giovedì 3 aprile 2025

Racconto di un muro - Nasser Abu Srour

(traduzione di Elisabetta Bartuli)

il romanzo è scritto da un uomo condannato all'ergastolo in una prigione d'Israele (i carcerieri sono quelli del colonialismo, dei territori occupati, dell'apartheid, della pulizia etnica, del genocidio) e si divide in due parti.

prima il prigioniero passa il suo tempo sperando a una libertà impossibile, pensando alla famiglia, ai compagni palestinesi, e si rifugia, per non illudersi troppo, nel suo rapporto con i muri della prigione, l'unica realtà vera.

poi arriva l'impossibile amore con Nanna, lui s'illude, ma sempre con i piedi per terra, e poi l'impossibilità di quell'amore vince, e il nostro narratore all'ergastolo ritorna a dialogare con il suo fedele muro.

un libro senza troppa speranza, ma c'è, merita la lettura di sicuro, un racconto dalla parte dei vinti.

 

 

scrive Abu Srour all’inizio rivolgendosi ai lettori, “questa non è la mia storia, è il racconto di un muro che mi ha scelto come testimone”. È sempre stato il muro, infatti, “a consegnarmi ognuno degli aggettivi con cui mi definisco”. Nel campo profughi, in prigione, nel cuore di una donna - Nanna, un’avvocata per i diritti umani di cui si innamora durante la detenzione, protagonista della seconda parte del libro - e infine di nuovo in prigione. Perché il muro è punto di partenza e di arrivo. È l’unica certezza, l’elemento in cui si congiunge il cerchio. Lo scrittore racconta della sua adolescenza, quando già sente come sia asfittica una linea temporale che faccia cominciare tutto dall’espulsione della Nakba, “senza niente prima e niente dopo” e percepisce di appartenere a una generazione che ha dovuto comporre da sé il proprio mito: dopo 20 anni si è scrollata di dosso “il pesante e opprimente lascito di disfatte non sue, ma nel 1987 ha annunciato la sua rivoluzione scrivendone le prime pagine con le pietre”…

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Non è una storia narrata da un uomo incarcerato da trent’anni, ma è la storia del muro che l’ha accolto e con lui ha accolto i suoi ricordi, i suoi affetti, ma anche l’amore per Nanna, il suo avvocato. Il racconto di un muro è un’appassionata autobiografia, anomale perché assume talvolta i contorni di una lezione di storia e/o di una speculazione metafisica. Ma è anche un racconto d’amore. Nasser Abu Srour è entrato giovanissimo in carcere, semplicemente perché palestinese in un conflitto con lo stato israeliano: ha trascorso in carcere trent’anni durante i quali ha potuto recuperare il senso di quella prigionia attraverso le storie di altri profughi palestinesi, attraverso la narrazione dei vari accordi non rispettati. Nasser Abu Srour è catturato, interrogato, malmenato, torturato, costretto a confessare, quindi incolpato e condannato all’ergastolo. La prima parte del suo racconto è un viaggio nelle prigioni israeliani, segnato dalla sua necessità di sopravvivere. Nella seconda parte racconta la storia dell’amore impossibile con Nanna, il suo avvocato, un altro modo di sopravvivere e di vivere. Il romanzo di Nasser Abu Srour, detenuto in una prigione israeliana dal 1993 e condannato all’ergastolo, compone una vera ode alla libertà, che non solo scava nella frattura profonda fra due popoli, ma recupera e mette a sistema poeti preislamici con filosofi e pensatori occidentali, da Kierkegaard, a Karl Marx, a Sigmund Freud. Siamo di fronte ad una scrittura totalizzante, che assorbe e annichilisce. Una lettura impegnativa, incentrata sul significato di libertà e di pensiero.

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Il racconto di un muro, di Nasser Abu Srour, non è un libro facile: forse il modo migliore per avvicinarcisi è semplicemente mettersi in ascolto, con rispetto, cercando di spogliare noi stessi di qualsiasi idea preventiva ci possa essere venuta in mente. Edito da Feltrinelli e tradotto da Elisabetta Bartuli, è una lettura sì scomoda, ma assolutamente necessaria, non solo in questo periodo storico.

Il racconto di un muro è la storia della vita del suo autore, palestinese, detenuto in una (anzi, in più d’una) prigione israeliana dal 1993 e condannato all’ergastolo: il muro di cui (e con cui) parla altro non è che il muro che divide Nasser Abu Srour dal mondo ma che, in fondo, contribuisce a crearne di nuovi. È l’unico riferimento dell’autore nella prigionia, l’unica cosa immutabile, che non cambia mai, contro cui scagliarsi nei momenti di rabbia e a cui rivolgersi nei momenti di sconforto.

Il racconto di un muro è una lezione di storia degli ultimi trent’anni di guerra, lotta, occupazione, è una memoria carceraria, un’indagine metafisica che chiama in causa Søren Kierkegaard, Rabin e Arafat, ma anche la poesia di Darwish e non solo. Ed è persino, forse più di tutto il resto, una storia d’amore…

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