mercoledì 31 agosto 2022

ricordo di Mikhail Gorbaciov

 







I costi sociali del Jova Beach Party - Sarah Gainsforth

La seconda edizione del Jova Beach Party, il tour estivo che Jovanotti sta portando in dodici località italiane, di cui nove sono spiagge, è al centro di numerose critiche per il suo impatto ambientale. I concerti distruggono i delicati ecosistemi costieri con lo spianamento delle dune, l’abbattimento di piante, il calpestio di migliaia di persone, fanno notare molte associazioni ambientaliste tra cui Legambiente, la Lipu e l’Ente nazionale protezione animali, che hanno lanciato una petizione per vietare i grandi eventi su spiagge e siti naturali.

A Marina di Ravenna i concerti sono stati organizzati nei pressi di una riserva naturale. A Vasto e a Roccella Jonica le aree scelte per l’evento sono destinate a tutela ambientale e rinaturalizzazione per la presenza di vegetazione dunale. La spiaggia di Casabianca che ha ospitato la tappa di Fermo – e che è stata spianata di nuovo dopo che era già stato fatto tre anni fa per ospitare la prima edizione del tour – è un’area di tutela del fratino, un piccolo uccello a rischio estinzione.

Ma c’è un aspetto di questa vicenda che finora è rimasto in secondo piano: se è normale che i soggetti privati promotori di eventi a scopo di lucro mirino al massimo profitto con il minimo dispendio, c’è da chiedersi chi lo rende possibile, perché e a quali condizioni.

I concerti di Jovanotti si svolgono su suolo pubblico. Le spiagge scelte dagli organizzatori sono parte del demanio marittimo statale su cui hanno competenza i comuni, che possono rilasciare concessioni come quelle balneari. Quelle concesse per il Jova Beach Party sono temporanee, e costano pochissimo: per la prima tappa del tour a Lignano Sabbiadoro la Fvg Live srl, che l’ha organizzata, ha pagato al comune 3.260 euro. A Barletta la Trident ha pagato 2.698 euro. Sono cifre molto inferiori a quelle richieste per l’affitto degli stadi che normalmente ospitano i grandi eventi. Affittare lo stadio Diego Armando Maradona di Napoli per un concerto nel 2019 (all’epoca si chiamava stadio San Paolo) costava il 10 per cento dell’incasso, “con un minimo garantito di 50mila euro”.

I costi per la pulizia delle spiagge sono a carico dell’organizzazione del Jova Beach Party, ma sono una cifra molto piccola rispetto alle spese necessarie per allestire le aree, che invece sono tutte a carico delle amministrazioni comunali e regionali. Per lo sbancamento delle dune e la copertura di fossi, e poi per il loro ripristino, il comune di Fermo ha stanziato 5mila euro, e poi 1.500 euro per barriere in cemento, 4mila euro per lavori in aree parcheggio, 2.690 euro per lo smontaggio e il rimontaggio di un’area giochi. Inoltre il sindaco ha dichiarato di aver stanziato 20mila euro per coprire gli straordinari del personale.

Il comune di Roccella Jonica ha stanziato 25mila euro. Per coprire un corso d’acqua sulla spiaggia di Vasto, una delle tappe del concerto, la regione Abruzzo ha speso 80mila euro, a cui si aggiungono altri 40mila euro per i trasporti. La cifra più alta, però, l’ha stanziata il comune di Viareggio: 250mila euro più iva per “costi tecnico-organizzativi connessi alla realizzazione dell’evento”, si legge nella determinazione dirigenziale numero 1476 del 10 agosto, assegnati direttamente, senza bando, a un’azienda di organizzazione eventi, la Prg srl.

L’organizzazione dei concerti di Jovanotti richiede un lavoro straordinario da parte delle amministrazioni comunali, dei loro uffici e di appositi tavoli tecnici, e poi la mobilitazione di prefetture, polizia locale e protezione civile, associazioni di volontariato, la croce verde, spesso con l’impiego di personale prestato da altri comuni.

A Chieti l’azienda sanitaria locale ha chiesto il rafforzamento del personale ospedaliero e la disponibilità delle sale operatorie, allestendo perfino un treno-infermeria, “un convoglio che, all’occorrenza, collegherà Vasto con Pescara, con tappa a Ortona, in 25 minuti, con priorità rispetto a tutti gli altri treni in transito”.

Ma molti dei costi non sono tracciati ed è difficile conoscerli. Nel 2019 Augusto De Sanctis, della Stazione ornitologica abruzzese, ha chiesto un accesso agli atti per conoscere le spese sostenute dal comune di Roccella Jonica per la tappa del Jova Beach Party. Con questa procedura le pubbliche amministrazioni sono obbligate a fornire i documenti entro trenta giorni di tempo, ma i documenti sono arrivati dopo cinque mesi. Tra le carte, c’era una lettera con cui la Trident chiedeva al comune lo sbancamento delle dune, cosa puntualmente avvenuta.

Sono saltate le regole

Il problema però non sono solo le spese: stando alle denunce delle associazioni ambientaliste, sono saltate le norme ambientali. La tappa a Marina di Ravenna si è svolta nei pressi di una riserva naturale, la pineta di Ravenna, e di un sito classificato come di interesse comunitario (Sic) e di protezione speciale (Zps) dall’Unione europea. Ogni intervento all’interno o nelle vicinanze di siti Sic e Zps dev’essere sottoposto a un procedimento di valutazione di incidenza ambientale: i proponenti devono presentare e pubblicare la valutazione 30 giorni prima dell’intervento perché associazioni e cittadini possano verificarla ed eventualmente presentare osservazioni. Le associazioni ambientaliste hanno denunciato la mancata pubblicazione di questi studi nei tempi stabiliti per legge sia a Ravenna sia a Castel Volturno.

La sezione di Ravenna dell’associazione Italia Nostra ha definito “sconcertante” alcuni passaggi del primo nullaosta rilasciato dai carabinieri forestali biodiversità. Tra le prescrizioni della forestale ci sono infatti obblighi quali “limitare al minimo il taglio o il danneggiamento della vegetazione”, “provvedere quanto prima al ripristino morfologico e vegetativo”, “gli effetti piroscenici non potranno essere utilizzati con vento proveniente da nord est”.

