lunedì 17 febbraio 2025

Baruffe romanotte e idraulici informali - Guglielmo Ragozzino

 

La sicurezza e l’accoglienza: due approcci – o visioni – dell’immigrazione dietro una lite all’Esquilino tra un noto giornalista televisivo e un attivista di Spin Time, il centro sociale aiutato dal Tesoriere di Papa Francesco. Dietro l’episodio, da baruffe chiozzotte, un’orizzonte di umanità e diseguaglianze e tanta miopia.

 

Parlerò di me, una volta tanto. Sabato scorso, mattina, lavoravo “a studio”, (come dicono a Roma) e sono sceso a bere un caffè in un vicino bar tenuto da “Bangla” (sempre come dicono a Roma). Nella piazza circostante, detta Pepe, era in corso, a mia insaputa, una riunione di esquilinesi, gli abitanti e le abitanti del quartiere. Erano rappresentate un bel po’ di associazioni locali, nate per migliorare il benessere generale, sotto forma di attività comuni, sociali, sportive, culturali. Una parte delle persone presenti era però di opinione contraria: “all’Esquilino i veri problemi sono quelli della sicurezza, per dirla in una parola sola: furti, aggressioni, spaccio, prostituzione, ogni giorno e soprattutto ogni notte, al buio. Noi abitanti non siamo sicuri e non siamo sicure. Occorrono cancelli e chiavistelli, per proteggere persone deboli e proprietà. E che dire poi del mercatino dei pezzenti di Via principe Amedeo, di fronte al gran mercato alimentare”?

Parlerò di nuovo di me. Mi capita di attraversare il “mercatino del “tutto giù per terra” tre/quattro volte al giorno nel percorso da casa a studio.

Le merci sono sistemate su coperte e asciugamani, pronte a essere fatte sparire, infilate In borsoni, al segnale di pericolo. Il pericolo è costituito da uno di tre o quattro gruppetti di difensori dell’ordine, vigili, poliziotti, carabinieri, tutti armati di pistole e manette. Le forze d’intervento si alternano, con disciplina e modi urbani, lasciando ogni tanto spazio alla quarta forza, la Guardia di finanza, che eventualmente sanziona le vendite senza Iva, di vecchie scarpe, magliette usate o cianfrusaglie varie. L’impressione è che le soldate e i soldati che controllano Via Principe Amedeo lo facciano nella convinzione di evitare guai, abusi, prepotenze, imbrogli con la loro semplice presenza. 

Tornando a Piazza Pepe, sabato mattina, ecco un teatrino romanesco gratuito. Protagonisti un assertore del partito dei cancelli, un famoso e simpatico personaggio televisivo, abitante proprio in piazza Pepe e il portavoce di Spin time un noto palazzo occupato, proprio all’Esquilino. (1) Ne è sorto un diverbio che la grande stampa non ha trascurato: “Cancellate in piazza Pepe / la lite tra Telese e Tarzan finisce a spallate. Poi la pace” (la Repubblica, 3 febbraio 2025). Replica il Corriere, il giorno dopo: “Non ho preso pugni in faccia, ma i pusher in piazza sono un fatto” (Corriere della Sera, 4 febbraio 2024) che poi aggiunge un’altra riga: “Luca Telese dopo la lite con l’antagonista: ‘Lo conosco da anni’”.

In effetti entrambi gli antagonisti rappresentano opzioni diverse: qui sicurezza, là accoglienza. Una piccola sceneggiata romanesca forse utile per far riflettere: ancora una volta si ripropone uno dei problemi forti della nostra epoca. Che fare con i migranti, come insegnare loro a vivere e a trovarsi un lavoro in una grande città, nuova per loro, senza fare chiasso, senza sporcare, senza sdraiarsi sulle panchine; e questo in un quartiere ospitale e disponibile, ma non sempre, non tutti i giorni, non per tutti. Quanto allo spaccio e alla prostituzione, in città, in ogni città, c’erano anche prima e non saranno i cancelli dell’Esquilino a farli sparire.

Le baruffe romanotte non fanno che riproporre bene e in modo esemplare un problema irresolubile che consiste nelle divisioni tra le persone (e anche tra noi democratici) in tema di migrazioni. Si riproduce qui il ben noto principio del NIMB (not in my backyard cioè non nel mio cortile) con cui nei decenni scorsi le comunità si difendevano da autostrade, piste aeree e ferrovie, volute dalle amministrazioni pubbliche. Sì a vie ferrate e autostrade e perfino a migrazioni, necessarie per l’economia; ma, per favore, dev’essere chiaro a tutti, non qui, non sotto le mie finestre. All’Esquilino ci sono sempre badanti ucraine, benvolute, lavoratori edili rumeni, tollerati, trattorie cinesi un tempo assai frequentate, ora trasformatesi in comodi bar, o nei cosiddetti cinesi (bazar plurimerce). A prima vista, guardando da lontano, con un teleobiettivo, sembra che tutto sia più o meno regolare, come al solito, e non emozionante. Guardando invece con una specie di grandangolo (o forse di telescopio) si vedrebbe un mondo assai più ampio, fatto di tanta gente in movimento, affamata, curiosa di tutto, povera, impaurita.

