Una volta era “Rivoluzione o morte”, oggi è “Riforma o
morte”. Ma a pronunciarlo non sono i popoli oppressi, né i leader
rivoluzionari. Sono i tecnocrati dell’élite finanziaria. Il dogma della riforma: una
religione senza popolo Ma cos’è, in concreto, questa
riforma? Non è certo un’idea condivisa di giustizia sociale o di
redistribuzione. Riforma, nel linguaggio di Draghi e delle istituzioni
sovranazionali, significa sempre la stessa cosa: tagli, flessibilità,
privatizzazioni, efficienza di bilancio, deregolamentazione industriale, compressione
dei diritti collettivi. È un’economia armata contro il lavoro e blindata nei
suoi dogmi. Il tramonto dell’Europa e il
risveglio della verità Il modello europeo fondato
sull’austerità, sulla tecnocrazia e sull’illusione di una forza geopolitica
data solo dal peso commerciale, è arrivato al capolinea. Draghi stesso lo
ammette: l’Europa ha creduto per anni che le sue dimensioni economiche le
garantissero automaticamente influenza. Ma si sbagliava. Lo dimostra Trump,
che tratta Bruxelles come una pedina marginale sullo scacchiere globale. Il messaggio è chiaro: non
abbiamo più alcun potere se non ci adeguiamo al modello americano, se non
diventiamo anche noi una “economia di guerra” capace di produrre, investire,
controllare. Ma questa narrazione dimentica che l’Europa non è solo un
mercato. È, o dovrebbe essere, anche un’idea di civiltà, di welfare, di
diritti, di pace. Le riforme che nessuno ha
chiesto Quello che Draghi propone è
un’accelerazione tecnocratica dell’integrazione, in nome della competitività
globale. Ma senza un progetto democratico, senza partecipazione popolare,
senza redistribuzione, questa accelerazione diventa un suicidio politico. Lo
stesso think tank Bruegel ammette che solo il 20% delle proposte è stato
attuato. Il resto è carta straccia. Non per caso, ma per mancanza di
legittimità. Una rivoluzione al contrario:
il potere dei pochi contro i molti Mentre Lagarde tesse l’elogio
dei migranti come forza-lavoro invisibile che salva l’Europa dalla
stagnazione, Draghi grida all’irrilevanza se non ci si piega alla concorrenza
globale. Ma nessuno, tra questi grandi tecnocrati, si chiede che fine abbia
fatto il consenso sociale. Nessuno parla di salario minimo, di
diseguaglianza, di diritto all’abitare, di servizi pubblici. Il popolo non è
previsto nel loro disegno. Se non come ostacolo. Lo spettro della guerra
economica totale La guerra commerciale con
Washington è stata evitata a prezzo di una resa: accettare il 15% di dazi sui
prodotti europei per non aprire uno scontro. Altro che sovranità. Intanto la
coesione sociale si sgretola, la sicurezza alimentare si dissolve, e le reti
pubbliche vengono smantellate. Eppure la priorità resta sempre la stessa:
“riformare per crescere”. Ma crescere per chi? Conclusione: disobbedire al
futuro che ci impongono Ma questa narrazione non può
più bastare. L’alternativa non è “riforma o morte”, ma “partecipazione o
sottomissione”. Non abbiamo bisogno di una nuova governance tecnocratica, ma
di una nuova sovranità popolare. Non ci serve un’economia armata per
competere, ma una società giusta per vivere. Per troppo tempo abbiamo
creduto che il cambiamento potesse arrivare dall’alto. Ma oggi è evidente: o
il popolo riprende in mano il proprio destino, o l’élite continuerà a
riformare tutto. Tranne sé stessa. Fonti e approfondimenti: |
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