Gli effetti piroscenici, notava Italia Nostra, “saranno realizzati con fiamme libere posizionate sul palco, secondo un progetto non reso pubblico da nessuna parte”. Anche a seguito delle proteste, il primo nullaosta è stato rettificato con un secondo documento che ha vietato l’uso dei fuochi

Sulla spiaggia di Casabianca a Fermo era vietato persino “il normale calpestio” per ordinanza dello stesso sindaco, secondo il Comitato Tag Costa Mare, un coordinamento di associazioni ambientaliste della costa marchigiana. A Casabianca il comitato ha diffidato il comune per ben due volte, la seconda pochi giorni fa, denunciando la distruzione della vegetazione, tra cui piante molto rare, dopo un’opera di restauro ambientale che era stata mirata a ricreare l’ecosistema spianato nel 2019.

A Fosso Marino, a Vasto, l’area scelta per il concerto è vicina a un sito di interesse comunitario e riserva naturale regionale. Qui la regione aveva chiesto di spostare il palco per modificare la direzione dell’impatto acustico, ma questo non è avvenuto. L’area chiesta dalla squadra di Jovanotti per il concerto a Vasto era già concessa ad alcuni stabilimenti privati così il comune li ha compensati concedendogli porzioni di spiaggia libera.

A inizio agosto diverse associazioni ambientaliste tra cui Lipu, Italia Nostra, l’Arci, la Stazione ornitologica abruzzese e il Forum italiano del movimenti per l’acqua, hanno presentato una diffida per quelle che sembrano violazioni compiute a Fosso Marino: l’intubamento di un corso d’acqua e la totale distruzione della vegetazione della spiaggia, il tutto usando i fondi pubblici concessi dalla regione. La prima copertura del corso d’acqua non ha retto a un acquazzone estivo, così è stato coperto per la seconda volta per renderlo calpestabile. Un intervento di “assoluta irragionevolezza” oltre che in palese violazione “delle norme comunitarie, nazionali e regionali in materia urbanistica, di tutela ambientale nonché di quelle relative alla pubblica incolumità”, scrivono le associazioni.

A Viareggio saranno distrutti habitat protetti a livello comunitario. A rilevarlo è uno studio di Giovanni Bacaro, professore di ecologia vegetale all’Università di Trieste. Le delibere attestano come siano gli organizzatori del tour a chiedere ospitalità ai comuni e a indicare i lavori da fare.

Un pass per residenti

Le tappe del Jova Beach Party si stanno svolgendo in piccole località marine prevalentemente turistiche e residenziali. La straordinarietà dell’evento sembra giustificare non solo i danni ambientali documentati ma anche molti disagi per chiunque non abbia comprato un biglietto per il concerto.

Ogni tappa del tour è preceduta da ordinanze che hanno un impatto sulla vita di residenti e turisti. Il comune di Roccella Jonica è diventato “zona rossa” ben prima della data del concerto. A Vasto marina i residenti possono circolare solo con un pass rilasciato dal comune.

Il quadro che emerge è quello di un apparato pubblico succube delle richieste di un privato a cui è consentito organizzare eventi a scopo di lucro in aree naturali protette, violare norme, usare fondi pubblici e lavoro straordinario di amministrazioni spesso in affanno per ricavarne un guadagno privato. Perché le amministrazioni pubbliche stanno favorendo un singolo, forte, interesse privato? Che cosa ottengono in cambio?

Secondo la Trident la prima edizione del Jova Beach Party ha avuto oltre 600mila spettatori. A un costo di 56 euro a biglietto (ma l’organizzazione offre diverse fasce di prezzo che arrivano fino a 300 euro) gli incassi nel 2019 per lo show di Jovanotti sono stati intono ai 33 milioni di euro.

Misurare l’impatto economico dei grandi eventi e del turismo non è semplice

“Lavorando negli stadi si guadagna molto di più”, dice all’Essenziale Maurizio Salvadori, manager di Trident, secondo cui organizzare i concerti sulle spiagge non conviene economicamente. “Fare i concerti sulle spiagge è una scommessa, una sfida che Lorenzo ha lanciato per fare qualcosa di diverso per il suo pubblico. Abbiamo voglia di usare le spiagge perché i concerti vengono meglio”.

Secondo Salvadori i costi di produzione per il Jova Beach Party sono astronomici: “Non sono certo compensati da un risparmio dell’8 per cento dell’incasso, che è l’affitto che chiedono gli stadi, al netto dei diritti della Siae: parliamo di una cifra tra gli 80 e i 200mila euro a data”. Organizzare un concerto sulla spiaggia comporta un’organizzazione logistica molto più complessa. “Solo di facchinaggio spendiamo 150mila euro a evento, il doppio di quanto spenderemmo in uno stadio”, spiega Salvadori. “L’idea che risparmiamo usando le spiagge è totalmente sbagliata”. La scelta delle spiagge sarebbe quindi dettata da criteri logistici.

“Paghiamo tutto noi, non prendiamo sovvenzioni, chiediamo solo che l’area sia pronta ad accoglierci”, continua Salvadori. “Le piattaforme televisive chiedono delle cifre astronomiche quando fanno promozione del territorio. Quando la Rai fa una trasmissione di capodanno, il comune prescelto paga delle cifre importanti perché si ritiene che questa sia pubblicità per la località che accoglie la manifestazione”, spiega il manager. “Per ogni tappa, mi risulta che il Giro d’Italia chieda ai comuni tra 300 e i 500mila euro. Noi non chiediamo niente”.

Trident e le organizzazioni locali che la supportano hanno beneficiato di sovvenzioni in soli due casi: a Lignano Sabbiadoro, dove eventi, prove e produzioni sono parzialmente compensati dagli interventi della regione per la promozione del territorio, e a Viareggio, perché la spiaggia non era in sicurezza.

“C’è un salto di tre metri, bisogna costruire trecento metri di layer per creare una passerella come via di fuga oltre ai costi legati alla sicurezza dell’area”, dice Salvadori. Questo sarebbe il motivo per l’affidamento diretto di 250mila euro del comune alla Prg srl. “Sono andato a parlare con il sindaco di Viareggio”, spiega Salvadori, “e gli ho detto ‘non voglio niente’. Ma se devo spendere 250mila euro in più rispetto a quanto spenderei in un’altra sede, non ci vengo. E avevo già una sede alternativa”.

Secondo Salvadori la ricaduta economica per il territorio di Viareggio, generata dalla presenza di 80mila persone, sarebbe stata di circa 10 milioni di euro. “La ricaduta è un fatto notorio. A Lignano Sabbiadoro gli alberghi erano occupati al 98 per cento nel raggio di 60 chilometri. Se a fronte di questo il sindaco destina fondi a lavori, che dovranno esser rendicontati al termine dell’operazione, se così facendo il sindaco ha sbagliato… io gli farei un monumento”.

