Dall’11 al 14 luglio 2025 a Torre Pacheco, un comune di quarantamila abitanti (un terzo dei quali migranti) di una regione rurale nel sudest della Spagna, centinaia di militanti di estrema destra hanno organizzato decine di azioni violente contro i migranti maghrebini. Il pretesto è stata l’aggressione a un pensionato attribuita a dei giovani di origine straniera. In questo articolo Sarah Babiker racconta come il potere sia riuscito a capitalizzare ovunque con successo le migrazioni affinché le persone non pensino all’espropriazione che subiscono a causa del capitalismo ma pensino invece alla minaccia astratta alla loro sicurezza rappresentata da chi cerca un sostentamento. Ricorda, inoltre, l’ipocrisia di chi parla di valori europei dimenticando il colonialismo, e spiega perché è sbagliato insistere, quando si parla di criminalità, sul fatto che ci sia una maggioranza di migranti “integrati”. “Predicatori d’odio, delinquenti e rappresentanti della civiltà occidentale sono tutti concordi – scrive Sarah Babiker – nella loro profonda preoccupazione per l’eredità. L’eredità cristiana, l’eredità liberale, l’eredità illuminista: ognuna può chiamarla con il suo nome, ma nessuno le dà direttamente il suo vero nome: il privilegio ereditato di basare la prosperità di pochi sullo sfruttamento di milioni di persone fuori e dentro l’Europa, senza che nessuno ne sottolinei l’ingiustizia e la natura coloniale. L’eredità dell’espropriazione delle classi lavoratrici, dell’estrattivismo dei popoli del Sud, dell’appropriazione del lavoro non retribuito delle donne…”
Negli ultimi
giorni, orde di uomini violenti si sono recate a Torre Pacheco per ricordare a
migliaia di persone – che vivono, lavorano, crescono i propri figli e, quando
possono, festeggiano lì – che le loro vite sono in realtà una farsa, che non appartengono a quel posto.
Questi crociati a buon mercato terrorizzano i vicini, ottenendo finalmente ciò
che desideravano: dimostrare il loro potere seminando paura, perseguitando
finalmente coloro che hanno preso di mira come nemici per anni. Sono riusciti a
passare dall’aggressione verbale, dalla solitudine di internet, ad attacchi
veri e propri, accompagnati da persone che li odiano proprio come loro. Sentono
che il loro momento è adesso.
Non è una
distopia; è la stessa marea che trabocca di tanto in tanto, non appena si
presenta una scusa: i predicatori d’odio (molti dei quali con stipendi
pubblici) normalizzano il quadro, collegando migrazione e criminalità e alzando
il livello di fascismo del discorso. Non mancano microfoni davanti ai quali
parlare di deportare milioni di persone come “soluzione” per salvare la società
spagnola, dove cementano i confini simbolici tra “loro” e “noi”. Abbondano le
tribune da cui riferirsi ad altri esseri umani come “peste”. Mentre il
linguaggio della pulizia etnica è coniugato nell’agenda pubblica, i nazisti
alimentano la loro rabbia sui social media, scatenano il loro desiderio di fare
del male e conferiscono al loro patetico razzismo da troll di internet
una patina epica: “Li riuniremo ad Allah”, dicono, permeati da una missione.
Mentre la
giustizia sociale e i diritti umani vengono messi in discussione come
aspirazioni legittime attorno alle quali organizzarsi, discorsi che
giustificano lo sfruttamento e la disuguaglianza emergono sulla scena in modo
complementare. È così che prende forma il consenso sul fatto che alcune
vite valgano meno di altre. Il capitalismo razziale si basa su questo, ma
sempre meno persone lo nascondono. Mentre le élite accumulano più che
mai, ignorando ampi settori della popolazione che affermano di difendere,
finanziano portavoce che convincono gli indigeni perdenti di essere superiori,
di meritare di più, perché discendenti da una stirpe occidentale minacciata non
dall’avidità insaziabile di pochi, ma da coloro che sono stati vittime di
espropriazione prima di loro. Il potere ha capitalizzato con successo
sulla migrazione: la sua forza lavoro viene sfruttata al massimo per
rimpinguare le tasche del capitale, la sua alterità viene sfruttata affinché le
persone non pensino all’espropriazione che subiscono a causa di questo regime
di avidità, ma piuttosto alla minaccia astratta che le persone in cerca di un
sostentamento rappresentano per la loro sicurezza.
