mercoledì 24 luglio 2024

notizie dalle prigioni

“Il caldo, il puzzo di orina e la voglia di farla finita”. Lettera dall’inferno

La lettera dei detenuti del carcere di Brescia-Canton Mombello restituisce in tutta la sua drammaticità le condizioni ai limiti dell’umano in cui si vive nella maggior parte dei penitenziari italiani. I numeri sono spietati: a metà 2024 siamo già a 45 suicidi. Un macabro record assoluto, se confrontato con lo stesso periodo degli anni precedenti. Il sovraffollamento comincia ad avvicinarsi ai livelli della sentenza Torreggiani della Cedu. In Italia, secondo il Dap, al 31 maggio ci sono 61.547 reclusi, 1.381 in più rispetto a inizio anno (+ 2,3%).

a cura  di Damiano Aliprandi da il dubbio

Fa caldo, il sudore scivola sulla pelle, e si appiccica con i vestiti addosso, sono madido, e si sono ormai impregnati lenzuola e materasso, anch’essi di sudore come i miei panni e le nostre membra. Si boccheggia, in cella, e l’acqua che ci trasciniamo dietro, dopo la tanto sofferta e agognata doccia, evaporando riempie d’umidità l’angusto luogo.

L’aria satura d’umidità, sudore, miasmi, la puoi tagliare con un coltello, in verità, farlo è impossibile, i coltelli sono di plastica riciclata, e si rompono anche solo a guardarli. Devo andare in bagno, ma è occupato, altri 15 sono in fila davanti a me. Un anziano di circa 74 anni ha il mio stesso problema, purtroppo per lui, e per noi, non fa in tempo a dire che gli occorre con urgenza il bagno. Ha una scarica di dissenteria, mentre dimenandosi cerca di alzarsi a fatica dalla branda con il materasso vecchissimo in gomma piuma. In un attimo, lenzuola e materasso s’impregnano di liquame e urina, lui non sa come comportarsi, indifeso, imbarazzato, umiliato, impietrito, attonito. Piange, un uomo di settantaquattro anni, i capelli radi e canuti, piange e si scusa, geme, si lamenta, impreca, bestemmia, chiede a Dio di morire. La sua colpa è quella d’aver commesso un grave reato: bancarotta fraudolenta.

I suoi carnefici sono fuori, si sono approfittati di lui, di un vecchio che a stento sa leggere e scrivere. L’hanno circuito, e lui, e qui, in questo piccolo inferno, devastato nel corpo nella mente e nell’anima, ma in fondo questo non è un nostro problema. II nostro problema sono gli odori. Il problema è suo, infatti, uno della cella si sta alzando irritato, gridando qualcosa d’incomprensibile nella sua lingua. Probabilmente vuole mettergli le mani addosso, non lo fa per mera cattiveria, e lo stress, il caldo, gli odori insopportabili, il fatto che non parla la nostra stessa lingua e che non riesce a sentire la sua famiglia se non per dieci minuti a settimana. È stanco arrabbiato, sofferente, lo siamo tutti. Qualcuno si alza per ragionarci, per calmarlo, ma subito Faria s’infiamma, cominciano a volare parole grosse e i primi spintoni, per fortuna altri intervengono e si riesce a placare gli animi.

Questa volta è andata bene, ma la situazione è sempre questa, e purtroppo, non tutte le volte termina cosi. 15 e un solo bagno, un vero e proprio stabilimento balneare per germi e batteri, per loro e la condizione migliore, una festa, per noi, forse un po’ meno. Questa combinazione è il cocktail perfetto per far insorgere discussioni, litigi e tutto quanto di brutto può conseguirne. Oltretutto il cesso è una vecchia turca fatiscente con sopra un tubo dell’acqua per farsi la doccia, che d’estate scotta dannatamente, e d’inverno, e maledettamente fredda. A pochi centimetri, sempre nel bagno, cuciniamo i nostri pasti, e se è vero che quando tiri lo sciacquone, le feci nebulizzate schizzano fino a due metri, allora cosa stiamo mangiando da anni?

