articoli e video di Alessandro Robecchi, Antonio Minaldi, Ugo Giannangeli, Nora Hoppe, Michele Giorgio, Andrea Zhok, Alessandro Di Battista, Piergiorgio Odifreddi, Ariel Umpièrrez, Liat Kozma, Wiessam Abu Ahmad, con un disegno di Mr Fish
Gaza. la dura rappresaglia di Rafah come la “zona di interesse” di Israele – Alessandro Robecchi
Il quadrante 2371 della striscia di Gaza si colloca, nelle cartine dell’esercito israeliano, appena a ovest di Rafah, una città con oltre un milione di profughi, famiglie, donne, bambini, civili. In un volantino diffuso tra la popolazione, l’esercito di Israele ha indicato il quadrante 2371 come “safe zone”, cioè zona sicura, o “zona umanitaria”. Insomma, un posto dove chi non ha più nulla – scacciato dalle sue case al nord di Gaza rase al suolo, spostato verso il centro della Striscia, poi spostato a sud quando è stato raso al suolo il centro – può piantare una tenda. Poi, la sera del 26 maggio 2024, la “zona sicura” è stata bombardata da aerei israeliani con proiettili incendiari, facendo della “zona sicura” un rogo spaventoso. Il conto dei morti, 45-50 vittime, è un numero stupido: la quantità di persone che avranno la loro vita cambiata per sempre dalla notte del 26 maggio non è calcolabile, tra feriti, ustionati, bambini rimasti orfani, che hanno perso madri, padri, fratelli.
Conosco i balletti della propaganda, e quindi non mi dilungo: chi ha visto qualche immagine – sui social, più che altro, perché le televisioni non gradiscono, minimizzano – sa di cosa stiamo parlando. Stiamo parlando di Marzabotto, di Sant’Anna di Stazzema. Di una rappresaglia sulla popolazione civile innocente.
La guerra è brutta, la guerra è una merda, è tutto quello che ci fa schifo, chiunque la faccia. Ma quella di Gaza non è una guerra, o per meglio dire non è solo una guerra, ma una deliberata distruzione di un territorio (scuole, moschee, case, ospedali, tendopoli, campi profughi) accompagnato dallo sterminio della popolazione civile.
So che i sostenitori di Israele si offendono molto se qualcuno paragona l’attuale operazione israeliana alle gesta di quelle SS che compirono l’Olocausto, una macchia indelebile, incancellabile, sulla storia dell’umanità. Eppure, con le immagini e le notizie che ci vengono da Gaza, il paragone non sembra così assurdo. L’immagine del soldato israeliano che si fotografa mentre incendia la biblioteca di un’università ha fatto il giro del mondo. Qualche anima bella ha provato a gridare al fake, ma invece no: il soldato si chiama Tair Glisko, 424simo battaglione, Brigata Givati, ha pubblicato la foto sui suoi social. Ne La zona di interesse, il bellissimo film del regista (ebreo) Jonathan Glazer (ha vinto due Oscar), si racconta la storia della famiglia Hoss, il capofamiglia Rudolf, comandante del campo di sterminio di Aushwitz, e la moglie che cura il suo bellissimo giardino e vive una vita agiata, felice della sua sistemazione. Accanto al giardino, l’inferno in terra del campo, che non si vede mai: si sentono i suoni, rumori, raffiche, lamenti, sterminio scientifico e pianificato. Quel che importa alla famiglia Hoss è il bel giardino, la loro “zona di interesse”. Una delle scene più agghiaccianti è quando la signora Hoss e le sue amiche si spartiscono i vestiti delle deportate ebree, cappotti, pellicce, biancheria. Da sei mesi, i social sono pieni di immagini di soldati israeliani che penetrano nelle case sventrate della popolazione palestinese uccisa o deportata e si fotografano ridendo con la biancheria delle donne palestinesi, o i giocattoli dei loro bambini, scherzando sul bottino di guerra, disumanizzando un intero popolo. Bisogna guardarle, quelle fotografie, guardarle bene. Si capirà che ciò che oggi fa Israele a Gaza non è diverso da quello che faceva la famiglia Hoss, nel bel giardino accanto ad Aushwitz.
