martedì 31 maggio 2022

a sorpresa ecco il vaiolo delle scimmie

NTI: nel maggio 2022 inizierà l'epidemia da vaiolo delle scimmie

La Nuclear Threat Initiative aveva previsto tutto: in un’esercitazione sui pericoli di una nuova pandemia, condotta a marzo del 2021, aveva infatti indicato il 15 maggio 2022 come data in cui avrebbe potuto iniziare una nuova pandemia, causata stavolta dal vaiolo delle scimmie (monkeypox).

La NTI, come spiega il suo sito, è un’organizzazione senza scopo di lucro a tutela della sicurezza globale, nata per contrastare le minacce nucleari e biologiche che mettono in pericolo l’umanità.

Riprendiamo ancora dal sito ufficiale: “Nel marzo 2021, la NTI, in collaborazione con la Conferenza sulla sicurezza di Monaco, ha condotto un’esercitazione simulata sulla riduzione delle minacce biologiche ad alto rischio”.

“La simulazione ha esaminato le lacune nelle architetture nazionali e internazionali relative alla biosicurezza e al contrasto di una pandemia, esplorando le opportunità per migliorare le capacità di prevenzione e risposta ad avvenimenti biologici ad alto rischio. Tra i partecipanti, 19 leader e autorevoli esperti provenienti da Africa, Americhe, Asia ed Europa con decenni di esperienza nella sanità pubblica, nell’industria delle biotecnologie, nella sicurezza internazionale e nella filantropia” (sic).

La simulazione prevedeva una “pandemia globale nata da un ceppo insolito di vaiolo delle scimmie”, innescata da un attacco terroristico condotto in un Paese immaginario dell’Africa (Brinia), nel quale i terroristi usano un “agente patogeno ingegnerizzato in un laboratorio con biosicurezza inadeguata e con poco controllo. La simulazione si conclude con più di tre miliardi casi e 270 milioni di morti a livello globale”.

In calce all’articolo riportiamo la figura dello studio nel quale viene riportata la data dell’attacco terroristico che innesca la pandemia di vaiolo delle scimmie che si trova a pagina 10 dello stesso: 15 maggio 2022, appunto.

Per il resto, la simulazione riferisce come si sviluppa la pandemia, come si contrasta, etc. Chi volesse approfondire, rimandiamo alla descrizione della simulazione in questione, che si può leggere cliccando qui.

La NTI non è nuova a profezie similari. Fondata dal senatore Sam Nunn e da Ted Turner, mitico fondatore della Cnn, fu profetica – in uno studio condotto in collaborazione con il Johns Hopkins Center – nell’allarmare su una possibile, disastrosa, pandemia.

Un allarme che era stato riportato dal Washington Post il 14 ottobre del 2019, prima cioè dell’epifania del Covid-19, e rilanciato il giorno dopo, tramite un tweet, da Joe Biden, non ancora asceso alla Casa Bianca, il quale aveva evidentemente compreso la portata dell’allarme.

 

Lo scorso anno, quindi, la NTI si è ripetuta con il vaiolo delle scimmie, virus che finora era rimasto confinato a pochi sfortunati casi e all’Africa.

Ad allarmare sul vaiolo, senza specifiche riguardanti le scimmie, anche Bill Gates, nel novembre dello scorso anno (Piccolenote). Un allarme che allora risuonò del tutto bizzarro, essendo stato il vaiolo eradicato dall’umanità, con gli ultimi virus custoditi solo in due biolaboratori di massima sicurezza (uno negli Usa e uno in Russia). Infatti, nessuno poteva immaginare che il vaiolo delle scimmie, finora innocuo, potesse diventare una potenziale minaccia.

Ma al di là, resta la simulazione della NTI e la sua accurata preveggenza, sia per quanto riguarda il virus potenzialmente pandemico, che nella tempistica della sua insorgenza, azzeccata quasi al giorno. Più che nel campo scientifico sembra che la NTI si muova nel campo della stregoneria.

Detto questo, ancora l’attacco del virus delle scimmie riguarda pochi e isolati casi, anche se la sua diffusione non può non destare le preoccupazioni del caso, soprattutto dopo la devastazione causata dal Covid-19.

Preoccupazioni che, però, a oggi restano relative, dal momento che per ora ci troviamo di fronte a pochi casi, cioè a qualcosa di gestibile e circoscritto. Non essendo stregoni, ci limitiamo a registrare il dato e ad attendere gli sviluppi.

da qui



IL VAIOLO DELLE SCIMMIE COME ARMA BIOLOGICA

Il vaiolo sarà scomparso, ma la ricerca sui virus del vaiolo è fiorente, stimolata dallo spettro del bioterrorismo. Nel numero di maggio 2004 del Journal of Virology, un team di ricercatori dell’esercito americano riferisce che un nuovo vaccino a DNA può proteggere le scimmie da una dose altrimenti letale di vaiolo delle scimmie. Questo è avvenuto negli Stati Uniti. Quindi stavano lavorando sul vaiolo delle scimmie.

 

Ed eccoci di nuovo a Wuhan.

L’Istituto di virologia di Wuhan non solo ha condotto diligentemente ricerche sui coronavirus prima che venissero scatenati sull’umanità. Altri esperimenti hanno riguardato pure il vaiolo delle scimmie, che da tempo è oggetto di attenzione da parte dell’esercito come potenziale arma da guerra. Nel febbraio 2022, l’istituto ha pubblicato uno studio sul riconoscimento del genoma virale mediante il test PCR da virus del vaiolo delle scimmie appositamente assemblati per questo scopo. 

Nello studio “Efficient assembly of a large fragment of monkeypox virus genome as a qPCR template using dual-selection based transformation-associated recombination”, il laboratorio di Wuhan ha pubblicato sequenze del genoma del virus del vaiolo delle scimmie che consentono una “rapida identificazione” mediante test PCR. L’acronimo scientifico del vaiolo delle scimmie è “MPXV”.

Il genoma completo del vaiolo delle scimmie è stato pubblicato da scienziati israeliani nel 2018 e può essere consultato qui: Diagnosis of Imported Monkeypox, Israel, 2018. Quindi ci si deve chiedere perché mai i virus del vaiolo delle scimmie debbano essere manipolati in numerosi altri laboratori in tutto il mondo?

Il fatto che ora stia scoppiando il vaiolo è una coincidenza, oppure, visto che in questi giorni i russi sono accusati di tutto, anche in questo caso certamente sentirete dire che la Russia aveva pianificato di usare il vaiolo come arma biologica. È vero che anche i russi hanno giocato con i virus del vaiolo delle scimmie in laboratorio. 

Che il vaiolo delle scimmie possa essere usato come arma biologica è la valutazione esplicita di uno dei più noti esperti di armi biologiche, secondo un articolo del 2002.

Un tempo, il col. Kanatzhan “Kanat” Alibekov supervisionava quella che in seguito avrebbe definito la prima fabbrica di armi biologiche su scala industriale nell’Unione Sovietica.

Essa ha prodotto il materiale per gli incubi ‘biologici’, tra cui l’antrace, il vaiolo, la peste, la tularemia e l’ebola. Tutti in grado di uccidere milioni di persone.

I russi hanno lavorato anche con il virus del vaiolo delle scimmie, un cugino stretto del vaiolo, nel loro programma di armi biologiche.

In un’intervista del 1998, recentemente scoperta, rilasciata al Chemical and Biological Weapons Nonproliferation Project (CBWNP) americano, Ken Alibekov, che aveva supervisionato 32.000 dipendenti in 40 strutture dell’URSS, ha affermato che l’Unione Sovietico aveva un programma per utilizzare i virus come armi.

“Abbiamo quindi sviluppato un programma speciale per determinare quali virus “modello” potessero essere utilizzati al posto del vaiolo umano. Abbiamo testato il virus vaccinia, il virus del vaiolo dei topi, il virus del vaiolo dei conigli e il virus del vaiolo delle scimmie come modelli per il vaiolo”.

