Nelle numerose occasioni di discussione pubblica che hanno accompagnato la presentazione dei miei due libri recenti (Disertate, del 2023 e Pensare dopo Gaza del 2025), qualcuno mi ha rivolto una domanda: che rapporto c’è tra resistenza e diserzione? È una questione che ho aggirato in varie maniere, cui non ho mai veramente risposto. Ma ero del tutto consapevole del fatto che prima o poi dovevo giungere al cuore della questione. Ora ci siamo: durante il genocidio ho dovuto chiedermi mille volte: come si può suggerire ai palestinesi di disertare, visto che l’aggressione israeliana consiste in un accerchiamento che dura da decenni?
I
palestinesi resistono, non accettano di disertare, e comunque non
possono. Si può consigliare la diserzione a una persona, a una
famiglia, a un popolo che da decenni è rinchiuso in un campo di concentramento? Avrei
potuto rivolgere l’invito a disertare a una persona rinchiusa dietro i cancelli
di Auschwitz? Sappiamo che Gaza è una riproduzione di Auschwitz in cui le
tecniche dello sterminio e della tortura sono state dosate in un tempo più
lungo. Nessuno poteva né può entrare nella striscia di Gaza, nessuno può né poteva
uscirne. Che significa allora in quel caso disertare? Niente.
D’altra
parte da molti decenni i palestinesi hanno fatto della resistenza la speranza
di riscatto, la condizione per mantenere dignità e per riaffermare la propria
esistenza come popolo.
Quando
pubblicai quel libro non intendevo la parola Disertate come
una consegna, come un suggerimento politico. La intendevo piuttosto come
riconoscimento di un comportamento che molti praticano in modo individuale o
collettivo. Intendevo riconoscere che, venuta meno ogni possibilità di
alternativa di lungo periodo, la resistenza è perdente, e se si può è opportuno
o disertare.
Ma in quel
libro ho dimenticato di dire che disertare è un privilegio. Chi ha la
possibilità di disertare si trova in una condizione di privilegio rispetto a
chi non può fare altro che resistere. O soccombere.
Non intendo
affatto contrapporre la diserzione alla resistenza, perché nella realtà di
milioni di donne e di uomini questi due comportamenti, pur essendo molto
diversi, non sono i due corni di un’alternativa, non sono le due possibilità
tra le quali scegliere. Chi può scegliere di disertare lo faccia.
Ma chi non può allontanarsi dal luogo e dalla condizione di violenza in cui è
intrappolato, cosa può fare se non resistere, nell’attesa che il mostro si
disintegri?
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