Una prima considerazione, se ci è consentito usare il grandangolo, è che la gente è nel mondo molto aumentata: la ‘ricchezza’ naturale è quella di prima, ma a dividerla siamo in molti di più. Nel 1900 c’erano al mondo, secondo le Nazioni Unite 1,65 miliardi di persone;(2) nel duemila i miliardi di presenze erano diventati sei; nel 2014, otto abbondanti, dunque con un aumento di due miliardi in tre lustri scarsi. Si prevede un rallentamento nella crescita nei prossimi decenni, con popolazione di 10,3 miliardi nel 2080 e poi un possibile calo: 10,2 miliardi a fine secolo. 

Insomma, la popolazione mondiale crescerebbe di quattro miliardi nel corso del secolo corrente (pari a tre quarti del totale). La ‘ricchezza’, intesa come territorio, acqua, aria pulita, insomma la natura è sempre la stessa, ma a partecipare nella divisione siamo molti di più, e mediamente più deboli, poiché saremo con più vecchi da sfamare e più piccolini (sopravvissuti) da svezzare. Gli uni non lavorano più; gli altri non sanno ancora fare. Se questo è l’ordine di grandezza previsto (preordinato, pronosticato, temuto: scegliete voi) dalle Nazioni Unite, il movimento migratorio sarà enorme, è inevitabile. In realtà, dire che la natura è sempre la stessa, è esagerare per ottimismo. Tra costruzioni, strade, ponti, macchinari, impianti di vario genere e per esempio dighe un po’ dappertutto, abbiamo ingoiato un bel po’ di natura. D’altro canto, se le popolazioni aumentano di tre quarti in meno di cento anni, non è difficile capire che i bisogni generali – cibo, strade, cure mediche, abitazioni, città, e poi traffici, viaggi, spostamenti – a parità di altre condizioni, non possono che aumentare. 

La guerra, la fame, la paura, l’oppressione, la povertà, la ricerca di un lavoro decente saranno la conseguenza obbligata a “fare qualcosa”, un qualsiasi tentativo per venirne a capo. Di fatto i guai costringeranno una parte della popolazione di ogni continente, di ogni plaga ad andarsene, abbandonando tutto il passato – memorie, credenze, usi – bagaglio inutile per sopravvivere, anzi pesante e penoso. Per sopravvivere e consentire a sé di tirare avanti, con il carico dei vecchietti e degli infanti di prima, e ai figli di crescere, di fare qualcosa, lavorare, mettere su famiglia, mantenersi. C’è poi dell’altro: c’è chi parte per provare, imparare, capire il vasto mondo, scegliere, mostrare quel che si sa fare.

I numeri sono meravigliosi. “Siamo tutti figli e nipoti di migranti. Abbiamo cominciato a migrare trenta o quarantamila anni fa, quando i nostri bisavoli Homo Sapiens sono usciti per la prima volta dall’Africa, espandendosi lentamente verso il Medio Oriente, l’Asia e l’Europa, in territori poco popolati da altre specie di Homo, che abbiamo respinto o con cui ci siamo mescolati. Sì, veniamo tutti dal Corno d’Africa, la terra da cui oggi cercano di arrivare tanti nostri cugini somali ed eritrei”. Così diceva un po’ di anni fa Piero Basso, un generoso maestro. (3)  

Poche frasi dopo Piero aggiungeva una frase di Seneca: “Nella storia antica molti popoli lasciarono la propria patria e cambiarono dimora. Tra questi troviamo molte colonie greche che oggi sono in Asia…I Tiri oggi abitano l’Africa, i Punici la Spagna e I Greci si insediarono anche in Gallia. Le tempeste e le onde fecero affondare molti inesperti che si dirigevano verso luoghi ignoti. Vari furono i motivi per i quali gli abitanti si allontanarono dalle proprie terre: la rovina della patria mosse alcuni, le guerre civili altri, un’epidemia scacciò altri, la fama di una terra feconda attirò altri ancora”. 

Uomini e donne al lavoro nel 2025 nel mondo sono 3,6 miliardi secondo l’Ilo; erano 2,23 miliardi nel 1991; si è dunque realizzata una crescita di 1,4 miliardi, in poco più di trent’anni, nonostante la caduta delle attività negli anni susseguenti al biennio 2019-20, il biennio del Covid, della Pandemia. Sono calcolati con maggiori difficoltà e quindi assumendo i rischi di qualche imprecisione anche i lavori informali. Per l’Ilo rientra nell’economia informale quasi l’86 percento della forza lavoro in Africa, per scendere al 40 per cento nelle Americhe e al 25 per cento in Europa, laddove sono presenti talvolta sindacati e contratti di lavoro sanciti dalle leggi. Le definizioni dell’Istituto del Lavoro che si susseguono da un anno all’altro sono interessanti ma non troppo rigorose. Informale è “ogni attività economica, escluse le illecite, per lavoratori e unità economiche che per legge in pratica non coperta o coperta insufficientemente da accordi formali come la legislazione nazionale sul lavoro, l’imposta sul reddito e la protezione sociale”.