Prima di cambiare cittadinanza e nome, il col. Kanatzhan “Kanat” Alibekov è stato quindi vicedirettore, dal 1988 al 1992, della Biopreparat.

Alibekov, tuttavia, risiede dal 1992 negli Stati Uniti.

Una volta negli Stati Uniti è diventato consulente esterno del Dipartimento della Difesa, ha testimoniato davanti al Congresso, ha lavorato per aziende di ricerca e ha fondato le proprie aziende. È stato anche direttore del Center for Biodefense della George Mason University in Virginia.

Nel 2007, il Los Angeles Times ha pubblicato un articolo intitolato “Vendere la minaccia del bioterrorismo”, in cui si criticava Alibek.

Sono state le rivelazioni del col. Kanatzhan “Kanat” Alibekov, diventato Ken Alibek dopo essere disertato, a fornire le prime informazioni sulla portata del programma sovietico e sulla possibile proliferazione in Iran e Iraq, aveva dichiarato il dottor Thomas Monath, che è stato uno dei maggiori specialisti di biodifesa dell’esercito americano.

“Credo che abbia influenzato molte persone che erano in grado di prendere decisioni sulla risposta”, ha detto Monath, aggiungendo: “La preoccupazione per il vaiolo, in particolare, è stata guidata da Alibek”. Monath, che ha poi diretto un gruppo di esperti per consigliare la Central Intelligence Agency degli Stati Uniti sulla lotta agli attacchi biologici, ha affermato che le informazioni di Alibek erano state ascoltate ai livelli più alti del governo statunitense e ” sono state ulteriormente rafforzate” dagli eventi dell’11 settembre.

Il giornale riportava che Alibek aveva approfittato dei timori di bioterrorismo per ottenere 28 milioni di dollari in sovvenzioni o contratti federali per sé o per i suoi datori di lavoro. Il giornale sottolineava, che Alibek era una delle voci che assicuravano al governo degli Stati Uniti che l’Iraq aveva armi di distruzione di massa, un’affermazione che si è rivelata falsa, ma che è stata usata come motivo per la brutale invasione dell’Iraq.

Torniamo all’articolo del 2002 che dice:

… gli esperti russi di guerra biologica sono noti per aver lavorato con il virus (ndr vaiolo) nel programma di armi biologiche dell’Unione Sovietica.

Alla fine degli anni ’80 i sovietici decisero di non voler lavorare con il vaiolo “e si discusse molto sul possibile uso del vaiolo delle scimmie come arma biologica al posto del vaiolo”, ha dichiarato all’UPI Ken Alibek, ex vice capo del programma sovietico per le armi biologiche e ora residente negli Stati Uniti.

Il vaiolo delle scimmie, che provoca sintomi simili a quelli del vaiolo, può essere fatale, ma solo in una minoranza di casi, ha dichiarato James LeDuc, direttore della divisione di malattie virali e rickettsial presso i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie di Atlanta. Ha dichiarato di non essere a conoscenza di alcun caso al di fuori dell’Africa.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità attribuisce l’aumento dei casi di vaiolo in Africa al fatto che i vaccini contro il vaiolo, che possono proteggere dal vaiolo, non vengono più somministrati…

Il “vero timore è che (il vaiolo delle scimmie) possa essere progettato come arma biologica”, ha dichiarato Jonathan Tucker, ex ispettore di armi per la Commissione speciale delle Nazioni Unite, che ora lavora presso il think tank Monterey Institute di Washington (ndr sempre nel 2002)

Il vaiolo delle scimmie non è contagioso come il vaiolo, ma non si sa se potrebbe esserlo o se è stato modificato per essere più virulento. I sovietici non si preoccupavano della contagiosità, ha detto Alibek, perché progettavano di produrre “tonnellate e tonnellate” del virus, sufficienti a infettare “centinaia di migliaia di persone o anche di più”.

Tucker ha osservato che il vaccino antivaioloso protegge sia dal vaiolo delle scimmie che dal camelpox, ma gli americani non hanno accesso a questo vaccino. Il CDC, che detiene una scorta di vaccino antivaiolo, sta attualmente (ndr 2002) riconsiderando la propria strategia di vaccinazione e sta valutando se vaccinare tutti o se aspettare che si verifichi un’epidemia e cercare di vaccinare solo le persone esposte.

Si teme che il vaiolo russo possa essere trapelato ai terroristi, e non è certo che sia successo qualcosa di simile con il vaiolo delle scimmie. Un altro ex ispettore delle Nazioni Unite, che ha richiesto l’anonimato, ha dichiarato all’UPI: “Non c’è alcuna conferma che (il vaiolo delle scimmie) sia trapelato, ma il potenziale esiste”.

Alibek ha detto di non avere idea se il vaiolo delle scimmie sia mai uscito dal programma sovietico. Ma ha fatto notare che dagli anni ’70 fino agli anni ’90 “non è stato un problema procurarsi uno qualsiasi dei virus dell’orthopox (vaiolo, camelpox e monkeypox)” e molti Paesi avevano accesso a questi virus se li volevano.

E prosegue l’articolo:

La buona notizia è che il vaiolo non sembra essere trasmissibile da persona a persona e il vaccino antivaioloso produce una protezione contro di esso. Alla domanda se il vaiolo possa essere modificato in modo che il vaccino non sia efficace contro di esso, l’ex ispettore degli armamenti ha risposto: “Direi che questo rasenta l’impossibile”.

Alibek ha osservato: “Non c’è stato alcun lavoro per renderlo resistente al vaccino. Non posso dire nulla di certo su ciò che stanno facendo ora”. Alibek ha detto di aver lasciato il programma più di 10 anni fa. (ndr 1992) .

FONTE-ARTICOLO INTEGRALE (in inglese) https://www.upi.com/Science_News/2002/06/09/Monkeypox-could-be-used-as-bioweapon/19421023612300/

Nel 2006 Alibek ha fondato una nuova società di produzione farmaceutica, la MaxWell Biocorporation (MWB), di cui è stato amministratore delegato e presidente, con sede a Washington, D.C., e diverse filiali e affiliate negli Stati Uniti e in Ucraina.

Nel 2014, Alibek  è stato assunto dalla Locus Fermentation Solutions come vicepresidente esecutivo del settore ricerca e sviluppo.

ULTERIORI INFORMAZIONI https://military-history.fandom.com/wiki/Ken_Alibek

BIOLOGICAL WEAPONS IN THE FORMER SOVIET UNION: AN INTERVIEW WITH DR. KENNETH ALIBEK

https://www.nonproliferation.org/wp-content/uploads/npr/alibek63.pdf

KEN ALIBEK https://en.wikipedia.org/wiki/Ken_Alibek

È noto che la Convenzione di Ginevra del 1972 proibisce la fabbricazione delle armi batteriologiche e, per questo motivo, l’esercito americano non le produce negli Stati Uniti ma altrove. Come mai? Perché al mondo ci sono moltissime località, come l’Ucraina o la Georgia, dove è possibile produrre e testare virus mortali sulla popolazione locale. Basta creare un laboratorio militare, dargli un nome innocuo, come ‘Stazione epidemiologica sanitaria’. Le ultime settimane hanno evidenziato questa realtà.   Gli Americani ci dicono che il programma per la riduzione della minaccia biologica del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti viene attuato in regime di cooperazione con paesi partner per combattere la minaccia delle epidemie (intenzionali, accidentali o naturali) causate dai patogeni infettivi più pericolosi al mondo. Tra questi partner c’è l’Ucraina. I laboratori che operano in Ucraina e che sono legati agli Stati Uniti sono eredi dei laboratori di armi biologiche dell’Unione Sovietica. L’elenco non si trova on line. L’ambasciata statunitense in Ucraina specifica che hanno obiettivi del tutto pacifici. 

ULTIME NOTE: Secondo il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie questa è la prima volta che le catene di trasmissione sono state segnalate in Europa senza collegamenti con l’Africa occidentale o centrale: avviene cioé una trasmissione in comunità. 

