I prossimi tatuaggi saranno dei codici a barre sui dorsi delle mani, così che ogni consumatore possa diventare ciò che più ama, un’inutile merce
Il
consumismo celebra la possibilità di stare insieme, condividendo sogni e valori
condivisi da quasi tutti, un po’ come quando persone che non si sono sopportate
sino a un attimo prima si ritrovano davanti alla TV per tifare la nazionale di
calcio.
Il
consumismo è qualcosa di molto teatrale, ma in fondo piace anche per questo. È
spinto dalle emozioni, questo è vero, ma è evidente che le sue promesse sono
raggiungibili: una nuova asciugatrice o un tablet nuovo non sono retorica.
Il mondo
consumistico è un enorme amnesia del passato, non ci sono ieri, non ci sono
corsi e ricorsi storici, ma soltanto un intenso presente commerciale.
I
consumatori corrono da un negozio all’altro. A guardarli sembrano ricchi e
contenti mentre si muovono con passo sicuro fra negozi e piccoli supermercati,
magari in cittadine senza nome, dove per terra non ci sono giornali svolazzanti
né marciapiedi tempestati di chewing-gum, luoghi dove è impossibile prendere in
prestito un libro, andare a un concerto, dire una preghiera, consultare gli
archivi dell’anagrafe o fare beneficenza.
I centri
commerciali, dove file di fari illuminano la notte come luci perimetrali di una
colonia di campi di prigionia, sono i nuovi gulag in cui si sconta la pena coi
lavori forzati dello shopping e dei soldi da spendere, dove la
gente cerca nuovi sogni per controbilanciare l’incubo della propria esistenza
vuota.
I
consumatori pascolano come docili bovini, tutti portatori sani di un nuovo tipo
di odio, silenzioso e disciplinato, un razzismo fatto di tessere fedeltà e
codici pin, e di borse e sacchetti della spesa che dondoleranno sotto il naso
di chi il pascolo può vederlo solo da lontano.
La società
consumistica è la versione soft di uno stato di polizia: crediamo di poter
scegliere, ma è tutto già deciso.
I
consumatori devono continuare a comprare, se no falliscono come cittadini. Metà
delle merci che si comprano al giorno d’oggi sono solo giocattoli per adulti.
Il
consumismo può sembrare una cosa pagana, in realtà è l’ultimo rifugio
dell’istinto religioso. Un giorno vedremo comunità di fedeli che si raduneranno
per adorare le lavatrici, magari all’interno di autosilo, gigantesche e
labirintiche costruzioni di cemento a dieci livelli, così da esser certi di
trovar parcheggio per le proprie automobili sempre più larghe e più alte.
E non è una bestemmia. Non lo è perché la gente s’annoia, s’annoia a
morte, e quando la gente s’annoia a morte tutto è possibile: potrebbero
arrivare ad adorare un simbolo matematico o un buco nel terreno.
La gente non
fa altro che cambiare il contenuto della propria casa, rimpiazzare le stesse
auto e le stesse macchine fotografiche, le stesse cucine di ceramica e gli
stessi bagni su misura, e dietro questo folle avvicendamento di merci c’è
soprattutto una noia gigantesca.
Le persone
sembrano bambini viziati: quando sono stati in vacanza una prima volta si sono
così divertiti che tutti i giorni vogliono tornare lì e lì restare per sempre.
Molta gente
oggi vive una vita confortevole, ma questa vita l’annoia, e allora chiede
regali. Da chi siano acquistati non importa, va bene anche da loro stessi.
La noia
porta anche a uccidere, a regalarsi un cadavere.
Tutti i
centri commerciali sono uguali. Pieni di gente senza vere e proprie radici.
Persone che, quando va bene, sono in grado di entrare in contatto con la realtà
soltanto quando s’ammalano. Una classe media di pupazzi la cui finzione è
talmente parte integrante della loro vita che l’onestà e la franchezza sembrano
loro subdoli stratagemmi, mentre la bugia più sfacciata è quanto più s’avvicina
a quella che ritengono la realtà.
Qualcuno è
riuscito a far credere ai più tanti che le società sono più felici quando la
gente può spendere e non risparmiare, e così siamo ormai prossimi a un
consumismo delirante, a una specie di eterna campagna elettorale.
Il
consumismo riempie quel vuoto che è alla base delle società secolari. Le chiese
sono deserte e la monarchia è naufragata schiantandosi contro la sua stessa
vanità. La politica è un caos e la democrazia è soltanto un servizio pubblico
come il gas o la luce. Non c’è quasi nessuno che abbia un briciolo di senso
civico. La gente ha un enorme bisogno di autorità che soltanto il consumismo
può soddisfare. È il consumismo a dare la misura di certi valori: per esempio,
il consumismo insegna loro che ogni merce ha un codice a barre a cui corrisponde
un prezzo da pagare, un valore, appunto.
Il
consumismo è una forma di fascismo soft. Niente passo dell’oca, né stivaloni,
ma lo stesso tipo di emozioni e di aggressività. La ragione è andata a farsi
benedire, è l’emozione che guida tutto. Ma il puro materialismo non basta. Le
persone hanno bisogno di qualcosa di più drammatico, vogliono che le loro
emozioni vengano manipolate, vogliono essere presi in giro e blanditi. E il
consumismo è proprio quello che ci vuole. Comprare è l’unica vera forma di
politica che rimane loro al giorno d’oggi.
La gente
accumula capitale emotivo oltre che soldi in banca e ha bisogno d’investire
quelle emozioni in una figura di leader. Non ha bisogno di fanatici in divisa
che delirino affacciati a un balcone. La gente vuole leader rassicuranti che
conducano programmi televisivi con ospiti che parlino con garbo di faccende che
la riguardano direttamente, mentre pubblicità e consigli per gli acquisti
interrompano con la frequenza di un’offerta speciale, ogni tre per due. Ci
stiamo avviando a un nuovo tipo di democrazia dove si voterà alla cassa invece
che alle urne.
Il
consumismo è lo strumento migliore mai inventato per controllare le persone.
Bisognerebbe preparare i ragazzi a questo nuovo tipo di società, una società
dove si ha la libertà di parola, ma si è stati ridotti in condizioni tali da
non avere più nulla da dire.
Le persone
hanno voglia di affermarsi, di celebrare, vogliono sentirsi unite, e quando
vanno a fare shopping partecipano a una cerimonia collettiva
di affermazione. Nuove fantasie, nuovi sogni, nuove empatie, nuove anime da
salvare. Per qualche strana ragione tutto questo è stato chiamato shopping,
ma in realtà è la forma più pura di politica.
I
consumatori non hanno spina dorsale né fiducia in loro stessi. Hanno una
visione del mondo da tabloid.
I
consumatori hanno occhi stretti, passivi, mentre stringono in mano le loro
carte di credito dei grandi magazzini. Credono a qualsiasi cosa viene detta
loro dall’ultimo degli imbonitori. Vogliono essere presi in giro, vogliono
essere convinti a comprare delle emerite schifezze. La loro istruzione si basa
sugli spot televisivi. Sanno che le uniche cose che valgono sono quelle che
possono mettere nella busta della spesa
Presto
saremo invasi da supermercati aperti tutta la notte circondati da chilometri
quadrati di parcheggi illuminati a giorno.
I prossimi
tatuaggi che andranno tanto di moda saranno dei codici a barre disegnati sui
dorsi delle mani, così che ogni consumatore possa diventare ciò che più ama,
un’inutile merce.
P.S.: quanto
avete letto è fortemente ispirato al romanzo Regno a venire di
James Graham Ballard edito da Feltrinelli.
Nessun commento:
Posta un commento