Non solo in Africa o in altri luoghi remoti, anche in Italia, anche a Roma, anche nel misteriosissimo Esquilino il lavoro informale, se non vogliamo prenderci in giro, è presente e ci consente di sopravvivere: sia ai migranti, sia ai locali. I migranti sono appunto venuti con lo scopo di guadagnare un po’. Se non altro, sanno darsi da fare, per i cosiddetti lavoretti: sono giovani, i più e disponibili, si adattano. Tutti i lavori, paragonabili a quelli alla persona che sono soprattutto compito delle immigrate, sono attività – lavori – che sanno fare senza vergogna. Sanno per esempio riparare un vestito, cucire un orlo, aggiustare un filo elettrico, una presa, incollare, con il famoso silicone, qualsiasi cosa. Sanno verniciare e sverniciare, al contrario dei locali, noi, che non sappiamo spesso come fare per riparare un oggetto d’uso, (un ferro da stiro, tanto per fare un esempio) e sappiamo soltanto comprarne un altro, più complicato ancora. Il lavoro dei nuovi arrivati è per lo più informale e questo significa che lo si paga al vivo, al costo, all’ora, alla mano – ditela come la volete – senza extracosti, per chi lavora e per chi paga. E questo è tutto (o quasi).

NOTE

1.      L’11 maggio 2019 l’elemosiniere della Santa Sede, cardinale Konrad Krajewski si è calato sotto l’edificio occupato di Spin Time per riattivare luce e corrente elettrica sigillate qualche giorno prima dall’Irati

2.      ILO 2025 – “Advancing social justice, promoting decent work”

3.      Focus sulle migrazioni, GUE/NGL Milano, 20 ottobre 2015

da qui

domenica 16 febbraio 2025

Risparmio gestito fa rima con risparmio tradito

di Francesco Masala

Immaginate una banca (ma anche un ufficio postale), sappiamo che è un’impresa come le altre, vuole fare soldi.

Vendono polizze vita, polizze assicurative per le auto, assicurazioni infortuni, contratti telefonici, tra l’altro.

Ancora per alcuni la banca è come una chiesa, un luogo sacro, alcuni clienti la vedono così.

Quando si passa la porta blindata della banca il cliente porta i suoi risparmi per metterli al sicuro, riuscendo a proteggerli dall’inflazione.

Il funzionario (o consulente) bancario propone strumenti finanziari che sono forme d’investimento, il cliente da risparmiatore viene trasformato in investitore (anche se non vuole).

L’investimento meno rischioso è qualche strumento finanziario che investe per la maggior parte in titoli di stato. Dopo 10 anni si otterrà un rendimento totale fra lo 0,5 e l’1%.

Il risparmiatore si ferma a pensare: se non aderisco a quello strumento finanziario, posso comprare da solo titoli di stato (che hanno la garanzia della restituzione del capitale iniziale) con un rendimento, nel decennio, fra il 2-3% annuo, per un rendimento complessivo nel decennio del 25-30%.

Si capisce che se ci si affida alle scelte offerte dalla banca al cliente resta un rendimento fra lo 0,5 e l’1%., la banca, con i soldi del cliente (senza nessun rischio) guadagna fra il 24,5 e il 29%, in realtà la banca dice che quello non è il suo profitto, ma sono la copertura delle spese di consulenza, le commissioni per il lavoro svolto e bla bla bla.

Quando comunicate alla banca che volete gestire i vostri risparmi comprando titoli di stato in banca cala una cortina di silenzio e si scatena il PANICO, vi diranno che sono titoli con un certo rischio, mentre la banca (fra i tanti) a voi, che non volete rischiare, propone strumenti finanziari dalla composti per la gran parte da titoli di stato e vi assicurano che sono arcisicuri. Cioè i titoli di stato comprati da voi non sono sicuri, quelli comprati dalla banca, e rivenduti al cliente con un prodotto finanziario con un bel nome, sono sicuri.

Misteri delle banche!

 

Seguite il sito (https://www.beppescienza.eu), le lezioni, i consigli di Beppe Scienza.