Genocidio e sostituzione etnica in Palestina – Antonio Minaldi
Si usa spesso la parola genocidio per indicare quanto sta attualmente avvenendo in Palestina per mano israeliana, utilizzando, (per ironia della sorte e della storia), un termine coniato nel 1944 da un avvocato ebreo polacco (Raphael Lemkin) per descrivere le politiche di sistematico sterminio degli ebrei perpetrate dai nazisti.
Si può concordare con tale scelta, ma io credo che ancora non basti. Per descrivere quanto sta succedendo mi pare plausibile che al termine “genocidio” si aggiunga l’espressione “sostituzione etnica”, ad indicare che non si tratta soltanto del tentativo di cancellare una minoranza, come fu nel caso dell’olocausto nazista, ma della volontà di sostituire un popolo o una etnia, che storicamente abita e vive in un territorio, con una di più recente immigrazione.
Capisco come possa apparire strano l’uso di una espressione che gode di grande discredito tra i più seri studiosi ed analisti, essendo associata ad una teoria complottista tipica dei suprematisti bianchi di casa nostra, che con sostituzione etnica, o “grande sostituzione”, pretendono di raccontarci come “… l’immigrazione di massa in Europa non è frutto di un moto spontaneo, ma risponde ad un deliberato piano di sostituzione delle popolazioni europee bianche e di fede cristiana…” (cit. Treccani).
Eppure questo modo di dire (pensiamo anche qui con grande ironia della sorte e della storia) ci pare perfetto per indicare quello che noi occidentali abbiamo fatto (o abbiamo tentato di fare) in cinque secoli di storia del colonialismo in giro per il mondo, di fatto prendendo possesso di terre non nostre e costringendo le popolazioni locali, definite, in modo sprezzante come “nativi”, all’estinzione o più spesso distruggendone l’identità, in termini di storia e di cultura, per poterli schiavizzare, e poi rinchiudere in appositi spazi, comunemente definiti come “riserve”.
Un processo che è stato portato avanti a livello globale e che è spesso arrivato alle sue estreme conseguenze divenendo ormai irreversibile come nelle Americhe ed in Oceania. E se i popoli dell’Asia e dell’Africa si sono salvati dalla “sostituzione etnica”, non è stato per nostra benevolenza, ma per situazioni particolari. In Asia per via delle grandi culture millenarie che preesistevano all’arrivo dello homo occidentalis. In Africa per tante ragioni, tra le quali non ultima (almeno a mio avviso), lo straordinario incremento demografico che ha portato la popolazione a moltiplicarsi di dieci volte in poco più di un secolo (da 120 milioni a inizio del secolo passato agli attuali 1,2 miliardi), come in una sorta di spontanea reazione al tentativo di cancellazione della loro esistenza.
Se interpretiamo in questi termini il rapporto tra Israele e Palestina, capiremo ancora meglio che le attuali vicende non si originano con i fatti del 7 ottobre, ma hanno invece radici profonde nella storia dello Stato ebraico.
Il 1948 è forse la data simbolo che segna l’inizio delle attuali politiche di sostituzione etnica, quando, a seguito della guerra arabo-israeliana, si ebbe l’espulsione, senza possibilità di ritorno dopo il conflitto, dei Palestinesi dalle proprie terre per opera dell’esercito sionista. Un episodio che viene ricordato come nakba, che in arabo significa letteralmente “disastro”, “catastrofe” o “cataclisma”.
Da allora la caccia al palestinese da sradicare dalle sue terre non si è più arrestata, pur assumendo nel tempo forme diverse che possiamo tentare di classificare e riassumere come pratiche di segregazione, deprivazione culturale, genocidio e di recente anche ipotesi di deportazione verso terre altre e lontane.
