intervista di Marco Veruggio a Francesco
Macario, segretario di Rifondazione Comunista a Bergamo (*)
Francesco
Macario è il segretario provinciale di RC a Bergamo, città di cui è stato
assessore comunale. Oggi è consigliere comunale in un piccolo centro dove la
settimana scorsa è morto un numero di persone pari alla metà di quelle che di
solito muoiono in un anno, ma ufficialmente non di COVID-19. Un mese fa è stato anche l’unico politico ad accusare il sindaco di
Bergamo Giorgio Gori (PD) di incoscienza, dopo il suo appello ai bergamaschi a
uscire di casa e riempire locali e negozi. Erano i giorni in cui Sala lanciava lo slogan «Milano
non si ferma» e Zingaretti accorreva per un aperitivo in favor di telecamere.
Ed è stato tra i primi a denunciare la discrepanza tra le cifre ufficiali e le
vittime effettive, che ora tutti ammettono (VIDEO).
Partiamo da qui per un lungo excursus in cui cerchiamo di toccare i punti salienti della questione: le condizioni della sanità lombarda, il ruolo delle imprese e della
politica, le relazioni tra Bergamo e la Cina, la condizione dei lavoratori oggi
nelle fabbriche, quella dei medici in prima linea e, infine, qualche riflessione politica su quanto
sta avvenendo. Perché da lì, quando tutto questo sarà finito, occorrerà
ripartire.
Nella tua denuncia tu sostieni che nel
bergamasco i morti veri sono 5-10 volte quelli contabilizzati ufficialmente,
cioè non 1.000 ma dai 5.000 ai 10.000. E’ una tesi che ormai rilanciano anche i
media e lo stesso sindaco di Bergamo.
Adesso,
ma 10 giorni fa tutti lo negavano e mi davano del pazzo. Dicevano che i morti a
Bergamo erano qualche decina. Sulle pagine dell’Eco di Bergamo prima dell’epidemia c’erano 25-30 necrologi al
giorno. Ora sono circa 200. Il quotidiano non prende più necrologi per
telefono, devi mandare una mail e qui gli anziani sono un terzo della popolazione, per cui molti
desistono. Una persona che ci è riuscita ha ricevuto una telefonata in cui le
hanno detto che il necrologio sarebbe uscito qualche giorno più tardi, perché
la direttiva è non pubblicare più di 20 pagine di necrologi al giorno e pare
che ne rimangano 400 da smaltire. I medici dicono che il rapporto tra morti
ufficiali e vittime effettive in alcune aree tocca punte di 1 a 20 e in media
probabilmente è di 1 a 10. In Cina pare ci siano stati 3.500 morti, qui nel
bergamasco Gori dice 5.500, alcuni medici dicono 10.000 e più. Con 1 milione e
100.000 abitanti significa che in provincia ogni famiglia ha un morto. Oggi il
capo della Protezione civile su Repubblica ammette che il contagio potrebbe essere dieci volte la stima
ufficiale, un’ammissione che anche il numero dei morti va corretto all’insù.
Quando ti riferisci ai morti che non vengono
contabilizzati ufficialmente nelle statistiche perché muoiono in casa cosa
intendi, cioè perché non vanno in ospedale?
Le
cose vanno così. Tu stai male, ti sale la febbre per 2-3 giorni e hai due
possibilità: o ti riprendi e guarisci oppure peggiori. In questo caso dopo 5-6
giorni arriva una crisi respiratoria, che può essere terminale, cioè muori in
meno di un’ora perché lo scambio tra ossigeno e anidride carbonica nei polmoni
è insufficiente, non affluisce abbastanza ossigeno al cervello e muori nel tuo
letto in preda alle convulsioni, un’esperienza terribile anche per i familiari.
