Nell’anno 416 a.C. una enorme flotta
ateniese (38 navi, con oltre tremila soldati), si presentò davanti al
porto di Melo (oggi Milo, o Mylos), isolotto delle Cicladi, fino ad allora neutrale
nello scontro fra Sparta e Atene. Dalla nave ammiraglia scesero ambasciatori
che senza tanti giri di frasi misero i capi dell’isola davanti a una secca
alternativa: porre fine alla neutralità, schierandosi con Atene, ossia
sottomettendosi, oppure accettare di essere distrutti. I capi del Melii si
appellarono al diritto (oggi aggiungeremmo “internazionale”) , tentando di
respingere quell’aut aut. In risposta, gli Ateniesi li invitarono beffardamente
a prendere atto dei rapporti di forza. Era inutile che i Melii si appellassero
alla giustizia, o all’aiuto degli Dei dell’Olimpo (i quali, a detta degli
ateniesi, usavano anch’essi il metro di giudizio della forza) , o anche al
sostegno di Sparta (che non si sarebbe impicciata, come in effetti fu).
I Melii, dopo aver invano
scongiurato gli Ateniesi di rinunciare a punire la popolazione (inerme e
innocente), decisero di resistere, salvando l’onore dell’isola, ma non la vita
dei suoi abitanti, i quali infatti vennero massacrati o ridotti in
schiavitù, e l’isola saccheggiata e devastata, anche se per gli Ateniesi, pur
di tanto superiori sul piano militare, l’impresa non fu affatto agevole, come
avevano immaginato.
Proviamo ad attualizzare il racconto
di Tucidide. Nelle cosiddette “nuove guerre” il tratto caratterizzante è la
sproporzione delle forze: sono le “guerre ineguali” o asimmetriche. Ebbene, il
genocidio in corso a Gaza, ma anche quello più sotto traccia nei Territori
Occupati (la Cisgiordania), e i connessi omicidi di massa in Libano, con
estensioni alla Siria, e via seguitando, sappiamo essere qualcosa che per la
disparità dei mezzi militari, economici e propagandistici chiamiamo guerra
asimmetrica, guerra “posteroica”. Che eroismo ci può essere quando dall’alto
dei cieli o di lontano vengono scagliati migliaia di ordigni su una popolazione
inerme e innocente? Che razza di guerra può mai essere quella in cui missili e
bombe distruggono sistematicamente palmo a palmo un territorio, a tal punto che
anche se i bombardamenti cessassero oggi, occorrerebbero anni e anni e anni, e
miliardi di dollari per una ricostruzione, che di fatto è impossibile. L’Atene
di oggi (non per la cultura, ma solo per la forza), Tel Aviv, non può accettare
ribellioni al suo strapotere, anche se si sta accorgendo che sconfiggere Hamas
(non parliamo di Hezbollah, molto più forte), da una parte implica uno sforzo
che non era stato messo in conto, dall’altra produce un massacro indiscriminato
di persone, a cominciare dalle più fragili: bambini, anziani, donne. Israele fa
strame del diritto internazionale, proprio come gli Ateniesi con i Melii. La
logica a cui si ispirano Nethanyau e i suoi complici rovescia qualsiasi civiltà
giuridica, fondata sul principio che la forza nasce dal diritto, e mette
davanti agli occhi del mondo il tremendo assioma che è il diritto ad essere
subordinato alla forza. Quando qualcuno si comporta così, quando si mostrano i
muscoli, e li si usa, per sostenere di aver ragione, quando si ricorre all’uso
della forza a prescindere dalla legge, ossia non c’è più la legalità (nella
quale è contemplato l’uso della violenza, ma appunto secondo la legge), ma
soltanto la cieca violenza, si agisce secondo il principio che possiamo
chiamare del “prepotente”. Che è colui che (copio dal Grande dizionario della
lingua italiana di Salvatore Battaglia) “in contrasto e con danno della
volontà, dell’interesse e dei diritti altrui, fa prevalere i propri ricorrendo
alla forza, alla prevaricazione, all’offesa”.
Ecco, Israele da anni aspetta di
impadronirsi delle misere frattaglie territoriali rimaste ai palestinesi, e con
il pretesto del 7 ottobre (la cui spiegazione è sempre più distante da quella
ufficiale, basti leggere il libro di Roberto Iannuzzi,
Il 7 ottobre tra verità e propaganda, Fazi Editore), sta usando la cieca forza in una
misura che mai si era vista nel mondo dopo il 1945. Nessuna legge viene
rispettata, né quelle umane, né quelle divine, potremmo dire, calandoci
nell’antica Grecia: e Sparta, come oggi la cosiddetta “comunità
internazionale”, non si impiccia, mentre gli dei (i potenti di oggi),
condividono l’efferato principio della legge del più forte.
Forse è giunto il momento che i teorici
del diritto internazionale, i paladini della legalità, i liberali e i
democratici che respingono l’idea di un mondo fondato sulla prepotenza del
forte ai danni del debole, coloro che continuano a ritenere che persino in
guerra vadano rispettate delle norme e delle regole (come ci ha insegnato fin
dal 1625 Ugo Grozio), ebbene tutti costoro dovrebbero alzarsi in piedi e
gridare il loro sdegno e obbligare i rispettivi governi ad agire per isolare
quello di Tel Aviv, espellendolo da ogni consesso, interrompendo ogni aiuto
militare ed economico, additandolo, nei secoli dei secoli, all’ignominia della
storia. E se lo facessero oggi 7 ottobre, sarebbe anche più efficace, anche per
contrastare una narrazione obbligata, che viene usata come grimaldello per scardinare
il diritto (quello internazionale, e quello umanitario che ne è stato
generato), violare la legge, e criminalizzare un intero popolo, e di
conseguenza, coloro che si battono per la sua liberazione.
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