In fondo pero, è notevolmente migliore della sbobba che ci servono dal carrello. In quindici è pressoché impossibile permanere in piedi in cella, figuriamoci seduti tutti al piccolo tavolino per mangiare, quindi facciamo a turno. Nei turni con noi, si accodano cimici, scarafaggi e altre bestiacce, che non ne vogliono sapere di rispettare la fila. Ben pensandoci pero, più che mancanza d’intimità, non stiamo forse parlando di una vera e propria violenza? Violentati, intimamente, mentalmente, moralmente, proprio in linea con l’articolo 27 della Costituzione. Di persone non auto sufficienti in questo Istituto ce ne sono parecchie, si può spaziare dalle malattie psichiatriche più accentuate sino alla tossicodipendenza, e come visto sopra, a malattie senili. Il sovraffollamento in un carcere causa tutto questo, o meglio, in tutte le carceri di questo paese, non puoi aspettarti altro. E cosi, come soffriamo noi allo stesso modo, soffrono gli operatori che ci devono assistere, dagli Agenti per la sicurezza al personale sanitario, e che dire di quelle migliaia che in carcere sono finite, ma nulla avevano fatto per meritarlo?

Tutte persone incrinate, inevitabilmente, irreparabilmente, una tristezza desolante e sconfinata, per i rei e non. Elevati sono i suicidi in carcere, 45 in soli cinque mesi e mezzo dall’inizio dell’anno, un gesto troppo estremo? Forse, ma e quello che viviamo qui che porta queste persone a compiere certi gesti, e qui di persone ce ne sono sicuramente troppe. I gesti estremi accadono sempre vicino a noi, ti svegli una mattina e forse mestamente ti accorgi che nel bagno un tuo cancellino ha reso l’anima, oppure accade al vicino o al dirimpettaio. È aberrante.

Siamo sovraffollati, in condizioni che rasentano la disumanità, definite di tortura dall’Unione Europea, sopra, lo abbiamo ben spiegato. La domanda giusta da porsi è: come può funzionare il reinserimento? La così chiamata rieducazione? Come si possono svolgere i corsi organizzati? Non solo manca personale, sono concretamente assenti gli spazi. Sappiamo che alcuni di voi sono già venuti a vedere le nostre celle, ma viverci è molto diverso. Voi ci dovete credere, queste non sono lamentele, non vogliamo né impietosire né mendicare, né invocare clemenza, ma solo riportare quanto è vero è ahinoi terribile. Sì certo, alcuni di noi meritano di stare in carcere, hanno commesso reati, e altresì verosimile che, questa mancanza pressoché totale, di umanità nei confronti dei carcerati non è forse pari a commettere dei reati?

È giusto pagare per chi ha sbagliato, perché occorre rieducazione; è altresì vero che oggi, con questo sovraffollamento, le persone detenute vengono poco alla volta, giorno dopo giorno, defraudate della loro umanità, e questa cosa deve fare paura, e fa concretamente spavento. La violenza fatta a quell’anziano prima citato, non è simile a compiere un reato, è uno dei tanti, è vero, ma quanti ce ne sono come lui, non sono dei veri e propri reati, trattare le persone in questo modo, e non è forse vero che le condizioni in cui ci troviamo in carcere sono un costante incitamento al suicidio?

Pensiamo sia non edificante, ma umanamente avvilente per un agente di turno dover sciogliere un nodo che un detenuto esanime si è messo al collo ponendo fine alla propria esistenza. Tutti possono sbagliare, ma il carcere deve essere impostato per rieducare, non per toglierci di mezzo, non pensiamo che lo Stato attuale sia uno Stato non improntato al dialogo, anzi! Proprio per questo possono nascere dal dialogo vere e proprie soluzioni. Signorie Vostre, voi ci rappresentate, indifferentemente dall’appartenenza politica, voi ci rappresentate come persone, come abitanti di questo Bel Paese, l’Italia. Il problema carceri in Italia è grande, non è di sicuro il nostro fiore all’occhiello. In Europa ci rimproverano (2006- 2013) per il nostro sistema carcerario: perché quindi, non provare ad ascoltare chi in carcere ci vive per immaginare possibili soluzioni? Questo non vuol dire scendere a patti con nessuno, ma semplicemente sarebbe un atto di democrazia, un modo per riuscire a sistemare questo problema carceri, o perlomeno un punto da cui cominciare. Da questo punto potrebbero nascere idee, e qui a Canton Mombello, il problema del sovraffollamento è eclatante, quindi perché non cominciare da qui? Sarebbe bello che compiendo un atto di umanità il nostro Paese venisse visto in maniera diversa, in maniera positiva anche per il sistema carcerario, oltre a tutto quello che di bello in Italia già c’è. Leggendo i giornali abbiamo letto che alcuni, considererebbero la concessione dei giorni in più di liberazione anticipata come un fallimento dello Stato. Noi ci chiediamo: perché concedere dei giorni in più di liberazione anticipata a persone “meritevoli” sarebbe un fallimento? Abbiamo visto che non è facile essere meritevoli, sappiamo che solo chi ha fornito prova di partecipazione a un percorso rieducativo e riabilitativo può beneficiare di detti giorni, abbiamo osservato come non sia semplice rientrare nelle maglie di questa rete. Quindi, davvero sarebbe un fallimento?

