domenica 26 maggio 2024

Continua l’esecuzione al rallentatore di Julian Assange - Chris Hedges


La sentenza dell'Alta Corte di Londra che permette a Julian Assange di appellarsi all'ordine di estradizione lo lascia languire in condizioni di salute precarie in un carcere di massima sicurezza. Questo è il punto.

La decisione dell’Alta Corte di Londra di concedere a Julian Assange il diritto di appellarsi all’ordine di estradizione verso gli Stati Uniti potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro. Non significa che Julian sfuggirà all’estradizione. Non significa che la corte abbia stabilito, come dovrebbe, che si tratta di un giornalista il cui unico “crimine” era stato quello di fornire al pubblico le prove dei crimini di guerra e delle menzogne del governo statunitense. Non significa che sarà rilasciato dalla prigione di massima sicurezza HMS Belmarsh dove, come ha detto Nils Melzer, il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, dopo aver visitato Julian, viene sottoposto ad una “esecuzione al rallentatore”.

Ciò non significa che il giornalismo sia meno a rischio. I direttori e gli editori di cinque media internazionali – New York Times, Guardian, Le Monde, El Pais e DER SPIEGEL – che avevano pubblicato articoli basati sui documenti diffusi da WikiLeaks, hanno chiesto che le accuse degli Stati Uniti vengano ritirate e che Julian venga rilasciato. Nessuno di questi dirigenti dei media è stato accusato di spionaggio. Questo non elimina la ridicola manovra del governo statunitense per estradare un cittadino australiano, la cui società editrice non aveva la sede negli Stati Uniti, e accusarlo in base alla legge [statunitense] sullo spionaggio. Continua la lunga farsa dickensiana che si fa beffe dei più elementari concetti di giusto processo.

La sentenza si basa sul fatto che il governo degli Stati Uniti non ha offerto sufficienti garanzie che a Julian, nel caso finisse sotto processo negli USA, verrebbero garantite le stesse tutele del Primo Emendamento concesse ad un cittadino statunitense. Il processo di appello è un ulteriore ostacolo legale nella persecuzione di un giornalista che non solo dovrebbe essere libero, ma anche celebrato e onorato come il più coraggioso della nostra generazione.

Sì, può presentare appello. Ma questo significa un altro anno, forse più, in condizioni carcerarie difficili, mentre la sua salute fisica e psicologica si deteriora. Ha trascorso più di cinque anni nella prigione di Belmarsh senza accuse dirette a suo carico. Aveva trascorso sette anni nell’ambasciata ecuadoriana perché i governi del Regno Unito e della Svezia si erano rifiutati di garantire che non sarebbe stato estradato negli Stati Uniti, anche se aveva accettato di tornare in Svezia per contribuire ad un’indagine preliminare che, alla fine, era stata abbandonata.

Il linciaggio giudiziario di Julian non ha mai riguardato la giustizia. Ricordiamo la pletora di irregolarità legali, tra cui la registrazione dei suoi incontri con gli avvocati fatte dalla società di sicurezza spagnola UC Global nei locali dell’ambasciata ecuadoriana per conto della CIA, registrazione che, da sola, avrebbe dovuto vedere il caso buttato fuori dal tribunale perché effettuata in palese violazione del privilegio avvocato-cliente.

Gli Stati Uniti hanno accusato Julian di 17 reati ai sensi della legge sullo spionaggio e di uso improprio di computer, per una presunta cospirazione volta a impossessarsi e poi pubblicare informazioni sulla difesa nazionale. Se verrà giudicato colpevole di tutte queste accuse negli Stati Uniti, rischia 175 anni di carcere.

La richiesta di estradizione si basa sulla pubblicazione nel 2010 da parte di WikiLeaks dei registri di guerra relativi all’Iraq e all’Afghanistan – centinaia di migliaia di documenti classificati, fatti trapelare da Chelsea Manning, all’epoca analista dell’intelligence dell’esercito, che avevano rivelato numerosi crimini di guerra degli Stati Uniti, tra cui le immagini video dell’uccisione di due giornalisti della Reuters e di altri 10 civili disarmati nel video Collateral Murder, la tortura di routine dei prigionieri iracheni, l’insabbiamento di migliaia di morti civili e l’uccisione di quasi 700 civili che si erano avvicinati troppo ai posti di blocco statunitensi.

A febbraio, gli avvocati di Julian avevano presentato nove richieste distinte per un eventuale appello.

L’udienza di due giorni a marzo, alla quale avevo partecipato, era stata l’ultima possibilità per Julian di appellarsi contro la decisione di estradizione presa nel 2022 da Priti Patel, allora Segretario di Stato per gli Affari Interni britannico, e contro molte delle sentenze della giudice distrettuale Baraitser del 2021.

