ABSTRACT
In una situazione di reiterate violazioni dei diritti umani e di
sostanziale cancellazione del diritto di asilo, l’Unione europea, sulla base
del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo, sta finanziando nuove
procedure accelerate di asilo in frontiera e di deportazione verso i paesi di
origine, compresi i centri hub che si vorebbero istituire al di fuori dei
confini dell’area Schengen per realizzare nuovi progetti di “ritorno volontario
assistito”, a fronte del fallimento delle politiche di rimpatrio forzato. I
rimpatri volontari assistiti nel Paese di origine “sulla base di una scelta
libera e informata” sono generalmente gestiti
dall’OIM, organizzazione facente capo
alle Nazioni Unite, e si differenziano dai rimpatri con accompagnamento forzato
che vengono (ma sarebbe meglio dire, dovrebbero essere) eseguiti dopo il
diniego su una richiesta di asilo, che oggi viene presentata ed esaminata
sempre più spesso con una procedura accelerata in frontera. Per i migranti in
situazione irregolare o per quei richiedenti asilo con poche possibilità di
ottenere protezione, il rimpatrio volontario assistito può risultare una scelta
obbligata, anche in assenza di coercizione fisica. Ill ritorno nel paese di
origine può essere considerato come volontario solo quando gli individui hanno
opzioni legali alternative.
Nelle
proposte di politiche sui rimpatri che saranno discusse dai leader europei nei
prossimi mesi, mentre si attende la decisione della Corte di Giutizia UE sulla
portata della categoria dei “paesi di origine sicuri”, il tema del rimpatrio
volontario assistito sembra destinato a collegarsi alla creazione di nuovi centri
“hub” per i rimpatri nei quali l’Unione europea vorrebbe confinare i potenziali
richiedenti asilo prima del loro ingresso nell’area Schengen, in modo che a
seguito di un diniego per manifesta infondatezza, nell’ambito di procedure
accelerate al di fuori delle frontiere europee, questi non abbiano alternative
rispetto alla adesione ad un programma di rimpatrio volontario. Con riferimento ai rimpatri
volontari assistiti, l’International Law Commission (Ilc) delle Nazioni Unite ha definito disguised
expulsion (espulsioni mascherate), i casi in cui queste ultime siano
“incentivanti” per un ritorno “presumibilmente volontario”. Nello specifico,
l’Ilc evidenzia che “per espulsione mascherata si intende la partenza forzata
della persona straniera da uno Stato derivante dalle azioni o omissioni del
Stato, o da situazioni in cui lo Stato appoggia o tollera atti commessi dai
suoi cittadini al fine di provocare la partenza di individui dal suo
territorio”.
Purtroppo già lo scorso anno l’UNHCR
non si è schierato contro questa prospettiva,
che significa la definitiva cancellazione del diritto di asilo in Europa, ma ha
ammesso ” a certe condizioni” la possibilità di creare questi centri hub per i
rimpatri al di fuori dei confini esterni dell’Unione europea. “Gli hub per i
rimpatri possono funzionare come un incentivo affinché i richiedenti a cui è
stata rifiutata la domanda d’asilo tornino a casa, perché non sono più sul
territorio europeo”. Così ha detto Jean-Nicolas Beuze, rappresentante a
Bruxelles dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), in una
intervista rilasciata ad EUobserver. Ci
sarà però, al di là degli ostacoli giuridici, e della strenua difesa del
diritto di asilo nei tribunali e davanti alle corti internazionali, la
questione dei costi, che a livello europeo, appena le cifre crescono, determina
un contenzioso senza fine, anche per la caduta dello spirito di solidarietà
europea, travolto dai sovranismi e dagli egoismi nazionali. In questa materia,
sulla quale cerca di accrescere il proprio consenso tra le destre europee, la
Commisione Von der Leyen potrebbe andare incontro ad una autentica debacle.
Per
le associazioni rimane la necessità di una capillare
formazione legale sulla portata di queste prassi, anche
per contrastare la propaganda di chi punta sulle operazioni di rimpatrio
volontario assistito e su accordi con paesi che non rispettano i diritti
fondamentali, a partire dal diritto di asilo. Impegno che va supportato da chi
continua a promuovere una informazione indipendente, mentre il governo si
rivolge all’elettorato, anche attraverso i canali social, “dando i numeri”, ma
ignorando le persone, spacciando i “successi” conseguiti nella “gestione dei
flussi migratori” con il calo degli arrivi rispetto agli scorsi anni, materia
che non dovrebbe essere trattata, non solo nei paesi di transito, ma neppure in
Italia, comprimendo i diritti, e le vite, di chi fugge in cerca di protezione.
