All’indomani dell’approvazione dell’Autonomia Differenziata da parte del Parlamento, il governo attuale, espressione palese di una forma di capitalismo affaristico tesa allo smantellamento totale dello Stato e, con esso, del Welfare, mostra esplicitamente il progetto pensato per la scuola del futuro, rendendo molto più chiaro il teorema che avevamo cercato di argomentare, in tempi per noi già piuttosto sospetti, all’interno di un circostanziato e puntuale dossier pubblicato su ROARS il 17 febbraio 2024 dal titolo La Scuola 4.0 nel quadro dell’autonomia differenziata.
La notizia di qualche giorno fa (risale solo al 24 giugno 2024), pubblicata
anche sul sito del Ministero dell’Istruzione
e del Merito, è che a pochi giorni dal varo del disegno di legge proposto da Roberto
Calderoli della Lega, ma agevolato all’inizio anche dal Partito
Democratico con Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna,
in prima fila insieme a Luca Zaia (Veneto) e Attilio
Fontana (Lombardia), il ministro Giuseppe Valditara presiede
in pompa magna al lancio della Fondazione per la
Scuola Italiana, un ente no profit pronto ad aggredire
la scuola pubblica insieme a Leonardo S.p.A., Enel S.p.A.,
Autostrade per l’Italia S.p.A. e, immancabili, gli strumenti
principali del finanzcapitalismo transnazionale, cioè le banche UniCredit e Banco
BPM.
Il teorema che avevamo cercato di dimostrare a febbraio, che all’epoca
suonava come una nefasta profezia, si è, dunque, già in parte realizzato
mediante la neonata Fondazione per la Scuola Italiana, con
un’accelerazione sul corso degli eventi che lascia intendere, già in questi
termini, la predisposizione di un quadro piuttosto fosco in relazione alla
scuola, quella che un tempo era pubblica.
Il cuore della nostra critica all’Autonomia Differenziata,
limitatamente all’impatto sul mondo dell’istruzione e della formazione,
consisteva nel dimostrare che al sud (ma non solo), in mancanza di un tessuto
economico adeguato in grado di sostenere l’offerta formativa sia negli
indirizzi professionali sia, soprattutto, in quelli tecnici e liceali, potesse
intervenire quella che abbiamo definito la quadruplice radice del
principio di ragione capitalistica con i suoi settori strategici, vale
a dire quello energetico, digitale, farmaceutico e militare,
trainati, ovviamente, dal capitalismo finanziario, nel deturpare, con i suoi
tipici metodi estrattivi ed espropriativi, le ragioni educative, formative e
pedagogiche della scuola pubblica, laica, pluralistica e statale.
Il punto principale della questione sta nel fatto che il divario economico
e sociale tra le diverse aree del Paese costituisce una pesante discriminante
nel mondo dell’istruzione e della formazione, nella misura in cui al nord (ma
soprattutto Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna) l’indotto dei Centri
di Formazione Professionale (CFP) a direzione regionale, che lavorano
a stretto contatto con le imprese locali, formano e drenano una parte
consistente della popolazione studentesca da immettere a stretto giro e,
diremmo, più o meno a Km0, all’interno del mondo lavorativo, circostanza che
non ha un analogo corrispettivo nel Mezzogiorno.
Nel sud del nostro Paese, infatti, sta già accadendo da qualche anno ciò
che avviene in quasi tutte le aree del mondo soggette a sfruttamento, cioè
accade che la logica della differenziazione politica e giuridica, quella legata
ai processi di autonomizzazione, che conduce poi, secondo Nancy Fraser1, direttamente a fenomeni connessi
con la razzializzazione e l’espropriazione, risulta funzionale e agevola
l’accumulazione capitalistica. Detto in termini più concreti, accade che non
essendoci al sud un consistente indotto di Formazione Professionale regionale,
le aree del sud pesano maggiormente sulle casse dello Stato per il capitolo
dell’Istruzione sia per quanto riguarda quella liceale e tecnica, che poi
entrerà, presumibilmente, nel canale della formazione universitaria per aprirsi
il ventaglio delle possibilità lavorative in ambito nazionale e internazionale,
sia per quanto riguarda il canale della formazione professionale, inserita
perlopiù all’interno del percorso statale e destinata poi ad ingrossare le fila
della disoccupazione e della sottoccupazione.
