giovedì 16 maggio 2024

Resistere alla distruzione - Gian Andrea Franchi

  

“È andato fino in fondo, ha esaurito le sue possibilità di resistere alla distruzione … si è pienamente realizzato”. Non possono che coinvolgere queste parole di Emil Cioran su Paul Celan, come lui rumeno, scritte dopo il suicidio di quest’ultimo a Parigi, il 20 aprile 1970.

 

Celan, ebreo rumeno, i cui genitori muoiono durante la deportazione nazista, dalla quale lui stesso si è fortunosamente salvato, ha scelto di scrivere in tedesco, invece che nella lingua natale. Questa scelta è un grande gesto di politica culturale – mettendo in forte risonanza cultura e politica – perché distingue la grandezza creativa di una lingua, di una cultura, da chi la stravolge irrigidendola nel più atroce razzismo. Celan ha resistito alla distruzione proprio esprimendosi nella lingua dei distruttori: ha restituito a quella lingua la sua grandezza, separandola dal suo uso razziale, affermandone, invece, l’umana universalità. Ha vinto gli assassini (anche) della lingua. E ha vinto per tutti.

Pensiamo alla densità dei versi di Celan in confronto alla lingua degli scritti o dei discorsi di Hitler, ai secchi ordini mortali urlati dalle SS nei lager… Celan scinde la lingua di Hölderlin e di Goethe dall’uso nazista con un gesto essenziale di salvezza, umana e politica: la lingua tedesca non è razzista – l’essere umano non è solo odio e violenza.

Colpisce questo paradosso tragico: il poeta esprime nella lingua dei persecutori una tragedia personale e storica, in quella perfetta fusione dei due aspetti che è la qualità essenziale del linguaggio poetico – tale proprio per la capacità di mostrare il nesso costitutivo tra l’”intimo” e lo “storico”. In questo modo esprime pienamente la dimensione tragica della condizione umana, ben colta nelle parole di Cioran, che la vita e l’opera del poeta mostrano con una peculiare intensità. Celan si è realizzato nell’esprimere una tragedia che, alla fine, lo ha ucciso, ma consegnandoci le parole adeguate per dirla è andato oltre: ha superato la sua personale tragedia e ha anche comunicato a tutti una speranza, concreta nella potenza dei suoi versi.

La possibile salvezza della condizione umana risiede nella potenza comunicativa, cioè nella effettiva manifestazione del carattere relazionale dell’umano, togliendolo dal suo stravolgimento predatorio diffuso nella violenza dominante.

Questa potenza comunicativa si è espressa finora nell’arte, nella letteratura ma anche in innumerevoli forme sociali creative.

Quest’ordine di riflessioni sembra tanto più significativo in un momento storico nel quale lo Stato d’Israele afferma con violenza genocida che nella storia c’è posto solamente per persecutori o perseguitati: “There is not alternative!”. Fare politica in basso, nella società, creando forme comunitarie, vuole affermare invece che “There is alternative”, che l’essere umano non è solo odio e violenza, a malapena celato sotto la maschera dell’economia.

da qui

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