Personalmente crediamo che non si tratti per nulla di un fallimento, al contrario sarebbe la concreta dimostrazione che lo Stato c’è, e ha vera volontà di cambiare le cose, di migliorare la vita a tutti i suoi cittadini, anche a quelli che hanno sbagliato, ma che comunque non sono esclusi. Ad oggi, causa il sovraffollamento, il carcere non mette in condizioni nessuno di essere rieducato, e fa vivere pesanti condizioni anche ai suoi operatori. Come può un sistema che mette in avaria il suo stesso personale, passando da quello sanitario, dell’area educativa sino agli Agenti che con un giuramento si prodigano tutti i giorni in questo lavoro, funzionare? Così come i detenuti vivono quotidianamente con il sovraffollamento, gli stessi operatori sono costretti a conviverci e a fare i conti con i problemi che causa. Tutti quanti sono messi a dura prova ogni giorno, e alla nostra sofferenza si somma la loro. Chi vuole, cerca e si prodiga per la rieducazione, conscio dei propri errori, si ritrova a lottare per frequentare corsi, che non possono esserci per tutti, poiché siamo davvero tanti. Qui nessuno chiede alcuna misura di grazia, desideriamo solamente poter avere un percorso corretto, giusto, che ci consenta di migliorarci come persone. E a cosa servirebbero i giorni aggiunti di liberazione anticipata, se non a migliorare questo sistema? Con la concessione di questi giorni, non solo si allevierebbe la sofferenza dei detenuti e degli operatori del carcere diminuendo sensibilmente il problema del sovraffollamento, ma s’incentiverebbe un sistema virtuoso che dà una speranza ai meritevoli.

I detenuti della Casa Circondariale “Nerio Fischione” Di Canton Mombello, Brescia

da qui

 

 

Cosa sappiamo sulla rivolta nel carcere di Trieste

Giovedì 11 luglio in una parte della casa circondariale “Ernesto Mari” di Trieste è scoppiata una rivolta repressa dalle forze dell’ordine, sembra anche con l’uso di gas lacrimogeni, per cui si è arrivati alla chiusura per alcune ore dell’accesso all’adiacente via del Coroneo.

da Monitor

 

La rivolta sarebbe scaturita da una contestazione disciplinare che il direttore ha fatto insieme a un agente. Dopo la contestazione il detenuto, molto giovane, di origine straniera, sarebbe tornato in sezione molto agitato sostenendo di avere ricevuto uno schiaffo. Durante la rivolta alcuni detenuti sono arrivati in infermeria, sfondando i cancelli. Il giorno dopo il magistrato di sorveglianza è entrato e ha sentito i “rivoltosi” (che saranno trasferiti). Le loro richieste erano soprattutto sulla riduzione dell’affollamento. La direzione del carcere sostiene che non sia stato necessario usare la forza per sedare la rivolta.

A differenza delle carceri più recenti l’istituto triestino, risalente alla prima metà del Novecento, è stato costruito nel centro della città, addirittura attaccato all’edificio del tribunale locale. Diversi edifici residenziali si affacciano sulle strade che circondano l’istituto e da lì in pochi minuti a piedi si arriva alla stazione centrale. Durante le prime ore della rivolta le forze dell’ordine hanno impedito l’avvicinamento al carcere, mentre intorno alle 23 la sorveglianza è stata allentata ed è stato possibile transitare almeno a piedi. Anche se a quel punto la situazione si era tranquillizzata, rimanevano diverse ambulanze e automediche con il motore accesso, mentre agenti della polizia penitenziaria facevano capannello davanti all’ingresso e nei ristoranti ancora aperti dei dintorni, commentando quanto accaduto. Da alcune finestre di una delle sezioni maschili ogni tanto si affacciavano pochi reclusi. Nel frattempo, dalle finestre che danno sulle scale interne si vedeva un certo viavai. Quando sembrava tutto finito una persona detenuta è stata portata fuori in barella: sembrava sedata, ma una volta nell’ambulanza ha iniziato a muoversi e poi ha alzato la testa. Poco dopo l’ambulanza è andata via, accompagnata da due macchine della polizia penitenziaria.

