sabato 12 aprile 2025

Israele è diventata una nazione di criminali di guerra, dice Norman Finkelstein


L’esercito più orwelliano del mondo - Lorenzo Guadagnucci

Giornali e tv di tutto il mondo hanno mostrato e descritto una delle più orribili imprese – l’attacco alle ambulanze della Mezzaluna rossa, l’esecuzione degli operatori, l’occultamento dei corpi in una fossa comune e la giustificazione menzognera dell’operazione – compiute dall’esercito più orwelliano del mondo, come dovremmo ormai (amaramente) definire le forze armate israeliane, che hanno costruito nel tempo una narrazione – in realtà un esorcismo e un meccanismo di pressione-persuasione sui propri soldati – autodefinendosi “l’esercito più morale del mondo”.

È questa una definizione smentita da innumerevoli fatti, ma necessaria per lo stato israeliano: è stato il modo che ha permesso a tanti coscritti di svolgere compiti di polizia militare e di guerra guerreggiata in posizione in apparenza comoda – una condizione di schiacciante superiorità – ma anche insidiosa, perché affrontare la popolazione civile, soprattutto in Cisgiordania, ai posti di blocco, nella repressione quotidiana, negli sgomberi, nelle punizioni, e a maggior ragione nelle azioni di guerra vera e propria, soprattutto a Gaza, pone problemi etici ed esistenziali non irrilevanti per la gioventù israeliana in armi. Sapersi, o meglio credersi “l’esercito più morale del mondo” può aiutare a svolgere compiti ingrati, ingiusti, a volte anche orribili.

Con la campagna di Gaza che dura da quasi un anno e mezzo tutti i veli sono però caduti. La definizione di “esercito più morale del mondo”, l’affermazione – ripetuta a ogni obiezione, a ogni critica – di agire nella Striscia nel rispetto del diritto internazionale, sono ormai parte di una retorica orwelliana, con le parole che vengono pronunciate meccanicamente a significare però il loro contrario.

In questo macabro teatro, l’opinione pubblica internazionale, il giornalismo mainstream, i governi occidentali, così ricchi di prosopopea quando si tratta ai autodefinirsi liberi e democratici, si fanno notare per la loro passività, per l’ignavia che diventa complicità.

Costa dirlo, ma per ragioni – diciamo così – strutturali, dovute al sistema di alleanze e relazioni diplomatiche, politiche, culturali, economiche fra Israele, l’Europa e l’intero Occidente, l’esercito più orwelliano del mondo è (anche) il nostro esercito. Dovremmo guardare a noi stessi alla luce di questa constatazione. Diventa allora difficile, anche per chi avversa le scelte di Israele, per chi parteggia e manifesta e agisce in favore del popolo palestinese, diventa difficile per tutti noi sentirci davvero assolti.

Dovremmo riuscire a trasformare il dolore, la frustrazione, la rabbia in qualcosa di nuovo e di forte, forse – per cominciare – una rivoluzione interiore che si riversa all’esterno in ogni momento della vita quotidiana: una diserzione ora per ora dalla regola del silenzio, dell’indifferenza, del fatalismo che disciplina la nostra società, le nostre esistenze.

da qui






Le 10 tesi di "Sinistra per Israele" e la verità storica. Intervista a Ugo Giannangeli, di Patrizia Cecconi

L’oceano di sangue palestinese innocente che sta inondando la Striscia di Gaza si sarebbe potuto evitare se le organizzazioni sovranazionali e internazionali avessero voluto e potuto.  Circa il “volere” la Corte Penale Internazionale e la Corte Internazionale di Giustizia dell’ONU ci hanno provato, ma si sono scontrate con un altro volere, quello dei potenti complici di Israele e, quindi, non hanno potuto.  In Italia e nel mondo si sono moltiplicate le iniziative popolari per tentare – inutilmente – di costringere Israele a fermare il genocidio e qualche parlamentare del centro sinistra “democraticamente” vicino a Israele ha perfino partecipato al congresso “Sinistra per Israele-due popoli due Stati” dal quale sono uscite 10 tesi che, pur non volendo riconoscere quale genocidio lo sterminio israeliano di decine di migliaia di civili inermi, ha mostrato la “buona volontà” di suggerire come risolvere il cosiddetto conflitto israelo-palestinese.

