Si consolida l’alleanza tra le giunte militari al potere in Mali, Niger e Burkina Faso, che decidono di ‘federarsi’ creando un blocco alternativo alla Comunità economica dei Paesi dell’Africa sub-sahariana (Cedeao o Ecowas), organismo regionale accusato di essere uno strumento delle ex potenze coloniali occidentali, in particolare della Francia. Basta ‘Franco CFA’, cercasi nome alla nuova moneta. Tensioni tra Burkina Faso e Costa d’Avorio per presunte basi segrete francesi.
L’Alleanza del Sahel diventa Confederazione
Dopo l’avvio
di una stretta collaborazione militare che ha portato all’espulsione della
maggior parte delle truppe occidentali presenti nel Sahel e all’avvio di una
strategia comune contro l’insorgenza jihadista, i tre paesi ora accelerano
anche sulla cooperazione sul fronte economico, sanitario, dell’istruzione e
delle infrastrutture, sottolinea ‘Pagine Esteri’. «Nei giorni scorsi, i tre
paesi hanno annunciato la creazione della ’Confederazione degli Stati del
Sahel’, evoluzione della precedente ‘Alleanza del Sahel’ formalizzata a
settembre», precisa Marco Santopadre.
Mali, Niger e Burkina Faso a tutta economia
Riuniti a
Niamey, capitale del Niger, i capi dei tre governi nati da diversi e successivi
golpe anti coloniali, hanno formalizzato la creazione di una ‘Banca di
investimento comune’ e di un ‘Fondo di stabilizzazione’, già annunciati a
novembre. Assimi Goita, Ibrahim Traoré (Burkina Faso) e Abdourahamane Tiani
(Niger) hanno poi deciso di creare una «Forza Unificata del Sahel», per
rafforzare la lotta contro i ribelli islamisti. A guidare la neonata
Confederazione sarà il ‘presidente ‘di transizione’ del Mali, colonnello Assimi
Goita, nominato presidente di turno dell’organizzazione con un mandato di un
anno.
Verso l’addio al ‘Franco CFA’
I tre paesi
continuano lavorare sugli aspetti tecnici per arrivare ad abbandonare il
‘Franco CFA’ (nel 1945, CFA era l’acronimo di ‘Colonie Francesi d’Africa’;
successivamente, divenne acronimo di ‘Comunità Finanziaria Africana’), con
l’intenzione di adottare una moneta comune ai tre paesi. Infine, i capi delle
tre giunte militari hanno incaricato i ministri competenti di elaborare
urgentemente tutte le procedure tecnico diplomatiche per l’uscita dei tre Paesi
dei Sahel dalla Cedeao (Comunità economica degli Stati dell’Africa
Occidentale), l’accordo economico stipulato da dodici Stati dell’Africa
occidentale nel 1975, e tuttora in vigore, ma destinato a scadere il prossimo
anno.
Cancellare anche il nome del ‘Franco’
La creazione
della “Confederazione del Sahel” ha ovviamente allarmato l’organismo regionale,
che ha tenuto un vertice straordinario ad Abuja (Nigeria) il 7 luglio. Con la
fuoriuscita di Mali, Niger e Burkina Faso, infatti, la Cedeao perderebbe più
del 12% del Pil e il 16% della popolazione, oltre che tre paesi ricchi di
risorse minerarie e strategici sul piano geopolitico. Mentre i cinque Paesi che
restano della ‘Cedeao’ hanno progettato di adottare una moneta comune a partire
dal 2025; la moneta dovrebbe chiamarsi Eco. L’unione monetaria verrà detta
‘Zona monetaria dell’Africa occidentale’ (ZMAO). E anche questa nascita,
prevista a partire dal 2025.
Rischi e minacce
In caso di
ritiro dei tre della ‘Confederazione del Sahel’, ha detto il presidente della
Cedeao, l’organismo regionale in vita ormai da mezzo secolo, Omar tre paesi del
Sahel potrebbero perdere finanziamenti per più di 500 milioni di dollari. Per
Touray, rischio di disintegrazione della Cedeao che interromperebbe la libertà
di movimento per i suoi 400 milioni di abitanti e peggiorerebbe la sua
sicurezza. Il rischio di una disintegrazione paventato anche dal presidente del
Senegal Bassirou Faye, che sostiene la necessità di liberare l’organismo «dagli
stereotipi che la dipingono come un’organizzazione ‘soggetta alle influenze di
poteri esterni’». Sentori di colonialismo, con Faye che ha anche criticato le
sanzioni imposte dalla Cedeao ai tre paesi ‘ribelli’ dopo i rispettivi colpi di
stato.
Basi segrete francesi in Costa d’Avorio
Intanto la
giunta militare al potere in Burkina Faso ha alzato i toni nei confronti di
Costa d’Avorio e Benin, accusati di essere strumenti dell’ingerenza di Parigi
nella regione. «Non abbiamo nulla contro il popolo ivoriano. Ma abbiamo qualcosa
contro chi governa la Costa d’Avorio. Esiste un centro operativo ad Abidjan per
destabilizzare il nostro Paese» ha dichiarato il leader della giunta militare,
che accusa il Benin di ospitare due installazioni militari francesi segrete, a
suo dire utilizzate per addestrare terroristi contro il Burkina Faso. La Costa
d’Avorio è ancora saldamente nell’orbita politica, economica e militare di
Parigi. Il Benin ha un conflitto aperto anche con il Niger dopo che questo ha
bloccato il trasporto di petrolio da un oleodotto cinese verso il porto di
Cotonou.
Burkina e risorse minerarie
Traoré, il
capo della giunta del Burkina ha annunciato di voler rimanere al potere nei
prossimi cinque anni, partendo da subito con la nazionalizzazione delle risorse
minerarie – soprattutto di oro – e il blocco dei permessi di estrazione finora
concessi a multinazionali straniere. A novembre la giunta militare burkinabé ha
avviato la costruzione di una raffineria d’oro, mentre a gennaio ha inaugurato
il primo impianto per la lavorazione dei residui minerari (principalmente
carbone fino, scorie, concentrati acidi e ceneri), per avere maggior controllo
sul loro trattamento e smettere di esportarli. La fabbrica è di proprietà di
una società privata locale, la Golden Hand, di cui lo stato controlla il 40%.
Le ricchezze sono mie e le sfrutto io, e gli amici
D’ora in poi gli unici attori stranieri che saranno autorizzati a
sfruttare il settore minerario del paese, ha detto Traoré, saranno «i sinceri
partner che accettano di sostenerci nella lotta contro l’insorgenza jihadista,
spesso legata ad Al Qaeda o a Daesh». Un implicito richiamo alle relazioni
commerciali avviate con Mosca in cambio di un sostegno militare che però finora
non ha sortito gli effetti sperati.
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