Non occorre possedere speciali virtù profetiche per predire ai paesi dell’occidente (vale a dire Europa e USA per come si sono configurati negli ultimi due secoli), un avvenire di disgregazione e di inarrestabile declino. Sarebbe sufficiente fermarsi ai dati macroeconomici e sociali più noti per farsi un’idea alquanto realistica del futuro che li attende. Gli USA sono chiusi nella trappola di un debito crescente e insostenibile, incapaci di limitare la loro dispendiosa postura di impero guerresco, privati da decenni della loro base manifatturiera, spinti a fare soldi con i soldi, costretti a governare un paese lacerato dalle disuguaglianze, in cui la classe media, base della stabilità politica americana, arretra ormai da decenni, mentre in tanti stati la condizione di povertà supera il 10% della popolazione. Un’economia di servizi che vuole vivere sul debito pubblico e sull’indebitamento privato dei cittadini, sul dominio del dollaro. Sotto questo profilo l’Europa non sta molto meglio anche a prescindere dallo scenario inquietante che si schiude per il Vecchio Continente dopo gli accordi con Trump del 27 luglio. Vent’anni di perdita di produttività delle industrie dell’Unione, ci ricorda il Rapporto sul futuro della competitività europea di Mario Draghi del 2024. Nel quale rapporto cogliamo la previsione più clamorosa del declino europeo, l’indicatore più indiscutibile del regresso delle nazioni: la perdita di popolazione. «Entro il 2040, si prevede che la forza lavoro dell’UE si ridurrà di circa 2 milioni di persone ogni anno, mentre il rapporto tra lavoratori e pensionati dovrebbe scendere da circa 3:1 a 2:1». Ricordiamo di passaggio quel che è successo nel cuore del Vecchio Continente. Con la guerra in Ucraina la rampante locomotiva d’Europa, la Germania, è andata a schiantarsi nelle secche di una classe dirigente nana, che ha ubbidito prontamente agli USA, ha accettato di buon grado il sabotaggio del gasdotto Nord Stream, rinunciando ai rapporti di scambio con la Russia su cui aveva fondato un modello di crescita di successo. Ora ha imboccato la strada, davvero ricca di potenzialità, per diventare la “più grande potenza militare dell’Europa”. Immaginiamo con entusiasmo quanta ricchezza e benessere apporterà al suo popolo e al resto d’Europa col patrimonio di carri armati, bombe e missili di cui si doterà…
E
tuttavia, per indicare la linea di tendenza rovinosa verso cui siamo
diretti, basterebbe soffermarsi superficialmente sulla parabola disegnata
dall’Italia – il paese politicamente più fragile e per questo più
rappresentativo per il ragionamento che intendo svolgere – per comprendere
verso quali mete luminose tende il destino del Vecchio Continente. Chi si
ricorda che nel 1991, secondo un rapporto di Business International, l’Italia era diventata il quarto paese più
industrializzato del pianeta, dopo Stati Uniti, Giappone e Germania? Oggi, dopo 30 anni di cura
europea e di buon governo nazionale (governi di centro-destra e di
centro-sinistra) è scomparsa dalle classifiche,
ospita sei milioni di poveri assoluti, perde di anno in anno quote di
popolazione, che diventa sempre più vecchia, è segnata da squilibri
territoriali drammatici, con vastissime aree che si vanno desertificando anche
sotto il profilo fisico.
Ma le
previsioni sul futuro dell’occidente diventano ancora più credibili se facciamo
almeno un cenno ai paesi che stanno emergendo dal loro passato coloniale,
si liberano dalla tirannia del debito gestito dal Fondo Monetario
Internazionale, dai ricatti e dalle imposizioni del dollaro statunitense, dal
saccheggio dei propri beni da parte delle grandi imprese occidentali,
perpetrato attraverso la corruzione delle vecchie élites locali. Pur senza qui
considerare la Cina, ormai la vera prima economia del pianeta, bisogna tener
presente che i paesi del fronte dei Brics, e altri nella stessa condizione,
sono in costante crescita demografica, abitati da giovani desiderosi di
acquisire benessere, galvanizzati dal sentirsi parte di comunità
orgogliosamente in ascesa e sempre più indipendenti dal vecchio padrone europeo
o americano. Nulla di più lontano dalla nostra gioventù, smarrita da anni
nella sua disperazione nichilista. Figuriamoci ora che le promettiamo un entusiasmante avvenire
di guerra. Ma un aspetto davvero poco considerato dell’ascesa tumultuosa di
questi paesi è la coscienza storica che ispira la condotta delle nuove élites nazionali,
consapevoli del passato di saccheggi, umiliazione e massacri subiti ad opera
delle colonizzazioni occidentali e del neocolonialismo americano. Una
nuova consapevolezza geostrategica orienta il Sud del mondo di cui noi
ignoriamo tutto, a parte la caricatura della nostra stampa, servilmente e
stoltamente impegnata a denigrare chi insidia il nostro fallimentare
suprematismo bianco. In realtà in questi ultimi 30 anni il dominio unico
americano è andato in frantumi, qualcuno dovrebbe informare i governanti
europei e la stampa che li illumina, perché si acconcino a fare i conti con un
gran numero di nuovi e agguerriti comprimari.