Sulle 10 tesi di cui sopra l’avvocato Ugo Giannangeli, vicino da sempre alla causa del popolo palestinese sia in veste di penalista che in veste di studioso degli aspetti giuridici relativi alla situazione internazionale, ha elaborato delle considerazioni che ha inviato, senza ottenere risposta, al senatore del PD Alfieri, membro di “Sinistra per Israele”. Considerazioni che hanno però girato in modo informale suscitando notevole attenzione, per questo abbiamo deciso di intervistarlo. Ecco l’intervista che ci ha gentilmente rilasciato.

 

P.C. Avvocato Giannangeli, vuoi dirci quali riflessioni sono emerse dallo studio delle tesi del congresso “Sinistra per Israele-due popoli due Stati” dello scorso febbraio?

U.G. Grazie per aver scelto di rendere pubbliche le mie osservazioni, tanto più che l’onorevole Alfieri non si è degnato di rispondere. Per comodità espositiva seguirò l’ordine delle tesi.

P.C. Bene, partiamo dalla prima

U.G. Nella prima tesi si ricorda che Sinistra per Israele è nata subito dopo il conflitto del 1967 per la necessità di “ricucire lo strappo che aveva separato parte della sinistra italiana da Israele all’indomani del conflitto del 1967”. Mi ha stupito questa affermazione visto che proprio grazie alla menzogna sull’inizio del conflitto, Israele godette immediatamente di diffusa solidarietà anche da sinistra come è testimoniato dal numero speciale della rivista Epoca del 18 giugno 1967 intitolato “ La vittoria di Israele”. Un numero di 50 pagine con i nomi di numerosi illustri italiani molti dei quali di sinistra, tutti  firmatari di appelli pro Israele. Intellettuali quali Nanni Balestrini, Natalino Sapegno, Federico Fellini, Italo Calvino, Nicola Tranfaglia, Eugenio Montale, Carlo Cassola, Norberto Bobbio, Nuto Revelli, Enzo Biagi, Leonardo Sciascia, Giorgio Bocca, Marco Ramat, Giovanni Spadolini e tanti altri tutti di altissimo livello e tutti caduti nel tranello della menzogna.

 

P.C. puoi spiegare in cosa consiste questa menzogna?

U.G. Sì, dire che Israele aveva dovuto difendersi da un imminente attacco dei Paesi arabi mirante al suo annientamento fu  smentito per la prima volta nel marzo 1972 dall’ex generale M.Peled, che durante la guerra dei sei giorni era a capo del dipartimento  “amministrazione e alloggi” dello Stato maggiore centrale israeliano. Il generale Peled negò che Israele avesse corso il pericolo dichiarato, e le sue parole vennero pubblica sul quotidiano Haaretz il 19 marzo 1972. Successivamente altri, tra cui il generale E.Weizman, nel 1967 capo dell’ufficio operazioni dello Stato maggiore centrale israeliano e il generale H.Bar-Lev, nel 1967 capo dello Stato maggiore presso il quartier generale dell’esercito israeliano confermarono quanto dichiarato da Peled e tutto venne reso di pubblico dominio dai quotidiani  Haaretz e Maariv. Riproporre oggi quanto ampiamente smentito da autorevoli esponenti dell’esercito israeliano oltre cinquant’anni fa è quindi una menzogna. Doppia menzogna se si afferma che Sinistra per Israele è nato per ricucire lo strappo con la sinistra in seguito alla guerra dei 6 giorni.

 

P.C. Grazie della spiegazione. Torniamo a quanto affermato nella prima tesi.