1. Il recente rapporto di STATEWATCH “Deportations: New role for Frontex
as EU pushes for more “voluntary” returns” mette
in evidenza il ruolo che l’Agenzia dell’Unione europea per il controllo delle
frontiere esterne gioca in Bulgaria, paese che alla fine dello scorso anno ha
fatto ingresso nell’area Schengen e nel quale recentemente sono stati
denunciati gravi abusi ai
danni dei migranti in transito dalla Turchia, con l’arresto a Natale di tre
coraggiosi volontari italiani che si erano
impegnati nel soccorso di persone in condizioni di grave rischio per la vita.
In una situazione di reiterate violazioni dei diritti umani
e di sostanziale cancellazione del diritto di asilo, l’Unione europea, adesso
sulla base del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo, sta
finanziando nuove procedure accelerate di asilo in frontiera e di deportazione
verso i paesi di origine, compreso un nuovo progetto di “ritorno volontario
assistito”. Il ricorso più esteso ai cd. rimpatri “volontari” è una parte
fondamentale del piano per aumentare le deportazioni dall’UE di persone che si
trovano in stato di detenzione, alle quali non rimangono margini di libera
scelta, in un periodo di durata indeterminata nel quale,vengono sottoposti a
trattamenti inumani e degradanti, senza potere fare valere un effettivo diritto
di difesa, e senza che le autorità statali perseguano gli agenti di polizia
colpevoli degli abusi.
Secondo quanto documenta STATEWATCH, il “Progetto pilota per procedure rapide
di asilo e rimpatrio” era stato lanciato in
precedenza in Bulgaria e Romania per risolvere con “soluzioni ad hoc” i
problemi nei controlli di frontiera che impedivano ai due paesi di finalizzare
la loro adesione allo spazio Schengen. Alcune di queste “soluzioni” includevano
la continuazione dei respingimenti contro le persone in movimento. Balkan Insight ha
rivelato i respingimenti diffusi, se non sistematici, ai
confini orientali e sudorientali dell’UE nel febbraio dello scorso anno.
Un’altra “soluzione” è stata l’attuazione di “un programma aggiornato di
ritorno volontario assistito in Bulgaria, con l’invio di ulteriori consulenti
per il rimpatrio di Frontex e assistenza tecnica da parte della Commissione”, come si leggeva in un rapporto
della Commissione europea, ottenuto da Statewatch già nel 2023, dopo
una richiesta di accesso ai documenti.
2. In base all’art.11 del Regolamento UE n° 516/2014, sono ammessi alla
procdura di rimpatrio volontario assistito i cittadini di Paesi terzi: che sono
presenti in uno Stato membro e non soddisfano o non soddisfano più le
condizioni di ingresso e/o soggiorno in uno Stato membro, compresi i cittadini
di Paesi terzi il cui allontanamento è stato differito conformemente all’art.9
e all’art.14, paragrafo 1 della direttiva rimpatri 2008/115/CE; che
non hanno ancora ricevuto una risposta negativa definitiva alla loro domanda di
soggiorno o di soggiorno di lungo periodo e/o di protezione internazionale
riconosciuta loro in uno Stato membro; che godono di diritto di soggiorno, di
soggiorno di lungo periodo e/o di protezione internazionale o di protezione
temporanea in uno Stato membro.
I rimpatri volontari assistiti nel Paese di origine “sulla
base di una scelta libera e informata” sono generalmente gestiti dall’OIM, organizzazione
facente capo alle Nazioni Unite, e si differenziano dai rimpatri con
accompagnamento forzato che vengono (ma sarebbe meglio dire, dovrebbero essere)
eseguiti dopo il diniego su una richiesta di asilo, che oggi viene presentata
ed esaminata sempre più spesso con una procedura accelerata in frontera. A
fronte del fallimento dei rimpatri forzati, si tratta di uno strumento sul
quale l’Unione europea punta sempre di più con
imponenti programmi di finanziamento, allo
scopo di liberarsi di richiedenti asilo che si sono visti respingere la domanda
di protezione.
