Eliane Brum è andata a vivere ad Altamira, nello stato del Parà, in Brasile.
il libro racconta mille cose, relative agli indios e ai loro aguzzini, poco conosciute.
e lo fa in forma di un romanzo a capitoli, affascinante e difficile da dimenticare.
bello e doloroso, da non perdere.
buona (indigena) lettura.
… Nel libro l’autrice li definisce popoli-foresta e incarnano, nelle loro
differenze, una forma di resistenza a quelli che lo sciamano yanomami Davi Kopenawa definisce il “popolo della
merce”. Sono i popoli originari, i
quilombolas, discendenti dagli schiavi africani fuggiti e insediatisi nella
foresta, i ribeirinhos e i beiradeiros, arrivati in questi territori in epoche
successive e che hanno imparato a vivere in relazione
con i fiumi e la foresta. Sono popolazioni che, in momenti
diversi, la fine del loro mondo l’hanno già conosciuta. E per questo possono
insegnarci ad affrontare quella che sarà la fine del nostro mondo, a causa
della crisi climatica.
“Sono questi popoli che stanno mantenendo,
a costo della propria vita, quello che ancora esiste di naturale, e questo in
tutto il pianeta. E per questo sono sotto attacco, in varie forme: con
l’estrazione mineraria illegale, con l’agribusiness, con un movimento etnocida.
L’estrema destra ha compreso molto bene che colpirne la cultura significa
distruggere quello che questi popoli sono. E questo è il modo più efficace per
aprire la foresta e gli altri biomi allo sfruttamento, ed è questo che viene
fatto. Così parte di questi popoli è stata corrotta”. Come racconta nel
libro, spesso queste comunità vengono smembrate,
sradicando le persone dalla foresta e portandole a vivere in città, costrette a vivere in insalubri periferie e scoprendo,
per la prima volta, di essere poveri…
«Ho imparato a osservare Altamira per capire ciò che stava
accadendo nel mondo – e per prepararmi», scrive Eliane Brum. Il suo libro è una
feroce testimonianza, un testo appassionato e trascinante, in cui la voce della
scrittrice si mescola a quella dell’attivista politica per gridare l’assoluta
urgenza, per l’Amazzonia e per il futuro del pianeta, di prendere misure che
invertano le politiche di sfruttamento selvaggio del territorio e di
deportazione delle popolazioni dell’Amazzonia, che hanno trovato sostegno
durante la presidenza di Luiz Inácio Lula e che si sono consolidate negli anni
del governo Bolsonaro, accusato di genocidio, nell’ambiguo disinteresse del
mondo intero.
Brum racconta la natura e gli elementi, gli
animali e le persone, mette in gioco se stessa senza pudori e in un’autoanalisi
cruda. Ci narra il suo trasferimento da São Paulo alla città di Altamira, lungo
il fiume Xingu, devastata dalla costruzione di una delle dighe più grandi al
mondo. Qui inizia a percepire il saccheggio della natura come il saccheggio del
suo stesso corpo, a sentirsi parte di una realtà più grande, a identificarsi
negli abitanti della foresta, nelle loro lotte, e poi nella foresta stessa,
perché l’Amazzonia le salta dentro «come un anaconda che attacca», scompone la
sua identità, le cambia il linguaggio, la struttura del pensiero, in un
pro-cesso sorprendente. «È importante non sentirsi a proprio agio», scrive.
«Ciò che non ci sorprende non ci trasforma». E la sorpresa, fino all’estremo
del disagio e della paura, è una delle energie fondamentali che attraversano il
suo discorso, che tutto mette in discussione: la possibilità di essere bianchi senza
essere violenti, l’ipocrisia dell’economia equa e solidale, la falsità di una
produzione ecologicamente sostenibile. È una illuminante testimonianza che
edifica un pensiero poetico e politico, e che sancisce con forza e vitalità
quanto l’Amazzonia, come realtà e come simbolo, sia essenziale alla continuità
e allo sviluppo dell’umanità e del pianeta che la ospita.
Nessun commento:
Posta un commento