Editoriale
Nella
foto [di copertina NdR] vediamo persone che camminano lungo la
linea di frontiera in cerca di un passaggio, di un mezzo di trasporto, di un
rifugio, di un nascondiglio. Un breve spazio di tempo, come cantano alla radio,
che scivola qua e là e segna il battito degli eventi al di fuori della loro
relazione immediata. In qualche modo fuggono, fuggono in avanti. Il loro esilio,
il loro viaggio, la loro emigrazione sono un confronto con il futuro, ma ora,
adesso, perché il loro passato (per quanto recente possa essere) è
insopportabile.
Il mondo
come lo conoscevamo sta svanendo. La promozione di un'era digitale che, si dice,
ci renderà più vasti e immediati, sta guadagnando volume e attenzione. Il
che risolverà, come dice giustamente Larry Lohman, tutti i problemi di
“fiducia” che la “mancanza di sicurezza” porta alla gente. Ma a quale gente, ci
chiediamo, se l'accaparramento delle terre avviene già in modo digitale per
mezzo di registri personalizzati, se si cercano ormai cataloghi di sementi,
registri della popolazione, nascondigli per capitali, tutto in modo digitale,
con la fiducia assoluta di chi possiede questi libri mastri digitali?
La
distruzione del linguaggio non conta per loro, la distruzione delle relazioni
che per millenni hanno significato la vita conta ancora meno per loro.
Promuovono gli organismi geneticamente modificati, l'editing genetico,
pesticidi e fertilizzanti agrotossici, cannoni antigrandine, allevamenti in
batteria di polli e maiali, promuovono città-serra, il sequestro dell'acqua per
molteplici usi (automotive, imbottigliamento, fracking, estrazione, serre,
allevamenti industriali, processi petrolchimici e siderurgici che avvelenano
l'acqua nell'aria o nel terreno). Promuovono anche la privatizzazione dei semi,
della proprietà intellettuale, rompendo così le relazioni che hanno reso
possibile la vita per millenni, come abbiamo già detto.
È di questo
che stiamo parlando. Permettere la vita sulla terra. Mantenere la relazione con
la terra, con ciò che chiamiamo natura e di renderla possibile, rivendicando
quelle relazioni che mantengono il focus e l'attenzione sui fondamentali.
Ma i
processi sovrapposti di accaparramento e devastazione stanno peggiorando le
possibilità di sussistenza delle persone nelle loro comunità, nei loro ambienti
vitali, nelle loro sfere di riproduzione. È l'avvelenamento dell'acqua,
dell'aria, del suolo, dei corpi delle persone, dai bambini agli anziani, e
degli animali con cui conviviamo.
E' anche
però la distruzione dei cicli fondamentali che scatenano catastrofi.
Distruggere la foresta significa favorire l'erosione del suolo, bandire gli
impollinatori, schiacciare i processi di biodiversità e provocare
l'interferenza di persone che impongono con violenza ciò che pensano sia
redditizio. Quando questo diventa estremo e tanti processi distruttivi si
uniscono, entriamo in quelle che chiamiamo zone di sacrificio.
Alla fine
del 2020, in Messico, c'è stata una carovana per constatare l'esistenza di
queste intense zone di devastazione, zone create, prodotte passo dopo passo da
imprese di ogni tipo che, sfruttando gli accordi di libero scambio, stanno
tessendo ogni tipo di progetto di morte che viene imposto quando c'è una forte
resistenza, viene imposto con gruppi armati, con l'esercito e la polizia che
impongono, senza tanti complimenti, la devastazione e il silenzio di coloro che
subiscono tali aggressioni.
In questo
numero documentiamo, grazie a diverse organizzazioni latinoamericane, undici
zone di sacrificio in Ecuador, Venezuela, Bolivia, Cile, Argentina e Messico,
sapendo che il metabolismo della distruzione ha passaggi, effetti che saltano
oltre gli ambienti di morte e raggiungono altri spazi.
I media
hanno diffuso la triste e terribile notizia di come i membri di una carovana di
migranti provenienti dall'America Centrale, da Haiti e da varie regioni
dell'Africa siano stati selvaggiamente repressi con calci, picchiati con
bastoni e scudi, tirati e trascinati via per aver dovuto fuggire da condizioni
estreme di invivibilità e violenza, per essere stati espulsi dal loro rapporto
con la loro terra e natura.
Le scene di
un uomo con in braccio il suo bambino tra gli scudi della Guardia Nazionale
messicana che li butta a terra e poi di nuovo, ogni volta che l'uomo si
rialzava con il bambino in braccio, ci devono trasmettere qualcosa di più di
una scena di terrore. Qualcosa deve cambiare. Qualcosa viene usato
spietatamente per distruggere tutto ciò che ci viene tolto da chi è al potere,
per poi distruggere le persone che fuggono da tali devastazioni.