U.G. In questa tesi  si sostiene che l’unica soluzione del “conflitto” è l’orizzonte di due Stati per due popoli. La parola “orizzonte” suggerisce  un obiettivo molto lontano, ammesso che sia realmente un obiettivo. A tale proposito consiglio la lettura di un libro di Ziyad Clot dal titolo lapidario: “Non ci sarà uno Stato palestinese. Diario di un negoziatore in Palestina”.  L’autore per 11 mesi ha fatto parte dell’unità di sostegno ai negoziati dell’OLP poco dopo la conferenza di Annapolis che aveva fissato come traguardo la creazione di uno Stato palestinese entro la fine del 2008. Clot, constatata la situazione, dà le dimissioni nel novembre 2008 e due anni dopo pubblica il suo libro in Francia. In una nota all’edizione francese scrive “…Mi sono poi imbattuto nel ‘processo di pace’… Ho visto da vicino l’impossibilità di realizzare uno Stato palestinese. …  nell’inverno 2008/09 mi sono trovato impotente di fronte alla spedizione di morte nella Striscia di Gaza. Come pochi ho avuto la possibilità di assistere ai retroscena”. Le parole di Clot  sono di estrema attualità. La totale subalternità dell’Anp al diktat israeliano si è tradotta nel tempo in connivenza nella repressione della resistenza, sino al recente taglio dei fondi destinati ai detenuti politici palestinesi obbedendo alla richiesta israeliana. L’orizzonte di due Stati per due popoli definito “l’unica prospettiva giusta e necessaria, di pace e convivenza” in realtà, se si realizzasse, sarebbe un obiettivo di separazione, non di convivenza. Ad oggi l’unica convivenza sperimentata con successo è quella di Taayush, movimento di israeliani e palestinesi che prospettano la convivenza in un solo Stato con uguali diritti per tutti. Anche il termine “popolo” è discutibile. Lo storico ebreo israeliano  Shlomo Sand, nel suo libro “L’invenzione del popolo ebraico” spiega bene questa manipolazione, così come manipolatorio è il falso slogan “una terra senza popolo per un popolo senza terra” in cui si finge l’inesistenza del popolo palestinese prefigurandone  già l’eliminazione visto che dell’esistenza del popolo palestinese gli ebrei erano ben consapevoli già dal 1897 come documentato nel libro di Ghada Karmi, “Sposata a un altro uomo”. Ma passiamo alla seconda tesi che va a dare concretezza alla prima.

 

P.C. La seconda è titolata  “Dall’orizzonte alla pratica: riprendere un percorso per la pace”, giusto?

U.G. Esatto, e richiama la Dichiarazione della fondazione di Israele detta anche Dichiarazione di indipendenza del 14 maggio 1948, dove  si legge: “… Dichiariamo la fondazione di uno Stato ebraico in Eretz Israel che avrà il nome di Stato di Israele… Lo Stato di Israele sarà aperto per l’immigrazione ebraica e per la riunione degli esuli, incrementerà lo sviluppo del paese per il bene di tutti i suoi abitanti, sarà fondato sulla libertà, sulla giustizia e sulla pace come predetto dai profeti d’Israele, assicurerà completa uguaglianza dei diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso, garantirà libertà di religione di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura, preserverà i luoghi santi di tutte le religioni e sarà fedele ai principi della Carta delle Nazioni Unite… “. Il nuovo Stato è definito ebraico e il territorio interessato è chiamato Eretz Israel, cioè grande Israele. Ma nella tesi n.8 che vedremo in seguito il progetto del Grande Israele sarà attribuito agli eredi del sionismo revisionista definito “una corrente esplicitamente di destra”. La Dichiarazione di indipendenza è richiamata anche nella tesi n.6 in cui si mette in evidenza l’assoluto contrasto con la legge fondamentale del 2018 che definisce Israele “Stato nazione degli ebrei senza alcuna clausola di equità per le altre componenti etniche e religiose”.

 

P.C. Quindi riconosci che la seconda tesi ha di positivo il mettere in evidenza che i principi formulati nella Dichiarazione d’indipendenza contrastano con la realtà pratica che caratterizza Israele?

U.G. Sì, è apprezzabile il riconoscimento di tale contraddizione anche se, citando la legge fondamentale del 2018, sarebbe stato opportuno ricordarne anche l’articolo 7 che eleva un crimine come è la colonizzazione a valore da incrementare.