Uno studio risalente ancora al 2013 condotto da scienziati del Tulane National Primate Research Center negli Usa parla anche di trasmissione via aerosol: la ricerca ha dimostrato che il virus del vaiolo delle scimmie (virus respiratorio) può restare nell’aria in aerosol fino a 90 ore.

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DATI INTERESSANTI

Un’esercitazione svoltasi nel 2021 ipotizzava una pandemia di vaiolo delle scimmie: “in 18 mesi, lo scenario si evolve in una pandemia catastrofica a livello globale

IL VAIOLO DELLE SCIMMIE IN UNA SIMULAZIONE NEL MARZO 2021

I MINISTRI DEL G7 SI ESERCITANO PER LA PROSSIMA PANDEMIA – IL “VAIOLO DEL LEOPARDO”

Il 25 marzo 2022 AIFA ha autorizzato un farmaco per il trattamento del vaiolo della scimmia

Il nome dell’antivirale è tecovirimat. Il vaiolo è stato dichiarato eradicato nel 1980, dopo che l’ultimo caso si è verificato nel 1977. Il medicinale non è stato sperimentato su pazienti umani e sugli animali ha dimostrato una buona efficacia. “Questo nuovo trattamento ci offre una opzione addizionale se mai il vaiolo dovesse essere usato come arma bioterroristica – afferma il direttore dell’Fda Scott Gottlieb. 

Tecovirimat SIGA è stato autorizzato in “circostanze eccezionali”. Questo perché non è stato possibile ottenere informazioni complete su Tecovirimat SIGA a causa della rarità delle malattie.

https://www.ema.europa.eu/en/documents/rmp-summary/tecovirimat-siga-epar-risk-management-plan-summary_en.pdf

USAMRIID, located at Fort Detrick – Un vaccino sperimentale contro il vaiolo protegge dal vaiolo delle scimmie nei primati non umani https://www.usamriid.army.mil/press_releases/jahrling_press_release_smallpox.pdf

 US Buys 13 Million Doses of Monkeypox Vaccine

 

https://www.nogeoingegneria.com/timeline/progetti/il-vaiolo-delle-scimmie-come-arma-biologica/

lunedì 30 maggio 2022

ROMPIAMO IL SILENZIO – FERMIAMO LA GUERRA!


SABATO 4 giugno  alle 16 – manifestazione nazionale

piazza della Repubblica, Roma

Il 17 aprile lo Stato turco ha lanciato una nuova campagna militare volta ad occupare nuove aree del Kurdistan meridionale, mentre prosegue i suoi attacchi in Rojava e a Sengal.

Il presidente fascista turco Erdogan ha dato l’ordine per questo attacco poiché presume che l’attenzione della comunità internazionale sia completamente concentrata sulla guerra in Ucraina. Vuole quindi trarre vantaggio dalla situazione attuale e portare a termine l’ennesimo attacco contro il popolo curdo. Questa guerra di occupazione mostra ancora una volta che Erdogan st cercando di manipolare la comunità internazionale affermando che sta lavorando per raggiungere la pace e la stabilità in Ucraina.

Parallelamente all’invasione turca l’esercito iracheno  sta attaccando gli ezidi sopravvissuti nel 2014 al genocidio dello Stato Islamico per smantellare la loro amministrazione autonoma, un sistema organizzativo sviluppato per dare alla gente la possibilità di non dover lasciare la propria patria e di essere in grado di difendersi, Tutto ciò avviene con la complicità del partito di Barzani il KDP e il governo centrale iracheno di Mustafa al-Kadhimi.

Attraverso la guerra la Turchia sta cercando di imporre il suo predominio politico e militare fino a Mosul e Kirkuk, e punta a raggiungere i confini del Patto Nazionale (“Misak-ı Milli” ratificato nell’ultimo parlamento ottomano), il sogno di un secolo.

Dobbiamo rompere il silenzio sull’invasione turca del Kurdistan meridionale e agire!

• Chiediamo a tutti i governi e alle organizzazioni internazionali, comprese le Nazioni Unite, la NATO, l’UE, il Consiglio d’Europa e la Lega araba, di intraprendere un’azione urgente contro questa violazione del diritto internazionale, di condannare inequivocabilmente questo crimine di aggressione e di chiedere che la Turchia ritiri le sue truppe dal Kurdistan meridionale

• Chiediamo ai partiti politici, alle organizzazioni per i diritti umani, alle organizzazioni per la pace, ai sindacalisti e agli attivisti di opporsi a questa aggressione della Turchia.

Manifestazione nazionale a Roma con concentramento in Piazza la Repubblica alle ore 16

Per adesioni:

info.uikionlus@gmail.com

info@retekurdistan.it

Ufficio d’informazione del Kurdistan

Comitato ‘’il tempo è arrivato; Liberta per Ocalan’’

Rete Kurdistan Italia

Comunità curda in Italia

 

Dobbiamo resistere alla guerra femminicida: la guerra di Stato turca di occupazione del sud Kurdistan

Dossier del TJK-E sulla guerra di occupazione turca in Kurdistan meridionale (*)

INDICE

1. Introduzione – La nuova fase dell’aggressione dello Stato Turco in Kurdistan.

2. Background degli attacchi

3. L’invasione e il movimento delle donne

4. Supporto e azione internazionale


1. La nuova fase dell’aggressione dello Stato Turco in Kurdistan

Il 14 aprile 2022 nuove incursioni aeree e bombardamenti hanno annunciato la nuova fase dell’aggressione turca contro il Kurdistan. Tali attacchi concentrati sulle regioni a sud del Kurdistan: Zap, Metina, Avasin, sono stati seguiti dall’avanzata di migliaia di soldati trasformandosi, quindi, in una carica su vasta scala che sta proseguendo sino ad oggi. L’obiettivo immediato dell’invasione militare è quindi lontano dall’essere le Forze di Difesa del Popolo, quanto la guerriglia curda. Ad ogni modo, questa escalation deve essere vista come la fase più recente nell’attacco supportato dallo stato turco verso la popolazione curda, verso la democrazia nella regione curda e verso le conquiste del Movimento di Liberazione Curda e del Movimento delle Donne Curde. Esploreremo questi avvenimenti dalla prospettiva del Movimento delle Donne Curde in Europa (TJK-E). Discuteremo: il contesto di questi attacchi la relazione tra la questione femminista e globalmente delle donne la necessità dell’azione internazionale per difendersi dall’aggressione imperialista.

2. Background

Il contesto politico dietro questi attacchi è l’obiettivo del partito di governo turco AKP-MHP di far rivivere le ambizioni dell’impero ottomano ed estendere il proprio controllo nella regione. Per fare ciò, la coalizione AKP-MHP cerca di dividere e distruggere il popolo curdo e di rafforzare le politiche di genocidio contro di essa. E’ importante capire gli effetti di queste politiche attraverso la regione e non solo in maniera isolata. Ciò contempla: le permanenti occupazioni oltre confine di Afrin e Serekaniye, entrambe ricche di ben documentate violazioni dei diritti umani e dei crimini contro l’umanitàl’incessante aggressione militare in Siria e nella parte ovest del Kurdistan (Rojava)la distruzione delle riserve idriche ed energetiche della società civile gli attacchi intensificati sulla regione degli Yazidi di Shengal (Sinjar) gli attacchi dei droni oltre confine sulle aree civili, incluso il campo per rifugiati Makhmour. Questi attacchi fanno parte di un’ampia strategia contro la società civile curda e contro il movimento per la democrazia, l’ecologia e la liberazione delle donne. Il governo del Partito Democratico del Kurdistan (KDP) nel governo regionale del Kurdistan sta collaborando con lo stato turco nell’attuale invasione del sude del Kurdistan, incluse le incursioni nello Shengal. Tale tradimento fa anche parte di un tentativo di dividere il popolo curdo e metter l’uno contro l’altro. Nelle ultime due settimane si è assistito a molteplici azioni illegali da parte dell’esercito turco, incluso il bombardamento di quartieri abitati da civili a Kobane nonché all’uso di armi chimiche nell’invasione del Kurdistan. E’ importante sottolineare che la tempistica di questi attacchi rispetto alla guerra in coso in Ucraina, non è una coincidenza. Lo Stato Turco conta sul fatto che lo sguardo del mondo è rivolto all’Ucraina per la propria avanzata imperialista. In quanto membro della NATO, la Turchia sta sfruttando al meglio lo scontro della NATO con la Russia.