All'enorme
esodo latinoamericano verso gli Stati Uniti e il Nord in generale (soprattutto
centroamericano e messicano) si è aggiunta ora una nuova ondata proveniente
dall'Africa attraverso varie rotte oceaniche, forse emulando alcune delle
antiche vie di navigazione delle navi negriere, o scommettendo su viaggi aerei
meno pubblicizzati. Si dice che una delle porte di entrata più forti sia la
Colombia, da dove i migranti africani viaggiano verso nord.
Proprio
l'anno scorso, di fronte alla nuova politica migratoria del Messico che cerca
di imitare la sua controparte statunitense nell'umiliazione, nella reclusione e
nella chiusura mentale di cui è capace l'autorità migratoria, è stata
addirittura organizzata un'assemblea di migranti provenienti dall'Africa che
hanno fatto richieste specifiche al governo messicano.
Intanto il
Messico, intrappolato nei legami concordati con il T-MEC (Accordo Stati
Uniti-Messico-Canada, ndt), sebbene continui a frenare il flutto migratorio dal
Sud con una repressione selvaggia e vili confinamenti, serve anche da filtro
affinché alla frontiera con gli Stati Uniti arrivi una certa parte di questa
popolazione viaggiante che, prima o poi (se non riesce ad eludere le enormi
recinzioni e gli agguati che hanno preparato per loro), sarà imprigionata nella
ragnatela industriale del complesso di sorveglianza e confinamento delle
frontiere che, con la tecnologia digitale “per fornire fiducia e sicurezza”, la
rintraccerà, accerchierà, imprigionerà, poi la terrà in un confinamento
lucrativo per un intero consorzio di prigioni private sul suolo americano.
Tra le zone
di sacrificio, riflesso diretto dell'abuso costante e complesso del capitalismo
industriale che sta divorando il mondo, e il confinamento lucrativo dei
migranti considerati “un pericolo per la sicurezza nazionale degli Stati
Uniti”, esiste tuttavia una pletora di resistenze che insiste sul nostro
rapporto con la terra, sulla ricerca della sovranità alimentare, sulla difesa
delle nostre foreste, dei nostri semi, delle nostre acque e delle nostre sfere
comunitarie che hanno sempre e per sempre simboleggiato il meglio dell'umanità.
Biodiversidad
vuole porre luce su questi tentativi, questa emozione di mantenerci in
relazione con i fondamenti della vita.
11 zone di
sacrificio in America Latina
I. II Parco Nazionale Yasuní, in Ecuador, è la casa di comunità in
isolamento volontario o di contatto recente (popoli Tagaeri Taromenane) e
popoli di nazionalità Waorani, contattati da poco e ai quali i governi al
potere di turno chiedono di sacrificarsi in favore dell'estrazione di greggio
dal sottosuolo. Sono molti gli danni, ordinari e accidentali, provocati
dall'attività petrolifera in questa enclave, una attività descritta come molto
devastante sia in termini ambientali che di diritti umani. C'è un
riconoscimento internazionale che ha dichiarato Yasuní un luogo tra i più
biodiversi del pianeta, in termini di biodiversità ed endemismo, eppure è
assediato dall'estrattivismo di caucciù, petrolio e legname.
Estrattivismo
che continua nonostante l'esistenza di misure cautelari della Corte
Interamericana a favore della regione, e nonostante che la stessa
Costituzione ecuadoriana proibisce l'attività estrattiva di risorse non
rinnovabili nelle aree protette e nelle zone dichiarate intangibili, compreso
lo sfruttamento forestale, con poche eccezioni che devono essere giustificate
dalla presidenza della Repubblica e che possono richiedere un referendum. “In
tutte le sue fasi l'attività petrolifera causa l'inquinamento dell'acqua e
dell'aria-acqua. L'espansione della frontiera estrattiva nello Yasuní provoca
la deforestazione e quindi la perdita di biodiversità a causa della costruzione
di strade, piattaforme, pozzi e infrastrutture petrolifere. I dati del
Ministero dell'Ambiente affermano che ogni settimana in Ecuador c'è una
fuoriuscita di petrolio di non meno di 5 barili. Le fuoriuscite, così come le
infrastrutture petrolifere e altre fonti di inquinamento come torce
petrolifere, acque connate e il rumore, causano gravi danni agli ecosistemi”.
Questo non basta, il Parco Nazionale Yasuní continua ad essere sfruttato. Pedro
Bermeo Guarderas e Esperanza Martínez (Colectivo Yasunidos, Acción Ecológica)
II.
Nella provincia di Entre Ríos in Argentina, 135.000 ettari di boschi sono andati
persi a causa della deforestazione tra il 2007 e il 2017. La maggior parte di
questa deforestazione avviene in aree che per il loro valore conservativo, per
la biodiversità e servizi ambientali non dovrebbero essere deforestate o
disboscate, secondo le leggi e la pianificazione territoriale delle foreste
native.
La perdita
delle foreste e dei boschi nativi, insieme alla loro biodiversità, altera lo
stile di vita delle comunità e delle famiglie legate da secoli a quei luoghi,
che in molti casi sono costrette a migrare verso le periferie delle grandi
città in condizioni di esclusione e povertà.