Insomma, secondo la Trident le spese per la preparazione delle aree sono il minimo per i comuni in cambio di visibilità e spesa turistica. “Noi non chiediamo sovvenzioni per scelta, ma se andassi con il cappello in mano a chiedere 100, 200mila euro a fondo perduto, solo per esserci, sono convinto che li porterei a casa”, dice ancora Salvadori.

Secondo il manager “in alcuni casi il Jova Beach Party ha messo in moto un meccanismo virtuoso: sono stati sbloccati tre milioni di euro per la pineta a Castel Volturno, è stata pulita la spiaggia, sono stati messi in funzione i depuratori. Noi mettiamo in piedi un meccanismo locale di accelerazione di cose bloccate da tempo”.

Visibilità e crescita economica

Gli eventi garantirebbero visibilità, un ritorno d’immagine e introiti per i piccoli comuni. In un post su Facebook il sindaco di Fermo ha scritto: “Lido e Casabianca possono riuscire ad avere un panorama nazionale e lo meritano (…). Abbiamo la voglia di promuovere, far conoscere questo territorio. Farlo emergere.”. Ma in che modo la visibilità si traduce in crescita economica?

A proposito di Viareggio, Salvadori parla dello studio di un’università sull’impatto economico, ma sarebbe di qualche anno fa. Negli atti amministrativi che giustificano le spese non sono citati dati, calcoli economici o studi. In un atto di giunta del comune di Fermo, il numero 164 del 17 maggio 2022, si parla genericamente di “un evidente beneficio per il territorio, in termini di visibilità e indotto”.

Perché altri soggetti, come le realtà del terzo settore, devono partecipare a bandi con progetti e valutazioni di impatto sociale per accedere a finanziamenti pubblici, mentre per il Jova Beach Party basta la prospettiva di possibili benefici per l’economia turistica? E chi, esattamente, ne beneficia? “Commercianti, ristoratori, e tutti gli operatori del settore turistico”, si legge nell’atto.

Secondo la Banca d’Italia, quasi un terzo del valore aggiunto generato dal turismo in Italia è riconducibile all’uso di case di proprietà per motivi turistici. Le altre attività economiche interessate sono quelle del comparto alberghiero, della ristorazione, dei trasporti e del commercio al dettaglio. Possiamo quindi immaginare che a Fermo la spesa turistica sia stata assorbita dai proprietari di case in affitto, dai pochi alberghi nella zona e dalla decina di bar, pizzerie e ristoranti presenti in un’area prevalentemente residenziale.

A Vasto e a Marina di Ravenna, però, alcuni gestori di stabilimenti hanno lamentato un calo dell’attività dovuto all’invasione del lungomare dei tir dell’organizzazione, l’obbligo di smontare gli ombrelloni, e la chiusura delle strade. In ogni caso, considerando che per i concerti di Jovanotti sono stati spesi soldi pubblici, gli effetti economici diretti sono di fatto una forma di redistribuzione iniqua perché a beneficiarne è solo un ristretto gruppo di persone – i proprietari di case, alberghi e attività commerciali.

Bisognerebbe allora conoscere l’impatto a lungo termine di un evento di due giorni, organizzato nel picco della stagione turistica e quindi in località già piene di turisti, per sapere se anche la collettività ne beneficerà con, per esempio, la creazione di nuovi posti di lavoro. Ma misurare l’impatto economico dei grandi eventi e del turismo non è semplice. Anche perché, spiega la Banca d’Italia, esistono pochi studi basati su analisi a livello sub-nazionale, il più idoneo per studiare la relazione tra turismo e crescita.

Tra gli studi esistenti, uno pubblicato nel 2019 dalla Banca d’Italia ha stimato l’impatto della spesa turistica straniera in alcune province italiane tra il 1997 e il 2014. La ricerca rileva che l’effetto di questa spesa è modesto in termini economici. “L’impatto è maggiore per le province meno sviluppate e nullo per quelle che presentavano le entrate turistiche per abitante più elevate all’inizio del periodo, suggerendo che possono verificarsi fenomeni di congestione”, si legge nelle conclusioni.

Insomma nelle località già turistiche, l’aumento del turismo non produce crescita economica per via dell’aumento dei costi. Di più, può addirittura “contrastare la crescita del prodotto interno lordo pro capite, perché incoraggia attività e occupazione con una bassa produttività”, si legge ancora nello studio.

L’effetto di ricomposizione del mercato del lavoro verso settori a basso valore aggiunto, ovvero lavoro povero, è confermato da un altro studio sugli effetti del giubileo del 2000 a Roma (entrambi gli studi sono riassunti nel quaderno del 2019 Turismo in Italia: numeri e potenziale di sviluppo).

Non c’è quindi solo una crescita di posti di lavoro nei settori turistici, ma una diminuzione di posti in altri comparti a più alto valore aggiunto. Questa dinamica è avvenuta a livello nazionale a partire dagli anni ottanta con la diminuzione di posti di lavoro nel settore manifatturiero e l’aumento di posti in settori quali alberghi e pubblici esercizi. Ma è un processo desiderabile? Secondo lo studio sugli impatti del giubileo del 2000 gli effetti dei grandi eventi in termini di “ricadute complessive sullo sviluppo del territorio” sono “generalmente transitorie”.

Una ricerca sull’impatto di 43 giochi olimpici che si sono svolti tra il 1964 e il 2018 ha trovato che solo in sei casi i ricavi hanno superato di poco i costi. La perdita economica per il resto è stata mediamente del 38 per centro. Quando si parla di grandi eventi bisogna dunque considerare anche i costi connessi e la qualità del lavoro creato: nei settori legati al turismo i salari sono bassi e il lavoro sommerso è molto diffuso. Il fatto che proprio nel cantiere per la tappa di Fermo del Jova Beach Party l’ispettorato del lavoro abbia trovato diciassette lavoratori su cinquantacinque senza contratto non è un buon segnale.

Turismo insostenibile

Altri effetti negativi della crescita del turismo sono l’aumento del costo della vita per i residenti e la scomparsa dell’offerta di case in affitto ordinario. Secondo lo studio della Banca d’Italia sulla spesa turistica, “se l’offerta di alloggi non è elastica, l’afflusso di turisti potrebbe far aumentare gli affitti, il che a sua volta riduce l’offerta di lavoro (poiché per i lavoratori è più costoso vivere nell’area)”.

