulla da contestare: richieste
e contestazioni sarebbero state velleitarie, cioè narcisistiche, per poter dire
che avevamo fatto qualcosa. Invece, la manifestazione non è stata velleitaria.
È stata qualcosa d’altro: manifestazione della presenza di corpi vivi. Sono apparsi improvvisamente i corpi in una
società che fa del corpo uno strumento del mercato , corpi con il loro
movimento vitale, corpi che volevano essere e gridare: siamo qui! Siamo vivi in
un mondo nel quale i corpi sono negati, violentati, uccisi. Non avevamo altro
da fare che manifestare i nostri corpi, come fanno i migranti, corpi che
desiderano vivere.
L’improvviso
movimento dei corpi ha provocato un corteo non minaccioso ma allo stesso tempo
indifferente rispetto “alle forze dell’ordine” , un corteo non urlato, non aggressivo, una
manifestazione prima di tutto di alterità che
ha sgomentato i poliziotti , i cui dirigenti hanno avuto una sorta di
panico, non sapendo che fare. Si sono limitati a seguirci, a fiancheggiarci.
Noi non abbiamo invaso le strade, non abbiamo bloccato i traffico, restando sui
marciapiedi, evitando così lo scontro che ci avrebbe portato su un altro
terreno, quello solito.
Torna in mente un brano di Colette
Guillaumin , sociologa femminista e antirazzista francese, che esprime
assai bene lo “spirito” del Sessantotto parigino, riapparso per qualche ora a
Trieste, in un contesto e in un’epoca tanto diversi:
“Nel maggio del
1968, invece, l’indifferenza del movimento verso chi era al governo e verso chi
era al potere, verso le istituzioni e verso i partiti politici, la totale
assenza di odio osservata a più riprese, rivelavano una forma di ignoranza e di
sprezzo nei confronti di ciò che è considerato essere il riferimento della
nostra società. […] Non solo la rivolta passava davanti all’autorità senza
considerarla, senza vederla, nel senso letterale del termine, dal momento che
le manifestazioni parigine passavano accanto ai palazzi del governo e delle
assemblee deliberative senza prenderli di mira, ma il linguaggio stesso usato
dall’autorità non era compreso, né suscitava il benché minimo interesse in seno
al movimento…”.
Quell’imprevista manifestazione ha lanciato un messaggio.
Più che l’opposizione contro il governo e il rifiuto della diffusa indifferenza
sociale, manifestava un’alterità, la consapevolezza che noi siamo vivi e
vogliamo vivere in un mondo che vuole o subisce la morte; che il senso
dell’incontro, il senso, quotidianamente riaffermato della piazza, è la voglia
di vivere contro la passività del morire, una voglia di vivere che si traduce
nella costruzione di una nuova cultura politica, una
politica che parte dalla base . Un messaggio, un impegno anche verso
noi stessi.
da qui
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