Dopo l’incremento del supporto finanziario europeo ai
piani di rimpatrio volontario assistito, la novità è costituita adesso dal
crescente ruolo di Frontex nel fornire alle autorità degli Stati membri
ospitanti servizi di consulenza sul rimpatrio delle
persone soggette a ordini di espulsione o in stato di detenzione
amministrativa. Spesso però le persone alle quali si propone il “rimpatrio
volontario assistito”, in condizioni di privazione totale della libertà, sono
sottoposte a tratamenti abusivi da parte della polizia, senza avere peraltro
accesso a consiglieri o consulenti giuridici indipendenti ed a una procedura
imparziale per il riconoscimento di uno status di protezione, Si può ritenere
dunque che il maggiore impegno di Frontex nelle operazioni di “rimpatrio
volontario assistito” possa comportare, come rileva STATEWATCH, attività di
consulenza finalizzate a legittimare la detenzione amministrativa in frontiera
ed i rimpatri di persone che potrebbero avere diritto al riconoscimento di uno
status di protezione, piuttosto che incoraggiare scelte libere e informate.
Per i documenti ufficiali dell’Unione
europea, “Un altro obiettivo fondamentale è rappresentato dal sostegno al
rimpatrio volontario assistito dai paesi partner e dalla reintegrazione
sostenibile nei paesi di origine. A partire dal 2021 l’Unione europea ha
stanziato quasi 400 milioni di EUR per favorire i rimpatri volontari e la
reintegrazione dei rimpatriati provenienti dai paesi di transito dell’Africa
subsahariana. Tra agosto 2022 e gennaio 2024 l’UE ha sostenuto oltre 17 000
migranti con il rimpatrio volontario e con
importanti
misure di reintegrazione nell’ambito di questo programma. Nel quadro di un
programma
da 68 milioni di EUR per i rimpatri volontari dall’Africa settentrionale, tra
il 2020 e il 2023 il numero dei migranti rimpatriati ogni anno è quasi
triplicato (superando le 13 000 persone nel 2023), con un notevole sostegno alla protezione
nella fase precedente i rimpatri”. Si tratta comunque di
numeri molto bassi, anche in prospettiva, se considerati alla stregua delle
richieste di asilo che vengono respinte, a livello europeo, e del numero dei
rimpatri forzati che dovrebbero essere eseguiti da tutti gli Stati dell’Unione.
Anche perchè la situazione nei paesi di origine è in progressivo, ma sembra
irreversibile, deterioramento. Prima la pandemia, poi i conflitti regionali
sempre più estesi, caratterizzati dalla partecipazione indiretta delle grandi
potenze, al di là delle crisi climatiche, hanno creato condizioni di vita che,
soprattutto nel continente africano, non offrono alcuna prospettiva di
rimpatrio volontario, sia “assistito” o meno. Ma in paesi come la Siria o il
Bangladesh, dove si sono registrate significative svolte politiche, la
situazione rimane dominata dall’incertezza, e non è proponibile alcuna seria
possibilità di un rimpatrio volontario assistito, come pure alcuni vorrebbero da
subito. Per non parlare dei proclami sulla”remigrazione”, su cui l’estrema
destra si sta giocando le elezioni in Germania.
Un rapporto, basato su un progetto
realizzato dall’OCSE con il sostegno della Società tedesca per la cooperazione
internazionale (Deutsche Gesellschaft für Internationale Zusammenarbeit GmbH –
GIZ), commissionato dal Ministero federale per la cooperazione e lo sviluppo
economico, analizza la portata e caratteristiche delle diverse categorie di
migrazione di ritorno. Il repporto sottolinea come su
scala mondiale come le categorie di rimpatrio non siano sempre distinte e
comportino diversi gradi di volontarietà tra i beneficiari dei programmi di
rimpatrio volontario assistito e di reintegrazione, mettendo bene in evidenza
il ruolo delle comunità locali, piuttosto che le spinte esterne come i
finanziamenti verso le politiche di ritorno. Si mette bene in evidenza come per i migranti
in situazione irregolare o quei richiedenti asilo con poche possibilità di
ottenere protezione, il rimpatrio volontario assistito possa risultare una scelta
obbligata, anche in assenza di coercizione fisica. Ill ritorno
nel paese di origine può essere considerati come volontario solo quando gli
individui hanno opzioni legali alternative e possono prendere decisioni sulla
base di una libertà effettiva e di una scelta informata. Poiché le persone
private di questa libertà di scelta rappresentano un gruppo in espansione di
beneficiari delle operazioni di rimpatrio volontario assistito e di
reintegrazione, il confine tra ritorno volontario assistito e rimpatrio forzato
sfuma. Non esiste dunque una definizione concordata o universale del termine
“rimigrazione”, utilizzato per riferirsi a diverse forme dei successivi
movimenti migratori. In questo rapporto la definizione di “remigrazione” sembra più
corrispondente alla ripartenza dal paese di origine a seguito di un ritorno
piuttosto che alla partenza da un paese di destinazione, accezione che tende invece a
diffondersi in Europa per effetto della svolta populista ed identitaria, che
arriva ad assumere aspetti di suprematismo analoghi a quelli che stanno
prevalendo negli Stati Uniti di America.