È questa la dinamica oggi in atto in molte città dove non si trovano lavoratori essenziali perché i salari sono bassi e gli affitti sono alti. Le case in affitto su Immobiliare.it a Fermo sono quattordici, molte solo per la stagione estiva; a Porto San Giorgio, accanto a Fermo, sono dodici, molte per i mesi estivi. Dove dovrebbero abitare i lavoratori dei settori turistici se il turismo crescesse ancora? Milano, la città che in Italia ha più puntato sull’organizzazione di grandi eventi per attirare capitali e turisti, è diventata troppo cara anche per chi ha uno stipendio medio. Le località turistiche alla lunga diventano inabitabili.

Il modello Jova Beach Party porta non solo benefici ma anche i problemi delle grandi città, che le piccole vogliono emulare. Soprattutto, però, promuove l’idea che la produzione di cultura debba essere sostenuta non in quanto tale ma come strumento di marketing turistico. C’è da chiedersi, allora, se la possibile normalizzazione della logica turistica della visibilità, dell’eccezione e della straordinarietà, che servirebbe addirittura a mettere in moto l’amministrazione ordinaria, non ponga seri problemi di democrazia.

L’approccio ecologista – opposto a quello turistico che isola, seleziona e separa – invita a leggere le connessioni e l’interdipendenza di processi che distruggono l’ambiente e plasmano i territori, gli effetti a lungo termine di scelte ed eventi. Invita a guardare quello che resta in ombra, a fare domande, a cercare risposte collettive e strutturali per la crisi climatica, a chiedersi se è poi così vero che la crescita del turismo generi ricchezza o se invece non sia nient’altro che un’ideologia, ormai insostenibile.

da qui

martedì 30 agosto 2022

La guerra in Ucraina e l’ “assedio” che sta uccidendo il Libano - Claudia Pretto, Gandolfo Dominici

 

I media occidentali non ne parlano, ma il Libano sta affrontando una crisi economica ed umanitaria senza precedenti.

Il Libano è anche luogo di arrivo e permanenza di un gran numero di rifugiati e migranti, accoglie, infatti, circa 2,5 milioni fra migranti e rifugiati siriani e palestinesi[3]. La gravissima crisi economica del Libano è iniziata alla fine del 2019, e si è aggravata a causa dell’esplosione nell'Agosto 2020 che ha distrutto il porto di Beirut e i principali silos di grano del paese all'interno della struttura tentacolare[4].

Oggi in Libano tre quarti della sua popolazione vive in povertà, mentre la sterlina libanese ha perso oltre il 90% del suo valore. Il 26 maggio 2022 , il valore di mercato del LBP ha superato i 34.000 dollari per 1 dollaro americano (USD), nonostante sia ancora ufficialmente fissato a 1.500 LBP per 1 USD e ciò ha influito negativamente sul potere di acquisto delle famiglie.  

Recentemente, gli effetti della guerra in Ucraina, con le conseguenti interruzioni della catena di approvvigionamento hanno portato all'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari a livello mondiale aggravando ulteriormente la situazione del Paese. I prezzi del carburante sono aumentati del 900% da aprile 2021 ad aprile 2022, cosi anche i prezzi dei generi alimentari con il prezzo del paniere alimentare minimo passato da 619.000 LBP a marzo a 700.000 LBP ad aprile. 

I prezzi del paniere di generi di prima necessità supera, di fatto, il salario minimo mensile ufficiale che è in media di 675.000 LBP, ciò ha portato molte famiglie in uno stato di grave indigenza.

Nonostante siano gli stessi operatori umanitari delle organizzazioni non governative, finanziate da donatori occidentali, a evidenziare come il Libano viva una crisi economica senza precedenti e che la popolazione sia da mesi letteralmente a rischio sopravvivenza minima[5], qualche giorno fa si è giocato proprio al porto di Tripoli un braccio di ferro pesante per il trasporto di grano, una partita che ha visto il sequestro e il dissequestro di una nave e il ritardo nell’arrivo di un’altra nave, tutto questo mentre la popolazione locale attende da mesi che l’Occidente si ricordi che non esiste solo l’Ucraina, ma che anche il popolo libanese è vittima del più grave disastro portuale mai palesatosi.

Ovviamente tale disastro non trova ancora giustizia ed è ormai stato dimenticato dai media occidentali.

Il Libano importa circa il 60% del suo grano dall'Ucraina. Questo fino all’incidente della nave Lodicea.

Da metà Luglio l'Ucraina sostiene che la nave da carico Lodicea, battente bandiera siriana e dagli Stati Uniti nel 2015 perché accusata di essere affiliata al governo di Bashar al-Assad, trasportava orzo e farina che le sarebbero stati rubati. Quando la Lodicea ha attraccato in Libano, l’ ambasciatore ucraino ha immediatamente avvertito le autorità intimando di non acquistare quei beni “rubati” in quanto si sarebbe trattato di beni rubati all’Ucraina. 

L'ambasciatore ucraino Ihor Ostash ha chiesto di incontrare il presidente libanese Michel Aoun il 28 luglio sulla nave da carico[6].

La nave Laodicea è arrivata in Libano il 27 luglio e due giorni dopo il Procuratore capo Ghassan Oueidat ha ordinato di sequestrare il mezzo e i beni per avviare le indagini di rito proprio a seguito della richiesta dell'ambasciata ucraina e di altre nazioni occidentali. L'Ucraina ha chiesto al Libano di cooperare su un'inchiesta penale sulla nave aperta da un giudice ucraino. Le autorità ucraine sostengono che la Laodicea si è recata in un porto nella Crimea occupata dalla Russia e che ha preso carico lì prima di salpare per il Libano.

A seguito delle indagini il Procuratore capo del Libano ha poi revocato il suo ordine di sequestro sulla Lodicea, permettendole di salpare dopo aver dichiarato di non aver trovato "nessun reato commesso".

Chiusa la vicenda l’Ucraina aveva promesso alle autorità libanesi di continuare ad  esportare grano in Libano, ma quelle spedizioni sono state in realtà interrotte dall'invasione russa e dal blocco dei porti del Mar Nero.