Difficile negare che ci si sia trovati di fronte a una situazione straordinaria. Il 12 luglio Antonio Poggiana, il direttore generale dell’Azienda sanitaria universitaria giuliano isontina (Asugi), ha fatto diffondere un comunicato in cui si ringrazia tutto il personale per aver “gestito correttamente una situazione potenzialmente molto rischiosa”. Secondo l’azienda sanitaria la rivolta sarebbe stata portata sotto controllo dopo una “mediazione” accettata dai detenuti. Leggendo il comunicato si apprende anche che per fare fronte alla rivolta l’Asugi avrebbe attivato il Piano di emergenza interna per il massiccio afflusso di feriti (indicato nel comunicato con l’acronimo Peimaf), con dieci ambulanze e due automediche. In un comunicato uscito lo stesso 11 luglio l’Azienda parlava di “maxi-emergenza” e diceva di aver trasportato al pronto soccorso sette pazienti: quattro con malori, uno con un’intossicazione da fumo e due per problemi legati a delle cardiopatie. Venerdì 12 due persone risultavano ancora ricoverate in medicina d’urgenza.

Nel frattempo però una persona, il quarantottenne sloveno Zdenko Ferjančič, è stata trovata morta in cella. Non faceva colloqui, probabilmente non aveva famiglia in Italia. Aveva un reato di droga ma non era in carico al Serd. Le notizie trapelate fino a questo momento parlano di metadone sottratto dall’infermeria durante la rivolta, che avrebbe causato al detenuto un’overdose. La presunta morte per overdose di metadone porta la mente alle rivolte della primavera del 2020 e soprattutto alla strage del carcere di Modena. È il caso di ricordare che il metadone è un oppioide sintetico che viene usato nel trattamento delle dipendenze da alcuni tipi di stupefacenti. Secondo la rilevazione di Antigone del 30 giugno 2024 nel carcere giuliano ci sarebbero cinquantadue persone tossicodipendenti, ma mancherebbe una sezione apposita per loro.

Il carcere diTrieste, composto da sette sezioni maschili e da una femminile, è come tanti altri strutturalmente sovraffollato. A fronte di una capienza di 150 posti, il documento di Antigone parla di 257 persone presenti (25 donne e 232 uomini). Di queste, 164 sono straniere. Nello stesso testo si fa presente che alcune celle sono infestate da cimici dei letti, mentre altre sono prive di riscaldamento e acqua corrente. All’interno del carcere triestino 89 persone farebbero uso di sedativi mentre 35 prenderebbero stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi. Nonostante ciò, non esisterebbe un servizio psichiatrico quotidiano nella struttura, ma solo in base alle necessità degli individui. Al momento, inoltre, secondo i dati diffusi da Antigone, solo tre persone detenute possono uscire per lavorare all’esterno.

Poche ore dopo la rivolta, Enrico Trevisi, vescovo di Trieste dal 2 febbraio 2023, ha diffuso una nota in cui invita a tenere alta l’attenzione sulle persone detenute. Trevisi fa notare che lo Stato, nel punire chi ha infranto le leggi, a sua volta non rispetta la normativa sulla detenzione visto che “il sovraffollamento […], l’inadeguatezza delle strutture e l’impossibilità di sanificarle […] rendono le pene inumane. Il caldo con strutture sovraffollate rende tutto ancora più esasperante”.

Nella sua nota Trevisi si sofferma anche sul concetto di pena, sostenendo la necessità di lavorare a delle alternative a quella detentiva. Forse è proprio questo uno dei punti cruciali, in un momento in cui il numero di suicidi in carcere continua ad aumentare e l’idea della privazione della libertà come retribuzione per un torto arrecato alla società sembra sempre meno convincente. Sarebbe il caso di riflettere anche sul concetto di rieducazione del condannato sancito dalla Costituzione, ricordando che lo stesso testo non dà per scontata l’esistenza, e quindi la necessità, del carcere.

da qui


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