Tra il 2019
e il 2020, a Entre Ríos, 2 milioni 135.400 ettari sono stati piantati con otto
monocolture. Le coltivazioni di grano, soia e mais hanno occupato il 94% della
superficie coltivata e il 91% della produzione totale. L'espansione agricola e
il sovrasfruttamento dei suoli hanno innescato l'uso di fertilizzanti
sintetici. Da 300.000 tonnellate/anno nel 1990, il loro utilizzo è aumentato a
4,3 milioni di tonnellate/anno nel 2019, il che non ha a che vedere con
l'aumento della superficie coltivata (da 26,7 milioni di ettari nel 1990 a 38,2
milioni di ettari nel 2019).
Tale aumento
è legato anche all'espansione dell'uso delle sementi transgeniche, e implica un
sovraccarico di sostanze: glifosato con cipermetrina, clorpirifos e endosulfan
(per la soia), lambda-cyhalothrin (per il mais), dicamba e acido 2,4D. Gli
sconosciuti “effetti sinergici” di queste combinazioni aggravano la loro
tossicità e incidono sulla salute umana con ipersensibilità acuta, problemi
cronici o danni a livello genetico. Nonostante il fatto che i pesticidi
causino “gravi danni” all'acqua superficiale, sotterranea e atmosferica, al
suolo, all'atmosfera, alla flora, alla fauna e al cibo, le fumigazioni sono
incessanti e, di fronte alle denunce di non considerare l'impatto sulle scuole
rurali, l'industria sostiene che “è molto più facile cambiare la scuola che
vendere il campo o cambiare produzione”.
Nel 2018 il
governatore della provincia “ha firmato un decreto che ha permesso
l'irrorazione di pesticidi fino a 100 metri dalle scuole rurali. L'azione ha
innescato una battaglia legale che, dopo tre sentenze a favore del divieto di
irrorazione nelle vicinanze delle scuole rurali, si è conclusa nel settembre
2019 con una decisione della Corte Superiore di Giustizia della Provincia, che
ha avallato il decreto del governatore di dare libero sfogo all'irrorazione a
100 metri dalle scuole. Damián Verzeñassi (Istituto di Salute
Socio-ambientale della Facoltà di Scienze Mediche dell'Università di Rosario,
Argentina).
III. La
regressione del rio Coca in Ecuador è solo apparentemente un processo
naturale. Due
oleodotti che tirano via il greggio per l'esportazione convergono nella zona,
attraversando un'area sismica con la presenza di un vulcano attivo. Nonostante
i rischi accumulati, è stata costruita la più grande infrastruttura di
produzione di elettricità del paese, il progetto Coca Codo Sinclaire. Il fiume
è stato deviato in una zona molto fragile, causando uno squilibrio
idrogeologico. Il 7 aprile 2020 le due condutture si sono rotte a causa
dell'erosione del letto del fiume Coca. Anche se si parla di un incidente, le
tante decisioni sbagliate prese dai governi di turno hanno forgiato questa zona
di sacrificio.
È stato
l'accumulo di progetti e opere infrastrutturali concentrate lungo il percorso
del fiume Coca che ha alterato le caratteristiche di questo “continuum
temporale”, e ha superato tutte i limiti del fiume fino all'irreversibilità.
Lo stato ha
intrapreso queste opere infrastrutturali nonostante l'alto rischio e
l'instabilità della zona a causa della sismicità, la presenza di attività
vulcanica, le caratteristiche stesse del bacino del fiume Coca, e nonostante
gli avvertimenti e le preoccupazioni espresse all'epoca. Un'aggravante è stata
quella di scatenare l'alterazione del fiume modificandone la struttura, i
suoli, i sedimenti, la flora e la fauna e, quindi, alterare la relazione tra la
comunità e il fiume, senza studi preventivi, senza monitorare gli impatti
provocati. Il tutto avviene nonostante che l'Ecuador riconosca alla natura lo
status di soggetto di diritti e, quindi, la speciale protezione dei
fiumi. Esperanza Martínez (Acción Ecológica)
IV. La concentrazione di opere potenzialmente distruttive o inquinanti si
traduce sempre in zone di sacrificio. A Huasco-Cile convergono
l'attività mineraria, un impianto di pellettizzazione del minerale di ferro
della Compañía de Aceros del Pacífico (CAP) 8, un porto e una centrale
termoelettrica. Questo si traduce in un indice di inquinamento dell'80% nella
zona, motivo per cui è stata dichiarata “zona satura”. “L'impianto di
pellettizzazione non ha depositi di sterili che vengono evacuati in mare”.
Guacolda è la centrale termoelettrica che ha dichiarato di “utilizzare
carbone bituminoso e sub-bituminoso, e chiede di bruciare petcoke, un
residuo che può essere utilizzato solo sotto severe misure di mitigazione,
perché emette quantità di anidride solforosa (SO2), gas generici di diossido di
azoto (NOx), vanadio e nichel, considerati cancerogeni “alla sua minima
esposizione”.
