Sono andata alla manifestazione per la Palestina a Roma il 5 ottobre. Volevo fare sentire anch'io la mia infinitesimale voce, presenza, vicinanza, al popolo palestinese dopo un anno dal più atroce sterminio della storia, di bambini e donne inermi.
Piccola cosa, lo so. Ho pensato che ognuno di noi è davvero una goccia dell'oceano, e che questa goccia tenace scava la roccia.
Forse, aldilà dei luoghi comuni e delle frasi fatte, volevo solo non sentirmi complice e impotente.
Sapevo della mancata autorizzazione e mi sono chiesta, come tanti altri: perché?
Perché non autorizzare una manifestazione nazionale che vuole il cessate il fuoco, la fine del genocidio, perché non manifestare solidarietà agli Stati che Israele massacra indiscriminatamente, come il Libano, la Siria, lo Yemen, l'Iran?
In tutto il mondo si sono svolte il 5 ottobre enormi manifestazioni per la Palestina.
Perché non in Italia?
Forse perché qualcuno ha suggerito che manifestare contro il genocidio significa essere terroristi e che non è permesso osare di urtare la sensibilità della Comunità israelitica in Italia.
"Siamo antisionisti, non antisemiti" gridavano gli slogan e gli striscioni, in risposta alle preoccupazioni sul "dilagante antisemitismo"
Nonostante il terrorismo preventivo su possibili disordini, centinaia di autobus sono arrivati a Roma (o intercettati in Autostrada) da tutta Italia, fermati e bloccati dalle forze dell'ordine. Nonostante Roma blindata, sciopero dei mezzi pubblici, blocchi alle stazioni, pioggia battente, identificazioni in qualsiasi varco con foto dei documenti, migliaia di persone hanno riempito Piazzale Ostiense.
Oggi abbiamo comunque sperimentato un consistente assaggino del cosiddetto "decreto sicurezza" 1660.
Ma veniamo ai fatti.
Ai fatti che ho visto io.
A quelli che hanno visto i cittadini vicini e lontani da me in piazza, con cui mi sono confrontata.
Intanto, pochissime ore prima delle 14, orario fissato per l'evento, c'è stato un intenso passaparola nelle varie chat, che annunciava un accordo in extremis con la Questura, la quale, "preso atto della marea di persone che riempiva la piazza, ha autorizzato un evento statico a Piramide".
Ho visto migliaia e migliaia di persone, sotto la pioggia battente, bandiere palestinesi e libanesi, slogan NoNato e contro lo Stato sionista e chi lo sostiene.
Quasi tutti giovanissimi, studenti, ma c'era anche Amnesty, c'erano NonUnaDiMeno con le comunità LGBT, c'erano i sindacati di base, c'erano intellettuali, giuristi dei diritti umani internazionali, i Giovani Palestinesi e Assopace Palestina, Arci e decine e decine di associazioni, di famiglie, di anziani e persone disabili in carrozzina.
Se la Questura stima la presenza di almeno 5.000 persone, significa che la piazza piena fino a non potersi muovere ne conteneva molti di più.
La piazza era chiusa dalle forze dell'ordine, presenti anche in borghese ovunque tra la folla.
Dopo due ore di manifestazione totalmente pacifica e tranquilla, qualcuno ha gridato "mettetevi dietro allo striscione, chiediamo di fare un corteo", ma non partiva nessuno.
Alcuni promotori sono andati a parlamentare con la polizia perché fosse permessa una manifestazione.
In quel momento, ho sentito e visto uomini in giacca e cravatta che gridavano a squarciagola negli walkie-talkie: "Tenetevi pronti, ci siamo"
Contemporaneamente, dal nulla, vicino al ponte, sono spuntati giovani ben piantati con tenuta da black block, cappuccio e passamontagna o maschera, che hanno costituito un cordone circolare in un attimo, costringendo me e i miei amici a ripararci sul marciapiede.
Solo professionisti potevano fare questo in una piazza affollatissima con un'efficienza da squadra molto addestrata.
Mi hanno riferito di tatuaggi inequivocabili, militari o fascisti.
Io ho "ammirato" il tatuaggio di una bandiera italiana che avvolgeva caviglie e cosce palestrate.
Ho avuto paura, eravamo molto vicini alla postazione della stampa, che però non so se ha lanciato l'allarme o li abbia almeno fotografati.
Un gruppo della Digos li guardava senza intervenire
È stato proprio in quel momento, con una sincronizzazione da film, che le forze dell'ordine hanno circondato la piazza in assetto antisommossa, impedendo a chiunque di uscire.
Alcuni incappucciati, assenti nelle due ore di manifestazione statica, sconosciuti a tutti e vestiti di nero, hanno lanciato due bombe carta verso la polizia mentre era in corso la trattativa per la concessione di un corteo.
La polizia ha subito risposto, caricando con lacrimogeni, manganelli, idranti.
Pare che sia stato divelto un segnale stradale per usarlo come arma contundente.
Io ho cercato un varco e sono uscita dalla piazza, dopo essere stata respinta da altri due blocchi di polizia.
Volevano criminalizzare e hanno fatto di tutto per riuscirci
Ma questo non deve assolutamente oscurare l'importanza della giornata nazionale di oggi a Roma e il suo messaggio.
Quello che conta è che in migliaia si sono messi in viaggio da ogni parte d'Italia, nonostante il discredito, la strategia della tensione, gli ostacoli oggettivi e psicologici.
Quello che conta è che Piantedosi o un qualsiasi decreto liberticida funzionale al clima di guerra e terrore, non siano in grado di fermare, assoggettare, impaurire.
E, questo, nonostante le divisioni nello stesso ambito delle realtà organizzate palestinesi in Italia, in primis la Comunità Palestinese di Roma e Lazio e poche altre, che hanno accettato di spostare la manifestazione per il 12 ottobre, viste le rimostranze della Comunità israelitica.
Presenti oggi :Udap, (l'Unione democratica arabo palestinese), Giovani palestinesi d’Italia e Api, (l’Associazione dei palestinesi in Italia).
Io credo che sia indispensabile ribaltare la narrazione mediatica su quello che è successo oggi.
Non deve passare la strategia di criminalizzare attraverso infiltrazioni.
Oggi è successo in una manifestazione per la Palestina. Domani, quando ci/vi infiltreranno e caricheranno, (trovando certamente terreno fertile in qualche testa calda in overdose di testosterone), sarà perché licenziano, chiudono ospedali e scuole pubbliche, mandano i nostri figli al fronte, impongono con tagli e razionamenti un'economia di guerra.
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