Se invece il paziente sopravvive viene messo su un’ambulanza e portato
nel triage, dove gli
attaccano l’ossigeno e gli fanno il tampone. Se ha il COVID-19 va negli
infettivi, sennò in un altro reparto. In altre parole se muore a casa non gli
fanno il tampone e risulta perlopiù morto per infarto o polmonite. Poi c’è
l’altra ipotesi e cioè che portino l’ossigeno direttamente a casa del malato,
perché non ci sono posti letto o il tuo caso viene giudicato relativamente meno
grave. Anche in questo caso se poi il paziente muore il tampone non viene
effettuato e quindi il decesso non viene attribuito al coronavirus. Sabato è
morto mio zio. Lo avevano portato all’ospedale ed è mancato in attesa che gli
facessero il tampone. Ufficialmente è deceduto per polmonite, è stato
seppellito, non cremato come i morti di COVID, e i parenti a contatto con lui
non hanno l’obbligo della quarantena, perché lui non risulta contagiato.
La sanità lombarda in che condizioni affronta
questa prova?
Qui
la popolazione ha un’età media molto elevata. L’assistenza sanitaria è di buon
livello, se ti ammali ti curano bene, mentre la medicina preventiva è
decisamente insufficiente. Ma nel complesso si vive a lungo, anche 110 anni,
però a una certa età si è molto vulnerabili, perché spesso si sovrappongono più
patologie croniche. In questo contesto le giunte di Formigoni e poi quelle
leghiste, a partire dagli anni ’90 e poi, più rapidamente, dopo il 2000, hanno
intrapreso una sistematica azione di chiusura o privatizzazione delle strutture
pubbliche. Sono stati chiusi o privatizzati 28 ospedali, i posti
letto per acuti sono stati trasformati in posti letto per riabilitazione, i
reparti di pronto soccorso chiusi e due terzi dei posti di terapia intensiva
cancellati. Di recente
Giancarlo Giorgetti ha dichiarato persino che bisogna abolire i medici di base
perché non ci va più nessuno. Si è parlato di seguire i malati cronici a domicilio
tramite call center privati. L’ultimo ospedale che hanno cercato di chiudere, l’anno
scorso, era quello di San Giovanni Bianco, che serve alcune zone montane con
una popolazione molto anziana e dove le strade sono impervie e più che
l’ambulanza serve l’elicottero. Se ci fossero riusciti l’alternativa sarebbe
stata a 50 chilometri . Ma la gente ha reagito, ci sono state proteste a cui
abbiamo partecipato e alla fine anche i sindaci si sono convinti e la chiusura
è stata sventata. Ebbene oggi senza quell’ospedale saremmo al collasso.
L’ospedale Papa Giovanni a Bergamo invece è stato rifatto ex novo. I lavori sono
terminati 10 anni fa, ma coi lavori sono diminuiti sensibilmente i posti letto,
che oggi mancano. E così dobbiamo costruire un ospedale da campo dentro la
fiera perché nessuno aveva previsto un’emergenza.
Tu sostieni che questo tipo di gestione
rientra in una lunga tradizione di malasanità attribuibile alla politica.
Nella
sanità lombarda scandali e inchieste non si contano. C’è stato il caso delle
camere iperbariche in alcune cliniche, che lavoravano a ciclo continuo
trattando un numero di pazienti ingiustificabile a spese del SSN. Poi c’è stato
il caso della clinica milanese Santa Rita, ribattezzata “la clinica degli
orrori”, perché si eseguivano operazioni inutili su pazienti perlopiù terminali
facendosi rimborsare dalla ASL. Questa è la sanità di Formigoni e della Lega.
Il bilancio della regione equivale al budget di un paese come la Danimarca e la
sanità rappresenta la prima voce di spesa. Le ASL sono rigorosamente
lottizzate: nel bergamasco Treviglio alla Lega, Bergamo a Forza
Italia-Comunione e Liberazione, mentre Seriate era prima di AN ora di FdI. E’
qui che Giovanna Ciribelli, revisore dei conti, che era stata anche nostra
consigliera comunale, ha denunciato alcune anomalie contabili innescando una
inchiesta che ha visto rinviato a giudizio un ex eurodeputato di AN, per 15
anni dg dell’ospedale di Seriate, accusato di peculato. Tra i suoi
addebiti due viaggi andata e ritorno da Seriate alla Croazia effettuati
d’estate con auto e autista di servizio. Poi si sono aggiunte altre accuse ed è
stato costretto a dimettersi. Insomma se all’ospedale di Alzano, nella ASL di
Seriate, qualcuno è andato coi sintomi del virus e non se ne sono accorti possiamo
dire che c’entra l’inefficienza strutturale di quell’ospedale, già al centro di
polemiche.