Tutta l'area
olivicola è colpita dall'inquinamento; lo scarico in mare di sterili e rifiuti
industriali “colpisce il substrato roccioso dei fondali necessario nei primi
stadi di vita di molluschi, crostacei, echinodermi e alghe in generale, che
costituiscono i primi livelli della catena ecologica marina, generando così in
mare una macchia di solidi che impedisce il processo di fotosintesi,
indispensabile per la flora e fauna marina”.
Anche se gli
abitanti della città e della zona circostante hanno intrapreso diverse azioni
amministrative e legali per far sospendere almeno in parte le attività
inquinanti che li riguardano, le imprese continuano a svolgere le loro attività
alla faccia a dispetto della legge. È lo Stato responsabile della creazione di
questa zona di sacrificio, è lo Stato a permettere una tale concentrazione di
attività e a non far rispettare le norme ambientali. Osservatorio dei
conflitti minerari in America Latina (OCMAL)
V. Nella
penisola dello Yucatan, in Messico, la pubblicità ufficiale propone un treno
turistico, il Tren Maya, “che farebbe il giro della penisola, sfruttando strade
esistenti e nuove, promuovendo soste in 18 città (ognuna con
50.000 abitanti), in una regione abitata principalmente da popolazioni
indigene”. Di fatto, si tratta di una rete di progetti di ogni tipo che
compongono una sorta di mega “zona economica speciale”, invadendo di
investimenti gli stati di Tabasco, Chiapas, Campeche, Yucatán, Quintana Roo:
siti di programmi sinergici, progetti, stanziamenti, appalti, politiche
pubbliche e investimenti privati. Ossia accaparramento delle terre,
deforestazione e devastazione, avvelenamento e degrado ambientale, e una
possibile espulsione delle popolazioni. I 181.000 chilometri quadrati della
penisola si riconfigurano come spazio per l'articolazione di progetti
estrattivi, l'accaparramento multimodale di terra e acqua, e maquila. E' tutto
legato a un corridoio di infrastrutture e trasporti che attraversa la fascia
messicana dall'Oceano Pacifico al Golfo del Messico nell'Istmo di Tehuantepec
(19.997 chilometri quadrati, e altre due entità: Oaxaca e Veracruz). Si apre
così uno spazio di confluenza con gli Stati Uniti, con un evidente valore
geopolitico. In questo spazio comune nel 2018 sono stati scoperti nuovi
giacimenti di petrolio, rendendo il Messico la quarta potenza petrolifera del
mondo. Zona di sacrificio di integrazione economica e riorganizzazione
territoriale, parchi eolici e fotovoltaici, “intensificazione sostenibile”
delle colture in serre industriali, monocoltura in grandi estensioni di
piantagioni di palma e soia dipendenti da prodotti agrochimici, mais ibrido
industriale, servizi ambientali, “economia verde”, crediti di carbonio,
corridoi di maquila, sviluppi immobiliari, una cintura di “gironi neri”,
intrattenimento, mega-turismo, “traffico di esseri umani, sesso e droga, tutto
ciò danneggia e alla fine espelle pescatori, membri della comunità, contadini,
abitanti e difensori della selva”. La lotta contro gli allevamenti di maiali è
in corso, perché minacciano di contaminare una delle più importanti falde
acquifere carsiche poco profonde del continente. Oggi, 14 allevamenti di maiali
su 100 si trovano nella penisola e la loro installazione cresce del 4,5%
all'anno. GRAIN in collaborazione con Samuel Rosado.
VI. Nel nord di Esmeraldas, in Ecuador, la popolazione vive in mezzo al
razzismo e alla sofferenza ambientale, soprattutto le popolazioni nere e
indigene, anche se la Costituzione della Repubblica dell'Ecuador riconosce i
diritti collettivi agli afro-ecuadoriani e agli indigeni.
Qui la crisi
è causata dall'estrattivismo: espropriazione territoriale, deforestazione,
occupazione delle terre per produrre olio di palma, distruzione dei fiumi e
delle terre comunali per l'estrazione dell'oro. Le popolazioni perdono i loro
territori, che si inquinano, e la giustizia viene applicata solo contro le
comunità e il/le loro leader.
Il 95% della
popolazione rurale afroecuadoriana e indigena dell'Esmeraldas settentrionale
vive in estrema povertà rispetto al resto del paese. Questo era un territorio
coperto dalla megadiversa foresta del Chocó, da cui le popolazioni dipendono
per la loro sopravvivenza culturale ed economica. Nonostante l'importanza
ecologica di quest'area, l'estrattivismo di legname e minerali e le piantagioni
di palma continuano a generare deforestazione, inquinamento e a privatizzare le
risorse economiche, culturali e spirituali che la foresta fornisce. La cosa più
preoccupante è l'inazione e la tolleranza dello Stato.