Qui sotto alcuni suoi interventi:

https://www.open.online/2024/10/24/polizze-vita-risparmiatori-finanziarie-assicurazioni-finte/

https://www.ilrisparmiotradito.it/post/attenzione-la-nuova-gabella-bancaria-imporre-contratti-di-consulenza-anche-col-silenzio-assenso

https://www.ilrisparmiotradito.it/post/btp-piu-meno-sicurezza-ma-niente-imbrogli

https://www.beppescienza.eu/img/2024-07-03-da-conferenza-Dip.Matematica.jpg

L’ipocrisia della Commissione Europea sul Congo - Alessandro Marescotti

Il Congo, ricchissimo di terre rare, è devastato da milizie sostenute dal Ruanda, che invadono e saccheggiano il Paese con la complicità tacita delle potenze occidentali. Ma a Bruxelles nessuno parla di "invasori" e "invasi". Nessuna condanna, nessuna sanzione.

Mentre l’Europa si erge a paladina della legalità internazionale, condannando l’aggressione russa all’Ucraina e imponendo sanzioni durissime a Mosca, in un’altra parte del mondo una tragedia simile si consuma nel silenzio assordante delle istituzioni europee. Il Congo, ricchissimo di terre rare, è devastato da milizie sostenute dal Ruanda, che invadono e saccheggiano il Paese con la complicità tacita delle potenze occidentali. Ma a Bruxelles nessuno parla di "invasori" e "invasi". Nessuna condanna, nessuna sanzione. Anzi, la Commissione Europea fa affari proprio con l’aggressore.

Il grande saccheggio del Congo

La Repubblica Democratica del Congo possiede immense risorse minerarie, in particolare cobalto, coltan e altre terre rare, materiali essenziali per la transizione tecnologica e digitale dell’Europa. Ma questi beni vengono sottratti con la violenza dalle milizie dell’M23, un gruppo armato sostenuto dal Ruanda, che da anni destabilizza l’est del Paese con massacri e sfollamenti di massa. In questa guerra, nei suoi retroscena geopolitici, c’è un interesse economico preciso: il Ruanda, privo di risorse minerarie proprie, si è trasformato in un hub per l’estrazione e la commercializzazione di terre rare, che in realtà provengono dal saccheggio del Congo.

E la Commissione Europea? Invece di denunciare questa razzia, ha siglato accordi economici con il Ruanda per garantirsi una fornitura stabile di materie prime strategiche, aggirando così la dipendenza dalla Cina, nazione che detiene il primato mondiale per le terre rare. In pratica, Bruxelles ha scelto di chiudere un occhio sullo sfruttamento e sulla violenza, trasformando un’aggressione militare in un'opportunità di business.

Due pesi, due misure

Il contrasto con il caso ucraino è evidente. Contro la Russia, l’UE ha reagito con sanzioni senza precedenti, isolando economicamente Mosca e fornendo massiccio sostegno a Kiev. Nel caso del Congo, invece, la Commissione non solo evita di sanzionare il Ruanda, ma lo premia con contratti vantaggiosi. L’integrità territoriale, la sovranità e la giustizia internazionale, valori che in Europa si difendono a parole, diventano irrilevanti quando a soffrire sono i congolesi e non gli europei.

Non si tratta di ignoranza o distrazione. È una scelta consapevole, cinica e calcolata: il benessere e la crescita tecnologica dell’Europa valgono più della vita dei congolesi. Dietro le batterie dei nostri smartphone e i componenti delle auto elettriche, c’è il sangue di un popolo che muore sotto le raffiche di milizie armate per garantire i nostri consumi.

L’Europa deve scegliere da che parte stare

L’Unione Europea non può continuare a giocare su due tavoli: difensore della giustizia quando conviene, complice silenziosa quando ci sono in ballo profitti strategici. Se davvero Bruxelles crede nei principi che proclama, deve interrompere immediatamente gli accordi con il Ruanda, imporre sanzioni a chi finanzia la guerra contro il Congo e sostenere il popolo congolese nella difesa della propria sovranità.

L’alternativa è l’ipocrisia totale: condannare le guerre quando colpiscono l’Europa e sfruttarle quando servono agli interessi economici. Ma questa ipocrisia ha un prezzo, e a pagarlo oggi sono i congolesi. Domani, potrebbe essere la credibilità stessa dell’Europa se la Commissione Europea non condanna già da subito il governo del Ruanda e se non interrompe ogni accordo commerciale.

Chiediamo al Parlamento Europeo di agire subito con una netta risoluzione di embargo verso il Ruanda fino a che non viene riportata la pace in Congo. 

Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha siglato accordi con il Presidente del Ruanda, Paul Kagame.

Va sottolineato che un rapporto pubblicato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite sui diritti umani portò alla luce i tanti abusi e i massacri compiuti dalle truppe ruandesi contro i cittadini congolesi nel decennio compreso tra il 1993-2003 (UNHR, 2010). Questo si legge sull'Osservatorio Strategico 2021 n.IV, a pagina 21.

Chiediamo che il parlamento italiano prenda l'iniziativa per isolare diplomaticamente, militarmente e commercialmente il governo del Ruanda. 

