giovedì 6 giugno 2024

GEOPOLITICA. UN PO’ D’ORDINE NELLA SITUAZIONE GLOBALE - Piero Bevilacqua

 

 

Mai come oggi l’opinione pubblica era stata sottoposta a una manipolazione totalitaria come quella con cui TV e grande stampa padronale informano i cittadini sull’andamento di ben due guerre: quella in corso da due anni in Ucraina e quella in Medio Oriente, che infuria con il massacro della popolazione palestinese a Gaza da nove mesi. Com’è noto la guerra si combatte anche con le menzogne, e l’Italia è trascinata in guerra da gran parte del ceto politico e dai media, in violazione di un articolo solenne della nostra Costituzione. Dunque, senza alcuna pretesa di attingere alla verità, metto il mio mestiere e i miei studi di storico a servizio di un opera di chiarimento e documentazione utile ad avere un quadro sintetico (senza apparato di noie e bibliografia) della situazione drammatica in cui stiamo precipitando. Spero che serva anche a sollevare dall’angoscia del momento e a mostrare qualche spiraglio di speranza e di impegno possibile.

Le sorti della guerra in Ucraina

Non lasciamoci fuorviare dai proclami e dalle irresponsabili dichiarazioni di guerra mondiale da parte di dirigenti della Nato, dai politici-pubblicitari e dai giornalisti padronali a pieno servizio. La “guerra americana” in Ucraina è perduta. Le nuove armi messe a disposizione dagli USA e dalla Nato non cambieranno le condizioni sul campo di battaglia. Come ha ricordato Putin in una intervista di qualche mese fa, in previsione di questa escalation: «ci faranno del male, certamente, ma non cambieranno le sorti del conflitto». I missili che colpiranno obiettivi in territorio russo produrranno morte e distruzione in questo o in quel luogo, ma l’esercito russo proseguirà il suo corso sul fronte ucraino. Il popolo russo è abituato a sopportare ben altre sofferenze. Gli attacchi occidentali avranno l’effetto di rinserrare i ranghi della popolazione e di renderla più impegnata nei compiti di produzione e difesa, rinsaldando lo spirito nazionale e il consenso a Putin e all’attuale classe dirigente.

Ricordiamo che la mira fondamentale degli USA e dei suoi alleati è, come voleva l’istituto di studi strategici USA Rand Corporation, in un rapporto del 2019, «sovraccaricare e destabilizzare la Russia» con una lunga guerra di logoramento. Prospettiva a cui Mosca si è prontamente preparata, evitando di ripetere gli errori dell’Unione Sovietica, che era arrivata a impiegare il 13% del PIL in spese militari (finendo coll’implodere), e indirizzando l’economia verso lo sviluppo di tecnologie a doppio uso, bellico e civile e destinando solo il necessario alle spese di guerra. Non a caso di recente Putin ha sostituito il ministro della Difesa Sergei Shoigu, un militare, con un abile economista, Andrei Belousov. Nel frattempo, le relazioni economiche russe si sono quasi tutte spostate verso le regioni dell’Asia e soprattutto della Cina, oltre che verso l’Africa e l’America Latina. Significativamente, sul fronte ucraino l’esercito impiega il minimo delle sue forze, per risparmiare vite e mezzi, sapendo che il tempo lavora per il collasso interno dell’Ucraina.

Appare evidente, dunque, che i nuovi armamenti inviati a Kiev faranno correre nuovi rischi all’umanità (la Russia non si farà sconfiggere e umiliare perché preferirà la distruzione universale alla sua sottomissione), ma non cambieranno il corso della guerra, che ha come obiettivo un nuovo assetto politico delle province russofone, una ridefinizione e sicurezza dei confini territoriali, la neutralità militare dell’Ucraina. Inventarsi mire espansionistiche della Russia – che ha il più esteso territorio statale del globo, con oltre 17 milioni di kmq per soli 160 milioni di abitanti – serve per far dimenticare la cocente sconfitta subita dall’Occidente, le bugie ridicole del giornalismo padronale e per far morire inutilmente altre migliaia di ucraini (e di russi) con la distruzione più o meno completa dell’Ucraina.

