Le elezioni europee hanno confermato, al di là del dato
numerico, l’egemonia della destra. Il loro esito, inoltre, ha assunto una
rilevanza che va oltre il nuovo assetto dell’Europa. Lo senario politico ne
esce, anche sul versante nazionale, profondamente segnato. All’analisi dei
risultati abbiamo dedicato, nell’immediato, due ampie analisi di Marco Revelli (https://volerelaluna.it/commenti/2024/06/13/elezioni-a-che-punto-e-la-notte/ e https://volerelaluna.it/commenti/2024/06/19/europa-occidente-il-canto-stonato-delle-anatre-zoppe/) e un primo intervento di Livio Pepino (https://volerelaluna.it/controcanto/2024/06/17/dopo-le-europee-la-necessita-di-un-dibattito-senza-reticenze/) teso a mettere sul tappeto alcune questioni aperte. La
situazione interpella, peraltro, anche noi di Volere la Luna e i gruppi e
movimenti che compongono il variegato arcipelago che ci ostiniamo a chiamare
sinistra alternativa. Che fare? La domanda di sempre richiede oggi analisi
particolarmente accurate e risposte all’altezza dei tempi bui che stiamo
vivendo, in cui all’ormai indiscussa vittoria del mercato si affiancano, in
Italia, il consolidamento e di una svolta autoritaria che non tollera dissenso
e, sul piano internazionale, una guerra mondiale “a pezzi” che rischia di
degenerare in guerra nucleare. Abbiamo, dunque, deciso di aprire, sul punto, un
dibattito franco e – lo speriamo – capace di non fermarsi all’esistente e di
individuare nuove modalità e nuove strade da percorrere. Le analisi e le
proposte pubblicate rappresenteranno uno sforzo collettivo ma saranno verosimilmente
assai diverse e impegneranno, per questo, solo i loro autori. Poi, a suo tempo,
forti del confronto realizzato, proveremo a trarre delle conclusioni, magari in
un’iniziativa di carattere nazionale su cui stiamo cominciando a
ragionare. (la redazione)
Credo che il risultato elettorale italiano, in
queste europee 2024, possa costituire una base fondativa per avviare una
riflessione amara e spregiudicata, ma necessaria, e speriamo definitiva, sulle
strategie di emersione politica ed elettorale della sinistra radicale condotte
negli ultimi 25 anni. E da questa trarre alcune indicazioni
alternative che portino fuori dalla minorità e dall’irrilevanza. Com’è noto la
lista Pace Terra e Dignità (PTD), che ha incarnato l’ennesimo tentativo di
creare una formazione politica nuova a sinistra del PD, non è riuscita a
raggiungere il quorum, anche se ha ottenuto, indubbiamente, un dignitoso
risultato. Qui non avanzo giudizi di merito sull’operazione, sulle modalità con
cui è stata formata la lista, sui candidati, la qualità della comunicazione
ecc. Le donne e gli uomini che hanno raccolto le firme e che hanno condotto la
campagna elettorale hanno compiuto uno sforzo gigantesco, con un impegno e una
generosità che è raro vedere altrove. Ad essi, al di là dei risultati, dovrebbe
andare la riconoscenza e il plauso di tutte le persone oneste e libere,
indipendentemente dalle posizioni politiche, perché in questi mesi hanno
diffuso messaggi di verità e di speranza in tutti gli angoli della Penisola.
Fatto tale debito riconoscimento è facile tuttavia prevedere, come
indicano tutte le numerose precedenti esperienze, che anche questa, dopo
l’insuccesso elettorale, ha scarse possibilità di ripresa e sviluppo. Potrei
elencarne analiticamente i motivi, ma in questo momento apparirebbe un
immeritato accanimento. Tale facile previsione spinge a una inevitabile e
onesta domanda: ma tanto lavoro e impegno, tanta fatica e passione, profuse in
questi mesi, non meritavano un esito diverso? Persone come Ginevra Bompiani,
Laura Marchetti, Maurizio Acerbo, Pier Giorgio Ardeni, Angelo D’Orsi ecc. per
limitarmi a poche figure di amici, non meritavano di avere una collocazione nel
Parlamento UE? Certamente lo avrebbero arricchito di voci originali, di
competenze, di nuova energia politica.