Note: In Sudafrica canti e balli a sostegno esercito RD Congo contro Ruanda

Pretoria, 4 feb. (askanews) - Tra canti e balli, la comunità della Repubblica Democratica del Congo in Sudafrica si è riunita a Pretoria per dare sostegno alle FARDC, le forze armate congolesi, nel conflitto in corso nella provincia del Nord Kivu, Est del Paese. "Kagame assassino", è il grido dei manifestanti diretto contro il presidente ruandese, mentre su uno striscione si legge "Sanzioni per il Ruanda".

https://stream24.ilsole24ore.com/video/mondo/in-sudafrica-canti-e-balli-sostegno-esercito-rd-congo-contro-ruanda/AGFgNaiC

 

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Vance dà lezioni ai politici europei | Deboli che non ascoltano la volontà degli ELETTORI - Danilo Torresi

 



sabato 15 febbraio 2025

La via occidentale al genocidio - Chris Hedges

 

Gaza è una terra desolata con 50 milioni di tonnellate di macerie e detriti. Ratti e cani frugano tra le rovine e le pozze fetide di liquami grezzi. Il lezzo putrido e la contaminazione dei cadaveri in decomposizione emergono da sotto le montagne di cemento in frantumi. Non c'è acqua potabile. Poco cibo. Una grave carenza di servizi medici e quasi nessun riparo abitabile. I palestinesi rischiano di morire a causa di ordigni inesplosi, lasciati dietro di sé dopo oltre 15 mesi di attacchi aerei, raffiche di artiglieria, colpi di missili e scoppi di carri armati, e di una varietà di sostanze tossiche, tra cui pozze di liquami grezzi e amianto.

L'epatite A, causata dal consumo di acqua contaminata, è dilagante, così come le malattie respiratorie, la scabbia, la malnutrizione, la fame e la diffusa nausea e vomito causati dal consumo di cibo rancido. Le persone vulnerabili, compresi i neonati e gli anziani, insieme ai malati, rischiano la condanna a morte. Circa 1,9 milioni di persone sono state sfollate, pari al 90% della popolazione. Vivono in tende di fortuna, accampati tra lastre di cemento o all'aperto. Molti sono stati costretti a spostarsi più di una dozzina di volte. Nove case su 10 sono state distrutte o danneggiate. Condomini, scuole, ospedali, panetterie, moschee, università - Israele ha fatto saltare in aria l'Università Israa a Gaza City con una demolizione controllata - cimiteri, negozi e uffici sono stati cancellati. Il tasso di disoccupazione è dell'80% e il prodotto interno lordo si è ridotto di quasi l'85%, secondo un rapporto dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro dell'ottobre 2024.

La messa al bando da parte di Israele dell'Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l'Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente - che stima che per liberare Gaza dalle macerie lasciate ci vorranno 15 anni - fa sì che i palestinesi di Gaza non avranno mai accesso a forniture umanitarie di base, cibo e servizi adeguati.

Il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite stima che la ricostruzione di Gaza costerà tra i 40 e i 50 miliardi di dollari e, se i fondi saranno resi disponibili, richiederà fino al 2040. Si tratterebbe del più grande sforzo di ricostruzione postbellica dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Israele, rifornito con miliardi di dollari di armi da Stati Uniti, Germania, Italia e Regno Unito, ha creato questo inferno. E intende mantenerlo. Gaza rimarrà sotto assedio. Dopo un'iniziale ondata di consegne di aiuti all'inizio del cessate il fuoco, Israele ha nuovamente ridotto drasticamente l'assistenza via camion. Le infrastrutture di Gaza non saranno ripristinate. I suoi servizi di base, compresi gli impianti di trattamento dell'acqua, l'elettricità e le linee fognarie, non saranno riparati. Le strade, i ponti e le fattorie distrutte non saranno ricostruite. I palestinesi disperati saranno costretti a scegliere tra vivere come abitanti di una caverna, accampati in mezzo a pezzi di cemento frastagliato, morire di malattie, carestie, bombe e proiettili, o esilio permanente. Queste sono le uniche opzioni che Israele offre.

Israele è convinto, probabilmente a ragione, che alla fine la vita nella striscia costiera diventerà così onerosa e difficile, soprattutto quando Israele troverà scuse per violare il cessate il fuoco e riprendere gli assalti armati contro la popolazione palestinese, che un esodo di massa sarà inevitabile. Il governo israeliano si è rifiutato, anche con il cessate il fuoco in vigore, di permettere alla stampa straniera di entrare a Gaza, un divieto concepito per bloccare la copertura delle orribili sofferenze e della morte.

La seconda fase del genocidio israeliano e dell'espansione della “Grande Israele” - che comprende la presa di altro territorio siriano nelle alture del Golan (e le richieste di espansione verso Damasco), nel Libano meridionale, a Gaza e nella Cisgiordania occupata - si sta consolidando. Organismi israeliani, tra le quali l'organizzazione di estrema destra Nachala, hanno tenuto conferenze per preparare la colonizzazione ebraica di Gaza una volta che i palestinesi saranno stati ripuliti etnicamente. Le colonie per soli ebrei sono esistite a Gaza per 38 anni, finché non sono state smantellate nel 2005.