Nelle proposte che saranno discusse
dai leader europei nei prossimi mesi, mentre si attende la decisione della
Corte di Giutizia UE sulla portata della categoria dei “paesi di origine
sicuri”, il tema del rimpatrio volontario assistito sembra destinato a
collegarsi alla creazione di nuovi centri “hub” per i rimpatri nei quali
l’Unione europea vorrebbe confinare i potenziali richiedenti asilo prima del
loro ingresso nell’area Schengen, in modo che a seguito di un diniego per
manifesta infondatezza, nell’ambito di procedure accelerate al di fuori delle
frontiere europee, questi non abbiano alternative rispetto alla adesione ad un
programma di rimpatrio volontario.
Purtroppo già lo scorso anno l’UNHCR
non si è schierato contro questa prospettiva,
che significa la definitiva cancellazione del diritto di asilo in Europa, ma ha
ammesso ” a certe condizioni” la possibilità di creare questi centri hub per i
rimpatri al di fuori dei confini esterni dell’Unione europea. “Gli hub per i rimpatri possono
funzionare come un incentivo affinché i richiedenti a cui è stata rifiutata la
domanda d’asilo tornino a casa, perché non sono più sul territorio
europeo”. Così ha detto Jean-Nicolas Beuze, rappresentante a
Bruxelles dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), in una
intervista rilasciata ad EUobserver. Ci sarà però, al di là
degli ostacoli giuridici, e della strenua difesa del diritto di asilo nei
tribunali e davanti alle corti internazionali, la questione dei costi, che a
livello europeo, appena le cifre crescono, determina un contenzioso senza fine,
anche per la caduta dello spirito di solidarietà europea, travolto dai
sovranismi e dagli egoismi nazionali. In questa materia, sulla quale cerca di
accrescere il proprio consenso tra le destre europee, la Commisione Von der
Leyen potrebbe andare incontro ad una autentica debacle.
3. I rimpatri volontari assistiti rimangono non solo sulla
carta, al centro dei programmi di contenimento delle migrazioni che l’Unione
europea cogestisce con l’Italia, la Libia e la Tunisia. In Libia secondo
quanto comunicato ufficialmente dalle Nazioni Unite, fino al 2024, “L’Organizzazione Internazionale per
le Migrazioni (IOM) ha aiutato 80.000 migranti a tornare a casa
volontariamente e in sicurezza dal 2015
nell’ambito del suo programma di Ritorno Umanitario Volontario (VHR), che ha
rappresentato un’ancora di salvezza fondamentale per i migranti bloccati
provenienti da 49 paesi diversi in Africa e Asia, offrendo loro un modo sicuro
e dignitoso per tornare a casa e ricostruire la propria vita”. L’Italia
ha contribuito a questi programmi di rimpatrio volontario assistito, così ad
esempio, si ha notizia che il governo del Benin, in collaborazione con l’Organizzazione internazionale per
le migrazioni (IOM),ha facilitato il ritorno
volontario di settantaquattro (74) migranti, tra cui 29 uomini, 16 donne e 29
bambini, dalla Libia tramite volo charter giovedì 27 giugno 2024. Questa operazione rientrava in
un’iniziativa finanziata dalla cooperazione italiana. Ma
la materia ormai, quando non si traduce in propaganda, è soggetta ad una forte
censura.
