venerdì 28 novembre 2025

Auguro al capitalismo un venerdì Nero - Marco Sommariva

I prossimi tatuaggi saranno dei codici a barre sui dorsi delle mani, così che ogni consumatore possa diventare ciò che più ama, un’inutile merce

Il consumismo celebra la possibilità di stare insieme, condividendo sogni e valori condivisi da quasi tutti, un po’ come quando persone che non si sono sopportate sino a un attimo prima si ritrovano davanti alla TV per tifare la nazionale di calcio.

Il consumismo è qualcosa di molto teatrale, ma in fondo piace anche per questo. È spinto dalle emozioni, questo è vero, ma è evidente che le sue promesse sono raggiungibili: una nuova asciugatrice o un tablet nuovo non sono retorica.

Il mondo consumistico è un enorme amnesia del passato, non ci sono ieri, non ci sono corsi e ricorsi storici, ma soltanto un intenso presente commerciale.

I consumatori corrono da un negozio all’altro. A guardarli sembrano ricchi e contenti mentre si muovono con passo sicuro fra negozi e piccoli supermercati, magari in cittadine senza nome, dove per terra non ci sono giornali svolazzanti né marciapiedi tempestati di chewing-gum, luoghi dove è impossibile prendere in prestito un libro, andare a un concerto, dire una preghiera, consultare gli archivi dell’anagrafe o fare beneficenza.

I centri commerciali, dove file di fari illuminano la notte come luci perimetrali di una colonia di campi di prigionia, sono i nuovi gulag in cui si sconta la pena coi lavori forzati dello shopping e dei soldi da spendere, dove la gente cerca nuovi sogni per controbilanciare l’incubo della propria esistenza vuota.

I consumatori pascolano come docili bovini, tutti portatori sani di un nuovo tipo di odio, silenzioso e disciplinato, un razzismo fatto di tessere fedeltà e codici pin, e di borse e sacchetti della spesa che dondoleranno sotto il naso di chi il pascolo può vederlo solo da lontano.

La società consumistica è la versione soft di uno stato di polizia: crediamo di poter scegliere, ma è tutto già deciso.

I consumatori devono continuare a comprare, se no falliscono come cittadini. Metà delle merci che si comprano al giorno d’oggi sono solo giocattoli per adulti.

Il consumismo può sembrare una cosa pagana, in realtà è l’ultimo rifugio dell’istinto religioso. Un giorno vedremo comunità di fedeli che si raduneranno per adorare le lavatrici, magari all’interno di autosilo, gigantesche e labirintiche costruzioni di cemento a dieci livelli, così da esser certi di trovar parcheggio per le proprie automobili sempre più larghe e più alte.  E non è una bestemmia. Non lo è perché la gente s’annoia, s’annoia a morte, e quando la gente s’annoia a morte tutto è possibile: potrebbero arrivare ad adorare un simbolo matematico o un buco nel terreno.

La gente non fa altro che cambiare il contenuto della propria casa, rimpiazzare le stesse auto e le stesse macchine fotografiche, le stesse cucine di ceramica e gli stessi bagni su misura, e dietro questo folle avvicendamento di merci c’è soprattutto una noia gigantesca.

Le persone sembrano bambini viziati: quando sono stati in vacanza una prima volta si sono così divertiti che tutti i giorni vogliono tornare lì e lì restare per sempre.

Molta gente oggi vive una vita confortevole, ma questa vita l’annoia, e allora chiede regali. Da chi siano acquistati non importa, va bene anche da loro stessi.

La noia porta anche a uccidere, a regalarsi un cadavere.

Tutti i centri commerciali sono uguali. Pieni di gente senza vere e proprie radici. Persone che, quando va bene, sono in grado di entrare in contatto con la realtà soltanto quando s’ammalano. Una classe media di pupazzi la cui finzione è talmente parte integrante della loro vita che l’onestà e la franchezza sembrano loro subdoli stratagemmi, mentre la bugia più sfacciata è quanto più s’avvicina a quella che ritengono la realtà.

Qualcuno è riuscito a far credere ai più tanti che le società sono più felici quando la gente può spendere e non risparmiare, e così siamo ormai prossimi a un consumismo delirante, a una specie di eterna campagna elettorale.

Il consumismo riempie quel vuoto che è alla base delle società secolari. Le chiese sono deserte e la monarchia è naufragata schiantandosi contro la sua stessa vanità. La politica è un caos e la democrazia è soltanto un servizio pubblico come il gas o la luce. Non c’è quasi nessuno che abbia un briciolo di senso civico. La gente ha un enorme bisogno di autorità che soltanto il consumismo può soddisfare. È il consumismo a dare la misura di certi valori: per esempio, il consumismo insegna loro che ogni merce ha un codice a barre a cui corrisponde un prezzo da pagare, un valore, appunto.

Il consumismo è una forma di fascismo soft. Niente passo dell’oca, né stivaloni, ma lo stesso tipo di emozioni e di aggressività. La ragione è andata a farsi benedire, è l’emozione che guida tutto. Ma il puro materialismo non basta. Le persone hanno bisogno di qualcosa di più drammatico, vogliono che le loro emozioni vengano manipolate, vogliono essere presi in giro e blanditi. E il consumismo è proprio quello che ci vuole. Comprare è l’unica vera forma di politica che rimane loro al giorno d’oggi.

La gente accumula capitale emotivo oltre che soldi in banca e ha bisogno d’investire quelle emozioni in una figura di leader. Non ha bisogno di fanatici in divisa che delirino affacciati a un balcone. La gente vuole leader rassicuranti che conducano programmi televisivi con ospiti che parlino con garbo di faccende che la riguardano direttamente, mentre pubblicità e consigli per gli acquisti interrompano con la frequenza di un’offerta speciale, ogni tre per due. Ci stiamo avviando a un nuovo tipo di democrazia dove si voterà alla cassa invece che alle urne.

Il consumismo è lo strumento migliore mai inventato per controllare le persone. Bisognerebbe preparare i ragazzi a questo nuovo tipo di società, una società dove si ha la libertà di parola, ma si è stati ridotti in condizioni tali da non avere più nulla da dire.

Le persone hanno voglia di affermarsi, di celebrare, vogliono sentirsi unite, e quando vanno a fare shopping partecipano a una cerimonia collettiva di affermazione. Nuove fantasie, nuovi sogni, nuove empatie, nuove anime da salvare. Per qualche strana ragione tutto questo è stato chiamato shopping, ma in realtà è la forma più pura di politica.

I consumatori non hanno spina dorsale né fiducia in loro stessi. Hanno una visione del mondo da tabloid.

I consumatori hanno occhi stretti, passivi, mentre stringono in mano le loro carte di credito dei grandi magazzini. Credono a qualsiasi cosa viene detta loro dall’ultimo degli imbonitori. Vogliono essere presi in giro, vogliono essere convinti a comprare delle emerite schifezze. La loro istruzione si basa sugli spot televisivi. Sanno che le uniche cose che valgono sono quelle che possono mettere nella busta della spesa

Presto saremo invasi da supermercati aperti tutta la notte circondati da chilometri quadrati di parcheggi illuminati a giorno.

I prossimi tatuaggi che andranno tanto di moda saranno dei codici a barre disegnati sui dorsi delle mani, così che ogni consumatore possa diventare ciò che più ama, un’inutile merce.

P.S.: quanto avete letto è fortemente ispirato al romanzo Regno a venire di James Graham Ballard edito da Feltrinelli.

da qui

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