P.C. Quale, secondo te, il motivo per cui la Dichiarazione d’indipendenza esprimeva quei principi, di fatto mai rispettati?
U.G. La Dichiarazione di indipendenza altro non era che lo specchietto per le allodole per ottenere l’ammissione del neo-Stato all’Onu. L’Onu aveva chiesto espressamente ad Israele di mettere nero su bianco l’impegno a rispettare i principi della Carta delle Nazioni Unite, dimostrando una certa diffidenza verso uno Stato destinato espressamente ad essere ebraico. Donde l’ossimoro “Stato ebraico e democratico”. Lo dimostra il fatto che non una parola della Dichiarazione di indipendenza è stata rispettata, a partire  dalla fedeltà ai principi della Carta dell’Onu. La seconda tesi ha il merito di accennare anche ai sistemi educativi israeliani che hanno favorito la spirale di odio. Già l’accademica ebrea Nurit Peled Elhanan aveva espresso una serrata critica al  sistema educativo israeliano nel suo “ La Palestina nei libri di scuola israeliani” di cui si può leggere una sintesi nell’articolo “ Come Israele insegna ai suoi figli a odiare” di Middle East Monitor del 1 agosto 2019. Attualissimo un passaggio: “A sette anni dalla pubblicazione del libro le cose sono ulteriormente peggiorate. Lo si può vedere nel video, circolato sui social media questa settimana, dei giovani soldati israeliani che festeggiavano ed applaudivano dopo aver fatto saltare le case palestinesi a est di Gerusalemme. Quei soldati sono proprio il prodotto del sistema educativo israeliano”. Durante il genocidio in corso a Gaza sono girate nei social media immagini raccapriccianti delle azioni dei soldati israeliani, a dimostrazione che il processo di deumanizzazione israeliana è andato molto avanti. Ma i congressisti di Sinistra per Israele negano il genocidio!

 

P.C. Però diamo atto a Sinistra per Israele di aver preso le distanze da questa scuola d’insegnamento all’odio?

U.G. Sì, non con la determinazione e la documentazione di Nurit Peled, ma un’ ammissione di incitamento all’odio nei programmi scolastici israeliani è emerso.