Nuovi scenari

Nel suo incontro con Putin, Xi Jinping ha affermato: «Siamo di fronte al più profondo mutamento degli ultimi 500 anni e siamo noi a guidarlo». In che cosa consiste questo mutamento?

1.      La cosiddetta globalizzazione negli ultimi 30 anni ha cambiato i termini dell’economia mondiale. La delocalizzazione del capitalismo occidentale nei paesi del Sud del mondo, dove ha accumulato ingenti profitti grazie ai bassi salari locali, ha dato vita a una diffusa economia manifatturiera che oggi fa concorrenza ai paesi colonizzatori.

2.      Queste economie, come quella cinese, ma anche indiana, brasiliana, vietnamita, ecc. si sono evolute o si stanno evolvendo verso l’alta tecnologia, ponendo le basi di una piena autonomia politica, finanziaria e anche militare. Il vantaggio competitivo di questi paesi, gran parte dei quali fanno parte dei BRICS, appare storicamente incontenibile per almeno due ragioni: a) lo slancio verso lo sviluppo e il benessere delle popolazioni; b) il ruolo strategico dello stato nel promuovere gli investimenti, regolamentare il mercato, tutelare la forza lavoro, indirizzare gli investimenti privati. Un’economia mista simile a quella che ha fatto il successo economico dell’Italia del dopoguerra e che l’Occidente ha abbandonato in preda al delirio neoliberistico.

3.      Sul versante occidentale a tali fenomeni ha corrisposto un parallelo processo di riduzione o smantellamento delle manifatture nazionali. In USA i prodotti cinesi a basso costo hanno favorito i prezzi contenuti dei beni per i consumatori americani (limitando l’inflazione), ma hanno messo in moto un vasto processo di deindustrializzazione interna e di finanziarizzazione sempre più spinta dell’economia. La ricchezza di carta sostituisce la ricchezza in forma di beni. Questo fenomeno riguarda in varia misura tutti i paesi a capitalismo maturo. Si pensi alla vicenda della FIAT in Italia.

4.      Sul piano politico le strategie neoliberiste, che hanno posto al centro il mercato ed emarginato lo stato, perché – come aveva sostenuto Reagan nel 1981 – esso costituiva “il problema”, hanno svuotato il ruolo dei partiti e perciò hanno ridotto la democrazia a un simulacro. Il potere è nelle mani dei grandi aggregati economico-finanziari, che dettano l’agenda ai governi, mentre i partiti, che un tempo rappresentavano gli interessi popolari e organizzavano il conflitto sociale, svolgono un compito subalterno di mediazione tra i poteri apicali e i cittadini, considerati solo nel loro profilo di elettori-consumatori.

Quali elementi di novità ha introdotto e sta introducendo in questo scenario la guerra in Ucraina e in Medio Oriente?

1.      La fine della corsa espansiva degli USA. È vero che la NATO si è allargata e rafforzata, che l’Europa pare esserne diventata un’appendice subalterna, ma bisogna valutare a che prezzo e con quali esiti ultimi.

2.      La sconfitta militare degli USA nella sua guerra per procura con l’esercito ucraino contro la Russia, getta un’ombra di discredito sul suo prestigio imperiale. Essa segue a una sequela di disfatte: alla fuga dall’Afghanistan dopo venti anni d’inutile sperpero di risorse e di vite umane, al caos tribale lasciato in Iraq e in Libia, al fallimento dei tentativi in Siria, ecc.

3.      La sconfitta con la Russia, sia pure per interposto esercito, ma con armi di tutto l’Occidente, ha tuttavia un significato più vasto. Il tentativo di vincere la guerra calda dopo aver vinto quella fredda si è rivelato gravemente sbagliato. Ha mostrato al mondo che la dirigenza USA non aveva più il polso della situazione mondiale. Che le sue mire strategiche non sono più sostenibili.

