Recentemente, l’entità sionista ha trasferito alla Striscia di Gaza i corpi di palestinesi deceduti, trattenuti per mesi. All’arrivo, medici e gruppi per i diritti umani a Gaza hanno denunciato che molti dei corpi restituiti presentano chiari segni di tortura e mutilazioni, sollevando interrogativi inquietanti sul loro trattamento durante la detenzione israeliana.
Le recenti
accuse: corpi mutilati e segni di tortura.
Secondo i
rapporti dei medici di Gaza, ripresi da fonti come Al Jazeera, sui
corpi restituiti sono state riscontrate una serie di violazioni
raccapriccianti. Queste includono:
Mutilazioni
organi: assenza di organi interni vitali, come cuore, fegato e reni.
Estrazione
di tessuti: asportazione di pelle, cornee e altri tessuti.
Segni di
tortura: evidenti segni di bruciature, fratture ossee non curate e ferite da
arma da fuoco a distanza ravvicinata.
Queste
condizioni rendono spesso impossibile un’identificazione immediata dei defunti,
prolungando l’agonia delle famiglie in attesa e violando i principi del diritto
internazionale umanitario, che impone il rispetto per i morti e una sepoltura
dignitosa.
Un
precedente storico: le ammissioni israeliane sul prelievo di organi.
Nel 2009,
un’alta autorità israeliana, il professor Yehuda Hiss, ex capo medico
dell’Istituto di Medicina Legale dello Stato, ammise in un’intervista che, per
anni e senza consenso, il suo istituto aveva prelevato organi da corpi di palestinesi,
ma anche di israeliani e immigrati.
L’ammissione,
inizialmente negata e poi confermata dal ministero della Sanità israeliano,
gettò luce su una pratica sistematica avvenuta principalmente negli anni ’90.
Il governo israeliano si giustificò affermando che i tessuti prelevati
(principalmente pelle e cornee) erano destinati a “fini medici” e che la
pratica era cessata. Tuttavia, l’assenza di un consenso informato da parte
delle famiglie, specialmente quelle palestinesi, fu condannata a livello internazionale
come una grave violazione etica e un oltraggio alla dignità umana.
La
combinazione delle recenti testimonianze dai territori occupati e del
precedente storico del 2009 crea un quadro estremamente preoccupante.
1Modus
Operandi: le recenti scoperte a Gaza sembrerebbero indicare una pratica anche
più invasiva e violenta rispetto alle ammissioni del passato, che riguardavano
principalmente tessuti e non organi interni vitali.
2Mancanza di
trasparenza: Israele ha respinto le recenti accuse, definendole “propaganda”,
senza però fornire spiegazioni indipendenti e verificabili sulle condizioni dei
corpi. La mancanza di trasparenza e di investigazioni internazionali
indipendenti alimenta le accuse di impunità.
3Trauma
collettivo: per i palestinesi, queste azioni non sono solo una violazione del
diritto internazionale, ma rappresentano una profonda ferita psicologica e
culturale. La sacralità del corpo dopo la morte è un principio fondamentale, e
la sua violazione è percepita come un’ulteriore forma di umiliazione e di
guerra psicologica.
I casi di
tortura e mutilazioni sui corpi dei palestinesi restituiti da Israele
costituiscono un crimine di guerra. Quando queste si legano alla storica
ammissione israeliana sul prelievo illecito di organi, emerge la necessità
impellente di un’indagine internazionale trasparente e credibile. Fino a quando
non ci sarà chiarezza e accountability, questi episodi rimarranno
una macchia oscura nel contesto del genocidio palestinese che va avanti da 77
anni.
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