Il Piano Mattei per l’Africa,
ed i più recenti contatti tra il governo italiano e le autorità che si dividono
la Libia, mettono in rilievo le attività di rimpatrio volontario assistito,
come uno strumento che dovrebbe fare diminuire ulteriormente il numero di
persone che cercano di attraversare il Mediterraneo. Il Viminale annuncia come un
successo il calo degli arrivi dalla Libia e dalla Tunisia. Ormai
il fine giustifica i mezzi, e nessuno dei sostenitori del governo si preoccupa
per la morte di chi viene abandonato nel deserto alle milizie, o rischia la
vita per effetto degli interventi di contrasto in acque
internazionali dei guardiacoste libici, che
dopo l’allontanamento delle ONG, hanno ormai campo libero. Se continua questa
deriva populista, tra poco, le somme spese dall’Unione Europea per i rimpatri
volontari assistiti sembreranno eccessive. Anche se rappresentano ancora una
piccola posta rispetto a quanto versato ai governi dei paesi di transito che
collaborano attivamente nelle politiche di blocco delle partenze e di
deportazione immediata con trasferimenti forzati verso i paesi di origine.
Dalle cronache libiche si ricava periodicamente come il termine deportazione
definisca le procedure di rimpatrio volontario assistito, soprattutto verso il Niger, in
questo caso anche di cittadini di paesi terzi, e verso la Nigeria.
Sono però note le condizioni di estremo abuso alle
quali sono esposti tutti i migranti in transito in Libia,
in particolare quando vengono arrestati e detenuti nei centri governativi e nei
campi di detenzione informali gestiti dalle milizie. Al di là dei profili di
responsabilità contabile, si presenta anche in
Libia la possibilità, se non la certezza, che questi rimpatri volontari
assistiti di volontario abbiano ben poco, e siano solo un tassello per riuscire
ad esternalizzare i controlli di frontiera in modo da ridurre l’arrivo di
richiedenti asilo in Europa. Nel caso della Libia non si hanno ancora evidenze
di un coinvolgimento diretto di Frontex nelle operazioni di rimpatrio assistito, gestite sul terreno dall’OIM, mentre
ormai è ampiamente documentato il ruolo
dell’agenzia europea nel tracciamento e nella intercettazione in acque
internazionali di persone in fuga dalla Libia e
riportate a terra dalla sedicente Guardia costiera libica. Intanto i dati
raccolti da Frontex sulla riduzione degli arrivi in Italia alimentano la propaganda del governo
Meloni, senza alcuna considerazione per i costi
umani che comportano, per le condizioni disumane alle quali rimangono esposte
le persone migranti intrappolate in Libia oltre che per l’abbattimento del
diritto ad una equa procedura di asilo in un pawsw sicuro..
4. Nel caso del Protocollo Unione europea-Tunisia firmato
nel 2023 con la sponsorizzazione del duo Meloni-Von der Leyen, il supporto
italiano alle operazioni di rimpatrio volontario assistito è ancora più
evidente. L’ASGI ha pubblicato un
rapporto aggiornato al 2024, nel quale nell’ambito
della strategia di esternalizzazione attuata dall’Italia e dall’UE nei
paesi nordafricani. si documenta l’incremento del supporto italiano alle
operazioni di rimpatrio volontario assistito dalla Tunisia verso i paesi di
orine. Come si riferisce nel Rapporto, il “ Relatore speciale per i
migranti delle Nazioni unite è stato
estremamente chiaro nel riconoscere che i rimpatri volontari assistiti sono “una componente centrale delle
politiche di gestione della migrazione” ma che “In generale, le condizioni in
cui i migranti richiedono un rimpatrio volontario assistito non consentono di
qualificare il rimpatrio come volontario, in quanto non soddisfano i requisiti
di una decisione pienamente informata, priva di coercizione e sostenuta dalla
disponibilità di sufficienti alternative valide” e che ” gli Stati e le altre
parti interessate che effettuano rimpatri nell’ambito di un programma di
rimpatrio volontario assistito verso Stati non sicuri e in cui i migranti
possono subire violazioni dei loro diritti umani fondamentali, possono violare
il principio di non respingimento”.
5. Secondo il ministero dell’interno, “nel 2024 sono stati 21.807 i
rimpatri volontari assistiti di migranti da Libia e Tunisia, effettuati in
collaborazione con l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni – OIM. In
aumento dell’82% rispetto a quelli registrati nel corso dell’anno precedente
anche grazie al contributo fornito dall’Italia per contrastare l’immigrazione
irregolare e i trafficanti che la favoriscono”. Una parte
consistente del calo degli arrivi in Italia sarebbe dunque dovuto all’aumento
di questo tipo di rimpatri “volontari”, che rientrano ormai nella propaganda
del governo sui successi conseguiti nelle politiche di contrasto delle
migrazioni, anche quando si risolvono nell’abbattimento di tutte le possibilità
di accesso effettivo al diritto di asilo.
