giovedì 30 aprile 2020

Dieci punti sul coronavirus: la trinità tecnologica e il nuovo mondo - Piotr



Storicamente le pandemie hanno forzato gli esseri umani a rompere col passato e reimmaginarsi il mondo. Questa non è differente. E' un portale, un cancello tra un mondo e il prossimo. Possiamo scegliere di attraversarlo trascinando le carcasse dei nostri pregiudizi e dell'odio, della nostra avarizia, delle nostre banche dati e idee morte, dei nostri fiumi morti e dei cieli fumosi dietro di noi. Oppure possiamo camminare con leggerezza, con poco bagaglio, pronti a immaginare un altro mondo. E pronti a lottare per esso.
(Arundhati Roy)
1. Preludio indiano: la prima divinità
Dopo un decennio di frequentazione di Calcutta i miei amici indiani mi dissero che avevo iniziato a capire il Bengala (non l'India, ma il Bengala). Qualche disinvolto, ma prestigioso, giornalista dopo un soggiorno di due settimane si è sentito in diritto di scrivere un libro per “spiegare” l'India. Risibile, ma le cose vanno così. Quando c'è il prestigio c'è il prestigio. Non è vero?
Dopo due decenni abbondanti di frequentazione di quell'enorme e complicato Paese, ho capito un'altra cosa: l'India, e più in generale il subcontinente indiano, è un immenso campo di sperimentazione.
Nel dicembre del 2016 io stesso fui testimone di un violento esperimento sociale: la demonetizzazione, cioè la pressione per far utilizzare obbligatoriamente la “moneta di plastica”, ossia le carte di debito e di credito. Ne parlai in un articolo intitolato “India: laboratorio mondiale per la demonetizzazione forzata” [1]. Le considerazioni conclusive sull'esperimento di cui ero stato testimone erano queste:
1) Un drenaggio di ricchezza verso la finanza, perché le carte si possono usare solo se si versano i soldi su un conto bancario e quando si versano i soldi si fa un prestito alla banca.
2) Un potere immenso di sorveglianza, grazie alla tracciabilità dei movimenti contabili e di quelli fisici.
3) Il controllo tecnico-politico delle transazioni da parte delle grandi istituzioni finanziarie e di conseguenza dei governi che fanno loro riferimento.

2. Arriva Bill Gates
Mentre io ero là a Calcutta, in India arrivò anche Bill Gates che, come potete leggere dall'articolo sopra citato perorò la causa della demonetizzazione che stava portando avanti il governo del fascistoide indù Narendra Modi. Può sembrare un giudizio esagerato, ma l'attuale primo ministro indiano ha sulla coscienza - avendole rivendicate politicamente - violenze enormi e inenarrabili su uomini, donne, bambini e bambine musulmane e il mio giudizio è condiviso da persone di elevata caratura, ad esempio dalla scrittrice Arundhati Roy [2]. E' importante ricordare la natura del governo a cui Bill Gates stava prestando assistenza, perché il padrone di Microsoft viene considerato un filantropo democratico.
Quando lessi la notizia del suo endorsement dell'esperimento di Modi, pensai che l'obiettivo fossero i suoi affari legati all'informatica e ai servizi bancari. Ma Gates, come si vedrà, aveva una visione più ampia, Inoltre io in quel momento avevo aperto solo un occhio e mezzo, non tutti e due. Avevo denunciato, è vero, la possibilità di controllo capillare, ma ero più interessato al lato economico-finanziario della faccenda. Un errore da non fare mai, perché se si ci dimentica che al primo posto c'è sempre la politica, anche se magari se ne sta nascosta o viene nascosta, non si capisce la parte più importante di ciò che sta avvenendo. Di solito ci sto molto attento, ma in quel momento mi ero distratto.

3. Il dispiegamento della trinità tecnologica
Infatti l'introduzione forzata della “moneta di plastica” al posto del contante, era solo uno dei tre elementi che compongono la “trinità tecnologica” di cui Bill Gates è sommo sacerdote, ovvero 1) conto bancario, 2) telefoni cellulari, 3) identificazione biometrica. Io nel 2016 l'avevo intravista nettamente, ma mi ero concentrato solo sulla prima divinità.
Il termine “trinità tecnologica” non me lo sono inventato io, ma la rivista GeekWire nell'articolo intitolato “Gates Foundation identifies a tech ‘trinity’ to bolster digital inclusion around the world” [3].
GeekWire dice di sé di essere un “organo online di informazione sulle tecnologie, con solide radici a Seattle”, ovverosia, si può facilmente leggere, con solidi finanziamenti da parte di Microsoft e compagni. Leggete l'articolo perché è interessante. Uno dei motivi del suo interesse è che parla di questa “trinità” in termini entusiastici e quindi non tacciabili di “cospirazionismo”. Infatti la prima cosa che dice è che essa “potrebbe aiutare a distribuire risorse in modo più efficiente ed equo nei paesi in via di sviluppo”. Da notarsi l'utilizzo in pochi secondi di lettura di due parole chiave della nostra epoca “inclusione” ed “equo”. Le altre sono “solidale”, “verde”, “sostenibile” e adesso iniziano a prendere piede “salubre”, “inoppugnabile”, “scientificamente incontestabile”, “necessario per la salute pubblica” mentre il raggio d'azione della locuzione “responsabilità sociale” si è notevolmente espanso.
Chi è l'autore di quella bella affermazione iniziale? Ma è ovvio: la Bill & Melinda Gates Foundation, non c'è bisogno di dirlo. GeekWire d'altra parte è un suo megafono.
La fondazione dei Gates è impegnata su tutti e tre i fronti. Per il nostro bene, dice. E di questo non dubitiamo nonostante il fatto che quando Gates aveva appoggiato la demonetizzazione, non solo stava dando il suo aiuto a un fascistoide che aveva rivendicato orribili stragi di civili, ma lo appoggiava in un'azione che lo stesso miliardario Steve Forbes definiva “di una immoralità che lascia senza fiato” (breathtaking in its immorality).
Ma basta con le polemiche e andiamo avanti.
La prima divinità, il conto in banca, l'abbiamo quindi vista all'inizio.
La seconda la vedremo all'opera sulla nostra pelle tra poco con la app di rintracciamento/certificazione/allarme legata all'epidemia da coronavirus.
Passiamo alla terza che riveste un interesse del tutto particolare.