 

 

La nave da carico Razoni attraversa lo stretto del Bosforo a Istanbul, in Turchia, il 3 agosto 2022. La prima nave da carico a lasciare l'Ucraina dopo l'invasione russa è stata ancorata in un'area di ispezione nel Mar Nero al largo della costa di Istanbul mercoledì mattina, in attesa di un'ispezione, prima di passare al Libano. (AP Photo/Khalil Hamra)

 

Dal 28 luglio funzionari militari turchi, russi e ucraini e delle Nazioni Unite hanno stabilito un centro di coordinamento congiunto a Istanbul per iniziare a spedire grano[7]. A seguito di un accordo per creare corridoi di navigazione sicuri nel Mar Nero ed esportare i prodotti agricoli disperatamente necessari al Libano e a diversi Stati africani, la prima nave di grano a lasciare l'Ucraina e attraversare il Mar Nero è stata la Razoni[8], ma anche questa è rimasta bloccata. Come è stato osservato anche da  Vera Songwe, segretario esecutivo della Commissione economica per l'Africa delle Nazioni Unite: "da quando è iniziata la guerra, abbiamo avuto un aumento del 28% dei prezzi alimentari in America Latina e nei Caraibi, un aumento del 23% in Asia e del 17% in Africa"[9].  

Sebbene il segretario di Stato americano Antony Blinken abbia definito il viaggio di Razoni un "passo significativo", nessun'altra nave è partita dall'Ucraina e i funzionari di tutte le parti non hanno fornito alcuna spiegazione per tale ritardo. Dalle Nazioni Unite giunge la rassicurazione che tre porti ucraini dovrebbero riprendere le esportazioni di milioni di tonnellate di grano, mais e altre colture. Il Joint Coordination Center starebbe "mettendo a punto le procedure", ma ancora nulla si è concretizzato.

Il portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha detto che le Nazioni Unite si aspettano più "movimenti in uscita nei prossimi giorni". "Siamo molto realistici, abbiamo bisogno di prendere le cose un giorno alla volta ... ci sono più di 25 navi nei porti ucraini che devono uscire", ha detto Stephane Dujarric ad Al Jazeera dal quartier generale delle Nazioni Unite a New York. "Ma le cose stanno funzionando e stanno funzionando bene oggi e possiamo solo essere commossi dalle immagini che abbiamo visto uscire da Istanbul oggi"[10]. Un alto funzionario turco è stato citato dall'agenzia di stampa Reuters dicendo che tre navi potrebbero lasciare i porti ucraini ogni giorno dopo la partenza del Razoni, mentre il ministro delle infrastrutture ucraino ha detto che altre navi sono state caricate con prodotti agricoli e stavano per partire, ma non si sa ancora quando potrebbero salpare[11].

Quanto avvenuto per il caso della nave Lodicea dovrebbe mettere in allerta tutti gli esperti di diritto internazionale ed umanitario, ci si dovrebbe infatti destare dal sonno atavico che impedisce di analizzare quanto sta accadendo alla luce di tutte le norme vincolanti a livello internazionale, dovrebbero essere  accendersi i riflettori sulla situazione del blocco o del rallentamento del grano dall’Ucraina, soprattutto per le popolazioni che vertono già in gravi condizioni umanitarie.[12]. “dovrebbe” ma così non è!

La nave Razoni ad oggi non ha ancora attraccato in Libano e, alla luce della rotta che ha intrapreso che la sta conducendo al porto di Mersin, risulta difficile credere che realmente attraccherà in Libano nonostante le vane promesse delle autorità Ucraine e le dichiarazioni ufficiali di alcuni rappresentanti delle Nazioni Unite[13].

Come sarà dunque possibile per la popolazione libanese poter far fronte al fabbisogno alimentare di sussistenza nei prossimi mesi se da febbraio le vane promesse dell’arrivo di grano dall’Ucraina continuano ad essere disattese?

Le autorità ucraine hanno dichiarato che sono state le autorità libanesi a rifiutare l’attracco del carico perché in ritardo di oltre cinque mesi, queste dichiarazioni non convincono neanche gli esperti di commercio marittimo in quanto le autorità ucraine avrebbero anche dichiarato che sono alla ricerca di un altro compratore[14].

Quello che sarebbe importante chiedersi è se nel corso di un conflitto sia possibile impedire che vengano garantiti approvvigionamenti di cibo alle popolazioni civili. Questo quesito è centrale anche per comprendere quale chiave di lettura deve essere data alle partenze “consentite”, “vietate” e/ o “rallentate” di cargo alimentari giustificandoli con un conflitto in atto. E’ necessario infatti interrogarsi su quanto sta accadendo anche alla luce degli obblighi del diritto internazionale umanitario.  La domanda che infatti  è necessario porsi è se nel diritto internazionale umanitario[15] e consuetudinario sia consentito che in  nome di un conflitto internazionale sia possibile lasciare la popolazione civile privata dei generi alimentari, rallentarne l’approvvigionamento, ove pattuito e promesso, anche attraverso accordi e dichiarazioni formali.

Durante le situazioni di conflitto armato infatti sono molte di più le persone che  muoiono direttamente a causa della mancanza di cibo e malattie rispetto alle dirette conseguenze di proiettili e bombe. Come noto in molti conflitti la fame è usata come arma politica, quando i raccolti vengono distrutti o avvelenati e le forniture di soccorso sono bloccate.  Il diritto internazionale umanitario - fra tutte si ricordano le 4 Convenzioni di Ginevra - è nato proprio per proteggere le persone, le proprietà civili e limitare l'uso di determinati metodi e mezzi di guerra. Il suo obiettivo principale è proteggere le persone che non prendono parte alle ostilità, come la popolazione civile, i feriti, i prigionieri di guerra, i naufraghi, ecc. Donne e bambini sono automaticamente protetti come persone che non prendono parte alle ostilità (se non sono combattenti, ovviamente) e ricevono una protezione speciale secondo le convenzioni e i protocolli vincolanti, accettati dunque dagli Stati parte, fra questi ad oggi tutti gli Stati del mondo.  

Nel contesto di un conflitto internazionale, l'articolo 54, paragrafo 1, del Protocollo Addizionale I afferma espressamente che: "La fame di civili come metodo di guerra è proibita"[16].

Come evidenziato dal Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), il divieto di morire di fame come metodo di guerra, non solo viene violato affamando direttamente la popolazione fino alla morte, ma viene anche violato quando una Parte in conflitto provoca deliberatamente la fame nella popolazione, in particolare privandola delle sue fonti di cibo o di rifornimenti.

Secondo lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale, l'uso intenzionale della fame dei civili come metodo di guerra privandoli di oggetti indispensabili alla loro sopravvivenza è considerato un crimine di guerra nei conflitti armati internazionali[17].

Proprio alla luce della gravità dell’utilizzo dello strumento dell’affamare popolazioni civili, per favorire le sorti di una o dell’altra parte nel corso dei conflitti, nel maggio 2018, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato all'unanimità ha adottato la risoluzione 2417 in risposta alla sua profonda preoccupazione per il livello dei bisogni umanitari globali e per la minaccia di carestia che di carestia che incombono su milioni di persone nei conflitti armati e sul numero di persone sottonutrite nel mondo[18].