Le compagnie
di palma, legname e minerali lavorano sotto la protezione di guardie private e
sicari assoldati per intimidire la popolazione e obbligarla ad abbandonare la
terra, ad accettare condizioni di lavoro illegali, a non denunciare
l'inquinamento e gli abusi subiti - come la prostituzione forzata di ragazze e
donne. Qui c'è un cumulo di vulnerabilità. Nathalia Bonilla (Rete
latino-americana contro le monocolture di alberi -RECOMA).
VII. Nel
bacino superiore del rio Suchez in Bolivia, al confine con il Perù, “l'economia era basata sulla
produzione agricola”, coltivando tuberi e allevando camelidi, anche se la
ricerca dell'oro “è un'attività tradizionale praticata fin dai tempi
pre-ispanici”. “Dal 2005 sono iniziate le attività semi-meccanizzate di
estrazione dell'oro nei depositi alluvionali delle pianure di Puna, coperte da
bofedales [zone umide d'alta quota] lungo le rive del primo tratto del rio
Suchez, estendendosi a est fino alle colline pedemontane. Questo ha portato
alla distruzione totale della terra delle bofedales, delle pianure e delle
colline alluvionali adiacenti al fiume Suchez. La povertà della regione
facilita l'espansione delle miniere d'oro semi-meccanizzate a cielo aperto,
come avviene nella vicina città di Cojata in Perù. Una politica permissiva
sull'estrazione dell'oro sta alla base della distruzione sostenuta degli
ecosistemi esistenti nella zona. Secondo uno studio, nel 2012 c'erano 39
concessioni minerarie registrate e nel 2014 ne sono state assegnate altre 81,
che coprono un'area di 28.000 ettari. Le cooperative beneficiarie non hanno la
capacità di rispettare gli attuali regolamenti ambientali, lavorativi, fiscali
e di royalty”. “L'uso del mercurio (Hg) come agglutinante e per il
recupero dell'oro nel processo di amalgamazione, potrebbe avere un grave
impatto sulla salute umana e sull'ecosistema in generale (paesaggio e
biodiversità). Il mercurio è uno dei metalli pesanti con proprietà estremamente
tossiche per la salute umana a causa degli effetti teratogeni (mutazione
cromosomica), neurotossici e cancerogeni che si verificano nella popolazione
esposta al contatto continuo con questo metallo”.
A partire
dal 2008 sono stati segnalati danni significativi e alterazioni del corso del
rio Suchez e, di conseguenza, cambiamenti nella demarcazione del confine
tra Perù e Bolivia. Nel 2009, il comune peruviano di Pelechuco ha presentato
una denuncia al Ministero degli Affari Esteri e della Cultura boliviano. Nel
2010 è stata denunciata la modifica della demarcazione del confine.
Date le
prove verificate dalle equipe di entrambi i Ministeri degli Affari Esteri, Perù
e Bolivia hanno dichiarato il bacino del fiume Suchez “Zona critica soggetta a
danno ambientale a priorità binazionale” e hanno istituito una Commissione tecnica
con rappresentanza dei due paesi. È stato fatto un tentativo di stabilire un
sistema di monitoraggio senza raggiungerne l'obiettivo. Centro di
Documentazione e Ricerca Bolivia (CEDIB)
VIII. Il
lago Poopó a Oruro, in Bolivia, è il secondo per superficie (2530 km2 ) e
profondo 2,5 metri. Il
lago è uno dei principali regolatori climatici ed è ricco di fauna e flora. È
uno storico luogo di insediamento di culture andine che conservano costumi e
pratiche ancestrali. Le condizioni ambientali e gli effetti della
contaminazione generano contesti avversi che minacciano la vita delle persone
colpite dalle attività minerarie.
“Nessuno dei
casi presentati e citati in giudizio dalle comunità ha avuto un processo equo,
perché gli operatori minerari sono sempre stati sostenuti da tutti i livelli
dello Stato”.
Anche se
sono stati fatti sforzi per ripulire o riabilitare questa zona di sacrificio,
come dichiarala area di “emergenza ambientale”da parte dello Stato, o con
programmi di protezione del bacino con il sostegno della cooperazione europea,
e persino con la realizzazione di una “diga di scarico” per gli sterili da
parte della Minera Huanuni che sta iniziando a funzionare, i risultati non sono
stati significativi.
Nella zona
di sacrificio si trova la città di Oruro e le città intermedie di Huanuni,
Caracollo, Poopó e Challapata, e “una varietà di comunità contadine di origine
Aymara e Quechua, soprattutto comunità Uru e Murato, le cui attività agricole,
di allevamento, di pesca e commerciali si svolgono vicino al lago.
