martedì 15 ottobre 2024

Amazzonia. Viaggio al centro del mondo - Eliane Brum

Eliane Brum è andata a vivere ad Altamira, nello stato del Parà, in Brasile.

il libro racconta mille cose, relative agli indios e ai loro aguzzini, poco conosciute.

e lo fa in forma di un romanzo a capitoli, affascinante e difficile da dimenticare.

bello e doloroso, da non perdere.

buona (indigena) lettura.

 

 

Nel libro l’autrice li definisce popoli-foresta e incarnano, nelle loro differenze, una forma di resistenza a quelli che lo sciamano yanomami Davi Kopenawa definisce il “popolo della merce”. Sono i popoli originari, i quilombolas, discendenti dagli schiavi africani fuggiti e insediatisi nella foresta, i ribeirinhos e i beiradeiros, arrivati in questi territori in epoche successive e che hanno imparato a vivere in relazione con i fiumi e la foresta. Sono popolazioni che, in momenti diversi, la fine del loro mondo l’hanno già conosciuta. E per questo possono insegnarci ad affrontare quella che sarà la fine del nostro mondo, a causa della crisi climatica.

“Sono questi popoli che stanno mantenendo, a costo della propria vita, quello che ancora esiste di naturale, e questo in tutto il pianeta. E per questo sono sotto attacco, in varie forme: con l’estrazione mineraria illegale, con l’agribusiness, con un movimento etnocida. L’estrema destra ha compreso molto bene che colpirne la cultura significa distruggere quello che questi popoli sono. E questo è il modo più efficace per aprire la foresta e gli altri biomi allo sfruttamento, ed è questo che viene fatto. Così parte di questi popoli è stata corrotta”. Come racconta nel libro, spesso queste comunità vengono smembrate, sradicando le persone dalla foresta e portandole a vivere in città, costrette a vivere in insalubri periferie e scoprendo, per la prima volta, di essere poveri…

da qui

 

«Ho imparato a osservare Altamira per capire ciò che stava accadendo nel mondo – e per prepararmi», scrive Eliane Brum. Il suo libro è una feroce testimonianza, un testo appassionato e trascinante, in cui la voce della scrittrice si mescola a quella dell’attivista politica per gridare l’assoluta urgenza, per l’Amazzonia e per il futuro del pianeta, di prendere misure che invertano le politiche di sfruttamento selvaggio del territorio e di deportazione delle popolazioni dell’Amazzonia, che hanno trovato sostegno durante la presidenza di Luiz Inácio Lula e che si sono consolidate negli anni del governo Bolsonaro, accusato di genocidio, nell’ambiguo disinteresse del mondo intero.
Brum racconta la natura e gli elementi, gli animali e le persone, mette in gioco se stessa senza pudori e in un’autoanalisi cruda. Ci narra il suo trasferimento da São Paulo alla città di Altamira, lungo il fiume Xingu, devastata dalla costruzione di una delle dighe più grandi al mondo. Qui inizia a percepire il saccheggio della natura come il saccheggio del suo stesso corpo, a sentirsi parte di una realtà più grande, a identificarsi negli abitanti della foresta, nelle loro lotte, e poi nella foresta stessa, perché l’Amazzonia le salta dentro «come un anaconda che attacca», scompone la sua identità, le cambia il linguaggio, la struttura del pensiero, in un pro-cesso sorprendente. «È importante non sentirsi a proprio agio», scrive. «Ciò che non ci sorprende non ci trasforma». E la sorpresa, fino all’estremo del disagio e della paura, è una delle energie fondamentali che attraversano il suo discorso, che tutto mette in discussione: la possibilità di essere bianchi senza essere violenti, l’ipocrisia dell’economia equa e solidale, la falsità di una produzione ecologicamente sostenibile. È una illuminante testimonianza che edifica un pensiero poetico e politico, e che sancisce con forza e vitalità quanto l’Amazzonia, come realtà e come simbolo, sia essenziale alla continuità e allo sviluppo dell’umanità e del pianeta che la ospita.

da qui

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