3. L’invasione e il movimento delle donne

Il movimento curdo delle donne è divenuto fonte d’ispirazione per la lotta globale delle donne. Le conquiste del movimento delle donne si sono imposte all’attenzione globale nella regione del  Kurdistan ovest (Rojava), dove il movimento  è stato capace di mettere in pratica i propri valori e costruire una partecipazione politica delle donne, l’autodifesa e varie forme di emancipazione.  Il movimento di liberazione delle donne in Rojava ha dato l’avvio ad una radicale trasformazione sociale storicamente caratterizzata dal matrimonio forzato, dalla violenza sulle donne e dalla loro esclusione in ambito economico, politico e sociale. L’aver collocato la trasformazione femminista della società curda al centro del movimento, diventando un esempio unico a livello mondiale, ha sollecitato l’attenzione ed il supporto delle femministe di tutto il mondo. In tutti gli attacchi del Movimento di Liberazione Curda, lo stato turco punta in modo deliberato e sistematico alle donne e alle organizzazioni delle donne. Ciò è stato ben documentato, in particolare dalle invasioni di Afrin e Serekaniye e include l’uso sistematico della violenza di genere e del femminicidio come strumento di guerra e occupazione. L’attuale offensiva militare va anche compresa all’interno di questo contesto. Le politiche dell’AKP-MHP non riguardano solo il genocidio contro i curdi; tentano di uccidere i valori del movimento, e i principi che il  movimento ssta costruendo,  attraverso una società democratica, come la liberazione delle donne. Divenendo organizzato e politicamente attivo, il Movimento delle Donne Curde, è capace di difendersi ed essere la spina dorsale di un forte movimento sociale di democrazia e contro l’imperialismo. Lo stato turco sa che il movimento delle donne ed il supporto internazionale che questo ha, sono alla base della lotta per la libertà del Kurdistan. Le implicazioni dell’imperialismo dello stato turco e il suo attacco alla trasformazione femminista sono noti globalmente. 

4. Supporto e azione internazionale

La persistente resistenza diretta dell’invasione da parte delle forze di autodifesa è stata decisiva. Oltre a questo, dall’inizio dell’invasione, le organizzazioni della società civile, i gruppi politici e i gruppi umanitari del mondo, hanno condannato questi attacchi. E’ importante intensificare il supporto internazionale. Il TJK-E si appella a tutte le organizzazioni di donne, ai movimenti, ai gruppi e ai loro alleati per supportare il popolo curdo contro l’invasione e il genocidio. Abbiamo un bisogno urgente che tutti le organizzazioni per i diritti delle donne, i diritti umani e le organizzazioni della società civile in Europa levino le loro voci contro questa guerra. Tutti i governi dovrebbero essere spinti a prendere posizione contro l’imperialismo, la brutalità e i crimini di guerra di questa guerra condotta da un membro della NATO. Chiediamo al pubblico internazionale, in particolare alle donne di tutto il mondo, di schierarsi con noi contro questi attacchi. 

Kurdish Women’s Movement in Europe TJK-E 

Movimento Curdo per le Donne in Europa TJK-E

(*) ripreso da retejin.org – 22 aprile 2022

 


Curdi “prezzo” da pagare alla Nato? La vergogna e la miopia dell’Occidente - Davide Grasso

 

Non pochi, nel mondo dell’informazione, stanno commentando le pressioni turche su Svezia e Finlandia dicendo che i curdi saranno verosimilmente “il prezzo da pagare” per l’allargamento dell’alleanza atlantica in Europa. Espressioni dure, pronunciate spesso con l’aria serafica di chi la sa lunga di realpolitik, e non può permettersi di credere a principi astratti; modi di presentare il contesto che implicano di ritenere inevitabile, a meno di non essere anime belle, comprendere che il popolo curdo non può essere rispettato quanto quello ucraino. Se qualcuno dovesse pensare che questo è razzismo, si sentirà affermare che l’Ucraina è più vicina. Mariupol dista però da Roma 3.036 chilometri, mentre la provincia di Aleppo, dove i curdi delle Ypg-Ypj sono stati in questi mesi bombardati dalla Turchia e assediati da Assad, 2.934 chilometri.

L’Ucraina è in Europa: ma questo non impedisce di analizzare le conseguenze mediterranee ed eurasiatiche delle politiche che, di fatto, ci vengono imposte. Sabino Cassese afferma che l’avversione turca all’inclusione di Svezia e Finlandia nella Nato è superabile, poiché la posizione di Erdogan è “negoziale”: prevede infatti “soltanto” la consegna di presunti militanti del Pkk alle autorità turche. Che sarà mai di fronte ai benefici di questo allargamento, che – si pensa – impedirà massacri e distruzioni ben peggiori di quelli di Aleppo, della Siria e del Kurdistan? Le relazioni internazionali non scorrono, invece, su binari così nitidi o a compartimenti stagni. Anche Luigi Di Maio, per minimizzare il problema, pensa sia sufficiente ripetere che si tratta di “questioni bilaterali”. Erano bilaterali anche le questioni riguardanti la vendita di armi alla Turchia, usate contro i curdi in Iraq e in Siria; e contrariamente alla parola data in pubblico dal ministro degli esteri nell’ottobre 2019, i commerci sono continuati senza il minimo rispetto per l’opinione pubblica italiana.

Sia per ragioni morali e politiche che per ragioni strategiche la questione curda non è, in realtà, un quadro che si possa appendere alla parete per fare bella figura con i propri potenziali estimatori, per poi darlo via quando si crede più conveniente comprare o vendere qualcos’altro. Sono donne e uomini, bambine e bambini, non pacchi postali che possono essere imprigionati, uccisi e perseguitati perché il loro principale aguzzino è membro della Nato. Non è vero, in ogni casi, che la sudditanza alle richieste di Erdogan “convenga” alle popolazioni europee. Potremmo infatti scoprire che le povere vittime “sacrificali” curde costituiscono (e svelano) problemi geopolitici che non sono né marginali né negoziabili, e tantomeno in modo “bilaterale”.

La prima ragione è politica: consegnare dissidenti a un regime totalitario che ne detiene migliaia in condizioni agghiaccianti (si vedano le opere di Zehra Doğan) significa confessare ancora una volta che la difesa dei diritti umani è, per l’Unione Europea, meramente di facciata. Il già diffuso scetticismo popolare verso la credibilità delle classi dirigenti dell’UE vedrebbe confermata l’idea che l’affermazione dei criteri di azione fondati su principi giuridici o morali non conta nulla: le democrazie liberali non avrebbero problemi a causare tortura e morte per chi si oppone a regimi sanguinari. Non si pensi che non vi sia sensibilità, tra gli strati sociali meno privilegiati delle società europee, verso questi elementi della comunicazione politica; e non per altruismo, ma perché chi non può controllare razionalmente il carattere tecnico delle informazioni monetarie, finanziarie ed economiche che impattano sulla sua vita, può comunque trarre conclusioni generali sull’attendibilità di chi gliele fornisce.

Con questo si viene al secondo punto. Questa percezione negativa non ha al momento canali di espressione orientati in senso progressivo. La lezione che la Nato impartisce alle masse tanto cristiane quanto musulmane d’Asia e d’Europa ogni volta che permette le violenze turche contro i curdi (una popolazione altrettanto numerosa degli ucraini) favorisce la propaganda di partiti come Russia Unita di Putin, che denuncia con una certa facilità il doppiopesismo occidentale sul diritto internazionale e l’autodeterminazione dei popoli. Vero è che questo doppiopesismo è lo stesso di Mosca, ma non è detto che gran parte dell’opinione pubblica occidentale se ne accorga. Non è un problema legato solo alle leggi del cuore o all’onorabilità (pur importantissime): implica un aspetto giuridico. La Turchia occupa e bombarda ampi territori siriani e iracheni per colpire i movimenti sociali progressisti del Pkk e del Pyd, e i movimenti arabi ed ezidi loro alleati che hanno liberato quei territori dall’Isis, detenendo con difficoltà migliaia di criminali di quell’organizzazione.

