(traduzione di Silvia Pareschi)
quattro racconti di Shirley Jackson, di cui tre ispirati dai figli.
sono racconti misteriosi, come capita alla scrittrice, con un colpo di scena finale da maestro (da maestra?).
povero chi non li legge:)
buona lettura.
Tre dei racconti
qui riuniti hanno come protagoniste quelle creaturine infide, pericolose,
enigmatiche che Shirley Jackson conosceva molto bene per aver cresciuto quattro
«demoni», come chiamava – scherzosamente ma non troppo – i figli. Un bambino
che, viaggiando in treno, vede streghe ovunque, e non è detto che non abbia
ragione. Una ragazza che, sotto gli occhi di un presunto adulto un po’
alticcio, sfoggia un sapere e una saggezza apocalittici, mentre nella stanza
accanto gli invitati a una festa sproloquiano sul futuro del mondo: «Non credo
proprio che abbia molto futuro,» sentenzia con placido e inquietante distacco
«almeno per com’è adesso ... Se quando lei era giovane la gente si fosse
spaventata davvero, oggi non saremmo messi così male». E uno scolaretto che ne
combina di tutti i colori, forse invisibile ma non per questo assente, come
diceva sant’Agostino dei defunti, benché il marmocchio in questione sia vivo e
vegeto. Tre boîtes à
surprise con le quali Shirley Jackson suscita, a partire dal candore
arcano dei ragazzi, sorrisi e brividi glaciali in egual misura. Senza
rinunciare a condurci, al seguito di una donna che deve farsi estrarre un
molare, nel suo territorio d’elezione: quella zona d’ombra ai confini della
follia dove le cose note perdono i loro connotati familiari e appaiono estranee
e perturbanti, dove un luciferino sconosciuto, materializzatosi dal nulla al
nostro fianco, può prenderci per mano e, in un battito di ciglia, portarci a
correre sulla sabbia calda, mentre le onde «tintinnano come campanelli sulla
spiaggia» e «i flauti suonano tutta la notte».
…Tutti
e quattro i racconti riescono a descrivere diversi aspetti della vita
quotidiana, da quella ingenua dei bambini alla routine degli adulti, e,
contemporaneamente, il sentimento di inquietudine che proprio quella
quotidianità suscita. A questo punto chiediamoci: che cos’è la quotidianità?
È uguale per tutti? Possiamo considerarla sinonimo di normalità? Per
Shirley Jackson ovviamente no! Lei ci descrive i lati più torbidi della vita,
una vita che riesce ad essere assurda e destabilizzante anche nelle attività
all’apparenza più ordinarie, come se avesse deciso di raccogliere le paure, le
angosce, le ossessioni e le bizzarrie di tutto il genere umano, qui unite in
brevi e profondissimi scritti…
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