4. La terza divinità
La terza divinità, è la schedatura biometrica universale ed è legata a filo doppio alle vaccinazioni obbligatorie universali. E il bello è che il progetto parte da un membro di altissimo livello dell'élite di un paese dove non solo non esiste un sistema sanitario nazionale universale, ma dove anche le proposte più ardite di riforma dell'healthcare system sono in sostanza un regalo all'altra trimurti, la FIRE (Finance-Assurance-Real Estate), solo un po' più a carico dello Stato.
E qui ritorniamo al subcontinente indiano, perché da quelle parti la sperimentazione è già in corso, con non poche polemiche: “Controversial vaccine studies: Why is Bill & Melinda Gates Foundation under fire from critics in India?” intitolava nel 2014 un articolo dell'Economic Times [4]. Si trattava comunque, in questo caso, di “business as usual” per Big Pharma e alleati, cioè del solito utilizzo dei più poveri come cavie umane e della pratica di rifilare al Terzo Mondo (essere Terzo Mondo oggi è una condizione politica e non più economica) le schifezze rifiutate dal Primo. Tuttavia per mettersi al riparo dalle polemiche di un Paese che ha una lunga tradizione di lotte, gli esperimenti più avanzati, quelli non “as usual”, sono stati spostati nel Bangladesh.
Lì si sta sperimentando la raccolta di dati biometrici in concomitanza con le campagne di vaccinazione.
Per capire cosa vuol dire, ancora una volta non ho bisogno di citare un oscuro blogger preoccupato e magari un po' esagerato, ma un articolo di Biometric update, cioè di un entusiasta organo d'informazione del settore: “ID2020 and partners launch program to provide digital ID with vaccines” [5].
Ovviamente, tutto per il bene delle persone. Per PricewaterhouseCoopers, la schedatura biometrica è proprio il modo con cui “organizzazioni governative - e non governative! va da sé - (dei Paesi ricchi, è sottinteso) possono aiutare le persone (dei Paesi poveri, è sottinteso) a diventare una parte sicura della società, finanziariamente inclusa ed economicamente attiva” [6].
E c'è chi sta pensando a passi tecno-bio-politici ulteriori, cioè non alla schedatura biometrica in concomitanza con le campagne di vaccinazione, bensì tramite le campagne di vaccinazione. Varie opzioni sono allo studio.
Una è il microchip sottocutaneo [7].
La stessa Bill & Melinda Fundation è sempre stata attenta e attiva in questa direzione: “Bill Gates funds birth control microchip that lasts 16 years inside the body and can be turned on or off with remote control”. Così il “National Post”, sempre nel 2014 [8].
E l'organo liberal-imperiale “The Atlantic”, ovviamente, ne va matto: “Why You’re Probably Getting a Microchip Implant Someday” [9].
Un'altra possibilità in fase avanzata di studio da parte del MIT di Boston è il marchio vaccinale sottocutaneo “invisibile a occhio nudo, ma facilmente visibile con un filtro speciale di un cellulare”. Di questo ce ne parla “Scientific American” [10].

5. Occasioni mancate: l'influenza “suina”
Tra il 2002 e il 2004 il coronavirus della SARS non fece sufficienti danni e neppure l’influenza aviaria del 2005/2006. Non erano adatte a preparare il terreno a ciò che si iniziava già allora ad avere in mente distintamente. Per non parlare della “Hong Kong” del 1968 (1 milione di morti): la strumentazione tecnica non c'era e, ancor più importante, si era solo ai prodromi dell'odierna crisi sistemica, che si conclamò poi col Nixon shock del 1971.
Con la cosiddetta influenza “suina” scoppiata nel 2009, le cose sembravano più promettenti e la narrativa attorno a questa epidemia sembrava ben congegnata. Infatti l'OMS nel 2009, lanciava questo allarme: “Almeno 2 miliardi di persone potrebbero infettarsi nei prossimi due anni – circa un terzo della popolazione mondiale”. Però, a rassicurazione, un mese dopo la sua direttrice Margaret Chan annunciava che “i produttori di vaccini potrebbero produrre 4,9 miliardi di dosi all'anno nella migliore delle prospettive” [11].
Dopo dieci anni il bilancio era questo:
Contagiati certificati nel mondo: 1.632.258 (cioè in dieci anni 8 decimillesimi di quanto “previsti” in due anni - certo l'Epidemiologia non è una scienza esatta, certo bisogna pensare allo scenario peggiore, ma sbagliare di questi ordini di grandezza legittima, oh sì che legittima, a pensar male; e come vedremo tra poco, a pensar male tra i tanti fu proprio il governo di quella Svizzera che ospita l'OMS).
Morti certificati nel mondo: 18.036, stimati: da 151.700 a 575.400 (da 15.000 a 57.000 all'anno, l'influenza normalmente ne fa fino a dieci volte di più).
E i vaccini? Ecco, come anticipato, l'estratto di un'interrogazione al Parlamento Federale svizzero, a un solo anno dall'allarme [12]:
Oggi nessuno ne parla più [di quella epidemia]. I ministri della sanità di tutti i Paesi hanno speso miliardi per acquistare medicamenti che nel frattempo sono stati eliminati o stoccati in magazzini in attesa di essere smaltiti. I benefici realizzati dai gruppi farmaceutici sono ben visibili nei loro consuntivi, ma il conto lo pagano i contribuenti e gli assicurati con i premi delle casse malati. L'autorevole gruppo di lavoro europeo sull'influenza ESWI è in pratica finanziato esclusivamente dai fabbricanti di medicamenti antinfluenzali. Alcuni scienziati figurano sui prospetti promozionali dei gruppi farmaceutici”.
Ed ecco uno stralcio della risposta del governo elvetico:
Sono in corso una revisione e un aggiornamento del piano pandemico nazionale. Saranno in particolare precisati i ruoli e le responsabilità nel settore sanitario. Inoltre si vuole rendere più flessibile la dipendenza delle strategie e delle misure nazionali dai livelli di allerta definiti a livello mondiale dall'OMS.”
Voi cosa capite? Io capisco: “Dell'OMS non ci fidiamo più”.
E sette anni dopo la situazione era solo peggiorata visto che Antoine Flahault, direttore dell’Istituto di Sanità Globale della facoltà di medicina dell’Università di Ginevra rincarò la dose: “Oramai l’Oms è costretta a tenere conto di quello che Bill Gates ritiene prioritario” [13].
Un'altra occasione mancata fu l'epidemia di Ebola. Durò dal 31 dicembre 2013 al 31 maggio 2016, con un tasso di mortalità altissimo (si stima il 64%) ma con una diffusione molto bassa. Si finì con 28.657 contagi e 11.325 morti. In più fu sostanzialmente circoscritta a paesi del Terzo Mondo (in Italia l'unico infettato, che per fortuna se la cavò, fu un medico di “Emergency” ritornato da una missione all'estero).
Il tempo molto breve d'incubazione della malattia (circa 3 giorni) e i vaccini (risolutivo quello russo) permisero di contenere in modo efficace la diffusione del virus.
Tuttavia era un virus pericoloso e nuovo.
Due anni dopo, riferendosi all'esperienza della Spagnola e dell'Ebola, Bill Gates pronunciò il suo famoso allarme: “Se qualcosa ucciderà 10 milioni di persone nei prossimi decenni è più probabile che sia un virus altamente contagioso. Non missili ma microbi” [14].
Io tutto sommato temo di più una guerra nucleare, anche se, per pura fortuna, fosse limitata. E comunque sia negli ultimi cento anni le guerre hanno causato più morti di tutte le pandemie combinate dalla Peste Nera del XIV secolo ad oggi. E le mie preoccupazioni non possono che aumentare se, come è appena successo, i ministri degli esteri Nato, come sapete, hanno affidato la “guerra al coronavirus” da parte dell'organizzazione militare a un generale americano che accarezza l'idea del first strike nucleare [15].
Ma torniamo all'allarme lanciato da Bill Gates, perché una cosa sono i fatti e un'altra cosa le leggende.
In alcuni ambienti si ragiona in questo modo: la “predizione” di Bill Gates è la prova che lui sapeva e questa, a sua volta, è la prova che lui con lo scoppio di questa pandemia c'entra. Una variante è che la pandemia non c'è ma in qualche misura e per qualche ragione i governi di mezzo mondo collaborano coi piani di Bill Gates e dell'associazione di vaccinatori ossessivo-compulsivi Gavi Alliance. In altri termini, una molteplicità di governi, si noti anche molto ostili tra di loro, sostiene la medesima narrazione menzognera, con la complicità non solo dei media (che tutto sommato è facile ottenere) ma anche di medici e paramedici territoriali e ospedalieri di mezzo mondo (perché così deve essere, altrimenti non funziona).
In realtà Bill Gates è bravissimo nel marketing. Chi conosce ad esempio la storia dei sistemi operativi sa benissimo che lui non è un genio dell'informatica, che le brillanti idee tecniche che fecero trionfare Microsoft non erano sue. Ma sicuramente è un mago negli affari. Anche in questo caso non diceva una cosa straordinaria ma diceva in modo spettacolare una cosa che ogni virologo competente sapeva.
I virologi infatti da tempo mettevano, invano, in guardia i governi occidentali (in Asia cosa potesse essere una moderna pandemia ormai lo avevano capito dalla SARS e dall'Aviaria e ne avevano tratto insegnamento). Bill Gates invece preparava le reti da pesca, cioè la combinazione di strumenti e dispositivi che per qualcuno significava soldi e per qualcun altro potere.
Bill Gates sapeva, perché era nella posizione per saperlo, cosa stavano studiando i virologi, i virologi nella loro stragrande maggioranza non sapevano, perché non erano nella posizione per saperlo, cosa stava studiando Bill Gates.
Nessuna “predizione”, nessun “complotto”, ma informazioni e strategie basate sulle informazioni. E' tutto molto più semplice.