E
tuttavia il cuore del declino dell’occidente è, per contrasto,
osservabile proprio qui, nella variegata geografia di questo Sud e di questo
Oriente in cammino. Non solo nella semplice ascesa economica di tanti
paesi, ma nel nucleo che sta alla base del loro successo e che l’occidente ha
perduto: la guida di un forte potere statale. Condizionati dal nostro
pregiudizio democratico, dalla nostra rocciosa ignoranza, dal nostro indomito
razzismo, noi bolliamo come autocratici i regimi di questi paesi (in
gran parte effettivamente illiberali, secondo loro culture e tradizioni) e
perciò guardiamo ai loro successi non come all’emergere di una nuova geografia
delle relazioni internazionali, che si sottrae al dominio unico degli USA, ma
come a confuse minacce alle nostre svuotate democrazie.
Così ci
sfugge non solo che essi puntano a un ordine di cooperazione e di pace mentre
noi democratici ci disponiamo e investiamo nella guerra – dopo tutte le guerre
con cui abbiamo insanguinato il mondo negli ultimi 100 anni – ma
anche un aspetto decisivo del mutamento d’epoca che si è consumato sotto i
nostri occhi. Questi paesi hanno conservato un bene supremo che USA ed
Europa hanno rovinosamente perduto: la sovranità del potere politico statuale.
Oltre 30 anni di disfrenamento capitalistico, accompagnato dalle sirene della
retorica neoliberista, hanno distrutto il potere superiore che per tutti i
secoli dell’età moderna aveva governato gli interessi generali dei paesi e
soprattutto degli stati-nazione. La politica moderna, quella che nasce
in idea con le prime geniali teorizzazioni di Machiavelli, è stata sopraffatta,
soffocata sotto una inedita forma di neofeudalesimo, capeggiato da potentati
economici e finanziari che l’hanno privatizzata, comprata a pezzi come si
compra una qualsiasi azienda. La tradizionale, complessa forma di governo
degli interessi collettivi è stata di fatto privatizzata, divisa fra diverse
corporazioni, mentre il ceto politico, che apparentemente tiene in
piedi il simulacro della rappresentanza democratica, è ridotto a una
corporazione subalterna, che svolge compiti ancillari. Serve, dietro
compenso, i poteri finanziari più o meno grandi, per esempio perché saccheggino
il suolo delle nostre città (l’Italia, Milano in testa, offre un bel
repertorio); è impegnata, con l’aiuto della stampa, a elaborare retoriche per
convincere i cittadini delle buone ragioni delle élites capitalistiche anche nelle
versioni affaristiche più degradate. In breve il capitalismo,
privato del suo antagonista storico, il comunismo, che ha disfatto i partiti
operai e popolari, messo all’angolo i sindacati, intaccato gli equilibri vitali
del pianeta, sciolto nell’acido dell’individualismo edonistico quel che era
stata per secoli la società, ha divorato anche il potere pubblico che
gli forniva visione generale e qualche elemento di indirizzo strategico.