Ora, qualora le regioni del nord (come si presume) dovessero richiedere
maggiori competenze in materia d’Istruzione pubblica (precisiamo
ancora una volta che per la Formazione professionale già era
prevista la competenza regionale), in virtù dell’applicazione dei dettami dell’Autonomia
Differenziata, accadrebbe che licei e tecnici sarebbero inondati da risorse
economiche private derivanti dalle Fondazioni, interessate
essenzialmente a drenare “risorse umane” ad alta specializzazione da immettere
nel loro indotto produttivo, rendendo così evidente lo squilibrio tra scuole
del nord e scuole del sud sia relativamente alle strutture, alle
infrastrutture, alle dotazioni sia relativamente alle presunte opportunità
lavorative in affascinanti ed accreditati settori industriali. Chiaramente, il
ricatto studiato a tavolino mediante l’Autonomia Differenziata per
le regioni del sud consiste nel comprendere che per colmare un tal gap differenziale
non occorre fare altro che richiedere allo Stato più autonomia regionale per la
medesima materia dell’Istruzione e magari, per analogia, anche per
molte altre.
C’è da dire che tutto questo processo non è affatto una novità, ma i
tasselli di questo percorso di smantellamento dell’Istruzione pubblica e di
aggressione da parte del settore privato devono essere postdatati di diversi
anni. Se un primo passo fu l’istituzione dei PCTO (Percorsi per le
Competenze Trasversali e per l’Orientamento) anche per i licei e i tecnici
nel 2015 con il governo Renzi, il secondo passo fu quello di agevolare la
stesura di protocolli con aziende e rappresentanti del capitalismo affaristico
nelle more delle interessanti e necessarie sperimentazioni per il licei
futuristici e à la page. È così che si è fatta strada negli anni
scorsi, presentata come sperimentazione all’insegna della cultura STEM (Science,
Technology, Engineering, Mathematics), l’istituzione di un Liceo della Transizione Ecologica
e Digitale (TED), la cui offerta formativa risulta guidata
dal Consorzio Elis, capitanano da banche,
grandi imprese, tra cui SNAM, Business Schools e
università private.
Ora, al di là della questione relativa al divario economico e sociale
che l’Autonomia Differenziata accelererà tra nord e sud del
nostro Paese, tema su cui la letteratura giuridica e sociologica ormai ha
prontamente risposto, vorremmo soffermarci su un altro aspetto di rilevanza
etica, che già mettemmo in evidenza nel 2022 a fronte della
sperimentazione proprio del Liceo della Transizione Ecologica. Ciò
che risulta imbarazzante, soprattutto per chi poi deve occuparsi di educazione
civica, educazione ambientale e diritti umani nelle aule scolastiche, è dover
spiegare che il Liceo TED genera un ibrido giuridico nell’istruzione pubblica
per cui si permette di far entrare nelle proprie strutture formative
una società come la SNAM, che pontifica sulla necessità di puntare
sull’ecologico, quando poi è il WWF a denunciare e a fare
ricorso al Capo dello Stato contro la stessa SNAM perché essa
intende costruire un inutile metanodotto in Abruzzo. Così come occorre
chiedersi quale voce possa levare la SNAM sulla transizione
ecologica nella nostra scuola pubblica e statale, a fronte dei suoi
interessi nella costruzione del gasdotto TAP a Melendugno,
le cui connessioni a dir poco imbarazzanti con l’Azerbaijan furono mostrate già
nel 2016 dai giornalisti di Report.
Oggi con la Fondazione per la Scuola Italiana si realizza
un connubio nefasto che attraverso l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e
delle università cerchiamo di smascherare da alcuni anni ormai,
vale a dire l’invasione da parte del settore più aggressivo della quadruplice
radice del principio di ragione capitalistica, quello militare, nella
scuola pubblica italiana.
La Fondazione per la Scuola Italiana schiera così in prima
linea uno dei colossi principali dell’indotto militar-industriale
italiano, Leonardo S.p.A., collocato nella top ten delle
aziende al mondo per produzione di armi; una delle industrie più impegnate
nell’esportazione di materiale bellico anche nelle guerre in corso nel medio e
vicino Oriente (come documentato da weaponwatch.net); la più accreditata e
quotata in Italia, con fatturati decisamente importanti, che si avvale della
compartecipazione dello Stato e della Cassa Depositi e Prestiti
nell’azionariato.