Il fatto stesso che l’annientamento del palestinese possa essere attuato con mezzi diversi, più o meno violenti, o più o meno subdoli, determina anche l’esistenza di un pluralismo di posizioni politiche all’interno dello Stato ebraico, come può essere dimostrato dalla forte opposizione recentemente cresciuta nei confronti di Netanyahu, del suo governo e a volte anche dei suoi metodi violenti e sbrigativi.
Personalmente, tuttavia, non sono ottimista sulle possibilità di una sostanziale inversione di tendenza nelle politiche di Israele. Anche quando si esprime su posizioni più moderate, tutta la società israeliana è fortemente impregnata dalla idea del diritto di conquista e difesa della “terra promessa”. Ne fa fede il comune sentire. Ne fanno fede i programmi scolastici che di questo mito sono impregnati fin dalle elementari. E d’altra parte non è un caso che lo spirito aggressivo dei coloni è quello che sempre meglio esprime la società israeliana. E neppure è un caso che chi non è allineato, e può permetterselo, preferisce lasciare il paese.
Vi è, in conclusione, un solo elemento di ottimismo possibile, e consiste nel fatto che il mondo, come ha detto qualcuno, è un villaggio globale e quanto succede in Palestina può essere visto e conosciuto in ogni angolo del globo.
Certo non saranno gli Stati, e i governi che li rappresentano, che potranno cambiare l’ordine delle cose, visto che le scelte di geopolitica, per loro stessa natura, sono determinate sempre da interessi parziali ed egoistici e mai da questioni di valore etico. Eppure riteniamo possibile che le immagini di sofferenza, morte e distruzione che ci giungono da Gaza possano scuotere le coscienze dei popoli, come per esempio pare che stia già succedendo nelle tante università americane occupate, in modo da fare maturare nell’opinione pubblica mondiale l’idea che Israele stia portando avanti un progetto, che abbiamo definito, di sostituzione etnica e quindi di annientamento di massa del popolo palestinese.
Solo lo sdegno generalizzato e senza appello, e la mobilitazione di massa a livello globale, possono fermare da subito le mani sporche di sangue dell’assassino. Domani sarà troppo tardi, perché non è vero che la storia è sempre riparatrice. Le tardive considerazioni sulla distruzione, a volte totale, dei popoli vittime del colonialismo occidentale servono a rasserenare le nostre coscienze e a nient’altro.
La Palestina e il popolo palestinese devono continuare a vivere. No al genocidio. No alla sostituzione etnica.
L’inferno sulla Terra… e il tempo dei mostri: Può nascere un Nuovo Mondo? – Nora Hoppe
“La metafora della Palestina è più forte della Palestina della realtà.” – Mahmoud Darwish
“Il mistero dell’esistenza umana non sta solo nel rimanere in vita, ma nel trovare qualcosa per cui vivere.” – Fëdor Dostoevskij
Mentre scrivo, una parte di Rafah viene inghiottita da un incendio infernale… Se Hieronymous Bosch fosse vivo e al lavoro oggi, come ritrarrebbe l'”Inferno” alla luce di quanto sta accadendo a Gaza? E se lo facesse, il suo dipinto renderebbe giustizia a questa realtà?
Rafah era l’ultima area della Striscia di Gaza che non era ancora stata distrutta dall’entità sionista. Molti Paesi si sono appellati all’entità affinché non attaccasse Rafah, senza alcun risultato. Perché l’entità non dà retta a nessuno e a niente, non rispetta nessuno e niente ed è al di sopra di tutti e di tutto. È una cosa a sé. Un’aberrazione.
Quello che era iniziato come un avamposto coloniale occidentale proliferante per calcolo, si è metastatizzato in una macchina per uccidere… che ora sta persino accelerando la propria fine (anche se non abbastanza velocemente). Come ha detto Norman Finkelstein in questa straordinaria intervista: “‘Israele’ ha raggiunto un punto delirante in cui è in gioco la sopravvivenza non solo delle regioni, ma del pianeta”.