Dall’Italia si praticano da anni operazioni di
Rimpatrio volontario assistito (RVA). Nel
nostro paese il ruolo centrale è stato svolto
dell’OIM. Dal 2 gennaio 2024 Il progetto RI.VOL.ARE IN RE.TE tende
a garantire e promuovere l’accesso al Ritorno Volontario Assistito
e Reintegrazione – RVA&R – di cittadini di Paesi Terzi
presenti in Italia, regolari e irregolari, inclusi i vulnerabili, “che
decidono di tornare a casa volontariamente”. Finora i numeri sono stati
molto bassi, anche per la scarsa collaborazione dei paesi di origine,
determinanti per fornire i documenti di viaggio che consentono il rimpatrio dei
loro cittadini giunti in Europa. Dal 2016 ad oggi, infatti, secondo quanto comunicato dalla
prefettura di Vicenza, “è stato raggiunto il
positivo risultato di 3.380 rimpatri volontari, finanziati prevalentemente
con risorse dell’Unione Europea”. Secondo i dati contenuti in una
relazione della Corte dei Conti del 2022, i risultati dei progetti attuati sono
però «inferiori agli obiettivi fissati» rispetto ai target del Programma
nazionale del Fondo Asilo Migrazione e Integrazione 2014-2020.
Più in dettaglio, nel periodo 2018-2021 i rimpatri volontari assistiti con
reintegrazione sono stati solo 2.183. Dopo i 1.185 del primo anno, secondo dati corrispondenti a quelli
dell’OIM, sono scesi a 384, poi a 268 e infine
(ma il dato del 2021 non è ancora consolidato) sono risaliti a 346. Si tratta
dell’11,06% del totale dei rimpatri
forzati e dell’1,60% dei migranti sbarcati in Italia nel quadriennio preso in
esame. Sono dati sicuramente influenzati dalla pandemia,
ma negli ultimi anni la consistenza numerica dei rimpatri volontari assistiti
non sembra significativamente aumentata. Ed appare una quantità irrisoria
rispetto alla massa di immigrati che, in centinaia di migliaia di persone,
viene consegnata annualmente ad una condizione definitiva di irregolarità per
la mancanza di canali legali di ingresso e per le politiche sempre più
restrittive in materia di permessi di soggiorno e di procedure di asilo.
Con riferimento ai rimpatri volontari assistiti, l’International Law Commission (Ilc) delle
Nazioni Unite ha definito disguised expulsion (espulsioni
mascherate), i casi in cui queste ultime siano “incentivanti” per un ritorno
“presumibilmente volontario”. Nello specifico, l’Ilc evidenzia che “per espulsione mascherata si
intende la partenza forzata della persona straniera da uno Stato derivante
dalle azioni o omissioni del Stato, o da situazioni in cui lo Stato appoggia o
tollera atti commessi dai suoi cittadini al fine di provocare la partenza di
individui dal suo territorio”.
6. La questione dei rimpatri volontari
assistiti si lega alla designazione dei paesi di origine dei richiedenti asilo
come sicuri, in quanto la possibilità di un
rimpatrio “volontario” viene prospettata spesso nelle procedure accelerate in
frontiera, dopo l’esito negativo della prima decisione della Commissione
territoriale che, magari per manifesta infondatezza della domanda, rigetta
l’istanza di protezione. I paesi verso i quali si dovrebbero eserguire questi
rimpatri sono quasi tutti contenuti nella lista di paesi di origine scuri,
inserita prima nel decreto interministeriale 7 maggio 2024 ed adesso nella legge m.187/2024. Si
tratterebbe “in via prioritaria”di
operare rimpatri “volontari” di persone appartenenti alle seguenti nazionalità:
Bangladesh, Pakistan, Nigeria, Egitto, Tunisia, Marocco e Costa d’Avorio. Nei
prossimi tre anni, fino al 2027, dovrebbero essere 2500 i cittadini stranieri
destinatari del prognamma di Rimpatrio Volontario Assistito e Reintegrazione (RVA&R) finanziato
nel quadro della programmazione del Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione
(FAMI) 2021-2027.