Washington e i suoi alleati in Europa non fanno nulla per fermare il massacro di massa trasmesso in diretta streaming. Non faranno nulla per fermare il deperimento dei palestinesi di Gaza per fame e malattie e il loro definitivo spopolamento. Sono complici di questo genocidio. Rimarranno complici fino a quando il genocidio non raggiungerà la sua triste conclusione.

Ma il genocidio a Gaza è solo l'inizio. Il mondo sta crollando sotto l'assalto della crisi climatica, che sta innescando migrazioni di massa, Stati falliti e catastrofici incendi, uragani, tempeste, inondazioni e siccità. Con il disfacimento della stabilità globale, la terrificante macchina della violenza industriale, che sta decimando i palestinesi, diventerà onnipresente. Queste aggressioni saranno commesse, come a Gaza, in nome del progresso, della civiltà occidentale e delle nostre presunte “virtù”, per schiacciare le aspirazioni di coloro, per lo più poveri di colore, che sono stati disumanizzati e liquidati come animali umani.

L'annientamento di Gaza da parte di Israele segna la morte di un ordine globale guidato da leggi e regole concordate a livello internazionale, spesso violato dagli Stati Uniti nelle loro guerre imperiali in Vietnam, Iraq e Afghanistan, ma che era almeno riconosciuto come una visione utopica. Gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali non solo forniscono gli armamenti per sostenere il genocidio, ma ostacolano la richiesta della maggior parte delle nazioni di attenersi al diritto umanitario.

Il messaggio che trasmette è chiaro: voi e le regole che pensavate potessero proteggervi non contano. Noi abbiamo tutto. Se cercate di portarcelo via, vi uccideremo.

I droni militarizzati, le mitragliatrici degli elicotteri, i muri e le barriere, i posti di blocco, le spire di filo spinato, le torri di guardia, i centri di detenzione, le deportazioni, la brutalità e la tortura, la negazione dei visti d'ingresso, l'esistenza di apartheid che deriva dall'essere privi di documenti, la perdita dei diritti individuali e la sorveglianza elettronica sono tanto familiari ai migranti disperati lungo il confine messicano o che cercano di entrare in Europa quanto lo sono ai palestinesi.

Israele, che come nota Ronen Bergman in “Rise and Kill First” ha “assassinato più persone di qualsiasi altro Paese del mondo occidentale”, usa l'Olocausto nazista per santificare il suo vittimismo ereditario e giustificare il suo stato coloniale, l'apartheid, le campagne di omicidio di massa e la versione sionista del Lebensraum.

Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz, vedeva la Shoah, per questo motivo, come “una fonte inesauribile di male” che “si perpetua come odio nei sopravvissuti, e nasce in mille modi, contro la volontà stessa di tutti, come sete di vendetta, come rottura morale, come negazione, come stanchezza, come rassegnazione”.

Il genocidio e lo sterminio di massa non sono dominio esclusivo della Germania fascista. Adolf Hitler, come scrive Aimé Césaire in “Discorso sul colonialismo”, è apparso eccezionalmente crudele solo perché ha presieduto “all'umiliazione dell'uomo bianco”. Ma i nazisti, scrive, avevano semplicemente applicato “procedure colonialiste che fino ad allora erano state riservate esclusivamente agli arabi dell'Algeria, ai coolies dell'India e ai neri dell'Africa”.

Il massacro tedesco degli Herero e dei Namaqua, il genocidio degli Armeni, la carestia del Bengala del 1943 - l'allora primo ministro britannico Winston Churchill liquidò con disinvoltura la morte di tre milioni di indù in quella carestia definendoli “un popolo bestiale con una religione bestiale” - insieme allo sgancio delle bombe nucleari sugli obiettivi civili di Hiroshima e Nagasaki, illustrano qualcosa di fondamentale sulla “civiltà occidentale”. Come aveva capito Hannah Arendt, l'antisemitismo da solo non ha portato alla Shoah. Era necessario l'innato potenziale genocida dello Stato burocratico moderno.

“In America”, ha scritto il poeta Langston Hughes, “i negri non hanno bisogno di sentirsi dire che cos'è il fascismo in azione. Lo sappiamo. Le sue teorie di supremazia nordica e di soppressione economica sono da tempo realtà per noi”.

Dominiamo il mondo non per le nostre virtù superiori, ma perché siamo gli assassini più efficienti del pianeta. I milioni di vittime dei progetti imperiali razzisti in Paesi come il Messico, la Cina, l'India, il Congo, il Kenya e il Vietnam sono sordi alle fatue affermazioni degli ebrei secondo cui il loro vittimismo è unico. Lo stesso vale per i neri, i nativi americani e la comunità di origine. Anche loro hanno subito olocausti, ma questi olocausti rimangono minimizzati o non riconosciuti dai loro autori occidentali.