P.C. Passiamo alla terza tesi

U.G. Nella terza tesi compare il riferimento al terrorismo e si citano Hamas, Hezbollah e gli Houthi ma s’ignora che il diritto internazionale riconosce il diritto alla resistenza a un popolo sotto occupazione come il popolo palestinese e che il Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1949, adottato nel 1977, relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali, riconosce alla popolazione di un paese occupato il pieno diritto di lottare per la propria liberazione anche con la resistenza armata e viene esplicitamente  riaffermato nella Risoluzione dell’Onu numero 37/43 del 1982 nella quale è scritto  che : “considerando che la negazione dei diritti inalienabili del popolo palestinese … e i ripetuti atti di aggressione da parte di Israele contro i popoli della regione costituiscono una grave minaccia alla pace e alla sicurezza, riafferma la legittimità della lotta dei popoli per l’indipendenza, l’integrità territoriale, l’unità nazionale e la liberazione dalla dominazione coloniale e straniera e dall’occupazione straniera con tutti i mezzi disponibili compresa la lotta armata”. Quindi viene ignorato che la lotta armata non può definirsi terrorismo. In questa tesi si accenna anche agli accordi di Oslo del 1993, definendoli una pratica da proseguire, mostrando di ignorare totalmente cosa hanno significato e significano per i palestinesi. Le parole di Z. Clot, sia pure riferite ad altro periodo, chiariscono la disparità contrattuale delle parti e la accettazione da parte palestinese di un accordo ormai palesemente truffaldino. Regola fondamentale di ogni accordo è il principio di buona fede ed è difficile attribuire buona fede a quella parte contrattuale che mentre promette graduali passaggi verso la creazione di uno Stato continua a costruire colonie sul territorio destinato a quel futuro Stato. Inoltre, l’acclamato diritto ai due Stati (di cui solo uno esistente) a vivere in sicurezza all’interno dei propri confini pone una domanda: quali confini? Lo Stato esistente non li ha mai dichiarati, seguita a espandersi illegalmente e  non si è mai dotato di una Costituzione, nonostante il diverso impegno assunto nella Dichiarazione di indipendenza. Nella tesi n. 4 si va poi su un falso vero e proprio, utile a rinvigorire la narrazione israeliana, affermando l’uso di scudi umani da parte di Hamas. Le migliaia di immagini giunte da Gaza, comprese quelle dei soldati dell’IDF, dimostrano il contrario e cioè l’uso di palestinesi come scudi umani da parte dell’esercito israeliano. In questa tesi si parla anche di diritto internazionale e della necessità di restituire ad Israele credibilità e sostegno nel consesso internazionale, ma non si affronta il motivo per cui Israele ha perso credibilità. Inoltre, l’aver eletto nel Comitato direttivo nazionale dell’organizzazione quel Piero Fassino che, quale presidente della Commissione esteri alla Camera, il 6 luglio 2021 aveva detto esplicitamente che il diritto internazionale deve essere subalterno alla politica, mostrando con rara sfacciataggine il disprezzo per quello che dovrebbe essere lo strumento per la risoluzione dei conflitti internazionali, non accresce davvero la credibilità né di Israele né delle elaborazioni scaturite dal congresso in esame, tanto più che Fassino non è isolato, basti pensare al tentativo di demolire le due massime Corti internazionali non appena hanno toccato i criminali considerati intoccabili quali Netanyahu e Gallant, fino ad avere una carica dello Stato come Tajani  che afferma impunemente di non riconoscere l’ordine di arresto della Corte Penale Internazionale e che Netanyahu potrà venire in Italia senza tema di essere arrestato. Lascio a voi l’interpretazione di quel “restituire la credibilità a Israele”, a me sembra pura chirurgia estetica pro-Israele e la tesi n.5, che contiene una dissociazione dalle “modalità e gli esiti della guerra combattuta in questi 15 mesi a Gaza” non è che un altro ritocco al maquillage.  Aggiungo che  l’uso del termine guerra è a dir poco improprio in quanto non si fronteggiano eserciti, come ad esempio in Ucraina,  ma si riversano sulla popolazione inerme migliaia di tonnellate di bombe; a Gaza è venuto meno il principio fondamentale del diritto internazionale umanitario di distinzione tra civili e combattenti. Mentre l’intenzione e l’azione genocida e di pulizia etnica che non viene accettata dal Congresso è ormai assolutamente palese. Se la Corte Internazionale di Giustizia nella sua ordinanza del gennaio 2024 ha parlato di solo “plausibile genocidio”, non spingendosi oltre, è per due motivi: primo, perché l’ordinanza risale a meno di quattro mesi di bombardamenti indiscriminati e quindi con un numero di vittime civili molto alto ma ancora relativamente contenuto rispetto ad oggi; secondo, perché la sussistenza del genocidio, oggetto della causa promossa da Sudafrica, necessita di un’attività istruttoria (peraltro ostacolata in tutti i modi possibili da Israele) non ancora avviata nel gennaio 2024. 



P.C. Però sembra almeno presente lo sforzo di dissociarsi dall’attività criminale di Israele?

U.G. Non precisamente, visto che la tesi n.6 afferma che Israele non può essere identificato con il governo Netanyahu. Argomento ricorrente e giustificazionista. Che il governo attuale sia il più a destra nella storia di Israele è indubbio. Ma è pur vero che il progetto sionista è stato perseguito da tutti i governi israeliani e che la colonizzazione e la repressione non si sono mai fermate. La repressione del premio Nobel per la pace Rabin, ministro laburista durante la prima intifada, fu feroce e lo ricordiamo soprattutto per l’ordine di spezzare le braccia ai bambini che lanciavano sassi; è il caso di ricordarlo anche come colui che ordinò nel 1989 l’assedio alla cittadina di Beit Sahour, tagliando elettricità e ingresso di cibo ed acqua, quasi una anticipazione di Gaza 2024. Inoltre la colonizzazione non si è certo fermata durante i governi laburisti. Ignorarlo è una forma di manipolazione della realtà. Altra mistificazione emersa dal Congresso  è criticare il governo perché non ha impedito l’azione violenta e terroristica dei settori più fanatici dei coloni, legittimando con tale critica l’esistenza delle colonie i cui membri non siano troppo violenti, mentre  è l’esistenza stessa delle colonie ad essere illegale.