Svolgo questo ragionamento per una prima
ragione. Il 9 giugno 2024 per PTD
si è drammaticamente ripetuto quel che è accaduto il 25 settembre 2022 con
Unione Popolare: un gigantesco sforzo sia per la raccolta delle
firme, sia per la campagna elettorale, senza alcun risultato utile. In quel
caso, dopo l’insuccesso, l’ostinata passione di tanti di noi, la buona volontà
e la tenacia di Luigi De Magistris, gli incoraggiamenti venuti da tante parti,
ci hanno spinti a continuare, ma l’esperimento è sopravvissuto solo un anno. Un
anno che è servito ai tanti dotati di senno per fare un’esperienza frustrante,
ma culturalmente liberatoria: la verifica della radicale impraticabilità di un
progetto politico da costruire con i resti dei vecchi partiti del ‘900.Il loro
settarismo congenito, talora l’estremismo intollerante, l’incapacità di
concepire rapporti, avviare dialoghi, alleanze con figure che non abbiano
un’identità di posizione su tutti i temi della lotta politica, impedisce alla
radice la costruzione di qualunque comunità politica larga, che vada oltre la
ristretta cerchia degli incontaminati. Spiace dover collocare in tale ambito
anche tante donne e uomini di Rifondazione Comunista, che pure hanno fatto
tesoro delle tante scissioni da cui provengono, che hanno avuto un ruolo
importante nella campagna elettorale per PTD, ma che rimangono dentro questo
orizzonte progettuale della ricerca di un nuovo soggetto politico.
La seconda ragione della mia critica ai
progetti di formazioni politiche nuove è che esse non possono “nascere dal
basso”: come in tanti predicano con intenzioni di purezza
salvifica rispetto alle formazioni esistenti, soprattutto al PD: la più grave
sventura politica abbattutasi sulla Repubblica dopo Berlusconi. Dal basso, oggi
in Italia, non può nascere nulla. Da decenni le lotte operaie e popolari
in Italia sono poche, isolate, di dimensioni locali, discontinue, senza
risultati rilevanti. Le gloriose maestranze della GKN di Campi Bisenzio fanno
storia nel deserto circostante. Le manifestazioni, pure importanti, organizzate
di tanto in tanto da CGIL e UIL, come scandite da un calendario rituale,
rimangono eventi isolati e senza seguito. E come si fa in tanta inerzia e
debolezza, come si ottiene il consenso e l’adesione alle proprie parole
d’ordine di questa classe operaia? Che cultura hanno gli operai di oggi? È
diffusa a sinistra l’ingenua convinzione che essere operai, disoccupati,
lavoratori precari sfruttati ecc. crei di per sé una coscienza antagonistica e
dunque un atteggiamento politico progressista, se non rivoluzionario. Vecchio e
dibattuto problema. Si dimentica che gli operai di oggi non hanno più in
tasca L’Unità, come negli anni ’60, non leggono il Calendario del Popolo o Noi donne, non frequentano le sezioni del PCI,
insomma non sono più plasmati dalla pedagogia politica e civile del PCI. La
loro cultura è oggi vastamente manipolata dalla pubblicità consumistica, dai
consunti miti leghisti, dalla retorica recriminatoria e dal repertorio
reazionario della destra. È noto che perfino in Emilia non pochi iscritti alla
CGIL votano per la Lega. Dunque, dal basso, organizzando
o sostenendo questa o a quella lotta, con i pochi mezzi organizzativi e
comunicativi che un soggetto politico nascente ha a disposizione, è assai
difficile far nascere qualcosa, se non qualche limitata
esperienza locale, come ce ne sono in gran numero in Italia, ma di cui non
arriva notizia all’opinione pubblica nazionale. E che soprattutto non mettono
capo a una struttura politica e organizzativa stabile.
Se questa via – che è la via storica con cui
si è formato il movimento operaio – è preclusa, non c’è altra strada che quella
della competizione elettorale. Il vicolo stretto che la
sinistra radicale sta provando a percorrere da un quarto di secolo. Ebbene,
siamo al 2024 e dovrebbe apparire ormai chiaro
che tale sentiero non porta in nessun luogo. Provo a elencarne
le ragioni, oltre a quella fondamentale già indicata: vale a dire la
soggettività settaria della militanza politica novecentesca. Soggettività che
purtroppo non vediamo mutata nelle nuove generazioni, le quali si affacciano
all’impegno politico con un di più di individualismo e narcisismo rispetto a
quelle del passato. Chi ha un minimo di frequentazione con la rete sa che in
Italia sono attivi centinaia di raggruppamenti che nutrono il disegno e la
pretesa di diventare formazioni politiche autonome. Potrei dire che alla spoliticizzazione delle masse corrisponde oggi il
protagonismo narcisistico delle avanguardie.
A tale condizione di polverizzazione della soggettività politica si
aggiunge un ostacolo di prima grandezza: il bacino di voti a cui può
attingere una nuova formazione politica, a sinistra del PD, è sempre più
ristretto, sia a causa del numero calante dei partecipanti al voto, sia,
soprattutto, per il presidio esercitato delle forze politiche già esistenti.