Disumanizzati,
i migranti fungono anche da ariete politico da scagliare contro l’opposizione:
il sistema bipartitico viene accusato di “averli portati qui”, come se non
avessero le proprie ragioni per decidere di venire, la propria capacità di
agire per prendere la decisione di migrare nonostante tutti gli ostacoli che
negano loro il diritto di movimento. Vox e l’estrema destra vengono
accusati di alimentare l’odio, come se il sistema bipartitico non avesse aperto
la strada alla disumanizzazione affrontando la migrazione da una prospettiva
utilitaristica e permettendo al linguaggio della gestione dei flussi di
prevalere su quello dei diritti delle persone.
Nello
scambio di accuse tra i ranghi più fascisti e quelli più moderati del potere,
emergono contraddizioni: la soluzione magica (o definitiva?) di
espellere le persone si scontra con l’esigenza capitalista di sfruttarle.
Trump si è trovato di fronte a questo paradosso quando i suoi ampi piani di
deportazione si sono scontrati con gli interessi degli imprenditori che non
vogliono perdere i lavoratori di cui hanno bisogno per continuare ad accumulare
ricchezza. Da grande soluzionista qual è, Trump ha difeso la seguente formula:
lavoratori migranti dipendenti dai loro datori di lavoro, senza accesso alla
cittadinanza. Lavoratori senza diritti, dipendenti da chi li sfrutta e
perseguitati con retate casuali non appena lasciano il lavoro. Suona familiare.
Abbiamo un
termine che non passa mai di moda per riferirci a questo: “schiavitù”. E Trump
è un classico. È forse a questo che si riferiscono i suoi alleati in Europa
quando rivendicano con tanta enfasi l’eredità greca? Una società di uomini
liberi e schiavi? È
possibile che stiano difendendo quell’istituzione così funzionale all’ordine e
all’accumulazione: far lavorare masse di persone in cambio del minimo
indispensabile per vivere, senza diritti? Questa violenza, a volte
sponsorizzata dallo Stato – per mano dell’ICE o di Frontex – a volte da questo
tipo di milizia fascista, non è forse una forma di disciplina affinché “gli
altri” capiscano che non vi apparterranno mai? Perché “noi” crediamo alla
finzione che vengano difesi, mentre l’espropriazione continua?
I noiosi
campioni dell’Occidente
Funzionali
ai fascisti urlanti sono i discorsi di quegli “intellettuali” tranquilli che
insistono sulla necessità di preservare la “civiltà occidentale” o i “valori
europei”, come se potessero essere igienicamente separati dalla materialità
della storia occidentale o europea, segnata dal colonialismo basato sullo
sterminio e l’espropriazione. Come se non vedessimo il presente occidentale ed
europeo sui nostri televisori sponsorizzare il genocidio a Gaza e
giustificare la morte di migliaia di persone mentre si dirigono verso i
confini… È orribile sentire persone note per la loro cultura e rispettabilità
sottolineare le grandi pietre miliari della tradizione europea ignorando tutte
le altre tradizioni culturali del mondo.
In ogni
società, è esistito e continua a esistere un conflitto tra chi difende la
dignità di tutti e chi cerca di accumulare ricchezza e potere. Proprio come la
schiavitù, la crudeltà o le ambizioni imperialistiche non sono un monopolio
dell’Europa, non lo sono nemmeno le aspirazioni alla libertà e all’uguaglianza.
La superiorità di una cultura può essere rivendicata solo – ed è ciò che fanno
i noiosi della civiltà occidentale o dei valori europei – a partire da una fiera
ignoranza delle culture altrui, ostentando un’intrinseca appartenenza coloniale
che sa rapportarsi all’alterità solo attraverso la violenza, il paternalismo e
l’estrattivismo.
Quando ci
sarà un Trattato di Non Proliferazione dell’ipocrisia? I portavoce del mondo libero
(sic) limitano la libertà di espressione dei propri cittadini, imprigionano i
dissidenti e violano le proprie leggi. Chi elogia le virtù dei valori
occidentali viola apertamente gli stessi diritti umani che orgogliosamente
rivendica. È naturale che chi è disposto a difendere l’Occidente, a rischiare
la vita per l’Europa, lo faccia sotto forma di un’incursione fascista,
attaccando dalla sicurezza di essere più numeroso e più brutale. Chi si
atteggia a persecutore del crimine lo fa attraverso il vandalismo. Afferma di
voler creare spazi sicuri mentre instilla il terrore nelle strade. E così
rappresenta fedelmente ciò che cerca di difendere: un sistema di espropriazione
e accumulazione che, per perpetuarsi, richiede sempre maggiori disuguaglianze e
violenza.
