Il 7° Rapporto della Fondazione Gimbe lancia l’allarme sul futuro del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). I dati su carenza di personale, disparità territoriali e spese sanitarie sempre più a carico delle famiglie evidenziano una situazione di emergenza nazionale. In sintesi: 4,5 milioni di persone hanno rinunciato alle cure nel 2023, di cui 2,5 milioni per motivi economici; c’è un divario di 889 euro di spesa sanitaria pubblica pro capite rispetto alla media dei Paesi OCSE in Europa per un totale di 52,4 miliardi di euro; tra il 2010 e il 2019, sono stati sottratti 37 miliardi di euro alla sanità pubblica, compromettendo gravemente il sistema; la spesa diretta delle famiglie è aumentata del 10,3% solo nel 2023. L’accesso alle cure è sempre più difficile per milioni di italiani e ciò mette a rischio i principi di universalità ed equità sanciti dalla Costituzione.
Il 23
dicembre 1978 il Parlamento approvava a larghissima maggioranza la legge 833
che istituiva il SSN in attuazione dell’art. 32 della Costituzione. Un radicale
cambio di rotta nella tutela della salute delle persone, un modello di
sanità pubblica ispirato da princìpi di universalismo, uguaglianza ed equità,
finanziato dalla fiscalità generale, che ha permesso di ottenere eccellenti
risultati di salute, che tutto il mondo continua a guardare con ammirazione e
che ci ha permesso di superare gli anni bui della pandemia.
Ma oggi
la tenuta del SSN è prossima al punto di non ritorno e riguarda 60
milioni di persone: non a caso tutti i sondaggi testimoniano che la sanità è
diventata la priorità del Paese. Infatti, i princìpi fondanti del SSN sono
stati traditi e numerosi problemi condizionano la vita quotidiana delle persone,
in particolare delle fasce socio-economiche più deboli: interminabili tempi di
attesa, affollamento dei pronto soccorso, impossibilità a iscriversi a un
medico o un pediatra di famiglia vicino casa, inaccettabili diseguaglianze
regionali e locali, migrazione sanitaria, aumento della spesa privata e
impoverimento delle famiglie sino alla rinuncia alle cure.
Oggi il
collasso del SSN ha già compromesso il diritto alle cure per le fasce
socio-economiche più deboli, per gli anziani fragili e nel Mezzogiorno. Nel
frattempo la percezione pubblica del valore del SSN si è involuta: la
salute non più come un bene da tutelare secondo il dettato costituzionale, ma
come una merce da vendere e comprare. Questa involuzione spiana
inevitabilmente la strada a una sanità regolata dal libero mercato, dove le
prestazioni saranno accessibili solo a chi potrà pagare di tasca propria o avrà
sottoscritto costose polizze assicurative. Che, in ogni caso, non potranno mai
garantire nemmeno ai più abbienti una copertura globale come quella offerta dal
SSN.
Purtroppo, tutti
i Governi degli ultimi 15 anni hanno contribuito, con gravi azioni e
omissioni, al progressivo sgretolamento del SSN. Ma perdere il SSN non
significa solo compromettere la salute delle persone. Significa anche mortificarne
la dignità e ridurre le loro capacità di realizzare ambizioni e obiettivi. È,
pertanto, indispensabile ribadire tre punti fermi. In primis, la
sostenibilità del SSN è innanzitutto un problema culturale e politico: ovvero,
riprendendo le conclusioni del Rapporto Romanow, «il sistema è tanto
sostenibile quanto noi vogliamo che lo sia». In secondo luogo, la perdita di un
SSN pubblico – finanziato dalla fiscalità generale e fondato su princìpi di
universalità, eguaglianza ed equità – provocherebbe un disastro sanitario
economico e sociale senza precedenti. Infine, senza una rapida inversione di
rotta, il “ghiacciaio” continuerà inesorabilmente a scivolare: da un Servizio
Sanitario Nazionale fondato per la tutela di un diritto costituzionale, a 21 Sistemi
Sanitari Regionali regolati dalle leggi del libero mercato.
Questo
rischio deve assolutamente essere scongiurato. Muovono da questa convinzione la
denuncia e le proposte contenute nel Rapporto della Fondazione Gimbe.
Qui il link al testo del Rapporto
da qui
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