Il
Coordinamento di Difesa dei Laghi Poopó, Uru Uru, e del fiume
Desaguadero-Coridup ha realizzato, insieme a diverse comunità, numerose
mobilitazioni per mostrare i danni che subiscono e chiedere allo Stato e agli
altri di assumersi le proprie responsabilità. “Prima dell'esistenza di questo
coordinamento ci sono stati diversi procedimenti di denunce e richieste da
parte delle comunità, soprattutto quelle situate nelle zone di influenza delle
distinte operazioni, contro le attività minerarie, per chiedere ispezioni e
presentare petizioni alle autorità ambientali, ma le loro azioni non hanno mai
portato a soluzioni efficaci”.
“A seguito
di varie mobilitazioni, il 21 ottobre 2009 è stato promulgato il Decreto
Supremo 0335, che dichiara le zone di emergenza ambientale per i comuni
coinvolti nel sub-bacino di Huanuni. Questa misura non ha precedenti in Bolivia
e mostra la gravità di una situazione dovuta agli altissimi livelli di contaminazione
in molti dei fiumi affluenti del sistema del lago Poopó; a causa dei problemi
sociali, di salute umana e di sicurezza alimentare provocati dalla presenza
prolungata di contaminazione del fiume, con conseguente perdita di capacità
produttiva e di salinizzazione del suolo”. Secondo quanto denunciano le
comunità, dopo la promulgazione del decreto sono stati fatti pochi progressi
nella sua applicazione.
Nel carente
sistema di gestione dei rifiuti soliti della città di Oruro (una parte
considerevole non viene assorbita ma trasportata tramite scarichi artificiali
al lago Uru Uru, cosa che genera un problema di accumulo, soprattutto di
plastica), finiscono anche le acque reflue domestiche dopo aver subito un
trattamento fisico-chimico. A questo sistema si sommano le acque acide delle
miniere, provenienti da piccole operazioni che risalgono all'epoca coloniale e
gestite da piccole cooperative minerarie. Centro di Documentazione e
Informazione Bolivia (CEDIB)
IX. Il complesso della raffineria di Paraguaná, in Venezuela, si trova
in una zona costiera situata nei comuni di Carirubana e Los Tiques, nello Stato
di Falcón. La sua area di influenza si estende dalla baia di Amuay fino
all'estremo sud di Punta Cardón, nella penisola di Paraguaná. È
tradizionalmente abitata da comunità di pescatori presenti già prima
dell'arrivo delle raffinerie, ma oggi queste comunità sono state spostate
dai luoghi dove vivevano. Decine di migliaia di persone vivono in prossimità
degli impianti, e i villaggi poveri sono stati assorbiti dalle attività
dell'industria.
Cardón e
Amuay sono in funzione rispettivamente dal 1949 e 1950 e formano il complesso
della raffineria di Paraguaná (CRP), uno dei più grandi del mondo. Dal 1997 si
è fuso con Bajo Grande (in Zulia) ed è gestito da Petróleos de Venezuela.
Insieme hanno una capacità di raffinazione di 940.000 barili al giorno, anche
se oggi la loro attività è diminuita ed è praticamente ferma.
Stiamo
parlando di circa 40.000-50.000 persone colpite (i bambini e gli adolescenti
sono i più vulnerabili). Il mare, la terra, l'acqua e l'aria sono pesantemente
inquinate da rifiuti tossici e petrolio. La pesca e le coltivazioni locali sono
danneggiate; in aumento le malattie neurologiche, respiratorie e il cancro.
Senza considerare il pericolo di incidenti mortali, come l'esplosione del 2012
alla raffineria Amuay, che ha lasciato decine di morti.
Le comunità
hanno individuato due fonti di inquinamento e degrado ambientale: i gas emessi
dai cosiddetti “mechurrios”, o torce petrolifere, che esistono dagli anni '60 e
forse, più seriamente, i problemi legati alla manipolazione e allo stoccaggio
del coke petrolifero, ricaduti sulle comunità almeno dagli anni '80. Gli
abitanti temono una nuova esplosione a causa delle perdite di gas negli
impianti petroliferi. L'aumento e la persistenza delle fuoriuscite (che si
verificano in tutto il paese) è il risultato di un notevole aumento degli
“incidenti” e dei crimini ambientali commessi da Petróleos de Venezuela".
“Le
rivendicazioni socio-ambientali della comunità sono state praticamente
disattese per anni, lasciando queste popolazioni nell'abbandono ambientale,
senza affrontare i problemi di salute segnalati, né le bonifiche ambientali,
n'è l'approccio tecnico affinché l'industria smetta di generare tali danni”. E'
chiaro che le zone petrolifere di Paraguaná si configurano come zone di
sacrificio, forse tra le più problematiche del Venezuela. Questi danni
potrebbero aggravarsi, sia per il deterioramento delle installazioni sia per le
politiche di flessibilità ambientale dovute “alla crisi economica che
attualmente vive il paese”. Observatorio de Ecología Política de
Venezuela-Oilwatch
X. Il bacino
inferiore del fiume Guayas è la regione più fertile dell'Ecuador. Ha la più lunga storia di
occupazione agro-esportatrice nel paese. Le piantagioni coloniali nell'area
hanno reso l'Ecuador, fino al 1920, il principale esportatore mondiale di
cacao. Durante la Seconda Guerra Mondiale è iniziato il boom delle banane, che
ha reso l'Ecuador il principale esportatore di questo frutto, fino ad oggi.
