Continuare a parlare di Alta Velocità tra Torino Lione vuol dire continuare a ingannare i cittadini. La realtà dei fatti, e non delle opinioni, è ben diversa perché la Francia, che è sempre stata tirata per i capelli in questo insulso progetto, ha più volte dichiarato che solo dopo il 2040 e in presenza di significativi aumenti dei volumi di traffico potrebbe decidere se progettare e finanziare una tratta ad Alta Velocità tra Saint Jean de Maurienne e Lione. Al momento la Francia non ha preso impegni per la tratta verso Lione, tecnicamente impegnativa e costosa, ma punta a migliorare alcuni tratti dell’attuale linea ferroviaria esistente che, in direzione nord, va verso Digione. Questo vuol dire che forse e solo verso la seconda metà del secolo corrente si discuterà se realizzare la linea ferroviaria verso Lione che, in questo caso potrebbe essere operativa solo verso fine secolo. Questo dato, rispetto alla velocità rivoluzionaria che ha assunto lo sviluppo del capitalismo finanziario a danno di quello industriale e che sta stravolgendo l’economia produttiva in Europa, e che di conseguenza disegnerà nuove e imprevedibili linee commerciali, dimostra quanto sia obsoleto il progetto del TAV Torino Lione. Ma in ogni caso oggi, dopo più di trent’anni di progetti, dibattiti e contrapposizioni, si può oggettivamente parlare solo di una linea ad Alta Velocità tra Susa e Saint Jean de Maurienne, praticamente solo del tunnel di base. E questa è una bestialità che non giustifica in alcun modo lo scempio ambientale della Valle di Susa e lo sperpero di risorse pubbliche in un Paese in cui Sanità e Istruzione Pubblica sono in agonia.
La Francia è
sempre stata tirata per i capelli… Difatti, per convincerla, l’Italia si è
generosamente accollata una notevole parte di costi non dovuti. Diciamolo con
chiarezza: mentre il tunnel di base di 57 km, che con doppia canna diventa di
114 km, si trova per tre quarti in territorio francese e per un quarto in
quello italiano, l’Italia si è accollata il costo dei tre quarti dell’opera
lasciando solo un quarto della spesa a carico dei francesi. Chapeau!
Inoltre in questa infinita diatriba il TAV, ridotto a una linea tra
Susa e Saint Jean de Maurienne, è diventato un’arma di distrazione di massa a
danno della linea storica, che non è obsoleta e che è stata via via
sottoutilizzata molto al di sotto delle sue potenzialità per il calo
del transito merci, ed è ormai bloccata dall’agosto del 2023 per la frana che,
sul lato francese, ha investito la linea poco oltre Modane. Che il tratto
franato non sia stato rimosso e messo in sicurezza, dopo ben 18 mesi, su quella
che è un’importante linea internazionale causando ulteriori problemi, in
primis ma non solo, all’industria piemontese già colpita duramente dal
disimpegno di Stellantis nel settore dell’automotive, è un altro campanello
d’allarme che i nostri politici, anzi i nostri politicanti, più al servizio
delle lobby che non al servizio dei cittadini e del bene pubblico, stanno
gravemente sottovalutando. La messa in sicurezza dell’area franata sul lato
francese, che procede con una melina e lentezza d’altri tempi rispetto alle
attuali tecnologie e capacità logistiche, non deve essere strumentalizzata per
sostenere l’utilità del nuovo traforo ferroviario, che oltretutto è fine a se
stesso, ma deve essere recepito come serio campanello d’allarme: si è in
presenza di un disimpegno francese su questa storica direttrice commerciale. È
una questione da non sottovalutare con le solite fumose dichiarazioni in
politichese, perché la Francia ha capacità di programmazione e una ben diversa
e concreta visione statale della difesa dei propri interessi industriali e
relativi scambi commerciali, rispetto alla storica evanescente linea espressa
nella programmazione industriale dai vari governi del nostro Paese.
Tornando
alla realtà valsusina, dove siamo ancora alla ricerca di un’identità che possa
supplire a quella industriale, smarrita con la chiusura delle fabbriche più
importanti, quanto avvenuto a Susa in questi giorni (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2024/10/10/cera-una-volta-il-west-anzi-in-val-di-susa-ce-ancora/) è grave ma non è che
un aperitivo rispetto a quello che accadrà nei prossimi anni. Non
c’era alcun bisogno di militarizzare l’area di San Giuliano come una frontiera
di guerra, di bloccare la statale, di sgomberare e occupare con la forza un
terreno alla vigilia del suo esproprio. L’esproprio avrebbe seguito il suo
corso amministrativo come è avvenuto a suo tempo a Chiomonte senza particolari
problemi e alcuno scontro. È stata una gratuita prova di forza,
una pesante intimidazione per quanto dovrà ancora avvenire nei prossimi anni,
per dimostrare che il territorio non appartiene a chi ci vive ma è merce a
disposizione del Potere. Il Movimento No Tav, al di là delle mille
bugie e della continua criminalizzazione per il “reato di continuare a
resistere”, nella sua anima è composto da valsusini e vede una forte
partecipazione popolare: non è perfetto e commette anche degli errori, ma ha il
merito di aver mantenuto la schiena dritta in difesa del territorio e del bene
pubblico, di aver saputo costruire un filo di collegamento tra gli anziani che
iniziarono l’opposizione nei primi anni 90 e le nuove generazioni. Si può
simpatizzare per lui o averlo in antipatia, ma parlare di violenza
No Tav è insopportabile quando è la polizia che sgombera i presidi,
tira centinaia di lacrimogeni e molti ad altezza d’uomo, costruisce tre fortini
militari sul territorio, e questo dopo decine di anni in cui le
amministrazioni locali hanno detto no a questa nuova linea ferroviaria, dopo
centinaia di iniziative e marce popolari spesso semplicemente derise.
Difendersi tirando piume di galline sarebbe anche divertente ma in questa Valle
dominata dal vento è oggettivamente impossibile.
Tornando
“all’aperitivo” di questi giorni: si prospettano tempi durissimi per la
comunità valsusina ed è tempo di rinsaldare e potenziare la massa
critica contro l’opera, perché non si può sottovalutare il disagio di sei anni
di chiusura della linea ferroviaria Bussoleno-Susa con studenti e pendolari
costretti ad accalcarsi sui bus, non rendersi conto di cosa vorrà dire il
traffico e l’inquinamento di migliaia di viaggi dei camion, avanti e indietro
tra Susa e Salbertrand per il trasporto del materiale dello scavo o
sottovalutare i costi ambientali dell’insulso trasferimento dell’autoporto da
Susa a San Didero,
Gli anni a
venire non saranno una passeggiata, e il tutto per una inutile linea
ferroviaria ad alta velocità tra Susa e Saint Jean de Maurienne, e il miraggio
di una improbabile stazione internazionale a fronte di una realtà in cui troppe
stazioni ferroviarie dei nostri paesi sono abbandonate al degrado e
all’insicurezza.
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