Il secondo punto della tua denuncia riguarda
l’arrivo del virus e la sua diffusione nel bergamasco. Che relazioni ci sono
tra Bergamo e la Cina?
C’è
un rapporto strutturale dettato dalla geografia. Bergamo è il terminale di una
rotta commerciale che dalla Cina arriva nell’Adriatico, oggi tramite il Canale
di Suez, e da lì nella nostra provincia e risale a Marco Polo e all’antica Via
della Seta. La città era l’ultima fortezza veneziana che garantiva il transito
di merci cinesi dirette in Francia e nel nord Europa. Per questo ci sono sempre
state relazioni culturali e commerciali. Quando ero assessore comunale avevo
seguito un progetto sulle fortezze veneziane nel Mediterraneo finanziato
dall’UNESCO. Tradizionalmente quando l’economia cinese tira questa via prospera
e, viceversa, quando va in crisi si isterilisce.
Fatta
questa premessa il vero nodo è che il bergamasco ospitava un importante
distretto tessile concentrato soprattutto in Val Seriana. Col passare del tempo
però le imprese tessili della zona hanno delocalizzato la produzione in Cina,
creando joint-venture coi cinesi e fornendo loro telai e macchinari, per cui ci sono
tecnici e manager cinesi che vengono in Italia e italiani che vanno in Cina. I
nostri tecnici vanno là per fare manutenzione, corsi di formazione ecc.
L’aeroporto di Orio al Serio ospitava voli low cost diretti agli scali intermedi per la Cina e questo
consentiva ai tecnici di fare avanti e indietro anche in settimana. Questo
traffico probabilmente aveva già portato l’infezione in Italia a fine gennaio e
probabilmente qualcuno coi sintomi del virus era stato all’ospedale di Alzano e
la cosa era stata sottovalutata. Ma il fenomeno presumibilmente in quei giorni
era circoscritto.
Il prestigioso sito finanziario Forbes220320 domenica
ha scritto che l’Italia «a febbraio nel punto più alto dell’epidemia spediva
gente a fare la spola con le fabbriche di prodotti tessili nella provincia
dell’Hubei».
A
febbraio, quando l’Italia ha bloccato i voli diretti con la Cina, le aziende
hanno continuato a far fare avanti e indietro ai propri dipendenti, facendo
fare loro scalo a Mosca o a Bangkok. Perciò quando tornavano non risultavano in
arrivo dalla Cina e non venivano sottoposti ai controlli né registrati. Tutti
lo sapevano. Nelle fabbriche se ne parlava e la gente era preoccupata, ma
nessuno è andato ad autodenunciarsi alle autorità sanitarie per timore delle
conseguenze. E così l’infezione in Val Seriana ha galoppato per l’atteggiamento
irresponsabile degli imprenditori.
Tra Bergamo a la Cina ci sono affari per 1,3
miliardi (BergamoNews220319),
il che spiega la tesi del Fatto210320,
cioè che gli imprenditori avrebbero messo sotto pressione i sindaci della zona:
due della Lega, ad Alzano e Albino, e due del PD, a Villa di Serio e a Nembro.
Il primo cittadino di Scanzorosciate, confinante con Alzano e Villa di Serio, è
anche segretario provinciale del PD e amico del viceministro per l’economia
Antonio Misiani (così ha scritto lui su Facebook dopo la nomina di Misiani),
uomo forte del PD nel bergamasco. L’oggetto delle pressioni sarebbe stata
l’ipotesi di istituire in quest’area una zona rossa come Codogno e Vo’.
