E’ un periodo in cui vedo una carica di odio profondo tra persone diverse che spesso mi stanno individualmente simpatiche.
Anzi, l’eliminazione
del Nemico diventa motivo stesso di impegno: recentemente, avevo pensato di aprire una mail con
un bel server volontario e libero, poi ho rinunciato quando ho visto che per
farlo, dovevo soddisfare tre condizioni: essere antifascista, antirazzista e antisessista. Pro qualcosa no, eh?
Ovviamente è lo stesso dall’altra parte; anzi dalle mille altre parti.
Perché nulla unisce la maggioranza che non è di sinistra, se non l’antipatia per chi rappresenta la Sinistra.
Eppure ovunque ci sarebbero timide idee interessanti, umanità vive,
esperienze immediatamente calpestati sotto gli stivaloni dei reciproci insulti.
Per cui è stato con grande sollievo che ho letto questa riflessione di Paul
Kingsnorth, storico attivista ambientalista inglese, poeta, saggista,
contadino, studioso di mitologia e mille altre cose.
Che esprime molto meglio di me, ciò che provo.
di Paul Kingsnorth
Oltre la rivoluzione
La mattina
uscii presto a pregare sotto gli alberi. La luce del sole scendeva attraverso
le betulle. Gli insetti erano impegnati da ore. Faceva ancora freddo. Tutte le
preghiere dovrebbero essere così. Come per la poesia, qui non si crea nulla.
Qualcosa arriva, se si è fortunati, e qualcosa viene offerto. Si vaga nel
freddo sole del mattino e anche questa è la vita, forse una buona descrizione.
A volte, i saggi possono sorvolare sull’inciampo e sul vagabondaggio. Mi sembra
che tutto il nostro mondo sia stato costruito per evitare che si possa
inciampare o vagare. Nessuno vuole perdersi. Impedire che ci si perda è lo
scopo della Macchina. È per questo che ci piace. È per questo che,
pezzo dopo pezzo, giorno dopo giorno, parola dopo parola, ci sta uccidendo
lentamente.
Scambiare il
significato con il controllo: questo era il patto. Scambiare la bellezza con
l’utilità, le radici con le ali, il tutto con le parti, la perdita, il
vagabondaggio e l’inciampo con la marcia dritta verso la meta. Questo era il
patto. Si è scoperto che era una trappola, e ora guardateci. Guardate tutto
quello che sappiamo e quanto poco riusciamo a vedere. Guardateci qui, mentre ci
dimeniamo, annaspiamo, ansimiamo mentre affondiamo nei numeri e nelle parole.
Come ne
usciremo?
Uno dei motivi per cui ho iniziato questi saggi, due
anni fa, era che volevo capire cosa stesse succedendo con le “guerre culturali”
che imperversavano in tutto l’Occidente. Essendo stato coinvolto
anch’io nel fuoco incrociato, volevo sapere perché queste lotte stavano
avvenendo, da dove provenivano le divisioni, perché le cose sembravano
frammentarsi così velocemente. Da quando ho iniziato a scrivere, la
frammentazione è diventata più rapida, ma continuo a pensare quello che pensavo
allora: che le guerre culturali siano una manifestazione superficiale di una
spaccatura molto più profonda nella psiche dell’Occidente moderno. Si ha una
guerra culturale solo quando non si ha più una cultura.
Ma le guerre
culturali continuano, e allora come oggi i campi sono ben definiti. Da un lato,
la tribù “woke” – quel curioso agglomerato di capitale internazionale e
di élite progressiste che si spaccia per una rivolta dal basso – lavora
per invertire
la cultura e si
scaglia contro tutto ciò che il luogo è sempre stato o ha rappresentato. In
risposta, la tribù “basata” si solleva per “difendere l’Occidente”, ma non
riesce mai a mettersi d’accordo su cosa stia difendendo. Che cos’è questo
“Occidente”, dopo tutto? È una patria etnica, una religione, un insieme di
principi, un particolare modello economico o sociale, o qualche altro modo di
vedere o di essere? Nessuno sembra essere d’accordo.