Integrarsi
nella disuguaglianza è remissività
Mentre la
destra lega migrazione e criminalità, voci benintenzionate a sinistra si
preparano a contrastare questa narrazione. Le bufale vengono poste al centro
della discussione, si cercano statistiche per ripulire la reputazione dei
nostri “buoni” migranti e si tira un sospiro di sollievo collettivo quando si
dimostra che un ladro, un aggressore o uno stupratore non ha cognomi stranieri.
Entrare ripetutamente in questo gioco rende un pessimo servizio alla lotta al
razzismo: ci saranno sempre migranti che commettono reati, poiché la
criminalità si verifica in tutte le società e in tutti i gruppi. Dimostrare
se chi proviene da fuori commette più o meno reati significa sottomettersi ai
quadri imposti dalla destra e farlo alle condizioni da essa stabilite. Questo
oscura la visione di altri fattori che possono influenzare queste statistiche:
età, genere, status socioeconomico, stress o emarginazione, il razzismo
istituzionale che invisibilmente sostiene l’azione della polizia o le decisioni
giudiziarie. Se c’è una cosa a cui la criminalità è legata, è la
disuguaglianza. Parlare della violenza che i migranti possono
infliggere senza affrontare la violenza che subiscono quotidianamente è uno dei
principali trucchi del discorso di destra.
D’altra
parte, insistere, quando si parla di criminalità, sul fatto che ci sia una
maggioranza di migranti integrati rafforza, anche se involontariamente, la
logica del migrante buono contro il migrante cattivo, così funzionale al
sistema. Lasciare aperte solo le vie della criminalità e dell’integrazione in
un sistema di sfruttamento lascia poco spazio alla risposta e alla ribellione,
in primo luogo di fronte alla violenza subita, e in secondo luogo di fronte
alla mancanza di diritti. La semplice integrazione in un sistema che discrimina e sfrutta è
mitezza. È la stessa pace e rispetto della legge che viene richiesta a chi sta
in fondo, mentre ci viene rubato il diritto di abitare nelle nostre città, o
diventiamo più poveri anno dopo anno mentre i ricchi si arricchiscono, spesso
violando la legge e traendo profitto dalla violenza.
Lotta contro
l’eredità
Predicatori
d’odio, delinquenti e rappresentanti della civiltà occidentale sono tutti
concordi nella loro profonda preoccupazione per l’eredità. L’eredità cristiana,
l’eredità liberale, l’eredità illuminista: ognuna può chiamarla con il suo
nome, ma nessuno le dà direttamente il suo vero nome: il privilegio ereditato
di basare la prosperità di pochi sullo sfruttamento di milioni di persone fuori
e dentro l’Europa, senza che nessuno ne sottolinei l’ingiustizia e la natura
coloniale. L’eredità dell’espropriazione delle classi lavoratrici,
dell’estrattivismo dei popoli del Sud, dell’appropriazione del lavoro non
retribuito delle donne. Di fronte a questa eredità astratta che serve a
giustificare la supremazia e la morte altrui, dobbiamo indicare ciò che in
realtà cercano di proteggere sotto tanta retorica: la
concentrazione della ricchezza nelle mani di sempre meno eredi, il
mondo diviso tra sempre meno proprietari, l’avidità che penalizza anche quegli
scagnozzi che, invece di ribellarsi a chi amareggia il loro presente e ne
ipoteca il futuro, dispiegano tutta la loro forza ed energia politica per
difendere gli interessi altrui. Ogni impero ha bisogno dei suoi
battaglioni di imbecilli e mercenari.
La strategia
dell’altra parte è ben congegnata e ha funzionato per secoli, ma è solo una
parte della storia. L’altra parte, quella che risponde e la contesta senza
mezzi termini, si sta facendo sentire sempre di più. È quell’eco
internazionalista che si agita di fronte al genocidio in Palestina, è quella
vertigine storica che riconosciamo nelle cacce all’uomo a Torre Pacheco o a Los
Angeles. Che si sono verificate negli ultimi mesi e anni in Irlanda o nel Regno
Unito, nelle isole greche o a El Ejido. È orribile, ma non è solo orribile; è
anche il fondamento che attiva il diritto a resistere, a sfidare un’eredità
razzista e coloniale che non vogliamo, a unirci attorno a qualcosa di molto più
concreto del nostro amore per la frittata di patate o la siesta – se di questo
si occupano le tanto decantate usanze spagnole – che è il diritto di tutti alla
vita, alla libera circolazione e all’uguale accesso alle risorse che la terra
ci offre, di fronte a quella spinta accumulatrice che oggi mostra il suo volto
più suprematista.
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