A
Nembro c’è la Persico Marine, che fa barche da regata come Luna Rossa.
L’articolo del Fatto che
hai citato riferisce che la Persico avrebbe avuto alcune consegne importanti
tra febbraio e marzo, altri dicono che il 9 marzo doveva consegnare una barca
in Sardegna. L’Azienda naturalmente ha smentito. In zona poi ci sono molte
altre imprese importanti come la Polini Motori e le cartiere Pigna. In ogni
caso gli imprenditori della Val Seriana quando si è cominciato a parlare di
zona rossa hanno cominciato a protestare dicendo che sarebbe stato un danno
economico incalcolabile. Confindustria ha dato loro man forte.
Quindi se ho ben capito nella ipotetica zona
rossa ci sono due sindaci del PD e due della Lega e anche il Comune dove è
sindaco il segretario provinciale del PD, vicino alla longa manus del governo a Bergamo, rischia di essere
incluso nella zona rossa. Fatto sta che il Governo decide di non istituirla…
Ma
non lo fa neanche la Regione, che pure ne avrebbe l’autorità. I sindaci
leghisti di Alzano e Albino, che a fine febbraio escludevano la zona rossa,
oggi dicono che era necessaria ma non è stata fatta per colpa del governo.
Insomma governo e Regione si rimpallano la responsabilità per non aver preso
una decisione che ciascuno dei due avrebbe potuto prendere in autonomia. Poi ci
sono le aggravanti.
Quali sono?
L’ultima
settimana di febbraio qui c’è una situazione da matti, le persone muoiono già a
mazzi, qualcuno dice che serve una zona rossa, ma imprenditori e sindaci sono
contrari e tutto va avanti come nulla fosse. Il sindaco di Albino continua ad
autorizzare il mercato rionale con le bancarelle, che viene sospeso solo la
settimana scorsa. Il 26 febbraio il sindaco di Bergamo Giorgio Gori va con la
moglie Cristina Parodi a mangiare la pizza nel ristorante di un consigliere
comunale del PD e invita i bergamaschi a uscire e a fare shopping e il weekend dopo sui
bus c’è il biglietto unico per l’intera giornata per incentivare la gente a
mettere in pratica i consigli del sindaco. In provincia risiedono un milione e
100.000 persone. Il capoluogo ha una popolazione relativamente ristretta,
120.000 persone, ma la grande Bergamo, che è la “città reale”, è una
conurbazione con 400.000 residenti, di cui fanno parte anche i 4 Comuni più
colpiti dal virus. La gente arriva da tutto il circondario, scende dalle valli,
attirata dallo spot del sindaco pro commercianti, trasformando l’intera zona in
un grande lazzaretto a cielo aperto. E quando io attacco Gori, dandogli
dell’incosciente, vengo coperto di insulti, coi militanti del PD che mi
telefonano dicendo che così si ammazza l’economia.
Da lì poi il contagio è dilagato verso Brescia
e Cremona. Attraverso quali canali?
Siccome
c’è il timore che il virus colpisca Milano, sulle strade tra Bergamo e Milano
hanno fatto più controlli, c’erano i posti di blocco ai caselli autostradali e
nei principali snodi. Verso Brescia invece i controlli erano decisamente più
blandi. Tieni conto che tra le due province ci sono legami economici forti,
mediati dalle aziende della siderurgia e dall’industria vinicola – qui c’à la
zona del Franciacorta. Poi ci sono imprese che hanno cave sia nel bresciano sia
nel bergamasco e c’è stata una fusione tra una banca di Bergamo e una di
Brescia, per cui molti bancari da Bergamo vanno a lavorare a Brescia. Cremona è
un caso limite, sono pochi, circa 350.000 residenti, ma hanno la più alta
percentuale di contagi, probabilmente perché sono stati aggrediti da due lati.
A nord confinano con noi e ci sono diversi canali diretti. Tieni presente che
la parte meridionale del bergamasco è provincia di Brescia ma diocesi di
Cremona e anche la loro agricoltura gravita più sul cremonese. A ovest invece
confinano col lodigiano, dove si è manifestato il primo focolaio.
