mercoledì 3 luglio 2024

La città dei vivi – Nicola Lagioia

Marco e Manuel ammazzano Luca, in modi orribili.

Nicola Lagioia ricostruisce tutte le vicende che ruotano intorno al fatto, dati causa e pretesto, in una Roma che diventa sfondo e protagonista della storia.

quello che sconvolge nella lettura (e nella scrittura) del romanzo è che non ci sono ruoli definiti per l'eternità, ma vittime e carnefici potremmo essere ciascuno di noi, in una sadica e casuale lotteria della vita e della morte.

Nicola Lagioia inizia a seguire la storia dopo un po' dal momento dei fatti, e però non lascia niente d'intentato per riuscire a ricostruire l'indicibile.

ps: il libro ricorda a tratti A sangue freddo (di Truman Capote).

 

 

 

Il male, dunque, è parte dell’esperienza umana, difficile da spiegare, ma da accettare. Il male travolge tutti come un fiume in piena, non risparmia nessuno, né Lagioia, né Foffo e Prato, né chi legge il romanzo. Nessuno, nemmeno l’autore, sembra in grado di giudicare il male: si può solo comprendere il fatto che dalla parte dei carnefici potremmo esserci anche noi, e che il male è qualcosa di più grande di noi che non possiamo controllare. Ciò che resta è la letteratura che, come dichiara Lagioia in un’intervista, è antidoto che «rimette in campo fragilità e debolezze che nel discorso pubblico non sono più ammesse». Quella della letteratura, alla fine, è la giustizia più alta: quella che ci aiuta ad accettare la nostra debolezza e a comprendere «i complicati principî di rotazione e rivoluzione, la gigantesca macchina che ci fa nascere e ci riduce in polvere»…

da qui

 

…L’indagine puntigliosa di Lagioia riesce ad essere neutrale pur utilizzando la compassione come strumento conoscitivo. Rifiuta ogni giudizio sulla vittima, che in quanto tale è ingiudicabile (molti giornalisti, al contrario, hanno sottolineato come Varani fosse solito prostituirsi occasionalmente, come se questo potesse renderlo meno innocente). Messi davanti ad un omicidio come questo, viene spontaneo pensare all’ingenuità di Luca, attirato nella casa dei suoi carnefici, e chiedersi: “potrebbe succedere anche a me?”. Lagioia ci invita a invertire la rotta, a riconoscere l’umanità dei carnefici: due ragazzi normali, improvvisamente posseduti, ma non per questo meno colpevoli. La domanda da porsi, quindi, quel “potrebbe succedere anche a me?” andrebbe fatta pensando al raptus omicida di Manuel Foffo e Marco Prato. Ricordiamo che Manuel è stato condannato a trent’anni di carcere, mentre Marco (tragedia nella tragedia) è morto suicida in carcere.

Roma è l’altra grande protagonista del libro: la sua incontestabile bellezza è tutt’uno con la sua incontestabile abiezione. La città eterna è quella che, più di ogni altra, non ha la concezione del passare del tempo. Gli uomini passano, mentre passato, presente e futuro perdono ogni significato. Roma è lerciume, immoralità, grettezza, e allo stesso tempo il suo splendore è indiscutibile. Lagioia la descrive come una malattia, da cui lui stesso si ritiene contagiato. Le pagine sono permeate da un senso di sporcizia, che sfogliando le pagine sembra entrarci sotto le unghie, nelle dita, ci invade.

da qui

 

 

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