Il diritto internazionale umanitario convenzionale e consuetudinario considerando che il cibo può diventare un'arma, pone l'obbligo di fornire aiuti ai civili e consuetudinario  infatti vietano  espressamente :

·         l'uso della carestia o della fame di civili come metodo di guerra;

·         la distruzione di colture e beni essenziali per la sopravvivenza della popolazione;

·         la requisizione di oggetti indispensabili per la sopravvivenza della popolazione civile.

Per la protezione effettiva della popolazione le norme del diritto internazionale ed umanitario impongono dunque:

·         il libero passaggio di beni di prima necessità nelle zone assediate, in particolare per le donne, i bambini e gli anziani;

·         il libero passaggio di cibo quando la popolazione soffre di eccessive carenze o privazioni, nonché il controllo della distribuzione da parte di organizzazioni umanitarie imparziali in modo da garantire che il cibo non sia deviato da una delle parti in conflitto o da altri gruppi;

·         l'obbligo di fornire adeguate scorte alimentari alle persone internate o detenute.

Nel diritto internazionale umanitario non si esplicita direttamente il "diritto al cibo" o alla "sicurezza alimentare", in quanto tale, ma diverse disposizioni hanno lo scopo di garantire che alle persone non sia negato l'accesso al cibo durante il conflitto armato[19].

Non dobbiamo dimenticare, come abbiamo detto prima, che questi principi sono integrati e rafforzati da un principio più generale, il principio della distinzione tra oggetti civili e obiettivi militari. Secondo questo principio di diritto consuetudinario, solo gli obiettivi militari possono essere attaccati[20].

Il Protocollo addizionale I nel suo articolo 54 paragrafo 2 vieta di privare i civili dei loro beni necessari per la loro sopravvivenza nel contesto di un conflitto armato internazionale. In questo senso, afferma che: "È vietato attaccare, distruggere, rimuovere o rendere inutili oggetti indispensabili per la sopravvivenza della popolazione civile, come le derrate alimentari, le aree agricole per la produzione di derrate alimentari, le colture, il bestiame, gli impianti e le forniture di acqua potabile e le opere di irrigazione, allo scopo specifico di negarli per il loro valore di sostentamento alla popolazione civile o alla Parte avversa, qualunque sia il motivo, sia per far morire di fame i civili, per farli allontanare, sia per qualsiasi altro motivo".

Questa disposizione sviluppa il divieto formulato nell'articolo 54.1 del Protocollo I, in relazione all'uso della fame dei civili come metodo di guerra.

Va notato che l'espressione utilizzata ("come...") nell'articolo 54.2 del protocollo addizionale I, mostra che l'elenco delle merci protette è meramente illustrativo. Un elenco esaustivo avrebbe potuto portare a omissioni o a una selezione arbitraria. Come rivela il testo dell'articolo, si fa riferimento a oggetti e beni indispensabili per la sopravvivenza della popolazione civile.

Il divieto di cui all'articolo 54, paragrafo 2, del protocollo addizionale I prevede una serie di eccezioni:  sarebbe infatti lecito che le forniture alimentari destinate all'uso esclusivo delle forze armate potessero essere attaccate e distrutte, anche se riteniamo che le aree agricole o gli impianti di acqua potabile difficilmente verrebbero utilizzati esclusivamente a beneficio delle forze armate. quando gli oggetti sono utilizzati per scopi diversi dalla sussistenza di membri delle forze armate e il loro uso è a diretto sostegno dell'azione militare, gli attacchi a tali oggetti, da parte della Parte Avversa, sarebbero leciti a meno che tali azioni non abbiano gravi effetti sulle forniture alla popolazione civile che provocano fame o sfollamento forzato.

Quanto sta accadendo nel Mar Nero porta ad interrogarsi su come si pretenda di declamare come impegno internazionale il supporto alla popolazione vittima di un conflitto, per poi dimenticare quali sono i limiti di azione di uno Stato o di un ente non statale nel contesto di un conflitto: i limiti espliciti del diritto internazionale umanitario non possono e non devono essere violati non solo all’interno delle aree caratterizzate direttamente dal conflitto, ma anche nei confronti delle popolazioni civili di paesi coinvolti.

C’è da chiedersi come possa essere ancora tollerato in futuro un eventuale blocco o rallentamento delle partenze delle navi dai porti ucraini senza che questo non debba essere valutato anche dalla prospettiva del diritto internazionale umanitario come una violazione degli obblighi che riguardano anche le autorità ucraine non solo quelle degli altri stati del mondo.

 

[1] PhD in Istituzioni e Politiche Comparate, già funzionaria agenzie delle Nazioni Unite e Internazionali, Ricercatrice indipendente in diritto internazionale e strumenti di tutela e monitoraggio dei diritti umani.

[2] Professore Associato di Business Systems e Marketing – Università di Palermo – esperto di Cibernetica Sociale – Editor in Chief della rivista scientifica Kybernetes – CV: https://gandolfodominici.it/

[3] UNHCR – UN High Commissioner for Refugees: 2022 1st Quarter Sector Dashboard; Livelihoods, 30 May 2022 , https://www.ecoi.net/en/file/local/2073746/Livelihoods+Sector+-+Q1+Dashboard+-+V2.pdf , data ultima verifica 7 agosto 2022

[4]  Lebanon’s economic and humanitarian disasters leave citizens to fend for themselves, Jun 7, 2022 6:40 PM EDT  https://www.pbs.org/newshour/show/lebanons-economic-and-humanitarian-disasters-leave-citizens-to-fend-for-themselves , data ultima verifica 7 agosto 2022

[5] USAID – US Agency for International Development (Author), published by ReliefWeb: Lebanon: Complex Emergency Fact Sheet #2 Fiscal Year (FY) 2022, 1 June 2022 https://reliefweb.int/attachments/665719b8-d748-4441-a3f9-892b3e7c386c/2022_06_01%20USG%20Lebanon%20Complex%20Emergency%20Fact%20Sheet%20%232.pdf  data ultima verifica 7 agosto 2022.

[6] Per monitorare costantemente il traffico della nave Lodicea si rimanda a :

https://www.marinetraffic.com/en/ais/details/ships/shipid:679716/mmsi:468393000/imo:9274343/vessel:LAODICEA , data ultima verifica 7 agosto 2022. Attraverso marine traffic è possibile avere accesso agli spostamenti delle imbarcazioni commerciali regolarmene registrate.