Osserviamo
oggi quest’opera di distruzione persino nello stato di diritto più antico e più
solido dell’occidente, quello degli USA. Del resto come poteva andare diversamente dopo che,
per decenni, i cosiddetti rappresentanti del popolo accedono al Congresso
grazie ai milioni di dollari con cui i vari potentati finanziano le loro
dispendiose campagne elettorali? Come possono rispondere agli interessi della
grande massa dei cittadini americani dopo gli obblighi contratti con così
generosi ed esigenti donatori? Perciò Partito democratico e Partito
repubblicano sono indistinguibili per un aspetto fondamentale: sono due facce
di un’unica plutocrazia. Trump, ad esempio, questo personaggio bizzarro e
inafferrabile, rappresenta in realtà, plasticamente, l’implosione della classe
dirigente USA, divisa tra lobbies finanziarie ebraiche (che decidono
della politica estera USA in Medio Oriente), grandi fondi del risparmio
gestito, apparato militare industriale, che cerca nella guerra i propri
profitti e sbocchi di mercato, oligarchi dell’industria elettronica e mediatica
che rivendicano potere di comando proporzionale alla loro ricchezza, e, in
ultimo, la grande massa della popolazione senza voce, che non si sente
rappresentata dal Congresso e si percepisce da anni come il 99% più povero del
paese. E anche in questo caso, per avere un’idea del cammino percorso
dall’America in tale direzione, basterebbe pensare alla scomparsa della
retorica del “sogno americano”, o ricordarsi – per percepire quanto tutto è
mutato – dell’arrogante affermazione imperiale che fece a suo tempo George Bush
senior, secondo cui «lo stile di vita americano non è negoziabile». Quello
stile di vita è sempre più per pochi, e la sua incarnazione più rappresentativa
stanno diventando le fila dei senza tetto e dei tossicodipendenti accampati
nelle strade sempre più affollate di reietti delle grandi città americane.
Ma la
traiettoria più evidente del declino dell’occidente e soprattutto dell’Europa
si scorge anche nei meccanismi suicidi escogitati per la formazione e la
selezione delle loro élites. È il caso di ricordare che per
quanto riguarda il potere statale gli imprenditori capitalistici o gli
esponenti della finanza entrano ed escono dalle stanze delle istituzioni
pubbliche senza ormai destare scandalo. Il sistema del revolving door, delle
porte girevoli, è in funzione da tempo. Oggi Trump è il caso più eclatante,
benché l’Italia lo abbia anticipato con Berlusconi, mentre la Germania non lo è
di meno, con Friedrich Merz, un uomo di Black Rock, il gigante del risparmio
gestito, diventato senza tanti preamboli cancelliere federale. Un segnale
evidente non solo dell’avvenuto soggiogamento del potere statale agli interessi
diretti del capitale, ma anche dell’incapacità dei partiti di selezionare
quadri dirigenti autonomi, politici esperti, per il governo dei paesi. Una
grande tradizione del ‘900 è stata spazzata via, perché oggi i partiti non sono
più scuola di nulla. Non per niente in Italia si esalta tanto Mario Draghi,
eccellente manager, un uomo della finanza internazionale, ma mediocre politico,
scambiato per uno statista.
Ma la
riflessione vale più in generale per la formazione culturale dei quadri
dirigenti. Oggi vediamo Trump impegnato a colpire le prestigiose università
d’America, la base più importante dei successi culturali e scientifici di quel
paese. Ma i governanti europei, a partire dal “Processo di Bologna” del 1999,
hanno cominciato a curvare l’organizzazione e i programmi delle università a
finalità sempre più strumentali e subalterne alle logiche dello sviluppo
economico. Anche la scuola e l’intero sistema formativo, soffocato sotto un
crescente apparato di controllo burocratico, hanno seguito la stessa
strada. Le nostre istituzioni accademiche producono oggi efficienti
soldatini, chiusi nei propri specialismi, isolati nei propri compiti produttivi,
o asfissiati da impegni di rendicontazione, tagliati fuori da ogni sguardo
sulle cose del mondo. Il capitalismo ha manomesso gravemente le nostre
università, una delle più geniali creazioni dello spirito europeo, e ora ne ha
fatto dei corpi spenti, segmentati, privi di visione generale, civilmente
passivizzati. Per avidità di profitti e volontà di controllo sociale, il
capitalismo si è autocastrato, e perciò va producendo menti mediocri e
asservite. Non è certo un caso (ma anche esito della potente manipolazione dei
media) che dopo oltre tre anni di pubblicazione di libri, saggi,
articoli, filmati, documenti, che hanno chiarito come la guerra in Ucraina sia
stata ordita e combattuta dagli USA, e come uno dei suoi scopi fosse, e sia
ancora, quello di colpire le economie dell’Europa, di impedire che si creasse
una grande area di traffici euroasiatica, i nostri intellettuali si rifiutino
di capirlo. Non riescono ad accettare tale verità neppure oggi che
l’amministrazione Trump costringe alla rovina i bilanci degli stati europei,
perché continuino, con armi acquistate in USA, la guerra che questi hanno
perduto.