 

P.C. Sembra la stessa ambiguità che si ritrova nelle manifestazioni israeliane contro Netanyahu

U.G. Infatti la tesi n.7 è dedicata proprio all’Israele che lotta, quello progressista e pluralista. Indubbiamente esiste questa realtà ma la lotta riguarda solo gli interessi della popolazione ebraica. Non a caso si sono viste grosse manifestazioni per la riforma della giustizia, ma non certo per i diritti violati dei palestinesi. La tesi n.7 dice che il 69% dell’opinione pubblica chiede un accordo per il rilascio degli ostaggi, ma non dice che il 72% della popolazione appoggia la criminale idea della deportazione della popolazione di Gaza. E la percentuale include certamente anche parte della componente di sinistra degli israeliani. Le voci ebraiche di dissenso sono presenti più all’estero che in Israele, tanto che questa diminuzione di appoggio verso il Paese che pretende di essere lo Stato di tutti gli ebrei del mondo preoccupa i sionisti. E dire sionisti non è casuale, infatti la tesi n.8 rivendica il diritto del sionismo nella sua dimensione di movimento di liberazione nazionale e sociale degli ebrei e critica coloro che ne parlano come una forma di colonialismo di rapina. In effetti è riduttivo definirlo colonialismo di rapina in quanto si tratta  di colonialismo d’insediamento, ben più grave visto che mira non solo ad appropriarsi delle ricchezze di un territorio ma anche all’eliminazione dei nativi. Questa tesi ricorda l’esperienza dei kibbutzim, ispirata a un solidarismo di matrice laburista, basata sui principi di cooperazione, lavoro, giustizia ed eguaglianza. Ma è solo il mito. La realtà è stata ben diversa: il kibbutz seguiva una ideologia coloniale, socialista al suo interno ma con discriminazioni razziste verso i palestinesi e, talvolta, anche verso gli ebrei mizrahi, cioè quelli mediorientali e magrebini. La tesi n. 8 rivendica il sionismo ed evita di ricordare che i kibbutzim sono stati costruiti sulle macerie dei villaggi palestinesi distrutti. Tutto questo ha ben poco a che vedere con il solidarismo laburista, men che meno con il principio di uguaglianza ma, come affermato dalla ministra israeliana di orientamento nazista  Ayelet Shaked, “L’uguaglianza è un pericolo per lo Stato ebraico”.

 

P.C. E dopo questa tesi che altro ci possiamo aspettare?

U.G. Beh, la tesi n. 9 nega ad Hamas la qualifica di forza della resistenza e auspica una nuova leadership palestinese legittimata dal consenso popolare, ignorando volutamente che è stato proprio il partito Hamas ad avere consenso popolare vincendo le ultime elezioni. Sinistra per Israele è consapevole del discredito di cui gode l’Autorità nazionale palestinese ma si guarda bene dal richiedere l’inserimento di Marwan Barghouti, militante di Fatah capace di unire le due fazioni rivali, tra i prigionieri da rilasciare nello scambio con gli ostaggi, cosa peraltro richiesta da Hamas. L’auspicata nuova leadership, si dice, deve emergere tramite elezioni generali e libere. Le elezioni generali e libere che  si svolsero 2006 in Palestina, come detto sopra,  videro la vittoria di Hamas non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania. La tesi n. 9 ricorda che negli anni “90 esisteva nella società civile politica palestinese una élite laica e pragmatica. Osservo che questa società laica e pragmatica sarebbe stata anche più vasta se Israele non avesse per anni praticato l’assassinio o la deportazione dei dirigenti politici e sindacali palestinesi, i cosiddetti “deportees” da me in una occasione visitati nel carcere di Nablus: tutti giovani sui 30 anni destinati all’espulsione senza alcuna accusa se non il loro impegno politico.