[7] https://www.politico.eu/article/russia-and-ukraine-to-sign-grain-deal-friday-turkey-says/ , data ultima verifica 7 agosto 2022.

[8] Rispetto agli spostamenti della nave Razoni si rimanda a : https://www.marinetraffic.com/en/ais/home/shipid:467899/zoom:14

[9]Insurance and security crucial as Black Sea grain corridor opens,  https://www.ics-shipping.org/news-item/insurance-and-security-crucial-as-black-sea-grain-corridor-opens/ , data ultima verifica 7 agosto 2022

 [10] https://www.aljazeera.com/news/2022/8/3/first-ukraine-grain-ship-passes-bosphorus-en-route-to-lebanon , data ultima verifica 7 agosto 2022

[11] Sedici navi cariche di grano pronte a lasciare l'Odessa in Ucraina | Guerra Russia-Ucraina Notizie | Al Jazeera, data ultima verifica 7 agosto 2022

[12] Monitoring centre for Ukrainian grain exports to open in Istanbul, 26.07.2022 ,  https://www.reuters.com/world/middle-east/monitoring-centre-ukrainian-grain-exports-open-istanbul-wednesday-turkey-2022-07-26/ , data ultima verifica 7 agosto 2022

[13] La nave Razoni al 10 agosto 2022 risulta essere quasi arrivata nei pressi del porto turco di Mersin,  https://www.marinetraffic.com/en/ais/home/centerx:34.637/centery:36.731/zoom:14 , data ultima verifica 10 agosto 2022 .

[14] Ukraine: the Cargo Razoni neither seen in Lebanon nor seen in Africa, 9 agosto 2022   https://www.kapitalafrik.com/2022/08/09/ukraine-the-cargo-razoni-neither-seen-in-lebanon-nor-seen-in-africa/ , data ultima verifica 10 agosto 2022

[15] Fra le  fonti del diritto internazionale umanitario si rimanda a:  Le quattro Convenzioni di Ginevra e i loro Protocolli aggiuntivi tutelano le persone che non partecipano o non partecipano più alle ostilità: civili internati, prigionieri di guerra e altre persone vulnerabili non devono subire maltrattamenti, i feriti devono essere portati in salvo e curati; al  primo Protocollo aggiuntivo del 1977; alla Convenzione dell’Aia del 1907, alla Convenzione sul divieto o la limitazione dell’impiego di talune armi classiche del 1980 e i relativi Protocolli delimitano le modalità e i mezzi della guerra, nonché  agli obblighi relativi alla conduzione della guerra hanno carattere consuetudinario.

[16] Art. 54 del PROTOCOLLO AGGIUNTIVO ALLE CONVENZIONI DI GINEVRA DEL 12 AGOSTO 1949 RELATIVO ALLA PROTEZIONE DELLE VITTIME DEI CONFLITTI ARMATI INTERNAZIONALI,  Protezione dei beni indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile 1. 1. È vietato, come metodo di guerra, far soffrire la fame alle persone civili. 2. 2. È vietato attaccare, distruggere, asportare o mettere fuori uso beni indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile, quali le derrate alimentari e le zone agricole che le producono, i raccolti, il bestiame, le installazioni e riserve di acqua potabile e le opere di irrigazione, con la deliberata intenzione di privarne, in ragione del loro valore di sussistenza, la popolazione civile o la Parte avversaria, quale che sia lo scopo perseguito, si tratti di far soffrire la fame alle persone civili, di provocare il loro spostamento o di qualsiasi altro scopo. 3. 3. I divieti previsti nel paragrafo 2 non si applicheranno se i beni sono utilizzati dalla Parte avversaria: a) per la sussistenza dei soli membri delle proprie forze armate; b) per fini diversi da detta sussistenza, come appoggio diretto ad una azione militare, a condizione, tuttavia, di non intraprendere in nessun caso, contro detti beni, azioni da cui ci si potrebbe attendere che lascino alla popolazione civile alimenti e acqua in misura talmente scarsa che essa sarebbe ridotta alla fame o costretta a spostarsi. 1. 5. Tali beni non dovranno essere oggetto di rappresaglie. 2. 6. Tenuto conto delle esigenze vitali di ciascuna Parte in conflitto per la difesa del proprio territorio contro l’invasione, deroghe ai divieti previsti dal paragrafo 2 saranno permesse a una Parte in conflitto su detto territorio che si trovi sotto il suo controllo se lo esigono necessità militari imperiose

[17] La fame intenzionale di civili dovrebbe essere considerata un crimine di guerra in tutto il mondo: il Consiglio federale sostiene la Corte penale internazionale - | mondiale ReliefWeb; WHY AND HOW THE ICC SHOULD PROSECUTE STARVATION AS A WAR CRIME? 24 APRIL 2020 BY ASYMMETRICAL HAIRCUTShttps://www.justiceinfo.net/en/44181-why-and-how-the-icc-should-prosecute-starvation-as-a-war-crime.html

[18] Si rimanda a : UN security council, Resolution 2417 (2018) Adopted by the Security Council at its 8267th meeting, on 24 May 2018   https://www.globalr2p.org/resources/resolution-2417-protection-of-civilians-s-res-2417/#:~:text=On%2024%20May%202018%20the,accountability%20for%20mass%20atrocity%20crimes.

[19] Si rimanda a : A. Fillol Mazo,  The Protection of Access to Food for Civilians under International Humanitarian Law: Acts Constituting War Crimes | The Age of Human Rights Journal (ujaen.es) , June 2020 in The Age of Human Rights Journal, data ultima verifica 7 agosto 2022

[20] Si rimanda a: https://www.ohchr.org/en/special-procedures/sr-food/international-standards


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lunedì 29 agosto 2022

La sinistra post-ideologica è diventata lobbying - comidad

 

Sul sito del Ministero degli Interni si trova uno studio da cui risulta che, tra microcredito e rimesse, i migranti rappresentano la punta di diamante della cosiddetta “inclusione finanziaria”, cioè della finanziarizzazione di massa, con movimenti internazionali di denaro dell’ordine di centinaia di miliardi di dollari all’anno. Prestare soldi a dei poveracci per farli emigrare, e poi prendersi la tangente quando spediscono soldi a casa, possono apparire dei business miserrimi, ma solo perché siamo suggestionati dalle gerarchie antropologiche e dal culto dei miliardari benefattori, perdendo di vista che alla base della ricchezza c’è lo sfruttamento del lavoro umano.