6. Arriva finalmente l'occasione giusta: il Covid-19
Agli inizi del 2020 in Cina, nella città di Whuan, undici milioni di abitanti nella provincia di Hubei, vengono raccolte prove che un nuovo virus si è trasmesso da animale a uomo. Non se ne sa molto ma sembra aggressivo e pericoloso. L'11 di gennaio a Wuhan si registra il primo decesso.
La Cina, memore della cattiva figura nel 2003 quando per più di tre mesi nascose all'OMS l'epidemia SARS, dopo un momento d'incertezza (probabilmente dovuto anche a conflitti tra le autorità locali e quelle centrali, esattamente come qui da noi) decide di prendere di petto la situazione e di mostrare al mondo il proprio senso di responsabilità e la propria efficienza. Ci è riuscita con una reattività miracolosa e con misure draconiane di distanziamento sociale che si sono innestate non tanto su una capillare capacità di repressione - come si è detto da noi per ovvi motivi ideologici - ma su un profondo senso della responsabilità collettività. Un senso che può essere in linea di principio borderine tra la spontaneità e il ricatto. In Cina ci sono stato tre volte (e anche lì, nell'Hubei, a girovagare sullo Yangtze nelle magnifiche Tre Gole, patrimonio UNESCO) e confrontando altre testimonianze io protendo per una loro abitudine culturale a pensare in termini di collettività, e non per una supina accettazione di quanto dettano le autorità, o addirittura terrore come si è detto, perché i Cinesi da sempre sono abituati a ribellarsi se pensano che chi li governa sbagli e non li garantistica, e lo fanno anche adesso.
L'arrivo in Europa del nuovo coronavirus e la situazione drammatica che il Covid-19 ha creato in un breve lasso di tempo nel Nord Italia, e a seguire a ruota in Spagna, in Francia, nel Belgio, in Olanda e negli UK, il conseguente impatto psicologico sulla società, più l'esempio, risultato ad oggi vincente, delle misure prese in Cina, tutto ciò ha sicuramente creato uno scenario favorevole al nuovo affondo di Bill Gates, che già il 2 marzo al World Economic Forum di Davos si era eretto con l'aiuto dei media a stratega from behind nella lotta a questo coronavirus [16]. Poche parole, ben pesate, apparentemente neutre e sensate. Tanto non è in occasioni come quelle che si illustra una strategia. In realtà esse non vengono mai illustrate in pubblico completamente, ma occorre sempre unire i puntini.

7. Reingegnerizzazione della società: lo impone il coronavirus
Negli Stati Uniti Anthony Fauci, direttore dell'Istituto per le allergie e le malattie infettive del National Institute for Health (NIH), ha lanciato un allarme che ancorché con numeri più sobri, ricorda un po' quello della signora Wang per la “suina”: negli Stati Uniti ci saranno dai 100.000 ai 200.000 morti, esattamente le stesse stime di Bill Gates. Da 300 a 600 morti per milione, ovvero tutti gli States come la Bergamasca o peggio. Io non escludo che alla cifra più bassa gli USA rischino di arrivarci veramente dato il loro non sistema sanitario, ma vorrei sottolineare un altro punto.
Dopo aver esposto le sue stime, Fauci si è lanciato nella predizione di futuri distopici: “Mai più strette di mano”, così sul “Wall Street Journal” [17].
In sé è chiaramente un'idiozia (sì, i grandi esperti riescono benissimo a dire idiozie). Dopo la Peste Nera la gente tornò a stringersi la mano e ad abbracciarsi, dopo la peste del '600 successe la stessa cosa, dopo la Spagnola anche. Adesso il dottor Fauci ci viene invece a dire che non bisognerà più farlo “per il nostro bene”. Quindi anche se in sé è un'idiozia, per sé potrebbe diventare un obbligo, come il saluto romano.
Secondo il mio modo di vedere le cose, Fauci, sebbene appartenga alla gang della Clinton, dice queste cose non perché sia nella cabina di regia di un complotto ristretto (in realtà a dar retta a chi pensa che questo complotto ristretto esiste veramente, la cabina di regia dovrebbe essere affollatissima) ma perché sono decenni che si sta creando un clima culturale “rivolto al nuovo”, una modalità di percepire le cose, un linguaggio e persino una forma di etica, che spinge in modo “naturale” a pensare, prima ancora che dire, cose come queste. Da tempo questo clima culturale e ideologico ha iniziato ad autoalimentarsi e ha generato un'ortodossia per la quale le cose insensate che dice Fauci sono delle ovvietà che tutti riescono a capire e se non ci riescono, dovranno capire a viva forza, pena l'espulsione dal consesso civile. Esattamente come già si pensa che solo chi potrà provare digitalmente di essere vaccinato di questo o di quello avrà il permesso di prendere un aereo, e in un futuro tanto distopico quanto facilmente prevedibile, entrare in un locale pubblico, in un cinema, in una biblioteca, insomma avere una vita sociale [18]. E posto che non si sia pregiudizialmente contro le vaccinazioni (come io non sono) un altro punto chiave sarà: chi decide quali sono le vaccinazioni da fare? E chi deciderà lo farà in scienza e coscienza o perché altrimenti non avrà più finanziamenti, perderà l'insegnamento, il posto, sarà messo in disparte, magari minacciato di denunce per attentato alla salute pubblica? Un'altra volta il problema sarà politico e nella sua essenza si chiamerà, ancora una volta, “democrazia”, che vuol dire anche trasparenza e controllabilità dei processi.
Cosa ha allora a che fare con la democrazia una predizione (auspicio? obbligo?), come quella di Fauci, su un aspetto così apparentemente secondario della vita sociale? E' semplice: intenzionalmente o non intenzionalmente, fa parte di un pressing psicologico che andando a intaccare aspetti molecolari della vita sociale, proprio la vita sociale stessa vuole scardinare: sarete ospedalizzati in modo permanente! Quindi dovrete comportarvi in modo permanente come in un'istituzione totale.
Voi tirate le vostre somme, io la mia l'ho tirata e mi sembra obbligata: totalitarismo. Un totalitarismo tecnocratico per il nostro bene. Ma in fondo tutti i totalitarismi sono stati così.
Attenzione questa è una tendenza, uno scenario possibile, non uno scenario certo. Come si direbbe per l'appunto in Epidemiologia, è uno dei peggiori scenari possibili, ma in corso d'opera molte cose possono cambiare. Non lo dico per scaramanzia o per inviare un messaggio di speranza, lo dico perché attorno alla crisi Covid-19 un altro virus sta mutando in continuazione: quello della crisi sistemica che coinvolge miliardi di persone che non se ne staranno semplicemente a guardare.
Certo, le forze che puntano in quella direzione sono aggressive e molto potenti, ma come ho cercato di motivare altrove, il loro momento sembra incominciare a declinare a causa del doppio fenomeno della deglobalizzazione e della definanziarizzazione ovvero l'inversione dei fenomeni sui quali erano fiorite. Questo non vuol dire che la loro azione si smorzerà a breve. Anzi diventerà ancora più aggressiva e spudorata. I giochi sono ancora aperti e non è assolutamente possibile prevedere cosa subentrerà al posto del vecchio ordine (un mondo multipolare? uno stato di anarchia di mercato permanente? una stato di conflitto permanente? un nuovo socialismo?).
Ad ogni modo, molte cose potrebbero intralciare questi sviluppi, magari semplicemente perché cambiano la priorità dei problemi. Si pensi, come possibile scenario esemplificativo, alla riorganizzazione dell'Europa in tre macro aree distinte, quella “teutonica”, quella “slava” e quella “mediterranea” a seguito dell'azione congiunta della crisi sanitaria e di quella sistemica. E questo è un aspetto macroscopico. Per quanto riguarda gli aspetti molecolari, cellulari, le forze di cui stiamo parlando, riusciranno veramente a scardinare gli elementi di base delle costruzioni sociali, quegli elementi la cui viscosità è tale da aver consentito loro di adattarsi ai cambiamenti che sono avvenuti nel corso di millenni? Faccio un esempio. Secondo una visione estremista all'interno di quelle stesse forze - io non so quanto condivisa - se la società deve essere reingegnerizzata, la sua cellula di base, la famiglia, deve essere distrutta. E l'epidemia da coronavirus ne confermerebbe la necessità: “La crisi del coronavirus ci mostra che è tempo per abolire la famiglia” [19].
Lo scrive un qualche strafatto seguace della New Age su qualche sito stravagante? No! E' parola della nota femminista statunitense Sophie Lewis, la teorica della “surrogazione totale della famiglia”. Full surrogacy now! Urla la Lewis. The nuclear family was a mistake! rilancia gongolante The Atlantic [20] [21]. Perché è politicamente corretto, perché è post-moderno, perché fa così tanto decostruzionista.
Si tratta di una di quelle idee provenienti da un certo comunismo estremista di stampo borghese che sotto le spoglie della radicalità culturale si sono trasformate in strumenti della reazione (come la teoria della “rivoluzione permanente” che si è metamorfosata grazie ad alcuni trotzkisti americani trasformatisi in neocon, in quella della “guerra permanente e preventiva” o la difesa dei diritti umani che si è trasformata in sostegno ai “bombardamenti umanitari”).
La distopia della Lewis trova ospitalità su Open Democracy, che vuol dire la Open Society Foundation di Soros, il National Endowment for Democracy del Dipartimento di Stato, la Ford Foundation e il Rockefeller Brothers Fund, ovverosia gli ospiti sono pesi massimi dell'establishment statunitense, con contorno di Avaaz cioè del sito di petizioni liberal-corrette di tipo misto, come “Salviamo l'orsetto lavatore” e “Bombardiamo Damasco”.
Ora, anche se è capibile che la “rivoluzione reazionaria” che essi hanno in mente consideri in linea di principio come un ostacolo un'etica condivisa - dove l'etica è intesa come funzione sociale diretta alla riproduzione, pur conflittuale, comunitaria (si veda [22]) laddove invece tutto si vorrebbe atomizzato - ciò non vuol dire che un attacco di questo tipo possa essere portato fino in fondo e avere successo. In definitiva ci sono, pur nell'evoluzione storica, delle invarianze legate al fatto che l'uomo è un ente naturale generico (cioè appartenente a un genere): Gattungswesen diceva Marx.