 

P.C. Negare la qualifica di forza della resistenza era scontato, altrimenti resta senza soggetto  l’aggettivo “terrorista”. Circa l’ultima tesi cosa ci vuoi dire?

U.G. La tesi n. 10 riguarda l’antisemitismo e ripropone, in modo leggermente sfumato, l’equiparazione tra antisionismo e antisemitismo. Non è citata la definizione elaborata dall’IHRA (international holocaust remembrance alliance) oggetto di severe critiche anche da parte di ampi settori della comunità ebraica mondiale, ma neppure si cita la Dichiarazione di Gerusalemme  che ne rappresenta una parziale modifica utilizzando cinque esempi di comportamenti non antisemiti come le critiche al sionismo e allo Stato di Israele o il BDS come forma legittima di protesta politica. Come si spiega, allora, l’inserimento della definizione dell’IHRA nello statuto dell’associazione che all’art. 4 afferma l’adesione “alla completa definizione dell’IHRA con tutti gli esempi inclusi” tra cui, appunto, l’equiparazione tra antisionismo e antisemitismo? Inoltre, nella tesi n.10 si parla di uso improprio della categoria di genocidio per quanto è in corso a Gaza.

 

P.C. Contraddizione o voluta manipolazione?

U.G. Per capirlo è necessario valutare i 5 compiti che dovrebbero dare concretezza alle 10 tesi: innanzitutto battersi all’interno della sinistra italiana per contrastare ogni forma di pregiudizio antiisraeliano per perseguire l’obiettivo dell’affermazione del diritto ad esistere di Israele come Stato ebraico “e democratico” a fianco di uno Stato palestinese. Secondo compito, superare la diffidenza tra la sinistra e l’ebraismo italiano. In proposito si afferma : “ è un dato di fatto che non pochi ebrei italiani oggi si sentano più rappresentati dalle forze politiche che si dichiarano vicine alle scelte compiute dal governo israeliano”. Si avverte un certo pudore nell’incapacità di affermare esplicitamente che la larga maggioranza dell’ebraismo italiano è orientato a destra, quella destra ora anche di governo in Italia e che è molto vicina e solidale alla estrema destra al governo di Israele. Lo storico ebreo israeliano Zev Sternhell, ben prima del genocidio in corso e delle dichiarazioni razziste dei vertici politici israeliani, ha affermato: “ in Israele cresce non solo un fascismo locale ma anche un razzismo vicino al nazismo ai suoi esordi”. Esistono realtà ebraiche dissidenti come i sottoscrittori del recente appello “Ebree ed ebrei italiani dicono no alla pulizia etnica” raccolti sotto le sigle del “Laboratorio ebraico antirazzista” e di “Mai indifferenti, voci ebraiche per la pace”. Il timore è che, così come le residue realtà “pacifiste” israeliane, queste sigle rappresentino, pur con alcuni limiti, una coraggiosa ed apprezzabile testimonianza, ma siano ininfluenti sul piano politico.

 

P.C. Non hai speranza che queste voci possano avere ascolto?
U.G. Sai, a sei mesi dalla nascita di Israele, il 2 dicembre 1948, 28 intellettuali ebrei tra i quali Albert Einstein e Hannah Arendt inviarono una lettera alla redazione del New York Times per denunciare la deriva fascista imposta dal futuro primo ministro Menachem Begin alla natura dello Stato israeliano. Vi si legge: “ Fra i fenomeni più preoccupanti dei nostri tempi emerge quello relativo alla fondazione nel nuovo Stato di Israele del partito della libertà, un partito politico che nell’organizzazione, nei metodi, nella filosofia politica e nell’azione sociale appare strettamente affine ai partiti nazista e fascista. È stato fondato fuori dall’assemblea e come evoluzione del precedente Irgun Zvai Leumi, un’organizzazione terroristica, sciovinista, di destra ……….. Le confessioni pubbliche del signor Begin non sono utili per capire il suo vero carattere. Oggi parla di libertà, democrazia e antimperialismo mentre fino ad ora ha apertamente predicato la dottrina dello Stato fascista. È nelle sue azioni che il partito terrorista tradisce il suo reale carattere, dalle sue azioni passate noi possiamo giudicare ciò che farà nel futuro. Un esempio scioccante è  stato il loro comportamento nel villaggio arabo di Deir Yassin…….. Il 9 aprile bande di terroristi attaccarono questo pacifico villaggio che non era un obiettivo militare uccidendo la maggior parte dei suoi abitanti (240 tra uomini, donne e bambini) e trasportando alcuni di loro come trofei vivi in una parata per le strade di Gerusalemme……… All’interno della comunità ebraica hanno predicato un misto di ultranazionalismo, misticismo religioso, superiorità razziale.”