La massa di straccioni che vaga per il pianeta si rivela così una gallina dalle uova d’oro per la finanza globale, il che implicitamente smentisce la retorica ufficiale e i suoi ipocriti lamenti sul crescere delle “disuguaglianze”. Ciò spiega anche il motivo per cui Salvini, da ministro degli Interni, ha messo su risse ludiche ad uso mediatico con le ONG che si occupano di migranti, ma non ne ha mai toccato le connessioni finanziarie.

I poveri erano e rimangono la fondamentale materia prima del sistema capitalistico; e ciò spiega la crescente ostilità dei media e della politica contro qualsiasi provvedimento che possa rendere i poveri un po’ meno ricattabili e un po’ meno bisognosi di lavorare a qualsiasi condizione.

La coalizione elettorale di destra propone l’abolizione del cosiddetto reddito di cittadinanza poiché disincentiva al lavoro, e il reindirizzo delle risorse finanziarie alla diminuzione delle tasse per gli imprenditori. La destra infatti ha ancora le sue icone, i suoi eroi leggendari della rivolta anti-fiscale, come Reagan e la Thatcher. Peccato che queste mitologie non reggano ad un minimo di riscontro.

Sul sito della roccaforte dei liberisti puri e duri, l’Istituto Bruno Leoni, viene ricostruita la vicenda del presidente Reagan, per concludere sconsolatamente che dapprima questi ha finanziato i suoi sgravi fiscali dilatando a dismisura il debito pubblico; poi, accortosi che la diminuzione delle tasse non aveva determinato la crescita economica sperata, ha nuovamente aumentato il carico fiscale. Insomma, anche se non lo ammetterebbero in pubblico, i liberisti puri e duri tra di loro se lo dicono che quelle politiche economiche soprannominate “reaganomics” sono state una solenne presa per i fondelli.

Neppure la leggenda della Thatcher regge ad un minimo di vaglio dei fatti. La presunta “Iron Lady” ha diminuito le imposte dirette sulle persone fisiche e sulle imprese, ma ha dirottato il carico sulle imposte indirette, come l’IVA e le accise sulla benzina. La fiscalità sulla benzina si configura come una vera e propria tassa sul lavoro, poiché spesso si è costretti a spostarsi con l’automobile. Tra l’altro i lavoratori, a differenza degli “imprenditori”, non possono neppure intestare la proprietà dell’automobile alla propria società scaricandone i costi dalle tasse. Nel complesso la Thatcher ha aumentato il carico fiscale spostandone il peso dai ricchi sui poveri. La vera storia del fisco dimostra che esso non è uno strumento di redistribuzione del reddito, bensì è il contrario, un modo per favorire la concentrazione dei capitali in poche mani.

Vista l’inconsistenza ideologica della destra, per la sinistra dovrebbe essere una passeggiata. Invece no, la sinistra “post-ideologica” non va mai a smentire le scemenze della destra, al massimo finge di contraddirle con puerili bastiancontrarismi, come “pagare le tasse è bello” (e perché non dovrebbe esserlo, visto che le pagano i poveri?). E questo non è neanche il peggio, dato che oggi gli amministratori regionali del PD sono ancora più zelanti della Lega nel propugnare quell’evasione fiscale di massa che va sotto l’appellativo eufemistico di “autonomia differenziata”.

Come ci ha insegnato il mitico Tony Blair, per una sinistra che abbandona la zavorra dell’ideologia si aprono i cieli incantati del lobbying. L’impresa capitalistica è un meccanismo complesso: c’è l’aspetto produttivo, la fabbrica, ma ci sono anche l’aspetto finanziario e quello promozionale, cioè la pubblicità e il lobbying. Le merci si caricano così di valore morale oltre che materiale, si distaccano dalle loro origini e diventano “altro”. Se ti ricordi che i vaccini sono merci, ti mantieni un tantino più critico; invece te ne devi dimenticare, devi cedere al feticismo della merce. Un bell’esempio di feticismo ce lo ha offerto il segretario del PD Enrico Letta, quando ci ha spiegato che i vaccini e le app sanitarie sono la “libertà”. Slogan pubblicitari, ma non a caso.

Prima di diventare segretario del PD, Letta si era dato da fare per dimostrare a tutti di cosa è capace; e infatti è diventato consigliere di amministrazione di varie società straniere. Una di queste società è la francese Publicis Groupe, un’azienda che, manco a dirlo, si occupa proprio di pubblicità. Con queste premesse, dopo i vaccini e le app sanitarie, Letta probabilmente farà da testimonial anche a qualche altro prodotto, ovviamente anch’esso mirabolante e salvifico, perché, come diceva quel geniale cantautore degli anni ’60 e ’70: “Cerco con ansia un prodotto sbagliato, scopro che ancora non l’hanno inventato”.

Prima di diventare segretario del PD, Letta ha abbandonato i suoi vari incarichi; e, secondo lui, ciò lo renderebbe immune da conflitti di interessi, come se in quei consigli di amministrazione non ci potesse ritornare non appena lasciata la politica attiva. E qui si riscontra la dottrina Blair, secondo la quale non può esserci niente di sbagliato in sé nei rapporti tra politica e lobbying. Laddove infatti manca l’ideologia consapevole, subentra l’ideologia inconsapevole, in questo caso quel razzismo sottotraccia che è il culto dei cosiddetti “competenti”, quella specie di Olimpo che sovrasta e illumina la massa amorfa degli esseri umani ignoranti. Chi vuole dimostrare a se stesso e agli altri di non essere un fesso qualsiasi, deve muoversi e tenere le mani in pasta nel giro delle grandi aziende a livello internazionale. Si riscontra perciò il paradosso per cui il conflitto di interessi da un lato viene fatto oggetto di critiche (peraltro innocue e senza conseguenze); dall’altro lato però è proprio il conflitto di interessi a conferire lo status e l'alone di credibilità del “competente”.

La vicenda di Luc Montagnier ci ha svelato quale sia il vero sottostante del mito della competenza. All’epoca dell’AIDS Montagnier aveva le mani in pasta e stava nel giro dei miliardi, quindi era un “competente”; quando, in epoca Covid, stava fuori dal giro dei soldi, tutti i suoi titoli non gli sono serviti per evitare la taccia di rincoglionito. La “competenza” non è altro che la suggestione collettiva determinata dai movimenti di denaro, dall’effetto di sponda delle bolle finanziarie con le bolle mediatiche; ed è sempre l’illusionismo del denaro a creare quella falsa coscienza che fa dividere l’umanità in esseri superiori e inferiori.

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