I Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) saranno determinanti per la
sorte non solo dell’autonomia differenziata ma di quel federalismo fiscale che
perfino la Banca d’Italia critica giudicandolo pericoloso per la tenuta dei
conti dello Stato in presenza di un debito pubblico sempre più alto. I Lep sono
giudicati una sorta di compromesso con quanto resta della Carta la cui
dissoluzione è stata avviata con la revisione del titolo V sotto il governo del
centro sinistra.
Non parliamo solo dei diritti civili da salvaguardare su tutto il
territorio nazionale ma dei diritti sociali che ormai sono ridotti al lumicino,
istruzione, salute e sanità dovrebbero rappresentare un insieme di diritti da
tutelare erga omnes, se parliamo di prestazioni sociali dovrebbe essere lo
Stato, e non le regioni, a garantirne l’erogazione senza alcuna differenza su
base territoriale.
Ora in teoria l’autonomia differenziata non avrebbe dovuto riguardare
materie rilevanti e attinenti ai diritti civili e sociali ma sono proprio
queste materie ad essere oggetto di spasmodica attenzione perché rappresentano
uno snodo determinante per far passare la contro riforma. Esistono ragioni
economiche e politiche molto forti alla base della rivendicazione di alcune
regioni di gestire direttamente materie fino ad oggi di competenza statale, questa
richiesta altro non è che la conseguenza di quella ideologia federalista
alimentata da interessi economici e finanziari presenti nelle aree geografiche
più forti del paese.
Ci sono ben 14 materie la cui gestione è demandata alle Regioni previa la
definizione dei Lep che dovranno essere determinati dallo stesso Governo.
Ma siamo certi che il federalismo fiscale e una competenza assoluta delle
regioni su innumerevoli materie non siano invece la premessa per aggirare in
sostanza questi livelli minimi?
Del resto la legge prevede un sistema alquanto farraginoso proprio per la
definizione dei Lep e uno Stato privo dei poteri che li competono sarà in grado
di farlo assicurando a ogni cittadino italiano i medesimi diritti?
I diritti sociali saranno determinati da commissioni tecniche e non da
principi assoluti, in questo modo perfino i pronto soccorso un domani
potrebbero essere a pagamento adducendo la motivazione della sostenibilità
economica, tanto che gli stessi Lep dovranno essere sempre e comunque compatibili
con gli equilibri di bilancio e i fabbisogni standard decisi a tavolino senza
alcuna verifica sulla loro reale efficacia.
La scelta del federalismo fiscale è in sintonia con i patti di stabilità e
il contenimento della spesa pubblica, a mero discapito dei diritti sociali, del
resto gli stessi Lep sono strettamente connessi con tutti i meccanismi di
finanziamento delle cosiddette funzioni fondamentali relative ai livelli
territoriali di governo. Il calcolo dei costi standard sarà una ulteriore trappola
perché molto dipende dalla composizione anagrafica della popolazione, dal loro
reddito e anche dalla ricchezza del territorio visto che le aree con minore
capacità fiscale potrebbero anche trovarsi in condizioni talmente precarie da
indurli a tagliare i servizi. E non è sufficiente, almeno per noi, parlare di
meccanismi perequativi a favore delle regioni meno ricche perché dentro un
modello federale le spinte all’egoismo dei ricchi diventano preponderanti.
La definizione dei Lep dovrebbe assicurare poi un nucleo minimo di servizi
essenziali a tutela dei diritti civili e sociali, è proprio questo nucleo
minimo ad indurci a serie preoccupazioni perché una area geografica ricca potrà
aggiungere servizi e prestazioni superiori che poi magari scopriremo essere semplicemente
in linea con i reali fabbisogni, al contrario una area depressa potrà erogare
servizi assai inferiori e del tutto inadeguati.
E ogni intervento perequativo dovrà superare le colonne d’Ercole della
appropriatezza e della efficienza delle prestazioni anche in relazione alle
risorse economiche disponibili, se ad esempio il Bilancio dello Stato dovrà
effettuare qualche riduzione di spesa è scontato che a rimetterci saranno
proprio i diritti sociali e le somme da devolvere alle aree depresse.
E, ironia della sorte, ogni Regione potrà accrescere a suo piacimento
le tasse, o anche a ridurle, con un sistema fiscale sempre più caotico e
approssimativo.
Perfino il quotidiano confindustriale mette in guardia il Governo
dall’autonomia differenziata, lo invita ad andare avanti ma salvaguardando
livelli minimi ed essenziali delle prestazioni, ora ammesso che ciò sia
possibile resta innegabile che autonomia differenziata e federalismo fiscale
rappresentino sic et simpliciter una minaccia all’insieme dei diritti sociali.
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