8. Una piattaforma tecnologica per il bio-psico-totalitarismo
La triade tecnologica di Bill Gates è potenzialmente una buona piattaforma tecnologica per una nuova forma di totalitarismo basata più che sulla repressione, sulla dipendenza psicologica del suddito unita a una rappresentazione taumaturgica del sovrano. Un vero ritorno al passato premoderno attraverso dispositivi quasi fantascientifici e uno stato intermittente di crisi.
La triade tecnologica, essendo tecnologica, non potrà essere messa in discussione, e quindi ogni voce contraria ad essa o al sovrano che se ne avvale sarà oggetto di due accuse incrociate: 1) delirio antiscientifico, 2) attentato alla salute pubblica.
Complottismo? E perché mai? Loro mica complottano. Quale sia la loro visione del mondo e il mondo che prefigurano lo dicono apertamente, sono anni che ci fanno una campagna sopra. Io sto citando esclusivamente loro, non chissà chi.
Quindi se loro non complottano, rivelare quello che hanno in mente di fare non può essere complottismo. E' reportage.
Poi capita una crisi, una grande crisi. E, come diceva Marx, una crisi permette di fare passi da giganti, permette di fare velocemente cose che normalmente erano molto più lente o addirittura impossibili.
Loro a quel punto annodano i fili e tirano su le reti che avevano gettato mentre noi cerchiamo di collegare i puntini e capire che pesca vogliono fare. In fondo è tutto qui.
E' una questione di volontà di potenza, di possibilità di conoscenza, di capacità di governo in una crisi. Pensare a complotti è un modo di ammettere un'impotenza politica e analitica.
E' vero, Bill Gates aveva fatto eseguire una simulazione di una crisi sanitaria simile a questa. Ma come è stato già detto sopra, queste simulazioni e predizioni di nuove epidemie sono ricorrenti da parte di virologi ed epidemiologi fin dagli anni '70 e dopo la SARS e l'Aviaria sono diventate una costante. Non solo, ma anche qualsiasi marxista non ottenebrato dall'idea di una lotta di classe che si svolge al di là della fisica e della biologia sapeva che un'epidemia simile poteva scoppiare da un momento all'altro, espandendo la riflessione di Marx, sullo “strappo metabolico” continuamente operato dal capitalismo [23]. E colgo qui l'occasione per citare gli approfonditi e documentati studi di Jason Moore sul rapporto tra sviluppo del capitalismo e sviluppo dell'ambiente, tra accumulazione, imperialismo e natura, come “The Modern World-System as environmental history? Ecology and the rise of capitalism” [24].
Ma noi siamo indietro e i nostri avversari molto avanti.

