Il ddl sicurezza considera violenza il dissenso. Che nessuno disturbi il manovratore. Il testo in discussione fruga perfino tra le parole della tradizione pacifista e nonviolenta di Capitini e Dolci per inventare reati. Forse questo ddl 1660 avrebbe dovuto avere un numero leggermente diverso, il 1666, richiamando così il proprio intento diabolico. Non sappiamo se la disapprovazione sociale diffusa che lo ha accolto basterà per fermare l’iter legislativo, ma non era scontata. Il diavolo fa le pentole ma…
Se la vita di una norma si potesse predire dall’accoglimento del pubblico,
il dissenso diffuso e composto che sta ricevendo in tutta Italia il disegno di
legge (ddl) Sicurezza 1660 farebbe ben sperare in un suo pronto ritiro. Purtroppo però
la tradizione di certe correnti del pensiero occidentale sui concetti di colpa
e di punizione, l’ossessione a riportare tutta la vita all’interno di regole da
rispettare e colpevoli da punire, ci mette in guardia dall’essere ottimisti. Il
DDL sulla “sicurezza” è infatti da intendersi come provvedimento necessario non
a colpire la criminalità organizzata, né a generare sicurezza sociale e civica,
ma a garantire la punibilità di fattispecie di colpevoli fin qui impensate e
impensabili.
Con un lessico distopico si usano parole fin qui rintracciabili solo nella
tradizione della lotta pacifista e nonviolenta dei Gandhi, Capitini e Dolci,
abbinate a reati e pene punite con la reclusione. Fare atti pacifici
di “resistenza passiva” è, secondo questa norma, punibile con due anni di
carcere; occupare spazi pubblici altrettanto, “stare” diventa di per sé
espressione di dissenso e il corpo stesso dei manifestanti si trasforma di
fatto in “corpo del reato” tanto da far rinominare il provvedimento norma “anti
Gandhi” dal Movimento nonviolento che ricorda in un suo comunicato ai senatori
della repubblica, inviato prima della discussione del ddl, che “La
disobbedienza civile, la non collaborazione, l’azione diretta nonviolenta, lo
sciopero, il boicottaggio, l’obiezione di coscienza, sono immensamente più
forti e puri di qualsiasi decreto”. Pensiamo a cosa furono gli scioperi
al contrario di Dolci per immaginare la creatività costruttiva del dissenso e
paragoniamolo all’omologazione che si cerca di imporre qui.
Secondo l’OSCE, l’Organizzazione intergovernativa per la Sicurezza e la
Cooperazione in Europa, il DDL 1660 introduce 24 nuovi reati che
hanno il potenziale di “minare i principi fondamentali del diritto penale e
dello stato di diritto del nostro paese”. La descrizione dei reati è peraltro
vaga e priva di fattispecie puntuali, tanto da aumentare a dismisura l’area
dell’arbitrio su quello che può essere imputato come reato. Il ddl 1660
individua addirittura reati dimostrati viaggiando nel tempo, con salti
temporali come la “flagranza differita” che permette di imputare accuse con la
sola prova di “presenza” in una manifestazione.
Il ddl 1660 prepara e consolida il terreno della presunzione di
colpevolezza. Un semplice sit-in diventa punibile con il carcere, quello
che si criminalizza non è l’atto violento (che non serve più) ma è considerato
violenza lo stesso dissenso. Il risultato da cui l’Osce mette in guardia è
proprio che, con i contenuti e la formulazione del ddl, si persegua l’intento
di “scoraggiare l’esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali da
parte degli individui”. Ma di nuovo pensiamo alla competenza, alla passione e
alla capacità di dialogo e interlocuzione con le amministrazioni che esprimono
le azioni dirette per il clima, le proteste dei e per i migranti, la resistenza
dei No Tav e dintorni… criminalizzarle non mette in crisi l’idea stessa di
“governo”? O in realtà è di Palazzo che si parla e allora l’intento è
semplicemente azzittire chi “disturba il manovratore” e, come
evidenzia Saviano su Fan page, si tratta di un atto di “democratura” e il
teorema che sottende l’intero provvedimento è l’equiparazione tra chi
Manifesta, che viene dichiarato Fuorilegge e può finire Prigioniero.
Il 21 settembre, nella sempre illuminante trasmissione di Radio 3 “Uomini e
Profeti” Felice Cimatti ha intervistato la filosofa Arianna Brunori in
occasione dell’uscita del suo libro Imputazione e colpa – L’invenzione
della volontà (Ed. Quodlibet). Nella sua riflessione, che ha spaziato
nella storia della filosofia e delle religioni con grande profondità e
interesse, Brunori ha messo in luce come, da Aristotele a Kant, l’etica
si sia sottomessa al diritto. Soprattutto in occidente, si argomentava, la
necessità di dare giustificazione alle condanne della legge ha costruito
un’idea della volontà, del libero arbitrio dell’uomo, tale per cui se si
infrange la legge lo si fa per perseguire il male. Presupporre la volontà di
scelta diventa così uno strumento non dell’emancipazione umana, ma della sua
costrizione dentro l’universo della regola, che tutto include e tutto conforma
e che sempre, infallibilmente, punisce i peccatori. Dal tardo medioevo,
argomenta Brunori in dialogo con Cimatti, si assiste a un ampliamento del
concetto di colpa che include anche i gesti involontari, ampliando il catalogo
dei peccati fin ai primi moti della sessualità (sogni erotici, polluzioni
notturne) che, se sono volontari, sono quindi legittimamente punibili.
Sarà che per noi del mondo della partecipazione e della solidarietà
l’accezione del concetto di volontà è completamente diversa. Per noi muoversi
“volontariamente” è l’espressione della partecipazione, della collaborazione e
del prendersi responsabilità per il bene comune, ritrovarci criminali perché si
interloquisce con il Palazzo ci sembra uno schiaffo a tutte quelle forze che
quotidianamente lottano perché la Repubblica renda concreto il dettato
Costituzionale di ridurre le disuguaglianze tra i cittadini, di costruire un
piano di pari dignità tra tutti gli esseri viventi. Ma non sembra questo il
modo di confrontarsi che muove il ddl 1660. Che si iscrive invece in questo
enorme dispositivo di potere, in cui tutta la vita umana viene
riassunta nella regola e sottoposta alla punizione, denunciando l’impianto
medioevale che caratterizza le scelte dell’attuale governo. E allora lasciateci
dire che forse questo ddl 1660 avrebbe dovuto avere un numero
leggermente diverso, il 1666, richiamando così il proprio intento diabolico.
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