La produzione nel frattempo continua ad andare
avanti.
Le
fabbriche di vernici e quelle del settore della gomma-plastica, che producono
guarnizioni per auto, fanno parte della chimica e quindi sono aperte. Ma anche
qui i paradossi non mancano. Ad esempio la Regione ha stabilito che le aziende
artigiane devono chiudere. Perciò ci sono aziende artigiane con 200 dipendenti
che fanno guarnizioni per auto che chiudono e imprese industriali con lo stesso
numero di dipendenti che producono le stesse guarnizioni che invece rimangono
in attività. Un’azienda che ha una produzione sia di vernici ad acqua per
tinteggiare sia di vernici per carrozzerie ha deciso di fermare la prima
mettendo i dipendenti in ferie forzate. L’altro reparto continuerà a lavorare
chiedendo la deroga perché le sue vernici possono essere usate anche per le
carrozzerie delle ambulanze. E finita l’emergenza avrà i magazzini pieni.
I lavoratori come reagiscono?
I
lavoratori hanno fatto scioperi spontanei, in particolare nel settore
metalmeccanico e chimico. Il sindacato finora ha fatto poco, in alcuni casi la
FIOM soprattutto ha dato la copertura ad alcuni di quegli scioperi innescati
dall’assenza di sicurezza. Nel settore delle vernici, ad esempio, si lavora
sempre con la mascherina perché ci sono emissioni dannose. Ora che le
mascherine non si trovano più, i lavoratori devono usare la stessa mascherina
monouso per una settimana, col rischio di intossicarsi con la polvere di talco
che dopo un po’ ci rimane appiccicata sopra. Perciò i lavoratori italiani col
posto fisso o si mettono in malattia o trovano il modo per farsi mettere in
quarantena – il decreto Cura Italia parifica la quarantena alla malattia
– e tante fabbriche in realtà sono costrette a chiudere per questo. Il problema sono gli immigrati e i
precari, che rischiano di perdere il posto di lavoro e se sono stranieri anche
il permesso di soggiorno. Se hai 45 anni, un contratto a tempo con un mutuo
da pagare e una famiglia da mantenere cosa fai? Vai a lavorare. Ho visto gente
andare in fabbrica piangendo. Sanno che loro probabilmente non si ammaleranno,
ma porteranno il virus a casa, dove magari hanno genitori o suoceri, col
rischio di condannarli a morte.
Tra i lavoratori ci sono anche i medici, i
farmacisti e gli infermieri. E’ vero che in corsia si è costretti a scegliere
chi curare e chi no?
Come
ti dicevo prima ci sono pazienti che vengono ricoverati e altri a cui viene
mandato l’ossigeno a casa. Se tu ti trovassi a scegliere tra ricoverare
un padre di famiglia di 45 anni coi bambini piccoli e un ottantenne che magari
ha già 2-3 malattie cronache e sai che al 70% non ce la farà, che cosa faresti?
Qui sono tutti sotto shock, perché situazioni come queste ti cambiano il modo in cui vedi la
vita. E si accumula una profonda rabbia sociale, perché c’è la coscienza che
tutto questo si poteva evitare. Se poi ti fanno vedere la gente sui balconi che
canta Fratelli d’Italia e tu hai genitori, zii e nonni che muoiono ti incazzi.
Torniamo ai medici.
Mia
sorella è medico di base in Valcalepio e ha 1500 mutuati, ma ora che il suo
collega è a letto, probabilmente col coronavirus, ne ha ereditati altri 1500.
Le è arrivato un documento di 10 pagine in cui spiegano per filo e per segno
come deve usare mascherina, occhiali e tuta protettiva, che però non le vengono
forniti. Lei è un medico di quelli di una volta, visita i pazienti a casa, ora
ne ha tantissimi in quarantena a letto con la bombola dell’ossigeno. Deve
andare a visitarli, ma non ha una mascherina. Il suo compagno è arrivato a
pubblicare un appello in FB chiedendo se qualcuno gliene può dare una. Mia
moglie invece è farmacista e di mascherine gliene hanno dato tre. Per il resto
non si trovano oppure si trovano a prezzi esorbitanti. I prezzi li fanno i
grossisti e se tu le compri e le vendi a quelle cifre la gente se la prende con
te. Dico io, vuoi fare la sanità privata? Falla, ma senza contributi pubblici.