Non esiste alcuna sanzione internazionale contro queste aggressioni, che nulla hanno di diverso, quanto a illegalità internazionale, da quelle russe, causando peraltro forme di ingegneria demografica, colonialismo d’insediamento, diversione delle risorse idriche oltre a mezzo milione di profughi e migliaia di vittime combattenti e civili. Ben al di là dell’inestimabile protezione che Svezia e Finlandia hanno fornito finora ad attivisti e richiedenti asilo curdi, ciò che Erdogan sta negoziando è un’ulteriore via libera della Nato a operazioni militari nella Siria del nord-est, dove gli Stati Uniti hanno truppe e dove Erdogan intende distruggere le conquiste democratiche siriane e irachene, autoctone e secolari, promosse dal Pyd e dal Pkk in questi anni. È grave semmai che Ue e Usa, per tutelare le relazioni con il presidente turco, non abbiano ancora espunto il Pkk da una lista alquanto arbitraria delle organizzazioni terroristiche, visto che cooperano in Siria con il Pyd che è un partito del tutto analogo, unico in grado di resistere militarmente e politicamente al jihadismo più estremo, nell’area dove da dieci anni questo tenta ogni volta di rialzare la testa (e visto che Erdogan, a Idlib, coopera con Hayat Tahrir as-Sham, alias Al-Qaeda).

Questo è l’ultimo aspetto, decisivo e strategico. La Turchia è un paese plurale, con una società ricca di pulsioni volte a una forma democratica del moderno. Con le sue purghe e la sua violenza il presidente ha però trasformato il paese in una prigione votata alla rifondazione legalizzata del jihad globale, disciplinato politicamente da una guida statale che siede nel Consiglio d’Europa e in quello della Nato. L’esercito turco tiene sotto il suo comando in Siria bande criminali come Ahrar al-Sharqiya e Failaq Al-Majd, che commettono crimini contro l’umanità e in cui militano ex miliziani di Daesh e Al-Qaeda.

Tali o simili jihadisti siriani sono stati mandati da Ankara a combattere in Libia, in Azerbaijan e persino in Kashmir. La legittimazione globale e comunicativa di un regresso globale del e nel mondo islamico, operata da Erdogan, non è meno pericolosa di altri fenomeni. Passa anche per le moschee che il governo turco finanzia in Europa: spesso centrali operative, ideologiche e propagandistiche di una Fratellanza musulmana sempre attiva nelle nostre società, come in Medio oriente, per marginalizzare le musulmane e i musulmani che non condividono le rappresentazioni dell’islam proprie dei governi turco e qatariota.

Il jihad globale istituzionalizzato ordito oggi dall’abile Erdogan, predicato o armato che sia, si è formato sulle ceneri, ma anche in rapporto, con quello clandestino lanciato a suo tempo da Bin Laden. Questo non incontra gli interessi strategici e fondamentali dei mediorientali e degli europei che intendano vivere in pace, libertà e nel rispetto reciproco. Questi interessi non sono negoziabili perché sono tutt’uno con ciò che motiva concretamente l’avversione all’espansionismo coloniale di Putin in Ucraina, alle violenze israeliane in Palestina e che in passato ha motivato la giusta opposizione all’invasione angloamericana dell’Iraq. Permettere l’imprigionamento di militanti e combattenti per la libertà, e nuove guerre d’invasione, per accontentare Erdogan rende ipocrita la giustificazione usata per l’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato: l’avversità alle invasioni e la deterrenza della loro possibilità.

Pensare che la sproporzione di interesse strategico tra Europa e Medio oriente, e tra Mare del nord e Mediterraneo, sia così ampia da giustificare capitolazioni del genere significa avere una percezione della politica e degli equilibri mondiali forse inadatta persino al Settecento. Il Partito Giustizia e Sviluppo di Erdogan non controlla, come Russia Unita di Putin, una potenza nucleare, né gran parte del capitale fossile; ma ne controlla gran parte del transito, e ha aspirazioni all’egemonia ideologica sull’intero mondo musulmano, dal Marocco all’Afghanistan. Credere che vendere al despota i suoi dissidenti e oppositori ci conduca alla pace è miope. Abbiamo interesse a vivere bene con gli altri popoli, che devono vivere bene a loro volta; questo ci permetterebbe di effettuare commerci più stabili, sicuri e giusti con le altre terre. Il “prezzo” da pagare per questo non è consegnare i curdi, ma aiutarli nell’ottica di favorire un cambiamento politico interno alla Turchia.

(*) ripreso da /www.micromega.net

 

Una nota della “bottega” sui legami Erdogan-Isis

Su «Il fatto quotidiano» del 28 maggio Davide Grasso ha scritto «Le tante relazioni pericolose tra Erdogan e i terroristi Isis» (chi è abbonato a «Il fatto» lo può leggere sul sito) rispondendo a un lungo articolo, davvero disinformato, di Alessandro Orsini che lodava il sultano di Ankara per essersi battuto contro l’Isis. Le cose stanno molto diversamente. Come ricorda Grasso i legami – armi, via libera alle frontiere ecc – fra Erdogan e Stato Islamico sono ben documentati. Quanto all’accusa di Orsini secondo cui l’Italia non agì contro i terroristi “islamici”, Grasso spiega: «lo Stato italiano nulla ha fatto contro l’Isis in Siria […] mentre centinaia di italiani sono partiti per il Rojava per sostenere le Ypg, alcuni combattendo in prima persona fino a cadere sul campo come Lorenzo Orsetti […] contro l’equipaggiamento anche italiano in dotazione all’ esercito turco. Se la ministra Pinotti, durante la liberazione di Raqqa, non cedette alle richieste americane di coinvolgimento italiano, fu proprio per non scontentare Erdogan».



Il prezzo del sì: estradizione dei curdi e armi per Ankara - Chiara Cruciati

 

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan vede sempre opportunità nelle faglie europee, di fronte a una crisi o a un cambio di paradigma ha spesso la carta buona da giocare. Lo ha fatto con l’emergenza migratoria siriana in piena guerra civile, strappando all’Europa sei miliardi di euro per “gestire” tre milioni di profughi, e lo ha fatto nell’ottobre 2019 con il ritiro Usa dalla Siria del nord-est, occupando un pezzo di Rojava dove impiantare un semi-emirato islamista.

Oggi sul tavolo ha l’adesione alla Nato di Svezia e Finlandia. Erdogan sa che serve l’unanimità e ha posto le sue condizioni, niente arriva gratis: Helsinki e Stoccolma devono cessare di essere Stati-santuario del Pkk, consegnargli i membri del Partito curdo dei Lavoratori e cancellare l’embargo di armi verso Ankara deciso proprio nel 2019, a fronte dell’occupazione delle città curdo-siriane di Gire Spi e Serekaniye.

Così i due paesi scandinavi invieranno delegazioni in Turchia per negoziare il sì di Ankara all’adesione. Il prezzo lo pagheranno i curdi, quelli in diaspora e chi in Medio Oriente lavora da anni alla costruzione di società alternative al settarismo regionale, tra Siria e Iraq.

In Svezia e Finlandia vivono circa 100mila curdi, l’80% in territorio svedese. L’emigrazione è iniziata negli anni ‘70, per farsi più prepotente dopo il colpo di stato turco del 1980. Secondo Ankara, da qui il Pkk gestirebbe la sua rete di finanziamenti e reclutamento in Europa, grazie alla tolleranza delle autorità locali.

Il ministro degli esteri Cavusoglu ha detto di aver condiviso con le autorità svedesi le prove della presenza di membri del Pkk sul territorio dello stato, liberi di operare: «Gli abbiamo detto che non ci basta la dichiarazione della Svezia che il Pkk è già sulla loro lista del terrorismo – ha riportato ai giornalisti Cavusoglu domenica scorsa, dopo un incontro con gli omologhi di Helsinki e Stoccolma – Ci hanno risposto che penseranno a un nuovo piano».