Si spera sempre che i nuovi consensi possano arrivare dalla vasta area degli
astenuti. Ma è la più infondata delle speranze. I cittadini, ormai maggioranza,
che non si recano alle urne, disertano perché credono inefficace il loro gesto
democratico, sono convinti che votare non serve a cambiare alcunché della
situazione presente, figuriamoci della loro condizione di vita. Una convinzione
accresciuta dallo svuotamento drammatico che la democrazia anche formale ha subito
nei paesi capitalistici nell’ultimo trentennio. E oggi siamo al punto che
alcuni poteri sovranazionali, dall’UE al Segretario della Nato, lancino
proclami di guerra come se le opinioni pubbliche neppure esistessero. È
evidentissimo, dunque, che la grande massa degli astenuti mai andrà a votare
per una formazione che ogni volta si presenta addirittura con incerte
probabilità di raggiungere il quorum.
Dovremo dunque rassegnarci a cambiare strada.
Ripetere a ogni turno elettorale questo rito doloroso e perdente serve solo a
sfibrare tante forze generose che poi smetteranno il loro impegno politico. Non
esistono più le condizioni. Solo se apparisse sulla scena un grande leader,
dotato di un carisma non comune, visione, grande capacità di lavoro in grado di
unificare un mondo pulviscolare e rissoso, con un paziente impegno di anni,
potrebbe aprire una pagina nuova nella storia della sinistra italiana. Ma la
figura di questo Redentore non si vede all’orizzonte ed è difficile che
qualcuno lo avvisti. Occorre con umiltà prendere atto della realtà così com’è e
non come ci piacerebbe che fosse, farsi consapevoli dell’arretramento
spaventoso che la classe operaia e i ceti popolari hanno subito negli ultimi
decenni, della trasformazione dei partiti politici in raggruppamenti di cordate
elettorali, del trasferimento dei poteri un tempo statali ai centri
internazionali della finanza, della strabordante potenza manipolatoria dei
grandi media, della destra violenta che avanza ecc.
Io credo con convinzione che oggi la strada più utile, e più
fruttuosa in prospettiva di risultati trasformativi è – per chi vuole lavorare
a rendere l’Italia socialmente più giusta, più libera, più pacifica, più verde
e solidale – lavorare all’interno delle due formazioni
politiche a sinistra del PD: il M5Stelle di Giuseppe Conte o Alleanza
Verdi e Sinistra. Non entro nel merito delle difficoltà da
affrontare né dei vantaggi che né deriverebbero, né indico quale a mio avviso
sia la formazione che offre maggiori garanzie di intransigenza sul piano del
perseguimento della pace, dell’impegno sociale, dell’indipendenza dal PD. Mi
limito all’indicazione di metodo. Lavorare all’interno di una organizzazione
stabile, che ha esponenti nel parlamento nazionale ed europeo, oltre che nelle
amministrazioni locali, una qualche presenza sulla stampa e nei media, fornisce
a chi ha qualcosa da dire una possibilità di comunicazione e di influenza
inimmaginabili nelle retrovie della minoranza storica.
Naturalmente si può fare politica in tanti
modi, anche senza affiliarsi ad alcuna formazione ufficiale,
come succede per tanti raggruppamenti esistenti: dai vari movimenti femministi
a quelli ambientalisti. La stessa Pace Terra Dignità potrebbe stabilizzarsi
come un raggruppamento politico-culturale, che continua a organizzare
iniziative per la pace, e a esercitare la sua influenza molteplice sulla
società italiana. Ma occorre avere ben chiaro un orizzonte: a parte la minaccia
di conflitto nucleare globale (che chiuderebbe per sempre tutti i nostri
discorsi), occorre ricordare che l’Italia è scivolata su un piano di declino
drammatico sotto tutti gli aspetti, non ultimo quello della qualità della vita
civile. È assolutamente necessario progettare sin
da ora le alleanze per la cacciata del presente governo alle prossime elezioni
politiche, per impedire la catastrofe di una nuova rovinosa legislatura Meloni
e segnare una possibile svolta. E la sinistra radicale o
sinistra sinistra, come vogliamo chiamarla, non può pensare di farsi viva a
ridosso della competizione elettorale, raccogliendo i cocci dei tanti vasi
rotti e ripetere il vecchio e perdente gioco. Può fare qualcosa subito per
la propria causa e per quella dell’Italia, utilizzando strumenti più
consolidati ed efficaci, imparando a fare politica e a operare con chi ha una
storia diversa dalla propria e anche quando non condivida tutto delle idee del
compagno di lotta.
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