“Questi eventi, che hanno avuto luogo a memoria d'uomo, hanno minato l'assunto di base di entrambe le tradizioni religiose e dell'Illuminismo secolare: che gli esseri umani hanno una natura fondamentalmente 'morale'”, scrive Pankaj Mishra nel suo libro ‘Il mondo dopo Gaza’. “Il diffuso sospetto che non sia così è ormai corrosivo. Molte più persone hanno assistito da vicino a morte e mutilazioni, sotto regimi di insensibilità, timidezza e censura; riconoscono con sgomento che tutto è possibile, che ricordare le atrocità del passato non è una garanzia contro la loro ripetizione nel presente e che le fondamenta del diritto e della morale internazionale non sono affatto sicure”.

Il massacro di massa è parte integrante dell'imperialismo occidentale come la Shoah. Sono alimentati dalla stessa malattia della supremazia bianca e dalla convinzione che un mondo migliore sia costruito sulla sottomissione e sullo sradicamento delle razze “inferiori”.

Israele incarna lo Stato etnonazionalista che l'estrema destra statunitense ed europea sogna di creare per sé, uno Stato che rifiuta il pluralismo politico e culturale, nonché le norme giuridiche, diplomatiche ed etiche. Israele è ammirato da questi proto-fascisti, compresi i nazionalisti cristiani, perché ha voltato le spalle al diritto umanitario per usare la forza letale indiscriminata per “ripulire” la sua società da coloro che sono condannati come contaminanti umani.

Israele e i suoi alleati occidentali, secondo James Baldwin, si stanno dirigendo verso la “terribile probabilità” che le nazioni dominanti “lottando per aggrapparsi a ciò che hanno rubato ai loro schiavi, e incapaci di guardarsi allo specchio, precipiteranno un caos in tutto il mondo che, se non porterà alla fine della vita su questo pianeta, porterà a una guerra razziale come il mondo non ha mai visto”.

Ciò che manca non è la conoscenza - la nostra perfidia e quella di Israele fanno parte della storia - ma il coraggio di dare un nome alla nostra oscurità e di pentirci. Questa cecità intenzionale e amnesia storica, questo rifiuto di rendere conto allo Stato di diritto, questa convinzione di avere il diritto di usare la violenza industriale per esercitare la nostra volontà segnano l'inizio, non la fine, delle campagne di massacro di massa del Nord globale contro le crescenti schiere di poveri e vulnerabili del mondo.

 

(Traduzione de l’AntiDiplomatico)

 

da qui

Figli della favola – Fernando Aramburu

(traduzione di Bruno Arpaia)

Asier e Joseba vanno in Francia per apprendere le basi per aderire militarmente nell'ETA.

i due si impegnano sognando a tutti gli effetti, di diventare militanti, purtroppo per loro l'ETA si scioglie  e loro due decidono di formare un nuovo gruppo militare, con due soli aderenti, loro due.

i due amci sono due poveri sfigati, che non capiscono bene cosa succede, in certi momenti sono un po' Bouvard e Pécuchet, in altri (quando viaggiano lungo il fiume) sono un po' Huckleberry Finn e Tom Sawyer.

un libro che non annoia, promesso.

buona (basca) lettura.



 

Asier e Joseba sono due giovani baschi che, imbevuti di ideologia nazionalista, decidono di lasciare tutto per entrare nell'ETA. Fernando Aramburu torna al mondo di Patria e questa volta racconta, con umorismo caustico e irriverente, stile veloce e lampi di virtuosismo, l'addestramento alle armi di due ragazzi spediti nella parte basca della Francia, e più precisamente in una fattoria di allevatori di galline: Asier, rigido e disciplinato, e Joseba, timido e impacciato, si sottopongono con spirito all'inquadramento e attendono ordini, sospinti dalla forza cieca delle loro convinzioni. Proprio quando si sentono pronti all'azione (e sono maledettamente stufi di mangiare sempre pollo) l'ETA annuncia in tv la fine della lotta armata e lo scioglimento delle cellule. Che fare? Ventenni e sprovveduti, senza il becco di un quattrino e travolti da eventi più grandi di loro, i due decidono di fondare una nuova organizzazione di cui sono gli unici membri. Sotto una pioggia implacabile, tra furtarelli, sequestri, soldi sottratti impunemente e amicizie inaspettate, i due si trovano ad affrontare un'avventura rocambolesca tra il drammatico e il comico, mentre gli ideali si scontrano sempre più ferocemente con la nostalgia di casa.

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…È proprio l'incredibile divario tra le aspirazioni altissime dei personaggi e i gesti minimi, in una realtà prosaica a rendere Figli della favola tragicomico in molti suoi passaggi. Ecco che i due protagonisti, amici in nome di un'ideologia, ma sostanzialmente soli e senza una direzione chiara, procedono a tentoni, e così anche i viaggi che dovranno affrontare vengono intrapresi senza un piano, all'insegna dell'improvvisazione. E le donne in qualche modo arrivano e mostrano tutt'altra intraprendenza rispetto ai protagonisti: sono risolute, determinate, e sanno come scuotere questi eterni bambini. 