Lunedì qualche dettaglio in più. Ankara avrebbe chiesto alla Svezia l’estradizione di undici presunti membri del Pkk, alla Finlandia di sei, seppur la lista dei desideri sarebbe ben più lunga: secondo il ministero della giustizia turco, negli ultimi cinque anni sarebbero state mosse 33 richieste di estradizione, mai accolte.

Un comportamento che agli occhi turchi è incomprensibile, soprattutto alla luce della propaganda durata decenni intorno all’omicidio di Olof Palme del 1986: all’epoca si seguì anche la pista curda, rispuntata a fine anni ‘90 dopo le dichiarazioni di un ex membro del Pkk che dava al suo gruppo la responsabilità della morte del primo ministro svedese. Ordinata dallo stesso Ocalan, si disse, dopo che Stoccolma aveva dato il via libera all’estradizione di otto combattenti. Una pista presto abbandonata ma che non esita a ricomparire nei momenti di necessità turchi.

E poi c’è il legame che Stoccolma ha intessuto con l’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est, espressione del confederalismo democratico teorizzato dal leader del Pkk, Ocalan: oltre al sostegno attraverso la coalizione anti-Isis, una delegazione di alto livello svedese – con a capo la ministra degli esteri Ann Linde – nel 2020 ha fatto visita alle Forze democratiche siriane (federazione multietnica e multiconfessionale nata durante la lotta all’Isis e ora impegnata contro l’invasione turca) e lo scorso anno il ministro della difesa Hultqvist ha avuto un colloquio video con il loro leader, Mazloum Abdi, a cui ha rinnovato l’appoggio del suo paese.

La seconda richiesta viene da sé: scongelare l’esportazione di armi. «Non diremo di sì ai paesi che applicano sanzioni alla Turchia», il commento di lunedì del presidente turco a cui servono armi per proseguire nelle guerre in giro per il Mediterraneo. A partire proprio da quella contro le comunità curde sparse tra Turchia, Siria e Iraq: l’ultima operazione, “Blocco dell’Artiglio”, è cominciata a metà aprile e prende di mira le regioni di Zap e Avasin, le montagne del nord iracheno base militare e ideologica del Pkk. Oltre 900 i bombardamenti turchi.

Ma non va come dovrebbe: quasi impossibili da espugnare, le montagne garantiscono al Pkk la difesa utile al contrattacco. Se secondo l’esercito turco, in un mese le perdite sarebbero state di soli sei soldati, molto diverso è il bilancio delle Hpg, le forze armate curde: in un comunicato di due giorni fa danno conto di 427 militari turchi uccisi, sette droni e un elicottero abbattuti.

 

ripreso dal quotidiano il manifesto

 

https://www.labottegadelbarbieri.org/erdogan-non-e-uomo-di-pace-anzi/

QUESTE ESERCITAZIONI DI SIMULAZIONE CHE FACILITANO GLI ATTENTATI - Thierry Meyssan

 


Così come i militari organizzano regolarmente delle manovre per verificare i loro materiali e la loro organizzazione in vista di reali combattimenti, le forze pubbliche civili hanno messo in piedi delle esercitazioni di simulazione di attentati. Partendo da uno scenario catastrofico quale può essere quello di un aereo suicida o di una bomba piazzata dentro un metrò, i Gabinetti di gestione della crisi sono figure che coordinano i soccorsi e le prime reazioni. Ma lo studio di molteplici casi recenti mostra che quello che doveva permettere di salvare delle vite è, in effetti, stato utilizzato per facilitare gli attentati. Esercitazioni di simulazione si svolsero sia a Londra il 7 luglio 2005, sia a New York l’11 settembre 2001….

 


Cominciamo da Londra.

Peter Power, direttore di Visor Consultants, un’azienda privata sotto contratto con la polizia della città di Londra, ha descritto, proprio il 7 luglio, durante un’intervista alla BBC, come lui avesse organizzato e condotto, quello stesso giorno, un’esercitazione di simulazione di attentati per conto di un cliente anonimo.

P. Power: “alle 9.30 di quella mattina noi eravamo, in effetti, in piena esercitazione, per una società che conta più di mille persone a Londra, esercitazione basata su alcune bombe sincronizzate ed esplodenti esattamente dentro le stazioni del metro dove si sono poi verificate quella mattina. Ho ancora i capelli dritti quando ci penso“.

ITV: “Per essere più chiari, voi organizzavate un’esercitazione per sapere come gestire questa situazione e questa si è verificata mentre voi conducevate questa esercitazione?

P.Power: “Precisamente, erano circa le 9 e 30 di mattina. Noi avevamo pianificato questa esercitazione per una società, e per delle ragioni evidenti non vi dirò il suo nome, ma loro sono davanti al televisore e lo sanno. Noi eravamo dentro una sala piena di gestori di crisi che si incontravano per la prima volta. In cinque minuti abbiamo deciso che quello che stava accadendo era reale e abbiamo attivato le procedure di gestione di crisi in modo da passare dalla riflessione lenta alla riflessione rapida, e così via (…)” (1).

In previsione di una inondazione di posta elettronica, Peter Power, ex-ufficiale di Scotland Yard, specializzato in anti-terrorismo, ha preparato la seguente risposta automatica:

Grazie per il vostro messaggio, a causa del volume di mail concernenti gli avvenimenti del 7 luglio, e gli smarrimenti farebbero credere che la nostra esercitazione avesse della premonizione, o fosse qualcosa come una cospirazione (da notare come diversi siti web hanno interpretato il nostro lavoro del 7/7 in modo inappropriato), è stato deciso di produrre questa risposta automatica: E’ confermato che un piccolo numero di scenari “walk through” programmati in anticipo hanno avuto luogo questa mattina per conto di una compagnia privata di Londra (nell’ambito di un programma molto più vasto e che rimane confidenziale) e che due scenari rappresentavano attentati dinamitardi, alla stessa ora di quelli che poi hanno avuto luogo con le conseguenze tragiche che tutti conosciamo. Uno degli scenari, in particolare, era molto simile agli avvenimenti reali.

Pertanto, tutte le persone a conoscenza delle minacce portate nei confronti della capitale, sarà al corrente che
A) I servizi d’urgenza avevano già effettutato diverse esercitazioni basate su esplosioni di bombe all’interno del sistema sotterraneo.
B) Già da qualche mese, la BBC aveva diffuso un documentario su temi simili, rappresentando conseguenze più drammatiche. E’ dunque abbastanza sorprendente che noi avessimo scelto uno scenario realizzabile, ma il tempismo e il copione erano tuttavia inquietanti.

In breve, la nostra esercitazione (che non implica che una manciata di persone, come gestori di crisi) si è rapidamente trasformata in realtà e gli attori, quella mattina, hanno reagito perfettamente alla realtà improvvisa degli avvenimenti.

Non ci sono altri commenti da fare. Dato il numero straordinario di messaggi provenienti da persone male informate, nessuna risposta sarà d’ora in poi data a chiunque non fornirà la prova che ha delle buone ragioni per porci delle domande (vale a dire giornalisti accreditati, ecc.)

Le esercitazioni di simulazioni di attentati

La risposta automatica di Power suggerisce che le esercitazioni di simulazione hanno luogo frequentemente, di routine, che l’esercitazione del 7 luglio non è uscita dall’ordinario e che ha semplicemente coinciso con gli attacchi reali. Nei fatti, gli scenari nominati “walk through” non hanno niente di abitudinario. E l’esercitazione di simulazione di attentati di Visor non è stata affatto una coincidenza isolata.