9. Comunicare, terrorizzare, colpevolizzare
Quando scoppiò la crisi dei subprime, la strada maestra della narrazione ufficiale fu quella di colpevolizzare non Wall Street e i pescecani criminali della finanza, ma i poveracci finanziariamente analfabeti che non capivano che non dovevano accendere quei mutui, cioè non gli autori bensì le vittime della truffa (vi consiglio di rivedere la scena finale del precisissimo film prodotto da Brad Pitt “La grande scommessa” [25]).
Poi si continuò con lo stesso schema narrativo e qui da noi in Europa il problema divennero i Paesi PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) che “vivevano sopra le loro possibilità”. Non sia mai che la colpa fosse di Deutsche Bank (titoli tossici in pancia pari a 15 volte il PIL tedesco), o di Barclays (43.883 miliardi di euro in titoli tossici) o di BNP Paribas (32.762 miliardi di euro) [26].
Allo stesso modo oggi l'epidemia da coronavirus, per carità!, non è dovuta a nessuno “strappo metabolico” (questo non deve venire in mente a nessuno e pare, infatti, che non sia venuto in mente nemmeno a Greta altrimenti sempre così attenta a queste cose). E la situazione drammatica che ha determinato non è dovuta, per carità!, all'impreparazione e allo sventramento pro-austerity delle sanità pubbliche in Europa (negli USA di fatto nemmeno esiste), come qualcuno di assolutamente non sospetto ha indirettamente dimostrato, ad esempio Enrico Bucci, professore aggiunto di biologia dei sistemi complessi all’Istituto Sbarro della Temple University di Filadelfia sul Corriere [27] o ha direttamente denunciato, come Giulio Tarro, virologo, allievo e collaboratore di Albert Sabin, su Business Insider [28].
Così come per i subprime, la crisi c'è, ma le responsabilità sono nascoste mentre la crisi viene usata per ristrutturare i sistemi di potere e le loro gerarchie. In quel caso iniettando trilioni di dollari e di euro freschi di stampa non nel commercio, nell'industria, nella vita della “middle class”, ma per permettere al castello di carte della finanza di reggersi ancora per un po', per permettere ai grandi istituti finanziari di pagarsi le loro scommesse incrociate nella finanza casinò. In questo caso la crisi addizionale sanitaria verrà usata per imprimere svolte e accelerazioni alla ristrutturazione già in atto dei sistemi di potere e, nella misura del possibile e delle priorità di cui tener conto, per iniettare come un virus nella società la trinità tecnologica, business per qualcuno e strumento per qualcun altro, alla quale nessuno, nelle intenzioni, potrà sottrarsi pena essere giustiziati col supplizio della ruota come il povero commissario di sanità Guglielmo Piazza e lo sventurato barbiere Gian Giacomo Mora nel 1630, o quanto meno essere infamati col marchio a fuoco della “irresponsabilità”.
Taci, il nemico ti ascolta! E' anche nell'aria. Tutti agli arresti domiciliari. E' meglio non fare sapere che un'autorità di Medicina Ambientale afferma che la possibilità di contagiarsi all'aperto “è una mezza fake news” [29]. No! Tutti, ovunque, nel mirino di un virus descritto come un velociraptor che attacca chiunque si muova. Tutti devono starsene zitti ad aspettare la conferenza stampa delle 18 dove inadeguatezza della comunicazione e terrorismo non so in che misura preterintenzionale, si incrociano: numeri slegati tra loro, opachi, scanditi come un bollettino di guerra. Perché la guerra ci sia nessuno lo sa, se non vagamente. In questo caos di non-notizie, di non-numeri, il disastro potrebbe essere inferiore quanto maggiore.
Sotto entrambe le ipotesi l'estremismo securitario, disciplinatore e colpevolizzante viene ogni giorno che passa sempre più allo scoperto, bloccando in partenza ogni patto democratico tra governanti e governati per una gestione consapevolmente condivisa dell'emergenza, quella attuale e quella generata da una possibile seconda ondata epidemica.
In tutti e due i casi, chi ci governa politicamente e tecnocraticamente ha avviato un processo che si sta avvitando su se stesso. Oramai sono obbligati a rilanciare, esattamente come si fa nel casinò finanziario, in un circolo vizioso. Con punte di delirio puro e nevrastenia [30] [31]. Attenzione, qui i media giocano un ruolo determinante, ben più importante di vigili, polizia e carabinieri o esercito. Ci sono stati atteggiamenti vessatori o ossessivi da parte dei controllori sul territorio della quarantena, ma io onestamente penso che siano stati contenuti. Ciò che non è contenuta è la gogna continua complementata dalla colpevolizzazione continua messa in scena giornalmente a media unificati. E' questo che rivela che un disegno disciplinante è effettivamente in essere.
Questo vuol dire che l'epidemia non c'è? No. Io non lo penso. Non è mai consigliabile andare contro i fatti, perché, come diceva Locke, i fatti sono testardi. Questo virus non è un normale virus influenzale (tecnicamente il Covid-19 fa parte del Gruppo IV, cioè i virus a RNA a singolo filamento positivo, mentre quelli dell'influenza fanno parte del Gruppo V, cioè i virus a RNA a singolo filamento negativo). Potenzialmente è molto più pericoloso. E rimane più pericoloso anche se questa potenzialità, come si spera, non riuscirà a dispiegarsi del tutto, anche se al termine della conta si sarà dimostrato meno letale di un “normale” virus influenzale (benché letale per sistemi sanitari con una miriade di patologie pregresse). Queste cose, per un fenomeno nuovo, si sanno solo dopo. Il peggior scenario possibile, come una seconda ondata che aggredisce pericolosamente anche i giovani, ad oggi non può sensatamente, essere escluso (anche se non ha nessun senso scientifico dire che è “certo”, come fa l'OMS: è nell'ordine delle possibilità, e quindi bisogna tenerne conto, ma non della certezza. Certezza e possibilità sono due modalità differenti).
Negare la sua pericolosità, oltretutto, non è un'ipotesi necessaria per essere perfettamente consapevoli dei piani che questa crisi può facilitare.
D'altra parte, anche la crisi dei subprime non era un'invenzione, colse di sorpresa persino chi per la sua posizione aveva informazioni e potere in misura enormemente maggiore di chiunque altro, ma infine fu sfruttata per aumentare il potere di alcuni a scapito di altri, e della popolazione in generale, esasperando proprio gli stessi meccanismi che avevano scatenato quella crisi stessa.
Le crisi funzionano così e la crisi sanitaria attuale si innesta su quella sistemica destinandola ad esasperarsi in tutti i suoi aspetti, economici, sociali, finanziari, politici e geopolitici e non sappiamo ancora in quale direzione.

10. Che cosa, come e perché
Oggi, a sinistra, occorre compiere una scelta analitica e politica.
E' lecito pensare che una crisi dell'ampiezza di quella che stiamo vedendo presupponga necessariamente una predeterminazione e un controllo soggettivi, oppure proprio una tale ampiezza e complessità suggerisce di escludere che un qualsiasi gruppo di attori possa governare il prodursi di eventi di tale portata? E' una questione di filosofia della Storia, in fondo: la Storia è fatta di date, re e regine o di processi? Io penso che anche i re e le regine, per quanto potenti, ricchi, cinici, sanguinari, spudorati e dediti agli intrighi potessero essere, hanno sempre comunque dovuto fare i conti non solo con le circostanze in cui dovevano operare ma anche con gli esiti inintenzionali delle loro azioni. Tanto più inintenzionali quanti più attori diversi operavano contemporaneamente e la direzione che prendevano gli eventi era la risultante della composizione di varie forze.
Singoli sviluppi e singoli passaggi sì, è ovvio, possono essere preparati e governati, magari anche attraverso veri e propri complotti, ma queste crisi sono così complesse, intervengono così tanti interessi e attori contrapposti, generano così tanti effetti non previsti, che non ha senso pensare che abbiano dietro una regia per giunta unificata in grado di predeterminare gli eventi.
La nottola di Minerva spicca il volo solo dopo che sono calate le tenebre e “ciò che nelle specie animali inferiori accenna a qualcosa di superiore può essere compreso solo se la forma superiore è già conosciuta” per ricordare la nota metafora di Marx dell'anatomia dell'uomo e della scimmia.
Lo sfruttamento di una circostanza e la produzione di una circostanza possono essere due cose distinte. E spesso lo sono, specie se la circostanza è complessa e straordinaria. Questa distinzione comporta una grande sfida analitica e una ancor più difficile sfida politica. Negarla può essere quindi comodo, semplificante, ma non è produttivo.
Si possono fare molti esempi di sconvolgimenti epocali che sono avvenuti senza che ci fosse una regia ex ante, bensì continui assestamenti ex post di strategie contrapposte. Basti pensare alla caduta dell'Impero Romano.
Insomma, ci sono processi e ci sono Charaktermasken che in essi operano e che da essi sono usate (sì, ancora Marx). Cosa che non assolve chi quelle maschere indossa, perché le responsabilità personali ci sono e non possono essere scaricate sulla Storia. Ma questo non toglie il ruolo oggettivo che le loro responsabilità hanno nei processi.
E' mia convinzione che le assunzioni non necessarie debbano essere tralasciate.
A fronte di una epi-demia, le misure adottabili coinvolgono per forza di cose il demos. Per loro natura, quindi, tali misure si prestano alla sperimentazione e poi all'introduzione di dispositivi bio-politici e, io aggiungo, psico-politici, con funzione disciplinante. Così come è ovvia, anzi dichiarata, la pesca che alcuni centri di potere, come quelli che abbiamo nominato, vogliono fare con le reti che hanno gettato e continueranno a gettare con più lena.
E qui si gioca una battaglia molto difficile che deve essere ben calibrata.
Non è tutto predeterminato.
Non è nemmeno escluso che ad onta delle enormi pressioni che verranno esercitate la triade tecnologica possa non essere dispiegata per intero. Forse, per lo meno in alcuni Paesi, l'opportunità politica imporrà delle scelte e delle priorità. Certo, il pacchetto completo è molto attraente, ma i grandi interessi spesso si sovrappongono e ancor più spesso si contrappongono. Non solo, ma mentre qualcuno cerca di far girare il mondo in un verso, qualcun altro cercherà di imporgli una rotazione diversa.
E poi ci siamo noi, noi il popolo, noi la società, noi Terzo o Quarto Stato. Nella logica del Potere del Territorio la società è un fattore essenziale. In quella del Potere del Denaro invece potrebbe addirittura sparire, specialmente nella logica di un Potere del Denaro finanziarizzato. Ma così come il capitalista vorrebbe fare a meno dell'operaio ma non può, il Potere del Denaro non può fare a meno del Potere del Territorio e del suo rapporto con la società così che essa, con le sue suddivisioni di classe e le sue gerarchie, rientra in gioco.
Siamo quindi di fronte a logiche differenti ed è nelle asimmetrie e nelle aporie che si generano nel loro incontro che possiamo e dobbiamo intervenire.
Uno dei punti chiave, io penso, deve essere la difesa dei diritti garantiti dalla Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza e contro ogni condizionamento e vincolo che non ne permettono l'applicazione. Non è un caso che i nostri avversari considerino le Costituzioni europee come la nostra, un ostacolo. Ed è precisa la descrizione del perché lo sono: perché esse “tendono a mostrare una forte influenza socialista che riflette la forza politica che i partiti di sinistra avevano guadagnato dopo la sconfitta del fascismo” [32]. La Costituzione, infatti, è il precipitato di un precedente duro ciclo di scontri-incontri triangolari tra la società, il Potere del Territorio e quello del Denaro e questo la rende una preziosa eredità sulla quale resistere e sulla quale costruire.
Altre battaglie occorrerà fare, è certo, ma quella è su un punto di non ritorno.


