Anche l’Ufficio Parlamentare di Bilancio-upB nel suo
ultimo Rapporto sulla politica di bilancio, giugno 2025 pone
l’accento sulla diminuzione negli ultimi anni dei salari reali, a causa di un
aumento dell’inflazione più rapido rispetto alle retribuzioni nominali:
l’incremento delle retribuzioni nominali orarie tra il 2019 e il 2024 è stato
la metà di quello dei prezzi al consumo.
Non solo, ma l’UPB sottolinea anche il continuo consolidamento del lavoro
povero: Nel periodo successivo alla pandemia, si legge nel documento,
si è registrata una significativa transizione di persone, soprattutto inattive,
verso un’occupazione con bassi salari; i flussi sono stati intensi soprattutto
per donne (53 per cento dei nuovi occupati), giovani e individui con istruzione
elevata.
É soprattutto nel Mezzogiorno che vi è stata l’attivazione maggiore di
nuova occupazione (la quota è superiore di circa 10 punti percentuali rispetto a quella
di chi già lavorava) e nel settore del turismo (alloggio, ristorazione,
trasporti), ma per tale occupazione il ricorso all’uso di contratti a
tempo determinato è stato marcato, in particolare nei servizi legati
al turismo (commercio, servizi di alloggio e trasporti, servizi immobiliari).
L’upB certifica la bassa produttività dell’industria tra il 2020 e il 2024, risultata negativa in
quattro anni su cinque, evidenziando un riassorbimento dell’occupazione in
settori a bassa produttività e bassa remunerazione. Un’analisi
micro-econometrica delle caratteristiche individuali dei lavoratori e delle
imprese, si legge nel Rapporto, indica che l’istruzione ha un ruolo preminente
nello spiegare la produttività marginale. Dei 2,4 punti percentuali di
variazione della produttività nel periodo 2014-23 che il modello spiega, una
quota preponderante è ascrivibile all’impiego di occupati con studi universitari
o superiori, nelle fasce d’età più mature, nelle professioni intellettuali e
nelle imprese grandi. L’istruzione appare come la variabile che maggiormente ha
contribuito all’incremento di produttività sia per il suo forte impatto diretto
sia per l’aumento degli occupati qualificati; al contrario, la diffusione dei
contratti a tempo determinato ha fornito un contributo negativo.
Il Rapporto pone l’accento anche sul drenaggio fiscale nell’ambito
dell’imposta personale sul reddito, evidenziando come l’incremento del
drenaggio fiscale si concentri prevalentemente sui lavoratori dipendenti, anche
se in misura differenziata tra le diverse categorie. Infatti, il maggiore
prelievo per l’insieme degli operai passa da 800 a 942 milioni; quello per gli
impiegati è ancora più marcato, aumentando da 989 a 1.205 milioni.
Particolarmente significativo è l’impatto in termini di incidenza sull’imposta
pagata: la variazione percentuale dell’imposta dovuta al drenaggio fiscale
passa dal 3,2 al 5,5 per cento per gli operai e dall’1,7 al 2,3 per cento per
gli impiegati.
Questi effetti, si legge nel rapporto dell’upB, sono direttamente
riconducibili alle nuove detrazioni introdotte per il lavoro dipendente,
che contribuiscono ad accrescere l’aliquota marginale effettiva. Ciò è confermato
dall’evidenza che le altre categorie di contribuenti, non interessate da tali
modifiche, registrano variazioni del drenaggio fiscale pressoché irrilevanti:
pensionati, autonomi, percettori di redditi da fabbricati e di altri redditi
mostrano infatti incrementi minimi o nulli.
Tale accresciuta sensibilità del sistema 2025 al drenaggio fiscale, da un
lato, aumenta l’elasticità del gettito Irpef agli incrementi nominali del
reddito da lavoro dipendente, con effetti positivi sul bilancio pubblico, dall’altro,
solleva criticità relativamente all’evoluzione in termini reali del reddito
disponibile di questi contribuenti. In un contesto in cui la dinamica
retributiva è risultata già di per sé insufficiente a compensare l’inflazione,
l’intensificazione del prelievo fiscale derivante dall’interazione tra
inflazione e progressività rischia di erodere in misura significativa gli
incrementi nominali delle retribuzioni con rilevanti conseguenze sulla loro
dimensione reale. Inoltre, in generale, anche in periodi di inflazione
moderata, le elevate aliquote marginali in corrispondenza di redditi
medio-bassi, su cui è elevata l’incidenza dei lavoratori dipendenti, rischia di
limitare gli effetti dei rinnovi contrattuali in termini di recupero del potere
d’acquisto, con potenziali ricadute negative sui consumi e sulla domanda
interna.
Il Report svolge, infine, alcune considerazioni di policy sulle modalità di
sostegno dei redditi bassi, sottolineando che se questo è realizzato attraverso
il sistema fiscale piuttosto che mediante strumenti dal lato della spesa,
occorre prestare particolare attenzione al loro disegno e alle conseguenze che
ne derivano.
Interventi come quelli introdotti con la legge di bilancio per il 2025, si
legge nel documento, aumentano la progressività dell’Irpef e accrescono la sua
sensibilità al drenaggio fiscale. A lungo andare, quindi, in assenza di
un’indicizzazione dei parametri, l’effetto combinato dell’inflazione e della
maggiore progressività dell’imposta tende a erodere i benefici che si intendevano
apportare con le misure di sostegno al reddito, rendendole progressivamente
meno efficaci.
Qui il Rapporto: https://www.upbilancio.it/wp-content/uploads/2025/06/UPB-Rapporto-sulla-politica-di-bilancio-2025.pdf.
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