Nella
provincia di Los Ríos sono state sviluppate grandi estensioni di banano, cacao,
olio di palma; piantagioni forestali come teak e balsa, monocolture a ciclo
breve di mais industriale e riso, dove è stata rilevata soia transgenica
nonostante il fatto che l'Ecuador sia costituzionalmente un paese libero da
OGM.
Tutta la
produzione di banane si basa su un clone (Cavendish) altamente suscettibile a
parassiti e malattie, come il fungo sigatoka nero che richiede l'uso di
prodotti chimici per l'agricoltura attraverso la fumigazione aerea.
Circa 379
affluenti attraversano il territorio, contando fiumi, torrenti ed estuari, i
più importanti dei quali sono il Vinces, il Puebloviejo, il Catarama e il San
Pablo. Sono tutti affluenti del Babahoyo e, a loro volta, fanno parte del
bacino del grande fiume Guayas. In questa regione sono state realizzate una
serie di infrastrutture e pianificate altre che controllano i fiumi, progettate
per il servizio dell'agrobusiness. I travasi e le dighe (quasi tutte
mega-costruzioni idriche) possono alterare l'acqua di 250 alvei, coprire
170.000 ettari e interessare 11 cantoni.
Fin
dall'epoca coloniale, i governi hanno fomentato nella zona lo sviluppo
dell'agrobusiness, attraverso politiche come sussidi, esenzioni fiscali,
liberalizzazione dei dazi su semi, agrotossici, fertilizzanti e altri input
agricoli. Oppure, per omissione, non hanno controllato l'applicazione delle
norme nazionali e internazionali sui diritti umani e della natura.
La
deforestazione serve per espandere le piantagioni e costruire infrastrutture
per il controllo dell'acqua , il tutto porta ad un uso smisurato di agrotossici
e al cambiamento nei corsi dei fiumi. Questo genera deforestazione. Dal
punto di vista ecologico, le foreste umide tropicali dell'occidente ecuadoriano
sono considerate come uno degli ecosistemi più minacciati al mondo, minacciati
di estinzione biologica dovuta alla deforestazione per permettere l'espansione
delle monocolture industriali.
La prima
cosa che annuncia l'entrata nei centri popolati sono i magazzini di prodotti agrotossici.
In America Latina l'Ecuador è il terzo paese per quantità di applicazione di
pesticidi per ogni ettaro di terra coltivata. Tale quantità di pesticidi sui
campi ecuadoriani si ripercuote sulla salute dei lavoratori agricoli, la natura
e la vita delle popolazioni che vivono in zone di influenza.
Le banane
contengono 29 ingredienti attivi altamente pericolosi, di cui 8 vietati
nell'Unione Europea. Il mancozeb è l'agrotossico più utilizzato. Nel dicembre
2020 la Commissione europea ha deciso di non rinnovarne l'uso, per cui è
vietato dal 2021. Per gli esportatori di banane questo è un problema, perché
l'UE è il principale importatore di frutta, quindi spingono l'UE a ripensare
questa e altre decisioni che limitano l'uso dei pesticidi.
Circa 500
mila persone sono state colpite dalle fumigazioni aeree: lavoratori e
popolazione circostante. Data la morte di diversi piloti addetti alle
fumigazioni aeree e il deterioramento della salute di altri, nel 2007 la
Defensoria del Pueblo dell'Ecuador ha chiesto una perizia che ha riscontrato un
altro grado di danni alla salute tra la popolazione esaminata.
Uno studio,
realizzato in una comunità vicina a piantagioni di banane esposte a irrorazioni
aerea, riporta tassi più elevati di aborti spontanei che possono essere
correlati all'esposizione a determinati pesticidi.
C'è anche un
impatto sulle colture di sussistenza, sugli animali domestici e sul diritto
alla sovranità alimentare delle comunità. L'organizzazione Unità Agroecologica
e Politica “Machete e Garabato” ricorda che, con la monocoltura del mais duro,
sono andate perse le tecniche contadine locali come l'orto misto diversificato,
le policolture a ciclo breve e, tra gli altri, il sistema di riposo dei
terreni.
Gli
agrotossici contaminano le fonti d'acqua e le aree circostanti, violano i
diritti della natura distruggendo popolazioni di insetti benefici che agiscono
sul controllo biologico dei parassiti; quando entrano nell'acqua o per deriva a
causa di fumigazioni aeree, gli agrotossici distruggono microrganismi e
mesofauna importanti nel ciclo dei nutrienti del suolo e degli ecosistemi
circostanti.
Ciò accade dal 1950, in un'area che nel 2020 era di circa 280 ettari di colture
perenni (banane, piantagioni forestali, cacao, palma da olio) e di circa 194
mila ettari di colture temporanee (mais, riso, soia). Elizabeth Bravo,
Red por una América Libre de Transgénicos-RALLT, Oficina de los Derechos de la
Naturaleza, Acción Ecológica.