Osservando
la continua demolizione dei pilastri della mia cultura, a volte, nei miei
momenti peggiori, sono tentato di unirmi ai difensori dell’Occidente nel loro
lavoro. Ma quando mi calmo, mi ricordo che quei pilastri sono comunque
per lo più marci e che anche coloro che li attaccano, per quanto possano essere
talvolta ripugnanti, non hanno del tutto torto. Qualcosa è andato storto in
questo “Occidente”, e coloro che ne sottolineano i crimini del passato stanno
cercando di raggiungere qualcosa che forse nemmeno loro riescono a mettere a
fuoco.
Come i
saggisti che cercano di andare al nocciolo della questione, o i poeti che si
affannano a togliere il dettato, a volte si ha l’impressione che tutti gli
scontenti della nostra disgregazione in corso, da qualunque parte pensino di
stare, siano motivati dallo stesso senso di perdita o di confusione che la modernità
della Macchina ha creato strappandoci tutti dai nostri ormeggi. I populisti di
destra che si ribellano agli insetti e ai baccelli, e quelli di sinistra di
Extinction Rebellion che fermano il traffico perché vogliono fermare la
Macchina, vengono abitualmente presentati come opposti, ma a me sembrano
manifestazioni della stessa frustrazione. I progressisti che inveiscono contro
la “bianchezza” e i tradizionalisti che rifiutano di essere imprigionati in una
città di quindici minuti stanno prendendo una posizione stranamente consonante
contro la stessa cosa: un futuro razionalizzato, profittatore e disumano che
sentono chiudersi su di loro senza alcuna via di fuga.
Quindi, se
mi chiedete di aiutare a “difendere l’Occidente” ora, vi risponderò che,
sebbene questo luogo sia la mia casa e la casa dei miei antenati, non posso
evitare la realtà che questo “Occidente” ha partorito la Macchina e sta
costruendo quel futuro disumano. Qualcosa nel nostro modo di vedere conteneva
un seme che ha disfatto il mondo. Sono due anni che esamino questo seme. Voglio
che cresca? No, voglio sradicarlo. Voglio dire che questo “Occidente” non è una
cosa da “conservare”: non ora. È una cosa da superare. È un albatros intorno al
nostro collo. Ostacola la nostra visione. Ci appesantisce.
A volte
bisogna sapere quando lasciarlo andare.
L’Occidente
è diventato un idolo, una sorta di immagine statica di un passato che forse è
stato, ma che ora è abitato da una nuova forza: la Macchina. L’Occidente oggi
pensa con i numeri e le parole, ma non sa scrivere poesie per salvarsi la vita.
L’Occidente è il regno di Mammona. L’Occidente mangia il mondo e mangia se
stesso per continuare a “crescere”. L’Occidente conosce il prezzo di tutto e il
valore di niente. L’Occidente è esausto e vuoto.
Forse,
allora, solo forse, dobbiamo lasciare che “l’Occidente” muoia.
Lasciarlo
morire perché noi possiamo vivere.
Forse
dobbiamo lasciare che questo concetto cada. Lasciarlo crollare per poter vedere
cosa c’è sotto. Smettere di “lottare” per preservare qualcosa che nessuno sa
nemmeno definire, che ha perso da tempo il suo cuore e la sua anima. Smettere
di aggrapparsi alla fiancata dello scafo che affonda mentre la banda suona.
Abbiamo colpito l’iceberg molto tempo fa; deve essere giunto il momento,
finalmente, di smettere di aggrapparsi al metallo mutevole. Lasciarsi andare e
iniziare a nuotare, verso il luogo in cui la luce gioca sull’acqua. Proprio là
fuori. Lo vedete? Al di là, proprio al di là. C’è qualcosa che ti aspetta là
fuori, ma devi muoverti per raggiungerlo. Bisogna lasciarsi andare.
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