La domanda grande e NUDA che passerà nei libri di storia (se l’umanità sopravviverà ai piani dell’entità sionista) è: Perché il resto del mondo non è stato in grado di fermare il genocidio?
Si può già escludere l'”Occidente” (il mondo anglofono e l’Europa) da questa domanda, in quanto è ed è stato il motore di questa mostruosità; questo loro avamposto di coloni incarna l’essenza stessa del mondo occidentale contemporaneo – la sua morale, i suoi principi, i suoi obiettivi… Significa l’apice di 500 anni di avidità, ipocrisia, arroganza, sfruttamento, saccheggio, razzismo, colonialismo, genocidio.
E il resto del mondo?
Gli stessi palestinesi lottano per la loro stessa vita fin dalla creazione dello “Stato di Israele”; nonostante le innumerevoli morti e le indicibili sofferenze, il loro spirito continua a resistere. Lo Yemen è ora profondamente impegnato in questa battaglia e la vede come una lotta comune. L’intero Asse della Resistenza in Asia occidentale sta facendo il possibile per contrastare i crimini sionisti. La rappresaglia iraniana ha aumentato il morale dei palestinesi e dell’Asse della Resistenza e ha cambiato il paradigma in Asia occidentale. Il Sudafrica ha cercato di fare il possibile con il suo caso presso la Corte internazionale di giustizia e continua a cercare ulteriori azioni punitive. La Colombia ha interrotto i rapporti con Israele e il Nicaragua ha accusato la Germania di favoreggiamento del genocidio presso la Corte internazionale di giustizia. La Russia – oltre a combattere il nazismo nell'”altra guerra” in Ucraina – sta guidando la creazione di un Mondo Multipolare; sia la Russia che la Cina stanno condannando il genocidio, insieme a molte altre nazioni. 143 Stati membri dell’ONU su 193 hanno votato per il riconoscimento dello Stato palestinese… In tutto il mondo gli studenti universitari e altri giovani hanno finalmente iniziato a protestare contro il genocidio…
La Maggioranza Globale – l’88% del pianeta – si oppone alla minoranza – l’Impero e i vassalli in Europa – che sostiene direttamente e indirettamente e addirittura legittima il genocidio.
Eppure… i massacri continuano.
Certamente si può cercare di giustificare questo fallimento da parte della Maggioranza Globale – l’88% del pianeta – nel porre fine al genocidio dicendo: “è complicato”, “non è la NOSTRA guerra; ci stiamo occupando dei nostri conflitti e delle minacce alle nostre nazioni”, “i sionisti hanno armi nucleari e le useranno su di noi quando saranno messi alle strette”, “non possiamo portare la situazione alla terza guerra mondiale”, “le persone ai vertici dell’economia mondiale sono sioniste”, “non abbiamo le strutture legali internazionali per essere coinvolti direttamente”, “dobbiamo pensare alle conseguenze economiche”, “l’entità sionista si sta logorando e si sta consumando da sola, bisogna avere pazienza”, “ci vorrà tempo per creare un’ONU nuova e più giusta”, “dobbiamo aspettare un ‘nuovo ordine mondiale’ per -… “
E… così… i massacri continuano.
A un certo punto nel futuro – se il pianeta esiste ancora – o, come prevede il piano sionista, tutti o la maggior parte dei palestinesi saranno stati massacrati e gli altri espulsi… OPPURE… l’esercito sionista e la società sionista si saranno consumati grazie alla strategia di logoramento impiegata dall’Asse della Resistenza e allo spirito di resistenza dei palestinesi stessi (che avranno pagato con un prezzo incalcolabilmente pesante). In quest’ultimo caso, il trionfo sarà loro – e solo loro! Il “Resto del Mondo”, me compreso, dovrà vivere con una cicatrice sulla coscienza.
Nel frattempo…
Ora, in ogni singolo momento, persone innocenti muoiono di morti atroci. Certo, per ora sono… “solo palestinesi”.