In Italia non possono rientrare nei programmi di rimpatrio
volontario assistito cittadini di paesi terzi destinatari di un
provvedimento di espulsione nel quale non è previsto un termine per la partenza
volontaria e/o che non hanno ottemperato all’invito di lasciare il territorio
entro i termini previsti. Ma possono rientrarvi tutti i richiedenti asilo
“denegati” per i quali è stata accordata la sospensiva del diniego ed hanno
fatto ricorso con un procedimento ancora pendente. Numero che in queste ultime
settimane sembra destinato ad aumentare notevolmente, per effetto delle
decisioni dei giudici sulle procedure accelerate in frontiera, sospese o
disapplicate, e sulla designazione dei paesi di origine come sicuri. materia
che dovrà essere oggetto nei prossimi mesi di una serie di decisioni della Corte
di giustizia dell’Unione europea. Si deve anche rilevare come negli ultimi mesi
del 2024 si siano irrigiditi i regolamenti interni del sistema di accoglienza,
determinando la fuoriuscita di molti richiedenti
asilo, con il peggioramento delle loro
condizioni di vita, che potrebbero costituire, con l’incertezza delle procedure
legali, ulteriori incentivi per una scelta “necessitata” del rimpatrio
volontario assistito.
7. Il temporaneo fallimento del Protocollo
Italia-Albania e le difficoltà registrate nella
implementazione delle prodecure accelerate in frontera, accrescono il rischio
che attraverso i programmi di rimpatrio volontario assistito si possano
concretizzare violazioni sommerse dei diritti fondamentali delle persone
migranti, con la rinuncia alla procedura di asilo, ed il ritorno in paesi nei
quali non vi sarebbero garanzie effettive dei loro diritti fondamentali, dunque
con una violazione sostanziale del diritto di asilo e del principio di non
respingimento, particolarmente evidente qualora la procedura del “rimpatrio
volontario assistito” venga proposta, se non “imposta”, a richiedenti asilo
trattenuti nei centri di detenzione in Albania.
Il rimpatrio volontario assistito può tradursi in una
opportunità se è frutto di una libera scelta di persone che intendono
rinunciare al loro progetto migratorio. Ma non può diventare una scelta imposta
da un contesto di gravi violazioni di diritti fondamentali, uno strumento
“surrogato” di procedure di rimpatrio forzato che
non si riescono ad eseguire nei numeri che si spacciano come obettivi
governativi. Nel nostro paese questa
prospettiva rimane ancora oggetto di propaganda, piuttosto che corrispondere,
sulla base di dati parzali, a un effettivo aumento delle persone straniere che
scelgono di ritornare volontariamente nei paesi di origine.
Secondo alcune fonti di informazioni
europee, In Italia, così come in
Germania e in Romania, tutti i rimpatri segnalati nel periodo estivo del 2024
sono stati classificati come rimpatri forzati. Mentre all’opposto, in Lettonia,
Lituania e Danimarca oltre il 90 per cento dei rimpatri è stato registrato come
volontario. Si deve osservare quindi come a livello europeo i rimpatri
volontari assistiti potrebbero celare rimpatri forzati ben poco “volontari”.
Anche se ancora non avviene in territorio italiano in modo tanto evidente, le
procedure accelerate in frontiera deterriorializzate in Albania potrebbero
essere un terreno di sperimentazione di queste prassi amministrative che
spingono a scelte (non)volontarie.
Gli enti collegati alle Nazioni Unite, l’OIM ma anche l’UNHCR, per
quanto riguarda la tutela dei richiedenti asilo e dei soggetti vulnerabili,
conoscono meglio di chiunque altro la situazione reale ed attuale nei paesi di
origine. Tocca a loro impedire che le autorità statali, magari con il concorso
di Frontex, utilizzino le procedure di rimpatrio volontario assistito mettendo
a rischio i diritti fondamentali delle persone rimpatriate, una volta che si esauriscano le
misure di assistenza previste in loro favore. Basti
pensare al caso della Nigeria, che fino a pochi mesi fa era ritenuta un paese
di origine sicuro. Purtroppo non mancano testimonianze negative di
persone che si sono amaramente pentite di
avere partecipato a programmi di rimpatrio volontario. Se guardiamo a venti ann fa, la
situazionie in molti paesi di origine ancora oggi ritenuti “sicuri”, verso i
quali si possono realizzare programmi di rimpatrio volontario assistito è
soltanto peggiorata. Corruzione, crisi climatica, insicurezza diffusa, scontri
etnici, conflitti religiosi, non danno pace a chi cerca di reinsediarsi su un
territorio dal quale è stato costretto a fuggire, che non ha certo lasciato per
sua lbera scelta. Non si tratta dunque di sottoporre soltanto ad un rigoroso
controllo contabile i progetti di rimpatrio volontario assistito, come è stato assicurato fino al
2022 dalla Corte dei conti con una analitica relazione,
ma occorre considerare anche la sostenibilità di questi progetti dal punto di
vista delle prospettive reali di vita delle persone coinvolte.