Nonostante l'ambientazione storica precisa, per Aramburu l'imperativo era rendere la condizione umana di due ragazzi che si sono auto-emarginati per un ideale, continuando a «mostrare come la Storia si rifletta sulla storia del singolo». Risponde a questo desiderio il lavoro di revisione, durato alcuni anni, che ha portato Aramburu, dopo una prima redazione, a riprendere Figli della favola: è stato difficile mantenere un equilibrio tra il suo aspetto triviale e il desiderio di mostrare il terrorismo per quello che era, con la sua vera faccia. 

E, in effetti, per quanto i personaggi possano talvolta suscitare un sorriso, questo non è mai privo di una certa amarezza. Lo stile giocoso, a cominciare dall'estrema spontaneità dei dialoghi, rende Figli della favola una storia irriverente verso un'ideologia, ma rispettosa verso i famigliari di chi non c'è più. L'empatia viene volutamente tenuta lontana, perché l'ironia amara ricorda al lettore di mantenere una distanza critica, di provare tutt'al più pietà per questi personaggi patetici che puntano all'eroismo, non avendo invece valori saldi a cui aggrapparsi come individui.

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venerdì 14 febbraio 2025

Accordo per l'Ucraina: ipocrisia dell'Europa che teme di aver perso il padrone - Davide Martinotti (Dazibao)

 

In banca l’intelligenza artificiale farà perdere 200mila posti: chi noterà la differenza? - Vincenzo Imperatore


Negli ultimi anni, il settore bancario ha subito un’accelerazione tecnologica senza precedenti, e l’intelligenza artificiale (IA) rappresenta il prossimo grande spartiacque. Se fino a un decennio fa i cassieri e gli operatori di sportello erano figure centrali, oggi gli Atm evoluti e le app bancarie hanno praticamente reso obsoleti questi ruoli. Ma domani, anche la consulenza finanziaria sarà progressivamente affidata all’IA, ridefinendo ulteriormente i livelli occupazionali nelle banche.

Uno studio recente riportato da Bloomberg Intelligence stima che le banche globali potrebbero ridurre nei prossimi tre-cinque anni il personale di circa 200.000 unità grazie all’automazione avanzata, con un impatto significativo su ruoli caratterizzati da attività ripetitive. La digitalizzazione e la crescente capacità delle IA generative di comprendere il linguaggio naturale e formulare consigli finanziari renderanno, quindi, sempre meno necessaria anche la figura del consulente bancario tradizionale.

La consulenza fornita dai bancari, infatti, è un atto ripetitivo e standardizzato, basato su direttive rigide del top management: spesso si tratta di vendere specifici prodotti finanziari a prescindere dalle reali esigenze del cliente, con un approccio più orientato agli obiettivi di business della banca piuttosto che alla personalizzazione del servizio.

Molti potrebbero obiettare che il limite dell’IA sia l’assenza di empatia, un elemento fondamentale nelle relazioni umane, specialmente in ambito finanziario. Ma questa riflessione solleva una domanda altrettanto interessante: ma perché i bancari sono empatici? Il rapporto tra cliente e operatore di banca è sempre stato più formale che empatico, spesso improntato a rigide procedure piuttosto che a una reale comprensione delle esigenze individuali. In questo contesto, l’IA potrebbe risultare persino più efficiente, fornendo risposte precise, personalizzate e in tempo reale, senza i limiti delle emozioni umane.

Inoltre, l’IA consentirà alle banche di aumentare la produttività e i profitti. Secondo Bloomberg, l’adozione dell’intelligenza artificiale potrebbe incrementare i ricavi bancari fino al 5% nei prossimi anni, traducendosi in un aumento della marginalità e della competitività del settore. E secondo voi, di fronte a queste prospettive così rosee, i ‘banchieri’ si preoccuperanno davvero delle sorti dei ‘bancari’?

Ci troviamo di fronte a un cambiamento epocale: il lavoro bancario tradizionale, basato su procedure standardizzate, sarà progressivamente sostituito da sistemi automatizzati sempre più sofisticati. Questo non significa che l’occupazione bancaria scomparirà del tutto, ma sarà inevitabile una trasformazione delle competenze richieste. I professionisti del settore dovranno adattarsi a nuovi ruoli, più orientati alla gestione strategica dei dati e alla supervisione dell’IA, piuttosto che all’interazione diretta con il cliente.

In conclusione, l’impatto dell’intelligenza artificiale sui livelli occupazionali delle banche è un fenomeno inarrestabile. Dopo la scomparsa dei cassieri, il futuro vedrà un ridimensionamento anche della consulenza tradizionale. E per chi pensa che la differenza la farà l’empatia umana, la vera domanda da porsi è: quanto è stata davvero empatica la mia banca fino ad oggi?

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