A marzo, i due giudici dell’Alta Corte, Dame Victoria Sharp e Justice Jeremy Johnsonavevano respinto la maggior parte delle argomentazioni del ricorso di Julian. Tra queste, come sostenuto dai suoi avvocati, il trattato di estradizione tra Regno Unito e Stati Uniti, che impedisce l’estradizione per reati politici; il fatto che la richiesta di estradizione era stata presentata allo scopo di perseguirlo per le sue opinioni politiche; che l’estradizione equivaleva a un’applicazione retroattiva della legge (perché non era prevedibile che una legge sullo spionaggio vecchia di un secolo sarebbe stata usata contro un editore straniero) e, infine, che non avrebbe ricevuto un processo equo nel Distretto orientale della Virginia. I giudici si erano anche rifiutati di ascoltare le nuove prove, secondo cui la CIA avrebbe complottato per rapire e assassinare Julian, concludendo – in modo perverso ed errato – che la CIA aveva preso in considerazione queste opzioni solo perché riteneva che Julian stesse progettando di fuggire in Russia.

Ma, lunedi scorso, i due giudici hanno stabilito che è “discutibile” che un tribunale statunitense non conceda a Julian la protezione del Primo Emendamento, violando i suoi diritti alla libertà di parola sanciti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

A marzo i giudici avevano chiesto agli Stati Uniti di fornire garanzie scritte che Julian sarebbe stato protetto dal Primo Emendamento e che sarebbe stato esentato da un verdetto che comportasse la pena capitale. Gli Stati Uniti avevano assicurato la corte che Julian non sarebbe stato sottoposto alla pena di morte, cosa che gli avvocati di Julian avevano, alla fine, accettato. Ma il Dipartimento di Giustizia non era stato in grado di fornire la garanzia che Julian avrebbe potuto presentare una difesa in base al Primo Emendamento in un tribunale statunitense. Una decisione del genere viene presa da un tribunale federale statunitense, avevano spiegato gli avvocati.

Il sostituto procuratore statunitense Gordon Kromberg, che sta perseguendo Julian, aveva sostenuto che, nei tribunali degli Stati Uniti, i diritti del Primo Emendamento sono garantiti solo ai cittadini statunitensi. Kromberg aveva dichiarato che quanto pubblicato da Julian “non era di interesse pubblico” e che gli Stati Uniti non stavano chiedendo la sua estradizione per motivi politici.

La libertà di parola è una questione fondamentale. Se a Julian verranno riconosciuti i diritti del Primo Emendamento in un tribunale statunitense, sarà molto difficile per gli Stati Uniti costruire un caso penale contro di lui, dal momento che altre organizzazioni giornalistiche, tra cui il New York Times e il Guardian, avevano pubblicato il materiale da lui diffuso.

La richiesta di estradizione si basa sull’affermazione che Julian non è un giornalista e non è protetto dal Primo Emendamento.

Gli avvocati di Julian e quelli che rappresentano il governo degli Stati Uniti hanno tempo fino al 24 maggio per presentare una bozza di ordinanza, che determinerà la data dell’appello.

Julian ha commesso il più grande peccato agli occhi dell’impero: l’ha smascherato come un’impresa criminale. Ha documentato le sue menzogne, le violazioni dei diritti umani, le uccisioni di civili innocenti, la corruzione dilagante e i crimini di guerra. Repubblicano o Democratico, Conservatore o Laburista, Trump o Biden, non importa. Chi gestisce l’impero usa lo stesso sporco manuale.

Negli Stati Uniti la pubblicazione di documenti riservati non è un reato, ma, se Julian verrà estradato e condannato, lo diventerà.

Julian gode di una salute fisica e psicologica precaria. Il suo deterioramento fisico e psicologico gli ha provocato un piccolo ictus, allucinazioni e depressione. Assume farmaci antidepressivi e l’antipsicotico Quetiapina. È stato osservato camminare nella sua cella fino a crollare, darsi pugni in faccia e sbattere la testa contro il muro. Ha trascorso settimane nell’ala medica di Belmarsh, soprannominata “ala infernale”. Le autorità carcerarie hanno trovato “metà di una lama di rasoio” nascosta nei suoi calzini. Ha chiamato più volte la linea diretta per i suicidi gestita dai Samaritani perché pensava di uccidersi “centinaia di volte al giorno”.

Questi carnefici al rallentatore non hanno ancora completato il loro lavoro. Toussaint L’Ouverture, che aveva guidato il movimento per l’indipendenza di Haiti, l’unica rivolta di schiavi riuscita nella storia dell’umanità, era stato distrutto fisicamente nello stesso modo. Era stato rinchiuso dai francesi in una cella non riscaldata e angusta e lasciato morire di stanchezza, malnutrizione, apoplessia, polmonite e, probabilmente, tubercolosi.

Il prolungamento della detenzione, che l’accoglimento di questo ricorso perpetua, è il punto. I 12 anni di detenzione di Julian – sette nell’ambasciata ecuadoriana a Londra e oltre cinque nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh – sono stati accompagnati dalla mancanza di luce solare e di esercizio fisico, oltre che da minacce incessanti, pressioni, isolamento prolungato, ansia e stress costante. L’obiettivo è distruggerlo.

Dobbiamo liberare Julian. Dobbiamo tenerlo lontano dalle mani del governo americano. Visto tutto quello che ha fatto per noi, gli dobbiamo una lotta senza quartiere.

Se non c’è libertà di parola per Julian, non ci sarà libertà di parola per noi.

da qui

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