Note
[1] https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/8949-piero-pagliani-india-laboratorio-mondiale-per-la-demonetizzazione-forzata.html All'interno di questo articolo c'è un link che non funziona più; non è molto importante per il nostro discorso di adesso e qualcuno di voi forse lo ha già letto, ma comunque quello che funziona è questo: https://www.johar.it/novembre-indiano-notizie-da-un-sesto-dellumanita/.
[9] https://www.theatlantic.com/technology/archive/2018/09/how-i-learned-to-stop-worrying-and-love-the-microchip/570946/ (Fondato nel 1857, The Atlantic dopo una lunga gloriosa stagione culturale, nel 1980 ha cambiato di proprietà ed è diventato un organo dell'establishment neo-liberal-con. L'attuale editor, Jeffrey Goldberg, durante la Prima Intifada alla fine degli anni '80, si arruolò volontariamente come guardia carceraria del più grande campo di prigionia israeliano, la Ktzi'ot Prison nel deserto del Negev, che venne costruita all'epoca proprio per detenere i partecipanti alla rivolta palestinese (da Wikipedia).
[19] https://www.opendemocracy.net/en/oureconomy/coronavirus-crisis-shows-its-time-abolish-family/ (Il lavoro distruttivo di questa ideologa del nichilismo neo-liberal-con, era stato segnalato in “Andrò tutto bene”. A chi? - FANTASTICI QUATTRO - Liberarsi degli eretici” di Fulvio Grimaldi https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2020/04/andro-tutto-bene-chi-i-fantastici.html)
[22] Costanzo Preve, Storia dell'etica, Editrice Petite Plaisance, 2007.
[32] https://culturaliberta.files.wordpress.com/2013/06/jpm-the-euro-area-adjustment-about-halfway-there.pdf (“The constitutions and political settlements in the southern periphery, put in place in the aftermath of the fall of fascism, have a number of features which appear to be unsuited to further integration in the region”, pag. 2)

ricordo di Ezio Vendrame













qui un bel ritratto



…L’incontro con Piero Ciampi cambierà Vendrame a tal punto da iniziarlo alla poesia: uno scrittore nato sui campi di gioco, quasi un “unicum” nel panorama dei calciatori di tutto il mondo, tra i quali il massimo della produzione letteraria si ferma nella stragrande maggioranza dei casi a biografie scritte per interposta persona. Dedito all’alcol Ciampi e alle donne Vendrame, due passioni che ne hanno consumato, probabilmente, i rispettivi talenti. Ma la loro amicizia, fino alla morte del cantautore livornese, ha sempre resistito alle bizze del loro genio e della loro conseguente sregolatezza. Vendrame aveva un tale rispetto di Ciampi che, quando l’amico una volta venne allo stadio Appiani di Padova per vedere una sua partita, lui fermò il pallone con le mani ed decise di interrompere d’imperio la partita per rendergli il giusto tributo. Perché, come spiegò in un’intervista: “Il gioco del calcio diventa una cosa volgarissima di fronte ad un poeta come Piero.”
A Vendrame le convenzioni legate al mondo del calcio bigotto, conservatore, ipocrita non sono mai andate giù. E la poesia diventava una via di fuga dalla realtà: non è un caso che una volta lui, originario di Casarsa della Delizia in Friuli, scelse come location per farsi intervistare la tomba di Pier Paolo Pasolini, seppellito in quella che era la terra natia della madre, definendolo “il mio compaesano più vivo“. L’amicizia con Ciampi fu l’approdo finale per questa esigenza di andare oltre la realtà precotta del mondo del calcio, anche se a volte esigeva un prezzo molto alto, col poeta/cantautore ormai alla deriva. “Certe sere”, raccontava Vendrame su Ciampi, “si doveva andarlo cercare, perché magari era qualche giorno che non tornava. Lo cercavamo nei luoghi più assurdi, tra le vie sperdute, o in chissà quali posti: poi te lo trovavi seduto su di un marciapiede che beveva dell’alcol denaturato, circondato dai topi”. Ma era in quei frangenti che l’artista livornese dava il meglio di sé e sapeva insegnare tutto sulla vita, l’amore e la morte, come spiegò il fantasista del Vicenza: “La definizione che mi diede Piero Ciampi sull’amore è capire la sofferenza di chi ti sta vicino. Talmente grande che ho quasi paura a dire di amare qualcuno. Di solito siamo egoisti quando amiamo”.
Ancora parole di Vendrame: “A Piero devo tutto. Quello che so l’ho imparato da lui. La sua morte mi sconvolse“. Si conobbero a Roma, nel ristorante di Marcello Micci, e litigarono furiosamente la notte prima della sua scomparsa. Ciampi morì nel gennaio del 1980, assistito da un altro cantautore che era però anche medico, Mimmo Locasciulli. Lo uccise un cancro alla gola, “dopo essersi preparato per tutta la vita a una morte per cirrosi epatica”, dissero. E appena prima di morire, come raccontato da Vendrame in uno dei suoi libri, era andato a casa sua in cerca di rifugio. Ma cominciò a bere, a sbraitare, con i suoi deliri non fece chiudere occhio per tutta la notte al calciatore che sbottò, cacciandolo via, insultandolo, dicendo che non aveva rispetto per gli amici. Ciampi non poté far altro che rispondere con una frase lapidaria, innocente e spiazzante al tempo stesso: “Ma Ezio, io sono un poeta!“.

