Che la fede nella scienza sia oggi diventata tanto o addirittura più popolare di quella nella religione, è un fatto abbastanza evidente. Purtroppo però la scienza sta oggi assumendo due delle peggiori tendenze che le religioni hanno spesso manifestato, quelle che in epoca moderna hanno causato la loro perdita di credibilità: imporre dogmi e diventare centri di potere.
L’ultimo
episodio che conferma lo sviluppo di queste due tendenze verso una vera e
propria dittatura scientifica, con tutto ciò che questo comporta in
tema di libertà di opinione e di scelta, è dimostrato dalla levata di scudi
contro la nomina da parte governativa di due scienziati reputati no-vax nell’ambito
del Nitag (National immunization technical advisory group),
il “Gruppo consultivo nazionale sulle vaccinazioni”, istituito nel 2021 allo
scopo di «supportare, dietro specifica richiesta e su problematiche specifiche,
il Ministero della Salute nella formulazione di raccomandazioni evidence-based1 sulle questioni relative alle
vaccinazioni e alle politiche vaccinali, raccogliendo, analizzando e valutando
prove scientifiche».
A chiedere la revoca dell’incarico
al prof. Paolo Bellavite ed al pediatra dott. Eugenio
Serravalle, sono stati alcuni organismi associativi, espressione politica
della categoria medica e sanitaria: per “espressione politica” intendiamo, a
scanso di equivoci, il fatto che questi organismi dichiarano di tutelare gli
interessi di tali categorie, al tempo stesso definendo le regole cui i
professionisti stessi devono a loro avviso attenersi.
La focalizzazione politica di
questi organismi è ben chiara ad esempio nel caso del Patto trasversale
per la Scienza, che, fin dal suo pubblico appello del giugno 2019, chiede
che «tutte le forze politiche italiane si impegnino a sostenere la Scienza come
valore universale di progresso dell’umanità», e che «nessuna forza politica
italiana si presti a sostenere o tollerare in alcun modo forme di pseudoscienza
e/o di pseudomedicina che mettono a repentaglio la salute pubblica».
Di conseguenza, «tutte le forze
politiche italiane si impegnano a governare e legiferare in modo tale da
fermare l’operato di quegli pseudoscienziati», «ad implementare programmi
capillari di informazione sulla Scienza», assicurando «alla Scienza adeguati
finanziamenti pubblici».
Appello come si vede totalitario, al
quale si dà quindi oggi attuazione invocando l’allontanamento dei due esperti,
cui addirittura si nega il titolo di scienziati, osservando che essi non
sarebbero sufficientemente titolati per questo incarico, in particolare per il
fatto che hanno assunto posizioni critiche verso la politica delle vaccinazioni
obbligatorie.
Rispetto al primo punto, è
sufficiente leggersi online i curricula del prof. Bellavite e del dott.
Serravalle per verificare che entrambi vantano percorsi professionali e
pubblicazioni che nulla hanno da invidiare rispetto agli altri componenti del
Nitag. Quanto al secondo punto, quelle posizioni critiche, stigmatizzate da chi
chiede oggi il loro allontanamento dal Nitag, sono state espresse attraverso
una serie nutrita di studi che Bellavite e Serravalle hanno pubblicato.
Eccoci dunque al punto fondamentale,
cioè al rischio evidente che la scienza, imponendo posizioni dogmatiche,
tradotte in legge dal potere politico, violi un presupposto fondamentale della
scienza moderna: cioè che la ricerca scientifica e la formulazione di assunti e
presupposti scientifici debbano essere assolutamente liberi.
Non lo diciamo noi. Senza risalire
qui al provando e riprovando di Galileo Galilei,
lo dicono un coro di documenti, oggi forse dimenticati, pubblicati
da organizzazioni internazionali da decenni. Citiamo qui per brevità un solo
documento, che correttamente individua tre elementi-chiave per
assicurare la academic freedom, cioè il diritto alla libertà di
ricerca scientifica in qualsiasi campo del sapere:
«(a) Diritto individuale di ampia
portata in materia di libertà di espressione per i membri della comunità
accademica (sia docenti che studenti), principalmente in qualità di liberi
ricercatori, compresa la libertà di studiare, la libertà di insegnare, la
libertà di ricerca e di informazione, la libertà di espressione e di
pubblicazione (compreso il “diritto di sbagliare”) e il diritto di svolgere
attività professionali al di fuori dell’impiego accademico;
(b) Autonomia collettiva o
istituzionale per l’accademia in generale, e/o per le sue sottosezioni
(facoltà, unità di ricerca, ecc.). Tale autonomia implica che i dipartimenti,
le facoltà e le università nel loro complesso hanno il diritto (e l’obbligo) di
preservare e promuovere i principi della libertà accademica nella conduzione
dei loro affari interni ed esterni;
(c) L’obbligo per le autorità
pubbliche di rispettare e proteggere la libertà accademica e di adottare misure
volte a garantire l’effettivo godimento di tale diritto, nonché a proteggerlo e
promuoverlo».
Questo documento, intitolato “La
libertà accademica come diritto fondamentale”, pubblicato nel 2011 dalla League
of European Research Universities (LERU), contiene fra l’altro
puntuali riferimenti ad una serie di altre pronunce formali di organismi
internazionali, come l’Unesco e l’Unione Europea, e di costituzioni politiche,
tra cui quella italiana (art. 33. «L’arte e la scienza sono libere e libero ne
è l’insegnamento»): tutte affermano la libertà di ricerca scientifica come
un diritto fondamentale.
Non si può
quindi non sottoscrivere parola per parola quanto il dott. Serravalle ha molto
semplicemente osservato in una sua replica alla levata di scudi di cui stiamo parlando:
«Anti scientifici? Al contrario: la
scienza non è un dogma. La scienza è un metodo che si basa sulla verifica con
metodo scientifico di teorie anche contrapposte: alla fine ‘vince’ chi porta i
dati e le prove più valide e forti. Personalmente ho una ricca bibliografia ed
esperienza clinica a sostegno del mio approccio prudente e sono desideroso di
confrontarmi con i colleghi proprio sulla base dei dati scientifici più validi.
Questo è uno dei fondamenti del metodo scientifico, che si basa sul dubbio
costruttivo e sul confronto basato su prove, non su dogmi e censure. Di fronte
a prove migliori di quelle che posso presentare, ho preso l’impegno a riconoscerlo
pubblicamente. Auspico analoga disponibilità da parte degli interlocutori».
Questa è, a nostro avviso, la giusta
impostazione, almeno per chi crede nella libertà di ricerca come fondamento del
progresso scientifico in una società libera.
Altrimenti, può essere fondato il
sospetto che, nell’imposizione di politiche totalitarie alle
collettività, la scienza si sia posta al servizio di giganteschi ed opachi
interessi economici, come quelli che, prima durante e dopo le pandemie, hanno
fatto moltiplicare i fatturati di un ristretto numero di multinazionali, quelle
appunto che dominano l’enorme e assai redditizio mercato mondiale della salute.
- it.: «basate su prove».
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