Esistono molteplici casi, largamente documentati, di esercitazioni di simulazione di attentati agli USA e alla Gran Bretagna, che hanno avuto luogo prima o esattamente lo stesso giorno e alla stessa ora degli attentati reali. Negli esempi sotto riportati, le esercitazioni di simulazione hanno somiglianze inquietanti con gli attacchi terroristici reali…

Britain’s Atlantic Blue: aprile 2005

In Gran Bretagna, diverse esercitazioni di simulazione d’attentati si sono svolte prima del 7 luglio all’interno della métro londinese. Nel 2003, l’esercitazione di simulazione si chiamava OSIRIS 2. Vide la partecipazione di diverse centinaia di persone. Secondo Peter Power, si trattava di “testare gli equipaggiamenti e le persone nelle profondità della métro londinese” (3). Oltre all’esercitazione del 7 luglio, condotta dalla Visor Consultant, un’identica esercitazione, nominata Atlantic Blue si svolse nell’aprile 2005. Atlantic Blue era parte di in un vasto programma di preparazione alle situazioni di urgenza, nominato TOPOFF 3, sviluppato dagli Stati Uniti con la partecipazione della Gran Bretagna e del Canada. Era stato deciso dal Segretario di Stato britannico, Charles Clarke in stretta coordinazione con il suo omologo americano, Michel Chertoff, l’attuale segretario alla Sicurezza della Patria che ha redatto la versione finale del Patriot Act americano che ha sospeso le libertà fondamentali degli Stati Uniti con la motivazione di lottare contro il terrorismo islamico.
Le ipotesi della simulazione condotta dalla Visor Consultants il 7 luglio erano le stesse di quelle di Atlantic Blue. Niente di sorprendente in questo, poiché Visor Consultants era implicato – per contratto con il governo britannico – nell’organizzazione e nell’esecuzione di Atlantic Blue, in coordinazione con il dipartimento della Sicurezza della Patria (dipartimento americano di sicurezza nazionale) di Michael Chertoff.

Delle esercitazioni prefiguranti l’11 settembre

I commentatori ufficiali cercano di giustificare la mancanza di reazione della Difesa degli Stati Uniti l’11 settembre spiegando che gli avvenimenti erano talmente inimmaginabili che i militari non erano preparati. Invece numerose esercitazioni simili erano già state effettuate. Da USA TODAY, (4) “Nei due anni che hanno preceduto gli attacchi dell’11 settembre, il Comando della difesa aerea della regione nord-americana (North American Aerospace Defense Command, NORAD, responsabile della difesa aerea degli USA e del Canada) ha condotto alcune esercitazioni simulando quello che la Casa Bianca ha successivamente qualificato come ipotizzabile: l’utilizzo di aerei dirottati come arma e fatti schiantare contro precisi obbiettivi”. Uno degli obbiettivi ipotizzati non era altro che il World Trade Center… riguardo a queste esercitazioni, il NORAD spiega che si sono utilizzati “numerosi tipi di aerei civili e militari” per interpretare il ruolo degli aerei dirottati e testare “l’individuazione delle traiettorie e l’identificazione (degli aerei), il decollo d’urgenza e l’intercettazione, le procedure da seguire in caso di dirottamento, la coordinazione interna ed esterna all’agenzia, come anche le procedure di sicurezza operativa e di sicurezza delle comunicazioni”. E il portavoce del NORAD aggiunse: “Noi organizzammo 4 esercitazioni in tutta la zona nord-americana, la maggior parte comprendevano scenari con dirottamenti di aerei.” (5)

D’altra parte, il Segretariato alla Difesa aveva organizzato dal 24 al 28 ottobre 2000 (più di 10 mesi prima dell’11 settembre) esercitazioni che riguardavano un attacco al Pentagono. Ed esse implicavano tre scenari: un attacco terroristico alla stazione del metrò che distruggesse l’edificio, un incidente di costruzione e…. un aereo di linea che si schiantasse sul Pentagono e causasse 342 morti. (6)

L’11 settembre, quindi

Quello che è ancora più interessante è che lo stesso 11 settembre era stato scelto per essere un giorno di esercitazioni. Attraverso tutti i paesi, decine di basi militari e tutti i tipi di agenzie governative erano mobilitate per alcune simulazioni. Ecco alcuni esempi rappresentativi di queste esercitazioni….

Esercitazione al WORLD TRADE CENTER

Tom Kennedy, portavoce della Federal Emergency Management Agency (FEMA, agenzia incaricata di gestire catastrofi [nell’immagine a destra, la copertina del manuale della FEMA relativo alle esercitazioni del 1999, nella quale appaiono come obbiettivo le Torri del WTC]), ha spiegato al giornalista Dan Rather che la sua agenzia era stata dispiegata a New York la sera di lunedì 10 settembre, in vista dell’esercitazione prevista per il 12. “Noi siamo una delle prime squadre ad essere state dispiegate per aiutare la città di New York in questo disastro. Noi siamo arrivati tardi nella notte di lunedì e siamo entrati in azione martedì mattina”.
Questo è stato confermato dal Sindaco di New York, Rudy Giuliani, davanti alla commissione d’inchiesta sull’11 settembre. “c’erano centinaia di persone presenti, della FEMA, del governo federale, dello Stato, dell’ufficio di gestione delle situazioni di crisi dello Stato, e si preparavano ad una esercitazione d’attacco biochimico”.
Come i suoi predecessori, questa esercitazione nominata TRIPOD doveva simulare un attacco biochimico al WTC comprendente l’evacuazione dell’edificio.

Esercitazioni implicanti lo schianto di un aereo su di un edificio

Qualche minuto prima degli attentati al WTC ed al Pentagono, John Fulton, capo della Strategic War Gaming Division del National Reconnaissance Office [NRO, agenzia di informazioni che gestisce lo spionaggio nello spazio. Dipende dal dipartimento della Difesa e il suo personale proviene per metà dalla CIA e per metà dalla difesa] mise in atto in anticipo una esercitazione di simulazione programmata da lungo tempo. Ecco la “battuta” dell’Associated Press datata 22 agosto 2002: “All’interno di quello che il governo descrive come una strana coincidenza, una agenzia di informazioni degli Stati Uniti aveva programmato per l’11 settembre un’esercitazione nel corso della quale un aereo dirottato si schiantava contro uno dei suoi edifici. Ma la causa non era il terrorismo – si sarebbe trattato di una simulazione d’incidente.
I responsabili di Chantilly in Virginia, la base del National Reconnaissance Office, avevano programmato un’esercitazione quella mattina, nel corso della quale, in seguito ad una avaria meccanica, un piccolo jet privato si sarebbe schiantato contro una delle quattro torri della sede dell’agenzia.
L’agenzia è situata a 4 miglia (6,5 km.) dalle piste dell’aeroporto internazionale Dulles di Washington e a 24 miglia (40 km.) dal Pentagono. Si aggiunge ancora a questa coincidenza che il volo 77 dell’American Airlines – il Boeing 767 che fu dirottato e si schiantò contro il Pentagono – era decollato da Dulles alle 8.10 dell’11 settembre, 50 minuti prima dell’inizio dell’esercitazione. Colpirà il Pentagono circa alle 9.40.

Operazione Global Guardian

Al momento degli attacchi dell’11 settembre, era in pieno svolgimento un’esercitazione militare di grande portata, nominata Global Guardian. Iniziata la settimana precedente, comprendeva l’US Strategic Command (Stratcom, agenzia responsabile delle forze nucleari americane) in cooperazione con l’US Space Command ed il NORAD. Basata su uno scenario di un attacco nucleare contro gli Stati Uniti da parte di una potenza straniera (la Russia), metteva in gioco diverse centinaia di militari, a differenza di altre simulazioni come la Crown Vigilance (una esercitazione dell’Air Combat Command, il Comando aereo), l’Apollo Guardian (US Space Command) o ancora i programmi del NORAD Vigilant Guardian ed Amalgam Warrior. Si trattava di una esercitazione che mescolava simulazioni in sala e sul terreno (7). Il centro di comando dell’esercitazione Global Guardian era situato in un bunker sotterraneo della base dell’Air Force a Offutt (Nebraska). Era là che si trovava naturalmente il comandante in capo dello Stratcom, l’Ammiraglio Richard Mies. Nell’esercitazione, era lui che dirigeva quella mattina tutti i bombardieri, missili da crociera e sottomarini degli Stati Uniti. Sempre a causa dell’esercitazione, tre aerei militari di comando equipaggiati di mezzi di comunicazione sofisticati erano decollati dalla base. Questi E-4B sono concepiti per controllare le forze nucleari dall’aria in caso di crisi. Costituiscono dei centri di comando alternativi per gli alti responsabili governativi e permettono di dirigere le forze americane, comandare le operazioni di guerra e coordinare le azioni delle forze civili un caso di crisi maggiore.