Nonostante questa durissima e autorevole denuncia, Begin farà carriera sino a divenire Primo Ministro di Israele dal 1977 al 1983. Nel 1973 lascerà il Partito della Libertà e fonderà il Likud, il partito di Netanyahu attualmente al governo. Nel 1978 fu addirittura insignito del premio Nobel …per la pace! Il cerchio così si chiude. Continuità assoluta dal 1948 al 2025.

 

P.C. E cosa pensi che faccia Sinistra per Israele, al di là delle tiepide critiche al governo di destra e ultra destra, visto che non riesce neanche a riconoscere il genocidio e la pulizia etnica in corso ?

U.G.  Sinistra per Israele ha modificato il proprio nome in “Sinistra per Israele – due popoli due Stati” per evidenziare quello che è il suo obiettivo. Per dare concretezza e rendere credibile la propria azione, dovrebbe quantomeno indicare tappe intermedie che conducano a quello che chiamano orizzonte. Ad esempio: Sinistra per Israele dice di battersi per il ripristino della legalità internazionale. E come lo fa? Chi l’ha visto? potrebbe cominciare, per esempio, col chiedere un programma concreto di ritiro dei coloni dai territori occupati: 10.000 entro il 2025; 50.000 entro il 2026 e così via sino agli attuali 700.000. Non ha senso chiedere uno Stato di Palestina sovrano senza liberare il territorio dagli occupanti, peraltro fuorilegge. Solo con un programma concreto si rende credibile un’idea che altrimenti resta solo un orizzonte lontano e, forse, utile a guadagnare  tempo e realizzare una completa pulizia etnica. Il dubbio è legittimo e non va confuso con l’antisemitismo, tanto più che  il vero antisemitismo, quello mai sopito, si annida in una destra mondiale di cui il governo di Israele a pieno titolo fa parte e di cui fanno parte realtà islamofobiche, razziste e violente. Ebraiche e non. E questo, il congresso di “Sinistra per Israele-due popoli due Stati” lo sa, ma non ha trovato spazio nelle sue 10 tesi.

 

P.C. Un’ultima domanda a margine delle osservazioni sulle 10 tesi. Come ha reagito Sinistra per Israele allo spregio per la Corte Penale Internazionale mostrato dall’ungherese Orban accogliendo con tutti gli onori il carnefice di Tel Aviv che invece avrebbe dovuto arrestare?

U.G. Se una reazione c’è stata è rimasta segreta. Sinistra per Israele vuole la caduta di Netanyahu, uomo di destra, che nel suo blog definisce “Orban prima che lo fosse lo stesso Orban” ma non mi risulta sia stata presa alcuna posizione ufficiale circa lo spregio verso la CPI. Sinceramente sarei rimasto stupito del contrario!



* Ugo Giannangeli avvocato penalista, impegnato da sempre nel sociale, prevalentemente sui temi del carcere, della pena, della repressione delle lotte sociali e della solidarietà internazionale, in particolare a sostegno della resistenza del popolo palestinese. Osservatore internazionale al processo nel 2002 contro Marwan Barghouti e alle elezioni del 2006 in Palestina. Ha contribuito alla stesura del libro “Palestina” della collana “Crimini contro l’umanità” e alla riedizione nel 2018 del libro “Coi miei occhi” di Felicia Langer, entrambi editi da Zambon.  Ha contribuito alla nascita del movimento “ No M346 ad Israele” e del “Forum contro la guerra” di Venegono. Collabora con la Scuola dei diritti umani di Como.

da qui






Nessun commento:

Posta un commento