Ma la
mutilazione politica e morale più grave che l’occidente ha subito di recente
appare necessariamente il comportamento di gran parte dei governi europei,
dell’Unione, della maggioranza del Parlamento, di fronte al genocidio del
popolo palestinese a Gaza. Qui, in quest’angolo orientale del Mediterraneo,
“la più antica democrazia del mondo” e “l’unico stato democratico del Medio
Oriente” hanno perpetrato, davanti all’opinione pubblica internazionale, il più
efferato genocidio del secolo. L’onore di questi due paesi, che si sentono
orgogliosamente occidente, ove mai ne conservassero traccia, è rimasto sepolto
sotto le macerie di Gaza. Ma non sono soli. Sappiamo del sostegno militare dato
a Israele dal Regno Unito, dalla Germania e dall’Italia. E osserviamo sgomenti
che nessuna sanzione è stata comminata allo Stato genocida, che uccide gli
inermi con le bombe e con la fame, mentre l’Unione continua a sanzionare la
Russia. Un esempio di coerenza e di dignità che tutti i paesi del mondo stanno
ammirando da tempo e che farà brillare di inedito prestigio l’immagine
internazionale di tutto l’occidente. E però non solo i governi, il ceto
politico si stanno coprendo di tanta gloria. Non sono da meno per impegno e
coerenza giornalisti, intellettuali, artisti. Mai tanta ignavia era apparsa
sotto i nostri cieli, di fronte al massacro di un popolo indifeso, osservabile
giorno per giorno, mese dopo mese, dalla tranquillità delle nostre case. La
confidenza che le nostre élites hanno contratto con la
barbarie è l’ultimo tassello di una caduta di civiltà che negli ultimi tempi si
è fatta precipitosa. Dico élites, non a caso, perché il popolo non
ha voce e il popolo inorridisce di fronte ai massacri, non vuole la guerra,
come mostrano tutte le statistiche rese pubbliche in Europa in questi anni. E
qui sta la grande e grave contraddizione su cui le forze progressiste dovranno
far leva. Tra i gruppi dirigenti e la grande massa dei cittadini, si è
spalancato un divario senza precedenti storici. Un altro aspetto conclamato
del declino dell’occidente. Un distacco, un restringimento delle basi di
consenso talmente marcato che a eleggere i governi è ormai una minoranza di
cittadini. E su questa base ristretta, oltraggio estremo alla democrazia, i
governi delle minoranze si arrogano il diritto della scelta più grave che
uno Stato possa intraprendere: un programma di guerra.
Ma questa è
anche la grande contraddizione che può aprire gli spazi a un’alternativa, per
lo meno in Europa. Governanti, politici, media padronali, élites intellettuali
hanno oggi di fronte il più grande ostacolo della loro storia: nascondere le
loro multiple sconfitte, convincere centinaia di milioni di europei della
necessità di investire ingenti risorse in armamenti, di predisporsi alla
guerra, di vivere negli anni a venire entro una bolla di minacce e di paura,
senza che nessun nemico prema alla porte, senza che nessuno ci minacci. La Russia non ha nessun interesse
neppure a sfiorarci, e le guerre, com’è noto, si fanno per qualche interesse.
Com’è facile immaginare l’impegno politico più rilevante che i gruppi dirigenti
porranno in atto sarà quello di ingannare i cittadini, di convincerli,
elaborando menzogne su menzogne, della necessità di difendersi da un nemico che
non si vede, di intraprendere una strada di sacrifici per cui non si scorge
alcuna necessità. “Vaste programme” direbbe De Gaulle, perché i cittadini sanno guardare
il cielo e accorgersi che nessuna tempesta è in arrivo. E un vasto programma
fondato su una così colossale fandonia è privo di gambe per camminare.
Perciò un fronte ben organizzato di forze progressiste può seppellire
politicamente questi gruppi sotto le macerie della propria disfatta. Qualunque
sia il destino dell’Unione, l’Europa – che a differenza degli USA non è un
impero – può trasformare il proprio ridimensionamento geostrategico in
occasione per svolgere un nuovo ruolo, in cui vengono esaltati i suoi talenti e
le sue eredità migliori, in un mondo di rapporti pacifici fondati sulla pari
dignità di tutti i popoli.
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