4.      In questi due anni di guerra, mentre si sono arricchite le industrie belliche americane (che spesso hanno venduto agli ucraini anche armi obsolete) la posizione debitoria degli USA verso l’estero corre verso il precipizio. Gli analisti calcolano attualmente in 4.000 miliardi l’anno l’indebitamento corrente dello stato. Il tesoro americano stampa carta verde, ma ormai il timore del default è sempre più ampio. Significative le vendite di asset finanziari da parte della Cina negli ultimi tempi. Comunque vada a finire, due conseguenze sono evidenti: gli USA non possono più permettersi di fare i gendarmi del mondo per mezzo di carta, senza avere ricchezza reale alle spalle, il dollaro ha perso la centralità imperiale che deteneva da mezzo secolo. La retorica liberista viene smentita, come ci ricorda Emiliano Brancaccio, dal protezionismo dichiarato del friendshoring, cioè dello scambio alla pari solo con i paesi alleati.

5.      Le sanzioni alla Russia hanno avuto un effetto rovesciato. Hanno spaventato tutti i paesi non allineati agli USA, spingendoli a uscire dalla sua orbita finanziaria, ha obbligato la Russia a una scelta strategica rivelatasi vincente. Putin ha scelto la strada dell’autosufficienza economica, indirizzando l’apparato produttivo verso le tecnologie prima acquistate dalla Germania e da altri paesi occidentali, ma ha reso autonomi anche gli altri settori, come quello alimentare, il più debole per tradizione, che costituiva un mercato fruttuoso per i prodotti italiani. Oggi la Russia sta sviluppando un’industria alimentare di prim’ordine.

6.      Le arroganti minacce USA e Nato (che ha mostrato il suo ridicolo e irresponsabile dilettantismo nel suo maggiore rappresentante, Stoltenberg, già stolto nel nome) e le guerre in corso hanno spinto Cina e Russia a superare antiche divergenze e a stringere un’alleanza strategica che costituisce il nucleo di riferimento alternativo all’Occidente di una vasta parte di popoli del globo. Mentre era in corso la guerra in Ucraina e in Medio Oriente diversi paesi africani si sono liberati degli ultimi avamposti del colonialismo francese e la tendenza prosegue.

7.      I cosiddetti BRICS, che costituiscono per il momento un aggregato molto eterogeneo e con non poche contraddizioni all’interno, hanno tuttavia un grande potere attrattivo fondato su due ragioni: a) si pongono fuori dal campo aggressivo dell’impero americano sempre più impotente e sempre più sanguinario; b) offrono a tutti i paesi aderenti l’uscita dal dominio unipolare americano e l’approdo a un assetto multilaterale e alla pari delle relazioni internazionali. Condizione questa per lo sviluppo autonomo di ciascun paese, fuori dai vecchi vincoli coloniali, e base imprescindibile di un assetto pacifico del mondo su cui fondare una comune strategia di transizione ambientale e cura del Pianeta. Senza questa condizione sarà impossibile intraprendere l’unica strada che può portarci a evitare o contenere il collasso della biosfera: un Costituzionalismo Globale, come quello teorizzato da Luigi Ferrajoli.