Per le associazioni rimane la necessità di una capillare
formazione legale sulla portata di queste prassi, anche
per contrastare la propaganda di chi punta sulle operazioni di rimpatrio
volontario assistito e su accordi con paesi che non rispettano i diritti
fondamentali, a partire dal diritto di asilo. Impegno che va supportato da chi
continua a promuovere una informazione indipendente, mentre il governo si
rivolge all’elettorato, anche attraverso i canali social, “dando i numeri”, ma
ignorando le persone, spacciando i “successi” conseguiti nella “gestione dei
flussi migratori” con il calo degli arrivi rispetto agli scorsi anni, materia
che non dovrebbe essere trattata, non solo nei paesi di transito, ma neppure in
Italia, comprimendo i diritti, e le vite, di chi fugge in cerca di protezione.
INFOMIGRANTS
2 gennaio 2025
Sweden hints at introduction of EU
migrant ‘return hubs’ in near future
Swedish
Prime Minister Ulf Kristersson announced that the EU might be ready to pitch a
proposal on the creation of so-called ‘return hubs’ for irregular migrants
outside the bloc within two months.
“Prime Minister Kristersson said the
suggested timeline for launching the project could be as early as March
2025”.
ANSA
15 gennaio 2025
La proposta della Commissione
europea sui rimpatri in arrivo l’11 marzo
In
tempo per presentare il “nuovo approccio comune” al Vertice
LA PRESSE
MERCOLEDÌ 15 GENNAIO 2025 13.18.17
Migranti: proposta Commissione Ue sui rimpatri attesa l’11 marzo
Migranti: proposta Commissione Ue sui
rimpatri attesa l’11 marzo Bruxelles, 15 gen. (LaPresse) – La proposta di
revisione delle norme Ue sui rimpatri dovrebbe essere presentata dalla
Commissione europea il prossimo 11 marzo. E’ quanto risulta dall’agenda
provvisoria del Collegio dei commissari pubblicata oggi, che verrà confermata
dai capi di gabinetto della Commissione a ridosso della data. La presidente
Ursula von der Leyen aveva annunciato di voler presentare il testo delle nuove
norme prima del Consiglio europeo in programma il 20 e 21 marzo. L’obiettivo è
avviare un approccio coordinato e unificato fornendo maggiori strumenti agli
Stati per una politica più efficace per i rimpatri.151317 GEN 25
POLICY MAKER
18 dicembre 2024
Migranti, rimpatri e Paesi sicuri:
nuova Direttiva in arrivo dall’Ue
di Grazia Letizia
“Sullo sfondo, il rientro volontario dei rifugiati siriani
rappresenta un altro punto chiave del vertice, evidenziando l’importanza della
stabilità in Siria dopo la caduta di Assad”.
NOVA NEWS
ESCLUSIVA – Il ministro degli
Esteri della Tunisia: “Migrazioni e investimenti al centro della visita a Roma”
“Sarà
un’opportunità per rafforzare ulteriormente il partenariato strategico
bilaterale e sottolineare la volontà di lavorare insieme per sviluppare
ulteriormente questo partenariato a tutti i livelli”
“Il numero dei rimpatri assistiti di cittadini tunisini irregolari è
rimasto relativamente stabile, con 1.890 rimpatri nel periodo corrente rispetto
ai 2.166 dello stesso periodo del 2023. La Tunisia sta richiedendo ulteriore assistenza per i rimpatri
volontari, data la consistente presenza di migranti nel Paese,
in particolare nella regione costiera di Sfax. Tra il 2017 e il 2024, la
Farnesina ha investito, attraverso i suoi due Fondi — il Fondo migrazioni e il
Fondo di premialità per le politiche di rimpatrio —, circa 85 milioni di euro
per sostenere iniziative gestite dalle principali agenzie delle Nazioni Unite
in Tunisia.”…
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