Qui mancano letti e ci sono strutture private che tengono aperti solo i posti
letto convenzionati e gli altri li chiudono per ragioni economiche. Abbiamo
buttato i soldi pubblici nelle cliniche per rifare i nasi alle ragazzine e non
abbiamo scorte strategiche per le emergenze.
Qui siamo alle riflessioni più politiche.
Secondo te la rabbia di cui parlavi poco fa potrà essere incanalata per
cambiare le cose e far sì che non succeda mai più?
La
gente vuole cambiare. Chiede una commissione di inchiesta e voglio vedere se la
politica acconsentirà. Diciamo che ci sono due possibili esiti. La rabbia può sfociare
in una presa di coscienza, soprattutto nelle fabbriche, perché qui i lavoratori
si sono resi conto di essere sacrificabili coi loro cari sull’altare della
della produzione. Un operaio mi ha detto: “Ho scoperto che non lavoro per
vivere ma vivo per lavorare e quindi sono sacrificabile”. Dicevano che la
classe operaia era scomparsa, ma oggi riscopriamo che tra Bergamo e Brescia ci
sono 500.000 operai, un quarto dei residenti. Perciò i lavoratori possono
giocare un grande ruolo.
Qual è la seconda possibilità?
Che
a cavalcare la rabbia sia la destra. In questi giorni abbiamo visto crescere un
clima di intolleranza verso i moderni “untori”. Ho sentito simpatizzanti
leghisti dire che bisogna sparare a chi è in strada senza motivo. Altri
invocano i militari in strada coi mitra e più in generale circola l’idea che la
democrazia sia troppo complicata e inadatta ad affrontare le emergenze. Si
parla di app per tracciare gli
spostamenti, droni e virus che possono mettere i nostri telefoni sotto
controllo. La vera minaccia per la democrazia è questa.
(*)
ripreso da www.glistatigenerali.com/
FERMARE
STRAGE NELLE RSA- SALVARE I NOSTRI ANZIANI, NON FARE COME LA LOMBARDIA
I
pazienti delle Rsa in Lombardia, 60 mila persone “muoiono come mosche” lontani
dai cari e senza cure adeguate. Lo ha denunciato Luca Degani presidente
dell’Uneba, Associazione delle cooperative sociosanitarie, elencando le morti e
soprattutto le inadempienze e gli errori di una gestione regionale
irresponsabile.
Il riferimento è alla strage di anziani nelle case di riposo, dalla Residenza Anni azzurri di Lambrate, al Polo geriatrico e riabilitativo di Via San Faustino di Milano, alla Borromea di Mediglia, alla Fondazione Santa Chiara di Lodi, a Crema , a Vimercate e a tutte quelle di cui ancora non sono chiari i decessi.
Tutto ciò ha inizio con l’assurda delibera del 6 marzo, con cui Regione Lombardia decide che in alcune RSA vengano accolti pazienti di coronavirus con sintomi non gravi; Si è incredibilmente deciso di portare il contagio proprio dove vivono soggetti anziani più fragili, spesso con pluripatologie, proprio quelli per i quali andava previsto un aumento delle tutele!
Non solo nei confronti delle RSA non si organizzato per tempo un serio piano di prevenzione e difesa dal contagio come sarebbe stato necessario, ma sono state trasformate, come all’inizio i Pronto Soccorso degli ospedali, in luoghi del massimo pericolo, con la conseguenza prevedibile del più alto numero di morti.
E’ questa l’eccellenza della sanità lombarda tanto decantata dalle destre al governo della regione da 30 anni?