Ezio Vendrame: la tua poesia per ricordarti

Viveva in un monolocale di campagna, con la zona notte incollata a una parete: di giorno il letto è inghiottito da un muro… «Sono in affitto, della proprietà privata non mi importa niente».
E’ un poeta e detesta il Natale.
«Il 23 dicembre mi barrico in casa e scrivo i miei versi. Riemergo all’Epifania, il peso delle Feste mi è insopportabile».
Ezio Vendrame, il George Best all’italiana, ha scritto un libro-choc sul calcio: «Se mi mandi in tribuna, godo», edizioni Biblioteca dell’Immagine. Prefazione di Giancarlo Dotto. Una raffica di raccontini verità: doping, partite truccate, sesso. E linguaggio vietato ai minori. «Ma sono le parole del calcio: i giocatori non sono leccati e compiti come li vedete in tv. Non facciamo gli ipocriti». Nel libro c’è di tutto. C’è il Vendrame ragazzino, che approdato alla Spal di Ferrara diserta gli allenamenti perché si innamora di una baby-prostituta genovese.
«Quante donne ho portato a letto? Centinaia, ma le ho amate una per una. Non ho mai fatto l’amore senza sentimento». C’è il Vendrame più adulto, che al momento di trasferirsi al Napoli si fa buggerare come un pivello. «Al Vicenza prendevo 10 milioni di lire e quando andai a trattare l’ingaggio con Janich, d.s. del Napoli, pensai: “Ora lo frego, gli chiedo il doppio”. Quanto vuoi?, mi domandò. Venti milioni, risposi. Firma qua, replicò senza esitazione. Uscii convinto di aver raggirato i napoletani. In spogliatoio scoprii che Ferrandini, un ragazzo proveniente dall’Atalanta, l’ultimo della compagnia, prendeva 60 milioni. Mi sentii lo scemo del villaggio».
Vendrame svolta a metà anni Settanta, quando conosce Piero Ciampi, poeta-cantautore livornese.
«A Piero devo tutto. Quello che so l’ho imparato da lui. La sua morte mi sconvolse».
Vendrame completa l’opera di auto-annientamento: decide di buttare via il talento che ha nei piedi e sceglie di coltivare l’anima. Diventa poeta, pubblica raccolte di versi. Si stabilisce a San Giovanni, frazione di Casarsa della Delizia, il suo paese. A Casarsa è sepolto Pier Paolo Pasolini. «Ma io a Casarsa non metto piede da anni. Ricambio così l’odio della mia gente. Pasolini fuggì e ritornò in orizzontale, nel senso della bara. Seguirò lo stesso percorso».
Per vivere, per comprarsi le sigarette e per mantenere la scassatissima Golf fine anni Ottanta, Vendrame allena i Giovanissimi della Sanvitese, club del vicino Comune di San Vito al Tagliamento. E’ un bravo istruttore, vince i campionati, sa insegnare calcio.
«Ma certi genitori mi detestano, sogno di allenare una squadra di orfani». La ricca e benpensante provincia del Nordest non sopporta che i propri figli amino un beat, un reperto archeologico del Sessantotto. Perché i ragazzi, sia chiaro, adorano Vendrame. «Cerco di metterli sulla retta via. Prima la vita, poi il calcio». Ci sono problemi, il Best del Tagliamento, a ogni nuova covata, si esibisce nel seguente discorso di iniziazione: «Cari ragazzi, buttate nel cesso le vostre playstation e rinchiudetevi nei bagni con un giornaletto giusto in bella vista. Quando uscite, innamoratevi di una bella figliola: il sesso fai da te è bello, ma quello con una coetanea è meglio».
Comprensibile che la comunità rumoreggi, che parroci e curati non gradiscano. Un papà facoltoso ha offerto un assegno in bianco al presidente della Sanvitese: metti tu la cifra, basta che licenzi quel matto. Proposta respinta, Vendrame per sempre: «Ai giovani bisogna raccontare la verità, le cose come stanno».
Rimane una curiosità da soddisfare: il calcio di oggi? Domanda stupida, risposta stimolante:
«Non esiste, è finto, è acrilico. Al mondo ci sono stati tre giocatori di calcio: Maradona, Zigoni e Meroni. In questo rigoroso ordine, non alfabetico. Il resto è noia».
Ci mancherai Ezio...