XI. Il
bacino del fiume La Paz fa parte di uno più grande, quello del fiume Beni. Nasce nelle montagne di Chacaltaya
dove è conosciuto come rio Jhunu Tincu Jahuira, poi diventa Kaluyo e poi ancora
Choqueyapu, attraversando la capitale boliviana. Riceve contributi dai fiumi
Orkojahuira, Irpavi, Achumani, Huaña jauira, Cotahuma e Achocalla.
Attraversando La Paz, il Choqueyapu riceve il nome di Rio La Paz. Con questo
nome arriva nella zona di “Río Abajo”, fino alle valli del comune di Mecapaca
dove l'attività agricola è preponderante.
L'acqua del
bacino del fiume La Paz rifornisce una parte considerevole della città. Secondo
una analisi fatta dal Piano Metropolitano con i dati della Empresa Pública
Social de Agua y Saneamiento- EPSAS (Azienda Pubblica Sociale per l'Acqua e i
Servizi igienico-sanitari), la quantità di zolfo, alluminio e arsenico
nell'acqua trattata nel 2011 dall'impianto di Achachicala ha superato i limiti
massimi stabiliti dallo standard boliviano per l'acqua potabile NB512.
Secondo i
dati 2013 della Corte dei Conti boliviana, “l'attività estrattiva individuata
nella zona genera un significativo impatto ambientale negativo per il corpo
d'acqua, in quanto la deposizione di scarichi ad alta concentrazione di
elementi potenzialmente tossici insolubili fa sì che essi siano trascinati e
depositati lungo il letto del fiume e lungo il suo corso, arrivando alle zone
di attività agricola dove si depositano nei terreni e nei prodotti in cui è
stata identificata la presenza di questi elementi”. Il grado di contaminazione
da arsenico e zinco nei terreni e nei prodotti agricoli supera i limiti
stabiliti dalla norma.
La miniera
Milluni iniziò ad operare nel 1920 con la società Fabulosa Mines Consolidated,
una delle più importanti miniere di stagno della Bolivia, con circa 500
minatori e un centro abitato di oltre 2.000 abitanti. Nel 1965, la resistenza
dei minatori ai governi dittatoriali fu accolta con il massacro di Milluni. Dal
1976 alla fine delle sue operazioni, nel 1986, la miniera è stata gestita da
COMSUR, che ha chiuso le attività. La sua macchina arrivò a processare fino a
9.000 tonnellate al mese, generando danni ambientali che superano un milione di
m3 di sterili e residui.
L'inquinamento
e il deterioramento ambientale derivano dagli oltre 462.000 m3 di rifiuti (poco
più di 1 milione di tonnellate che occupano più di 100.000 m2 ) e 2 milioni di
m3 di sterili (3 milioni di tonnellate che occupano 757.000 m2 ) generati dalla
miniera Milluni e in misura minore da operazioni minerarie minori, è ancora in
corso. Gli sterili generano un drenaggio acido che si accumula nel bacino di
Milluni Chico (la sua diga di scarico) e trabocca nel bacino di Milluni Grande
da cui si ottiene quasi la metà dell'acqua per il centro e il nord di La Paz.
Sedimenti di cassiterite, siderite, pirite, blenda, quarzo, arsenopirite,
marcasite, pirrotite, galena, tungsteno, apatite, calcopirite, sfalerite,
cadmio, zinco, arsenico, rame, nichel, piombo e stagno sono stati identificati
in questo drenaggio acido.
Gli audit
ambientali nel bacino del fiume La Paz rivelano un ecosistema di corpi idrici
notevolmente inquinati - per responsabilità minerarie, del carente trattamento
delle acque, della mancanza di sistemi fognari - con conseguenze reali e
significativi rischi potenziali per la salute pubblica dovuti alla pratica
dell'irrigazione con queste acque. Come nota un audit del 2002 del Procuratore
Generale della Repubblica: “La valutazione microbiologica dell'acqua
d'irrigazione del fiume La Paz ha determinato che esiste una contaminazione
significativa da batteri e parassiti (nematodi intestinali) nei prodotti agricoli
destinati al consumo umano, associata a rischi potenziali che compromettono la
salute della popolazione esposta, cioè gli agricoltori che sono in contatto
diretto con quest'acqua e i consumatori dei prodotti irrigati con essa. Una
valutazione tossicologica effettuata sui sedimenti dei principali alvei del
bacino di studio, insieme al suolo e ai prodotti agricoli della zona, ha
identificato importanti rischi per la salute della popolazione a causa della
presenza di elementi potenzialmente tossici in concentrazioni che superano gli
standard consentiti (con elementi riconosciuto come cancerogeni
nell'uomo)”. Centro di Documentazione e Informazione Bolivia (CEDI)
* Traduzione
di Marina Zenobio per Ecor.Network
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