Il tempo è passato e non sono arrivati i DPI (anzi è stata teorizzata una precedenza agli ospedali e sottratto materiale destinato alle RSA) o non sono quelli professionali. Non è stato steso un protocollo generale su come comportarsi in caso di contagio sia all’interno della struttura, sia in rapporto al ricovero ospedaliero. Se i posti in ospedale non ci sono, i pazienti nelle RSA hanno diritto ad essere curati bene con tamponi che facciano le diagnosi per permettere di separare i contagiati dai sani, con ossigeno, respiratori fino alla terapia sub-intensiva, farmaci adeguati. Va attuato un piano immediato di isolamento dei contagiati e di verifica dei loro contatti. Per cure e isolamento si proceda alla requisizione di cliniche private e alberghi se non c’è posto negli ospedali.
Il personale deve essere tutelato con tutti i DPI necessari e formato alla nuova emergenza, anche prevedendo il supporto di altre figure professionali mandate dall’ATS (pneumologi, cardiologi, etc.)
Ci uniamo alla mobilitazione dei familiari, dei medici e degli operatori delle RSA per denunciare questo scandalo che mette in pericolo di vita 60 mila persone, i loro famigliari e il personale che li cura.
Ma una tragedia di questa portata non può e non sarà dimenticata e, a tempo debito i responsabili saranno chiamati a risponderne.
Il riferimento è alla strage di anziani nelle case di riposo, dalla Residenza Anni azzurri di Lambrate, al Polo geriatrico e riabilitativo di Via San Faustino di Milano, alla Borromea di Mediglia, alla Fondazione Santa Chiara di Lodi, a Crema , a Vimercate e a tutte quelle di cui ancora non sono chiari i decessi.
Tutto ciò ha inizio con l’assurda delibera del 6 marzo, con cui Regione Lombardia decide che in alcune RSA vengano accolti pazienti di coronavirus con sintomi non gravi; Si è incredibilmente deciso di portare il contagio proprio dove vivono soggetti anziani più fragili, spesso con pluripatologie, proprio quelli per i quali andava previsto un aumento delle tutele!
Non solo nei confronti delle RSA non si organizzato per tempo un serio piano di prevenzione e difesa dal contagio come sarebbe stato necessario, ma sono state trasformate, come all’inizio i Pronto Soccorso degli ospedali, in luoghi del massimo pericolo, con la conseguenza prevedibile del più alto numero di morti.
E’ questa l’eccellenza della sanità lombarda tanto decantata dalle destre al governo della regione da 30 anni?
Il tempo è passato e non sono arrivati i DPI (anzi è stata teorizzata una precedenza agli ospedali e sottratto materiale destinato alle RSA) o non sono quelli professionali. Non è stato steso un protocollo generale su come comportarsi in caso di contagio sia all’interno della struttura, sia in rapporto al ricovero ospedaliero. Se i posti in ospedale non ci sono, i pazienti nelle RSA hanno diritto ad essere curati bene con tamponi che facciano le diagnosi per permettere di separare i contagiati dai sani, con ossigeno, respiratori fino alla terapia sub-intensiva, farmaci adeguati. Va attuato un piano immediato di isolamento dei contagiati e di verifica dei loro contatti. Per cure e isolamento si proceda alla requisizione di cliniche private e alberghi se non c’è posto negli ospedali.
Il personale deve essere tutelato con tutti i DPI necessari e formato alla nuova emergenza, anche prevedendo il supporto di altre figure professionali mandate dall’ATS (pneumologi, cardiologi, etc.)
Ci uniamo alla mobilitazione dei familiari, dei medici e degli operatori delle RSA per denunciare questo scandalo che mette in pericolo di vita 60 mila persone, i loro famigliari e il personale che li cura.
Ma una tragedia di questa portata non può e non sarà dimenticata e, a tempo debito i responsabili saranno chiamati a risponderne.
Maurizio
Acerbo, segretario nazionale
Antonello
Patta, segretario Regionale Lombardia
Giovanna
Capelli, responsabile Sanità Lombardia
Rifondazione
Comunista – Sinistra Europea
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