Non chiamatemi George Best - Francesco Mistrulli
Con il pallone facevo quello che volevo.
Con la testa pure.
Io sono sempre stato così. Prendere o lasciare.
I giudizi morali li lascio ai pressappochisti. E non mi permetto di dare giudizi! Semplicemente perché ognuno è così com'è. La bellezza degli esseri umani è appunto nell'unicità di ciascuno.
Anche la classica definizione che imperversa da più parti, quel "è tutto genio e sregolatezza", mi fa cagare! Ma perché tutti vogliono incasellarmi in qualche modo? Io voglio essere soltanto me stesso. Io sono stato, sono e sempre sarò Ezio Vendrame.
Punto e basta.
Sono nato a Casarsa della Delizia, in Veneto, nel millenovecentoquarantasette.
Si, la reminiscenza che molti di voi ha avuto è giusta, Casarsa è lo stesso paese che ha dato i natali a Pier Paolo Pasolini. Uno dei più grandi intellettuali italiani. Pasolini diceva che dopo la letteratura e l'eros, il calcio era l'unica cosa in grado di dare emozioni autentiche.
Il calcio come lo intendeva lui, però, e come lo intendevo io.
Ma lasciamo riposare i morti, e torniamo a parlare di me.
La mia vita ha inizio con un grande trauma, che non è banalmente quello di abbandonare l'utero materno, da questo punto di vista siamo tutti traumatizzati, no, io all'età di sei anni sono stato affidato dai miei genitori ad un orfanotrofio. Io sono stato abbandonato, ed è per questo che mi sento un orfano, ma con i genitori.
Cosa ricordo di quel periodo dite?
E cosa volete che ricordi! La fame, la paura, la pipì che facevo nel letto, le angherie dei più grandi ricordo, ma soprattutto, e più di tutto, quell'abisso, quel vuoto immenso dell'assenza.
Però mi piaceva giocare al calcio, mi faceva sentire libero, e proprio mentre stavo giocando una partitella assieme agli amici, durante le vacanze estive trascorse alla colonia dell'orfanotrofio, il medico sociale dell'Udinese mi nota ed ecco, il calcio da passione diventa professione, ma per me, in fin dei conti, è sempre rimasto poesia. D'altronde sono nato nello stesso paese di Pasolini, e con la poesia devo avere un conto aperto evidentemente.
Ezio Vendrame al Lanerossi VicenzaLa mia è stata una carriera turbolenta, ho cambiato diverse maglie in anni in cui i trasferimenti da una squadra all'altra non erano così frequenti: SPAL, Torres, Siena, Rovereto, Lanerossi Vicenza, Napoli, Padova…
"El Paròn" Nereo Rocco mi dava del pazzo, e la cosa, non lo nego, mi faceva enormemente piacere. Semplicemente io amavo giocare a pallone, ma non mi piaceva fare il calciatore. Mi sentivo stretto, risucchiato, prigioniero, anche perché i vincoli, non solo societari ma anche morali erano ancora molto forti, in quegli anni Settanta. Avevi voglia a dire che c'era stato il Sessantotto, che la contestazione giovanile aveva cambiato il mondo… L'Italia era ancora un paese retrogrado e bigotto, ed il mondo del calcio non era differente, anzi, era una cartina al tornasole di quella società.
Ad ogni modo fare il calciatore aveva i suoi vantaggi, questo è indubbio, ieri come oggi, ti poneva al centro dell'attenzione, e così avere delle donne era facilissimo, e io non mi tiravo certo indietro, poi io ho sempre avuto una passione per le femmine, avrei sputato sangue e donato un rene per la figa. Però, come vi dicevo, quelli erano tempi di vacche grasse e quindi quei sacrifici non servivano. Ero diventato letteralmente un can da figa. Per me era impossibile resistere al richiamo dell'odore di femmina. E quasi sempre scordavo che avrei dovuto fare soltanto il calciatore. I lunedì erano giornate di riposo per i calciatori. Non per me: i miei erano pieni fino all'orlo. La mia casa sembrava uno studio di ginecologia. La giornata di visite iniziava già alle nove del mattino con la signora Giuliana; alle undici sarebbe arrivata la signora Carla; alle quattordici la mia amica Lella; alle diciotto quella troia della Fernanda e infine, alle ventidue, toccava alla novità della settimana.
Ero spesso in giro con il mio grande amico Gianfranco Zigoni, coetaneo e conterraneo, quanto casino abbiamo fatto assieme non potete immaginare. Le cene da "Luigino", una trattoria magica di Vicenza, una sorta di rifugio, ci davamo dentro in quel locale, quasi ogni sera, a volte fino a notte fonda, bevendo, mangiando, ridendo, suonando, godendo ed esagerando. Eravamo l'eccesso a tutta forza! Se riuscivi a sopravvivere a Luigino e a una delle sue nottate, affrontare una partita di calcio diventava un'inezia!
Soltanto io conosco le mie partite infinite, quelle che cominciavano ogni sabato notte e terminavano alle prime luci dell'alba quando i miei compagni ancora dormivano ed io, con la sigaretta in bocca ero già in giro per la città alla ricerca di un caffè e di un cesso dove vomitare la bile. E soltanto i miei compagni e i miei allenatori sanno che non potevo pranzare prima di una gara perché se avessi ingerito anche un solo grissino, avrei rigurgitato l'anima! Come avrei potuto essere un calciatore vero in quelle condizioni? Ad ogni fischio d'inizio ero già distrutto, avevo già giocato, avevo già finito. Però, nonostante tutto, c'è chi si è sempre accontentato. Anche solo delle mie briciole!
Ed ecco appunto le mie briciole calcistiche, perché di me si ricordano degli episodi, e questo mi va bene, significa che quelle briciole hanno lasciato un sentiero.
Durante una partita contro il Milan a San Siro, ad esempio, mi si para davanti niente meno che Gianni Rivera, "l'Abatino" lo chiamava Gianni Brera, faccio una leggera finta e lui istintivamente apre le gambe e io istintivamente gli faccio un tunnel. Gli chiesi subito scusa!
Perché?
Come perché?
Perché Gianni era un artista del pallone, e umiliarlo così, mi dispiacque tantissimo. D'altra parte però un po' fu anche colpa sua, lui allargò le gambe, e chi allarga le gambe, nel calcio come nella vita, ti spinge sempre a fare qualche cosa!
Un'altra volta dopo aver dribblato tre difensori e messo a sedere il portiere con una finta, invece di fare goal me ne sono tornato tranquillo verso la metà campo. Quando mi hanno chiesto il perché di quel gesto ho detto di averlo fatto perché anche il portiere è un uomo e merita una seconda possibilità.
Altre volte salivo con tutti e due i piedi sul pallone e mettevo la mano di taglio davanti alla fronte per scrutare l'orizzonte, lo chiamavano "il gesto della vedetta", e non era voler polemizzare con i miei compagni che non si smarcavano. Semplicemente quei trenta centimetri di altezza in più mi permettevano, per davvero, di dare un'occhiata migliore al piazzamento dei miei. Pochi aggiungono che spesso, dopo avere fatto la "vedetta" in quel modo, magari ti pescavo un attaccante con un lancio di quaranta o cinquanta metri, e d'esterno per giunta.
Ve lo dicevo che ognuno può interpretare le cose come vuole, è solo che tutti o quasi tutti almeno, cercano di trovare del dolo, del marcio in quelli che sono gesti puri e senza malizia.
Come quell'altra volta, che contro l'Udinese, mi sono soffiato il naso alla bandierina del calcio d'angolo. Ma vi pare bello vedere quei giocatori che si puliscono il naso con le mani? Io ero lì per battere un corner, e mi sembrò più fine, se vuoi anche più educativo, usare la bandierina come fosse un fazzoletto. Tutti hanno gridato allo scandalo, alla provocazione, nessuno ricorda però che subito dopo, annunciai alla tribuna che avrei segnato direttamente dal corner. E così feci. Per una volta rubai la scena a "O Rei" Palanca, lui che dal calcio d'angolo segnava sempre!
Un'altra volta, giocavo nel Padova, e, seppur indirettamente un mio eccesso provocò una tragedia. Si giocava contro la Cremonese. In campo avevano deciso la "torta", o il "biscotto", se preferite. Erano gli anni Settanta, ci fu lo scandalo del "Calcioscommesse", ma a me questo tipo di cose non è mai andato giù. Non potevo prendermela con gli avversari e puntare verso la loro rete. Ma potevo prendermela con i miei compagni di squadra, così, dal centro del campo, feci dietro front e puntai verso la nostra area. Qualche compagno, ripresosi dallo spavento, mi si fece incontro ma io lo saltai secco in dribbling, fino a trovarmi a tu per tu con il nostro portiere. Solo a quel punto, e dopo aver fatto finta di tirare, blocco il pallone con la pianta del piede. Ricordo il sospiro come di sollievo di tutto lo stadio. Solo che a fine partita venni a sapere appunto del dramma: un tifoso si era spaventato a tal punto da morire di infarto.
Comunque, tante, veramente troppe volte sono stato avvicinato per truccare l'esito di una partita. Ma non mi sembrerebbe onesto, da parte mia, tornare ora su quegli episodi. Non ho denunciato nessuno allora, sarebbe ipocrita agire diversamente adesso.
Stavo bene, e ciò lo dovevo in parte al fatto di essere un calciatore, non tanto dal punto di vista economico quanto per le libertà che riuscivo a prendermi. In generale… Forse c'era più autenticità, c'era più spazio per le emozioni. Per uno come me erano cose importanti, io avevo bisogno di sentire, ovunque, il calore, la poesia…
Ve l'ho detto, e torno a ripeterlo, sono nato nello stesso paese di Pier Paolo Pasolini, e con la poesia devo avere un conto aperto io. Infatti nel millenovecentosettantacinque conosco Piero Campi, poeta Livornese, uno che in qualche modo la mia vita l'ha cambiata, anzi, che la mia vita l'ha proprio segnata. Un amicizia profonda, incondizionata. Piero raccontava spesso che un giorno, a Padova, si trovava a vedere una mia partita, e che, quando lo scorsi in tribuna, fermai il gioco e, fra lo stupore generale, andai a salutarlo.
Gli amici, che gran cosa!
Oggi scrivo, anche poesie certo, e insegno calcio ai ragazzini, e sapete una cosa, affanculo pressing, squadra corta, fuorigioco e diagonali. Ci sputo sopra agli inventori di queste cagate! Il calcio vero è un'altra cosa, ha un'anima che almeno a livello giovanile dovremmo salvaguardare! A loro dico che a quattordici o quindici anni è normale farsi le seghe e se trovano una ragazza che collabora è ancora meglio! Casomai è chi non se le fa che è malato e non è giusto che giochi. E la domenica, quando abbiamo dato tutto e siamo a posto con la coscienza, dobbiamo sempre accettare anche la sconfitta, senza alcun dramma, perché il gioco del calcio è soltanto un gioco: una piccola cosa della vita. Non dobbiamo stare male più di tanto quando perdiamo una partita, ma quando perdiamo un affetto, o quando deludiamo qualcuno che ci ama! Ma tutto questo loro lo capiscono subito. Sono gli adulti che non comprendono, a cominciare dai genitori. Per questo motivo sogno da sempre di allenare una squadra di orfani!
Non ho rimpianto alcuno. Zero. Ho fatto della mia vita un capolavoro e continuo a farlo perché ho sempre fatto il cazzo che ho voluto, e, speriamo che quel sentiero di briciole che mi sono lasciato alle spalle sia percorso da qualcuno… prima o poi.