Chi non si rende conto che questa è una guerra contro tutti noi, una Guerra contro l’Umanità, una lotta tra responsabilità etica e barbarie… si illude e finisce per ostacolare le soluzioni. Il genocidio di Gaza è solo la “punta” di un’agenda più ampia. Non dobbiamo dimenticare che l’entità sionista non è che un avamposto coloniale – o per dirla con una formulazione più contemporanea: “la portaerei dell’Impero in Asia occidentale”. (E, come ho scritto in un precedente saggio, questa “entità” coloniale si sta ora mostrando come una fatale maledizione anche per le persone di fede ebraica.)
In questi giorni ci sono discussioni tra Netanyahu e Biden sul fatto che Rafah sia una “linea rossa” – ma si tratta semplicemente di pose teatrali di facciata. Dodici senatori repubblicani statunitensi avrebbero minacciato i membri della Corte penale internazionale di imporre “severe sanzioni” qualora venissero emessi mandati di arresto nei confronti di personaggi come Netanyahu, Gallant e il Capo di Stato Maggiore delle forze di occupazione israeliane (IOF) Herzi Halevi per crimini di guerra – il che verrebbe interpretato “non solo come una minaccia alla sovranità di Israele, ma anche alla sovranità degli Stati Uniti”. L’idea che l’entità sionista comandi l’Impero è assurda e, come al solito, una deviazione dai veri poteri dell’Impero.
Non potremo procedere alla nascita di un Nuovo Mondo senza fare i conti con questa “intera agenda”… e senza comprendere tutto ciò che comporta la scelta tra responsabilità etica e barbarie.
Quindi… come possiamo parlare sinceramente del “Futuro dell’Umanità”?
Come possiamo parlare anche solo pragmaticamente di “un futuro Mondo Multipolare” – un mondo più equo di nazioni diverse, libere e sovrane… quando la questione più urgente ed essenziale che riguarda la nostra umanità non solo non può essere affrontata, ma non può nemmeno essere formulata in modo ufficiale?
Mentre si spera di passare da un mondo unipolare in decadenza e di iniziare a costruire un nuovo Mondo Multipolare, ci si chiede quale posto avranno la nostra umanità e la nostra empatia in tutto questo. Abbiamo uno scopo comune? Quali sono le nostre risorse filosofiche e spirituali? Quali sono i nostri valori più alti e come li radichiamo nelle nostre società? E… qual è il ruolo della cultura oggi?
Quando – a un certo punto, quando saremo tutti sopravvissuti – i palestinesi e l’Asse della Resistenza avranno trionfato nelle loro lotte, saranno LORO ad avere le lezioni più importanti per il mondo.
E si spera che tutti noi possiamo imparare da loro… non solo come evitare futuri genocidi e la discesa nella barbarie, ma anche come concentrarci maggiormente sull’umanità.
La de-dollarizzazione è vitale ma non sufficiente… è necessaria anche la de-colonizzazione.
Le menti sono state colonizzate. In tutto il mondo. Affinché nasca un Mondo Multipolare di nazioni veramente sovrane, dovrà disfarsi delle ultime vestigia di razzismo, colonialismo, neoliberismo, tecnofilia e distruzione culturale con cui si è lasciato infettare dai colonizzatori e dagli infiltrati dell’Occidente moderno.
Per cominciare… possono organizzazioni nobili come BRICS+ aprire una nuova categoria per i suoi prossimi vertici? Accanto – o forse anche prima – di tutti gli attuali importanti temi del commercio equo, della cooperazione economica, del miglioramento della logistica, della sicurezza comune, dei vantaggiosi sviluppi tecnologici ecc., ci sono indispensabili questioni filosofiche, etiche e di civiltà che devono essere affrontate. I temi culturali, sociali e spirituali non dovrebbero essere lasciati in secondo piano… perché costituiscono il fondamento di una società giusta.
Considerando lo stato del nostro mondo odierno, la salvaguardia dell’umanità dovrebbe essere di primaria importanza.
*451 gradi Fahrenheit è la temperatura alla quale brucia la carta nelle biblioteche palestinesi, secondo Ray Bradbury
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