Leonardo S.p.A., in realtà, è da tempo entrata a più riprese mediante la Fondazione
Leonardo La civiltà delle macchine e la Fondazione Med-Or rispettivamente
nelle scuole e nelle università, nel primo caso finanziando progetti sul
digitale e portando alunni e alunne con i PCTO all’interno delle aziende
produttrici di strumenti di morte, nel secondo mediante la cooptazione di ben
tredici rettori di Università pubbliche all’interno del proprio consiglio di
amministrazione. Solo in seguito alle pressioni dell’Osservatorio contro la
militarizzazione delle scuole e delle università, che aveva lanciato
una petizione per chiederne le
dimissioni, e le manifestazioni degli studenti e delle studentesse dell’Ateneo barese
si sono ottenute le dimissioni del Rettore dell’università di Bari, prof. Stefano
Bronzini, dalla predetta Fondazione Med-Or, mentre a Napoli
alle promesse del Rettore non ha fatto seguito alcuna reale iniziativa.
Con questa prima Fondazione per la Scuola Italiana, dunque,
alla quale seguiranno indubbiamente molte altre, il settore militare e quello
energetico, sostanziati dal capitalismo finanziario, entrano nella scuola per
dettare finalità e imprimere direzioni in cambio di finanziamenti, di dotazioni
informatiche, di strumentazioni tecniche. Tale aggressione da parte di aziende
di punta del capitalismo estrattivo ha il duplice scopo, come accade ormai
anche nella sanità regionale, di gonfiare intanto il proprio fatturato, essendo
esse stesse impegnate nella vendita di materiale, magari con finanziamenti
europei, ma soprattutto, in relazione al capitalismo di guerra, di reclutare e
indottrinare risorse umane docili e acritiche da immettere nella produzione e
nel consumo di strumenti di morte, contribuendo a rendere la guerra una opzione
economica e, in quanto tale, avalutativa sul piano morale, ma conveniente su
piano del profitto.
E alla fine, per chiudere il cerchio, giova ricordare ancora una volta,
qualora la storia non avesse insegnato ancora nulla – come pare – che il
capitalismo, che necessita congiuntamente, di volta in volta, di politiche
economiche liberiste o neoliberiste e di retoriche ideologiche nazionalistiche
o razzializzanti, non può non curare l’aspetto della repressione per
realizzare i suoi progetti senza intoppi. Non cogliere il nesso tra lo sviluppo
del neoliberismo maturo e il funzionamento del sistema
di repressione, che avviene a detrimento delle potenziali aree di
conflittualità, cioè la scuola, l’università e i confini di Stato, significa
non comprendere il vero volto del capitalismo, quello regolato dallo Stato
insieme alla finanza internazionale.
È in quest’ottica che deve essere letta e compresa la militarizzazione e la
repressione imperante dei giorni nostri, che avviene presidiando quei gangli
fondamentali della società civile che producono cultura, come la scuola,
l’università e i confini di Stato, settori che generano soggettività da
immettere all’interno di un nuovo ed inedito mercato del lavoro da
irreggimentare, da indottrinare, da rendere docile per lo sfruttamento. È nelle
scuole, nelle università e ai confini di Stato, ambiti lasciati scoperti da una
popolazione adulta sempre più depauperata politicamente, indifferente ai
fenomeni di trasformazione del sociale e in balia di processi culturali inerziali,
perlopiù mediatici, di costruzione della realtà, che si abbatte il sistema di
repressione necessario al funzionamento del liberal-capitalismo, come abbiamo
argomentato qualche giorno fa su pressenza.it.
E ci tocca essere, ancora una volta, profetici nel mostrare queste
connessioni, giacché è precisamente nell’ottica che abbiamo delineato che va
letto l’articolo 11 del ddl sicurezza, varato a novembre su proposta del
ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che ha avuto il via libera il 27 giugno 2024. Da oggi, che siano le
alunne e gli alunni medi a protestare, manifestando con metodi nonviolenti,
contro le guerre in corso, che siano le studentesse e gli studenti universitari
di Ultima Generazione a mettere in scena azioni dimostrative per sensibilizzare
al cambiamento climatico o che siano le immigrate e gli immigrati o le operaie
e gli operai a scioperare e bloccare qualche arteria importante per
l’efficienza capitalistica, scatta indifferentemente il carcere dai sei mesi ai
due anni. Non a caso tale grave limitazione del diritto di manifestare è stata
definita “norma anti-Gandhi” da Devis Dori di Alleanza
Verdi e Sinistra, a dimostrazione che il capitalismo onnivoro,
nelle sue forme coloniali, razzializzanti, estrattive e repressive, gode di
buona salute e prosegue indisturbato il suo percorso di cannibalizzazione
della democrazia, del senso di comunità e del nostro pianeta, per usare, ancora
una volta, le parole di Nancy Fraser.
1 Cfr. N.
Fraser, Capitalismo cannibale. Come il sistema sta divorando la
democrazia, il nostro senso di comunità e il pianeta, Laterza, Roma-Bari
2022.
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