8.      Il successo degli USA in Occidente ha il fiato corto e appare alla lunga controproducente. L’assoggettamento dell’Europa è in realtà un asservimento delle sue élites, non delle opinioni pubbliche, sempre più contrarie alla continuazione della guerra in Ucraina a cui oggi il massacro in corso a Gaza aggiunge una sempre più dispiegata avversione antiamericana. Ma la politica USA, la spesa in armamenti per sostenere Kiev, le sanzioni anti-Russia, la chiusura dei rapporti economici e commerciali, soprattutto della Germania, la fine degli approvvigionamenti di energia a buon mercato, hanno inflitto un danno troppo conclamato alle economie del Vecchio Continente. La Germania costituisce il caso più clamoroso. Al quale danno in entrata si aggiunge quello in uscita: la crescente compromissione del grande mercato di sbocco della Cina. Per l’Europa si è spezzato un modello economico vantaggioso, durato alcuni decenni, di acquisto a buon mercato di energia e materie prime e vendita di prodotti finiti ad alto valore aggiunto. Consideriamo questa scelta suicida non più sostenibile da parte del ceto politico europeo la cui condotta autolesionista e servile nei confronti degli USA non ha più il consenso dei propri popoli. Tanto più che dopo due anni di guerra in Ucraina, durante i quali la Russia stava ogni giorno per crollare, i cittadini del mondo hanno sperimentato un fatto memorabile. Gli organi di informazione, i grandi media, sono apparsi nella loro realtà di un unico e gigantesco edificio costruito per manipolare l’opinione pubblica. Pure macchine pubblicitarie al servizio del potere economico e finanziario. Essi hanno infatti potuto verificare, come mai era accaduto in tutta la storia passata, che per due anni i media hanno mentito con ogni mezzo sulle sorti della guerra. Ma i cittadini europei hanno anche dovuto constatare che le menzogne erano costruite contro gli interessi dei propri paesi, per sostenere le mire belliche di un impero oltre Atlantico. E nessuna pagina di storia si è mai costruita con questa logica perversa: i gruppi dirigenti che spingono i propri popoli a operare in sostegno di chi li impoverisce e danneggia.

9.      Infine. La perdita di credibilità dei grandi media costituisce un colpo formidabile all’impalcatura del potere capitalistico, che non a caso sta dando vita alla fioritura di canali informativi alternativi che ridurranno la TV a mero intrattenimento pubblicitario e la grande stampa padronale a materiale del chiacchiericcio autoreferenziale della politica politicata. L’informazione dell’opinione pubblica troverà e sta già trovando altre strade di libertà e di verità.

Gaza e Medio Oriente

1.      Chi condanna l’iniziativa sanguinaria e disperata del 7 ottobre da parte di Hamas dovrebbe tener conto che essa è stata giocata come forse l’ultima carta per tenere aperta una prospettiva di patria e di dignità al popolo palestinese. Com’è noto a Gaza, una prigione a cielo aperto, i palestinesi abbandonati da Abu Mazen e compagni, e soggetti alla costante umiliazione e violenza dell’esercito israeliano, non avevano più prospettiva di redenzione. Con gli accordi di Abramo tra Israele e i l’Arabia Saudita, mediatori gli onnipresenti USA; nell’indifferenza sovrana dell’UE, compresa l’Italia, antica amica del fronte arabo in Medio Oriente; dopo il riconoscimento di Gerusalemme quale capitale di Israele da parte di Trump; con l’intensificarsi dell’occupazione violenta della Cisgiordania da parte dei coloni israeliani; in presenza di una vasta frantumazione degli insediamenti palestinesi, creata ad arte da Israele per impedire l’unità territoriale di un possibile stato sovrano, il destino di un antico e pacifico popolo appariva segnato alla consunzione e alla definitiva irrilevanza storica.

2.      Quella sanguinosa apertura di una prospettiva statuale da parte di Hamas, che sta costando decine di migliaia di vittime ai palestinesi, ha conseguenze diverse, ma segna forse una svolta decisiva per la storia del Medio Oriente e un avvenire sicuramente fosco per Israele. Non sappiamo quale precaria e provvisoria situazione territoriale e politica verrà trovata per i palestinesi, che tuttavia godono del favore dell’opinione pubblica mondiale, della mobilitazione della gioventù anche dei paesi occidentali, e oggi appaiono, come mai in tutta la storia passata, le vittime di uno stato terrorista e sanguinario, che viola il diritto internazionale e si fa beffa dell’ONU.