La mattina dell’11 settembre, il personale di Fort Monmouth, una base dell’armata di terra situata a 70 km da New York, si preparava per una esercitazione nominata Timely Alert II in cui lo scopo pubblicato era di testare le capacità di reazione in caso di attacco chimico. L’esercitazione implicava diverse agenzie fra le quali i vigili del fuoco della base e la polizia del New Jersey. Nello stesso momento, a Fort Belvoir, situato ad una quindicina di chilometri dal Pentagono, si svolgeva una esercitazione intesa per “testare la sicurezza della base in caso d’attacco terroristico”. Mentre al Pentagono, il dottore Matt Rosenberg stava studiando “un nuovo piano di urgenza medica basata sullo scenario improbabile di un aereo che si schiantasse in questo posto” (8). E non si trattava che di qualcuna delle esercitazioni organizzate in quel giorno….

D’altro canto, una parte del personale, la più qualificata per rispondere agli attacchi, si trovava in addestramento all’altro capo del paese. Questo fu il caso di un gruppo di intervento antiterroristico misto FBI / CIA, che seguiva un esercizio di addestramento a Monterey (California). USA Today riportava l’11 settembre che “alla fine della giornata, con la chiusura degli aeroporti nel paese, il gruppo di intervento non ha trovato i mezzi per ritornare a Washington”. Il sito d’informazione evote.com aggiungeva che lo stesso giorno l’FBI aveva piazzato “tutti i suoi migliori agenti delle operazioni speciali e della lotta antiterrorismo (così come gli elicotteri e gli aerei leggeri associati) in una esercitazione d’addestramento a Monterey”. In modo che al momento degli attacchi “la principale agenzia federale responsabile di prevenire tali crimini era decapitata”.
Lo stesso, a fine agosto, i due terzi degli aerei componenti il 27° Fighter Squadron erano stati inviati in operazioni all’estero (Turchia ed Islanda). Con base a Langley, questo squadrone era uno di quelli incaricati di proteggere le zone di New York e Washington….

La simultaneità di queste esercitazioni con gli attentati reali, l’11 settembre negli USA, come il 7 luglio in Gran Bretagna, non può essere spiegata come una semplice coincidenza. Questo porta a considerare che i mandanti degli attentati fossero informati di quello che si stava preparando all’interno dell’apparato statale americano e britannico, vale a dire che i mandanti, o almeno una parte di essi, appartenessero agli apparati statali. Ma perché utilizzare la propria conoscenza di una tale situazione con il rischio di rivelarsi?

Primo punto: dei militari, dei responsabili governativi o dei membri dei servizi di informazione che auspicano un indurimento politico non possono organizzare degli attentati senza farsi notare. E’ la prima funzione di una esercitazione. Questo dona la legittimità agli organizzatori di mettere “in piedi” l’operazione, permette loro di utilizzare i funzionari e le installazioni governative per compierla e offre una risposta soddisfacente a tutti quelli che si dovessero preoccupare per quello che sta accadendo. Per fare in modo che questo funzioni, è evidentemente necessario che lo scenario dell’esercitazione sia simile all’attentato progettato.

Secondo punto: prevista alla data dell’attentato, l’esercitazione permette di piazzare legittimamente degli uomini sul terreno, uomini che indossano l’uniforme dei servizi di sicurezza o di soccorso, che non saranno, per questo motivo, preoccupati. E’ facile piazzare tramite loro, per esempio, le bombe.

Terzo punto: lo svolgimento delle esercitazioni simultaneamente agli attentati reali permette di disturbare la buona esecuzione delle risposte dei servizi di sicurezza o di salvataggio onesti a causa della confusione fra la realtà e la finzione. E’ questo che è avvenuto riguardo agli aerei l’11 settembre dove fino a 29 apparecchi sono stati segnalati dirottati ad un certo momento della mattinata. Dove bisognava allora inviare delle pattuglie, quali edifici bisognava proteggere per primi?…. si immagini in quale caos sono state trascinate le sale di comando.

L’ipotesi di mandanti interni all’apparato dello Stato è scioccante di primo acchito. Esiste però un precedente storico recente. Fra la fine degli anni 1960 e gli anni 1980, la rete Stay Behind (9) della NATO ha orchestrato degli attentati in Europa. Questo affare conosciuto sotto il nome di “strategia della tensione” era stata ufficialmente rivelata davanti al Parlamento italiano dal Presidente del Consiglio Giulio Andreotti nel 1990 e aveva fatto scandalo in tutto il continente. Si trattava, in quel momento, di spaventare la popolazione per spingerla ad accettare la perdita di una parte delle sue libertà individuali per un miglioramento della sicurezza.

Alla fine notiamo la “battuta” dell’Associated Press di lunedì 15 agosto 2005 delle 15.08:

Rischio elevato d’attentati in Italia, secondo il Ministro dell’Interno

ROMA (AP) – Un “rischio elevato” di attentati rimane in Italia, ha stimato lunedì il ministero dell’Interno italiano, che ha annunciato l’organizzazione di esercitazioni il mese prossimo al fine di testare la capacità di reazione del paese.

Il ministero dell’Interno ha evocato questa minaccia all’uscita di un incontro a Roma degli alti funzionari della sicurezza, delle informazioni e della difesa civile.

Dopo aver esaminato il livello di inchieste in Italia dopo gli attentati di Londra e di Sharm-el-Sheik, il comitato (di sicurezza) ha effettuato una analisi profonda della minaccia terrorista all’interno del contesto islamico”, precisa il ministero nel suo comunicato. La conclusione stabilisce che “un rischio elevato di una azione terroristica nel nostro paese rimane”, aggiunge il ministero.
Delle esercitazioni al fine di testare l’organizzazione del paese in caso di attentati saranno organizzate in settembre in tutta Italia, “con lo scopo di mantenere l’ordine pubblico, di assicurare un aiuto rapido ed una informazione corretta e di lanciare un lavoro d’inchiesta”, precisa il ministero.


Thierry Meyssan
Fonte:www.voltairenet.org
Link:http://www.voltairenet.org/article127890.html
13.09.08

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di DOCTORJIMMY

Per maggiori dettagli sulle esercitazioni, si potrà guardare l’eccellente lavoro di Paul Thompson e del Center for Cooperative Research “Complete 911 Timeline: Military exercices up to 9/11”.
Per maggiori elementi sugli attentati del 7 luglio a Londra, sarà utile consultare gli articoli di Michel Chossudovsky e dei collaboratori del Center for Research on globalization, così come l’articolo “77 unanswered questions concerning 7/7” dell’équipe d’inchiesta Team 8+.

Note:

(1) Attentati di Londra: lo stesso scenario si svolse simultaneamente sotto forma d’esercitazione!, Voltairenet.Org, 13 luglio 2005.
(2) “London Underground Exercises: Peter Power Responds, Jon Rappoport, July 13 2005”, infowars.com.
(3) Intervista di Peter Power, CTV, 11 luglio 2005.
(4) USA Today, 18 aprile 2004.
(5) CNN, 19 aprile 2004.
(6) MDW News Service, 3 novembre 2000, Daily Mirror, 24 maggio 2002, UPI 22 aprile 2004, Rapporto della commissione d’inchiesta, pp.314.
(7) Defense Departement, 5/97; Associated Press, 21 febbraio 2002; Omaha World Herald, 27 febbraio e 10 settembre 2002 .
(8) Washington Post, 16 settembre 2001.
(9) Leggere su questo argomento “Stay-behind: la rete d’ingerenza americana”

 

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