L’alba annuncia una dolcissima giornata di primavera. Nella
strada verso la stazione mi accompagna il silenzio tranquillo della domenica:
oggi si scende a Torino per la manifestazione del Primo Maggio.
Alle varie stazioni della Valle vedo in attesa gruppetti
con le bandiere NO TAV e della pace. In maggioranza sono giovani e giovanissimi
con l’allegria delle prime incursioni nel mondo delle lotte.
Alla stazione di Porta Nuova la consueta accoglienza:
nell’atrio, assieme a qualche agente in divisa, gli immancabili Digos, la
polizia politica in borghese; facce nuove, riconoscibili dagli auricolari e
soprattutto dalla finta indifferenza con cui ci seguono di lontano, passo
passo, per le vie cittadine svuotate dal fine settimana festivo, tra viali e
giardini pubblici dove tranquilli signori portano a spasso i loro cagnolini.
Arrivando in piazza Vittorio, troviamo lo spezzone sociale
bloccato. La testa del corteo con le autorità cittadine, il PD e i partiti di
governo, la Triplice sindacale stanno già sfilando da un pezzo, preceduti dalla
banda musicale.
La loro è essenzialmente una esibizione retorica, un
paravento dietro cui celare le concertazioni, la sudditanza agli sfruttatori di
sempre, le scelte guerrafondaie.
Tutti costoro hanno fretta di giungere sul palco del
comizio finale, liquidando l’incombenza annuale che sono riusciti a trasformare
nel tempo in una celebrazione ufficiale depurata di ogni memoria storica (non
una festa, ma un durissimo sciopero fu l’originario Primo Maggio).
Ma questo giorno è ancora lotta per la folla di ragazze e
ragazzi, le centinaia di striscioni e bandiere, le voci che si alzano dai
megafoni contro la guerra, la precarietà, le devastazioni sociali e ambientali.
Voci scomode, da reprimere e silenziare, da bloccare con
una barriera di agenti armati che si sposterà solo a manifestazione ufficiale
finita.
Soltanto a questo punto il Primo Maggio acquista senso,
presenza, colori. Dal furgone in testa allo spezzone sociale si susseguono
interventi che parlano di morti sul lavoro, povertà crescente, diritti negati,
soldi pubblici sottratti ai bisogni reali e sacrificati sull’altare
dell’ennesima guerra NATO. Perché, da ogni parte, a pagare il prezzo più alto
delle guerre sono sempre gli ultimi, la gente comune, il mondo vegetale, gli
animali… Verità da silenziare per i governi con l’elmetto, gli affaristi
dell’industria bellica, i militaristi e interventisti di sempre.
Lo spezzone sociale prosegue tra gli applausi, si fa marea
grazie alle persone di tutte le età che entrano nel corteo, tante facce
sorridenti, slogan, musica, sventolìo di bandiere…
Troppo per un potere invidioso e vendicativo: a poche
centinaia di metri dalla piazza finale ritroviamo un muro di armati che sbarra
via Roma e si allarga sotto i portici.
Prima di qualsiasi avvicinamento partono due pesanti
cariche: manganellate e colpi di scudo su giovani e anziani, teste aperte,
sangue, urla di “Vergogna, vergogna!” anche da parte dei turisti a spasso nella
Torino dell’arte e dell’aperitivo domenicale.
Ma il corteo non si arrende, in breve si ricompone,
recupera striscioni e cartelli.
Il muro di scudi si infittisce: due mondi si fronteggiano,
macchine contro esseri umani; infatti sembrano davvero robot quelle figure
blindate in scafandri di metallo e plastica, gli sguardi assenti, il volto di
pietra: evidentemente la condizione indispensabile per eseguire ordini
dissennati, avventarsi contro persone inermi.
C’è chi tenta di rivolgersi a loro con gentilezza: una donna
anziana (il volto dolcissimo, una lunga treccia bianca) si fa avanti per
tentare un dialogo che non riceve risposta.
A un certo punto si avvicina al furgone e chiede il
microfono un signore anziano: è Gastone Cottino che ricorda la sua storia
partigiana, la militanza lungo tutta una vita quasi centenaria e ora rivendica
per tutti il diritto inalienabile a manifestare liberamente.
La situazione si risolve poco dopo. Il blocco armato si
apre ed entriamo in una piazza dove non c’è più traccia né di funzionari
confederali né di “autorità”.
Finalmente il palco del Primo Maggio accoglie le sue vere
voci: i lavoratori rider, gli studenti, le donne di “Non una di meno”, il
Movimento NO TAV, il sindacalismo conflittuale, l’ambientalismo di base…
Ma per me è ora di ritornare al treno.
Lungo i portici di via Roma è ormai il momento della
passeggiata pomeridiana: famigliole allegre , coppie col cagnolino….
In una rientranza dei portici, seduto per terra, c’è un
uomo, poco più di un ragazzo; accanto a lui un cane, la testa appoggiata sulle
sue ginocchia. Sta in silenzio e non tende la mano, ma un barattolo per le
offerte dice la sua condizione.
La gente passa con indifferenza davanti a questo
invisibile.
Odio gli indifferenti.
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