3.      Ma il futuro più o meno immediato di questa regione appare destinato a cambiare profondamente i rapporti politici e militari finora dominanti. Grandissima parte dei parenti uccisi a Gaza diventeranno i militanti e anche guerriglieri di Hamas. Le nuove generazioni arabe, le prossime élites dei paesi che circondano Israele, saranno culturalmente plasmate dall’odio antiebraico e guarderanno sempre più decisamente agli USA come un potere nemico. Ma in questi mesi di guerra è accaduto qualcosa che la grande stampa ha camuffato, ma che ha allarmato chi doveva capire. La risposta dell’Iran all’attentato alla sua ambasciata, a Damasco, non è stato un fallimento, com’è stato strillato con giubilo, ma un sorprendente e inquietante successo. Quel paese, che oggi non vuole entrare in conflitto aperto con Tel Aviv e con gli USA, ha annunciato per tempo la sua ritorsione militare, sicché Israele ha potuto predisporre la batteria antimissilistica sorretta anche da alleati occidentali. Una semplice dimostrazione per salvare l’onore, ma al tempo stesso un segnale e un avvertimento di potenza balistica che mostra il grado di avanzamento tecnologico militare raggiunto da questo Paese. I droni iraniani, infatti, strumenti di morte costruiti dagli ingegneri a poco prezzo, hanno scatenato una tempesta sui cieli di Israele che ha esaurito in occasione dell’attacco, tutte le sue armi di difesa, con un costo che è stato valutato per un miliardo di dollari. Ma quando da Teheran sono arrivati i missili balistici essi hanno colpito con precisione millimetrica le basi militari israeliane cui erano destinati. Che tali missili abbiano mirato i loro obiettivi a oltre 1.500 km di distanza costituisce la prova che l’Iran ha raggiunto una potenza tecnologica e militare in grado di colpire Israele in maniera devastante. Ricordiamo che l’Iran è uno dei più grandi paesi del Medio Oriente, con un territorio di oltre 1.600.000 kmq e quasi 90 milioni di abitanti. Mentre Israele è un minuscolo stato di poco più di 22.000 kmq, con 9 milioni di abitanti. Si aggiunga che Teheran, anche per responsabilità degli USA, si sta fornendo di un arsenale atomico (che secondo alcuni analisti possiede già) e si comprende bene che per Israele sta per terminare l’epoca dell’arbitrio militare eslege in Medio Oriente. La sua supremazia bellica, com’era prevedibile, compresa la deterrenza atomica, è alla fine (la globalizzazione delle merci, come vuole questo magnifico capitalismo, comporta la globalizzazione delle armi e delle tecnologie di morte più sofisticate, compreso il commercio dell’uranio arricchito) e il suo futuro, malgrado la potenza omicida che sta mettendo in mostra a Gaza, è appeso al filo di una soluzione pacifica soddisfacente della questione palestinese. Bisogna dare una patria a questo popolo, che altrimenti alimenterà una guerriglia logorante e insostenibile. Questa è l’unica via di salvezza per Israele. Un coraggio politico e strategico di cui le classi dirigenti israeliane e grandissima parte del mondo ebraico internazionale sembrano oggi rovinosamente incapaci.

4.      Il massacro in corso a Gaza aggiunge alla sconfitta americana nella guerra in Ucraina un’altra onta difficilmente occultabile. Gli USA sono corresponsabili del genocidio a Gaza, sia perché loro sono le armi che hanno ucciso almeno 35 mila civili, loro sono i divieti al Consiglio di sicurezza e all’Assemblea generale dell’ONU, che hanno impedito ripetutamente e sistematicamente il cessate il fuoco. Al tempo stesso gli USA vengono umiliati dal loro protetto che non accetta nessun condizionamento nella mitigazione del massacro della popolazione. L’impero che foraggia uno stato fuorilegge non è in grado di camuffare il proprio oltraggio al diritto internazionale e il proprio impegno genocida, ma non riesce neppure a chiedere al suo agente in Medio Oriente di coprire o mitigare le proprie responsabilità.

5.      Quel che sta accadendo a Gaza infligge un colpo mortale alle retoriche sul cosiddetto mondo libero, fronte democratico, ecc. Oggi appare in filigrana la qualità della democrazia USA: Biden non può ridurre le dimensioni del massacro, premendo su Israele, perché i grandi banchieri ebrei minacciano di non finanziare la sua campagna elettorale. La vita di decine di migliaia di persone subordinata al calcolo elettorale di un presidente la cui elezione non cambierà assolutamente nulla nel destino dei cittadini statunitensi, non modificherà di un’oncia il grado di partecipazione degli americani alle decisioni che saranno prese dal Congresso, formato da parlamentari i quali hanno dovuto impegnare e sperperare una fortuna per essere eletti. Costoro contrarranno debiti morali e politici pesanti con i loro finanziatori, il mondo delle imprese e della finanza, e non certo con i loro elettori. Una democrazia davvero da prendere a modello e da esportare nel mondo per tenere alta la fiaccola della civiltà.

Qualche conclusione

Le guerre fanno fare passi indietro a tutta l’umanità e chi è costretto a indietreggiare di più sono le forze che ambiscono di cambiare il mondo. Quindi è difficile essere ottimisti per l’immediato futuro e la sinistra deve scendere a un nuovo livello di umiltà, di ricerca e di riflessione da cui riprendere una battaglia di prospettiva anticapitalistica.

Certo, in questi due anni l’UE ha manifestato la sua drammatica pochezza strategica e la sua servile subalternità agli USA. Rammentiamo che il Parlamento europeo – che mai ha avanzato una proposta di trattativa e di pace per il conflitto in Ucraina – ha votato per l’impiego di una parte di fondi del PNRR in armamenti, ed è rimasto silente e inerte mentre sulle sponde del “nostro” mare, a Gaza, si consumava il più atroce massacro di popolazione del XXI secolo. E francamente una realtà sovranazionale, l’UE, che ha tolto sovranità ai singoli stati per consegnarla – attraverso l’alleanza militare della Nato – a una potenza straniera, ha tradito dalle fondamenta ogni sua ragione di esistere.

È lecito tuttavia sospettare (e anche sperare) che da parte delle classi dirigenti europee, dietro tanta fuffa bellicista, si nasconda la consapevolezza (nel frattempo maturata e tenuta nascosta) della necessità di costruire una difesa comune sempre più autonoma dalla Nato. Molte cose, del resto, concorrono verso questo esito. La sconfitta in Ucraina, l’inaffidabilità finanziaria e politica degli USA, che forse finiranno in mano a Trump, i vincoli autolesionistici di bilancio del patto di stabilità, il declino della Germania e la crisi del modello economico europeo, costringeranno l’UE a rendersi autonoma nelle spese militari e a fare i conti con una opinione pubblica sempre più sfiduciata e distante dai propri rappresentanti e dal ceto politico. Ma tutta l’UE, che ha sottratto in questi anni troppa democrazia ai cittadini europei, va discussa dalle fondamenta.

Purtroppo per la sinistra le prospettive sono francamente sinistre. La guerra ha diviso profondamente il suo fronte e soprattutto ha messo in evidenza, in una forma sorprendente e drammatica, l’analfabetismo culturale, il nulla di memoria e conoscenza storica, l’insipienza teorica di una gran parte di essa. Non aver capito le ragioni vere e profonde della guerra in Ucraina, l’aver accettato il racconto occidentale del disegno imperialistico russo, che faceva tappa in Ucraina per poi arrivare a Lisbona, ha svelato l’americanizzazione delle menti che tanto popolo e intellettuali di sinistra hanno subito in questi anni. Elly Schlein è l’ultima incarnazione di questo disastro culturale, che in politica estera la porta sulle stesse posizioni di una neofascista oggi presidente del Consiglio. Ma tali questioni hanno bisogno di altra sede e altro spazio.

da qui

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