Dal campo al piatto, la digitalizzazione dei sistemi agroalimentari sta progredendo in tutto il pianeta, con impatti poco conosciuti. Si potrebbe pensare che essendo un pacchetto ad alta tecnologia sia utilizzato solo nei sistemi agricoli industriali, ma sta avanzando anche nei paesi del Sud e in aree dell’agricoltura familiare e contadina, con false promesse di maggiore efficienza e informazione per migliorare la produzione.
Di fronte a questa nuova ondata di tecnicizzazione della campagna, sorgono
molte domande. Cos’è e cosa significa? Che impatto ha sui contadini e
sull’agricoltura familiare e di piccola scala? Condivido qui un
documento con esempi di possibili impatti e di riflessioni su queste domande.
In Messico, tra gennaio e maggio 2022, le più grandi imprese globali di sementi
e agrotossici come Bayer-Monsanto, Basf e Corteva (fusione di DuPont e Dow)
hanno lanciato nuove piattaforme agricole digitali, che vendono servizi agli
agricoltori. Si aggiungono a quelle che già erano presenti negli ultimi anni e
alla loro diffusione in altri paesi dell’America Latina.
Fondamentalmente, per entrare nelle piattaforme digitali gli
agricoltori devono stipulare un contratto di abbonamento, dopo di che,
attraverso sistemi che possono essere droni, satelliti o fotografie delle
proprie colture scattate col telefono cellulare dagli agricoltori stessi, le
aziende registrano una serie di dati relativi ai loro campi, come ad
esempio dati sul suolo, l’umidità, le sementi, la produzione, le malattie delle
colture, le piante infestanti e gli insetti che potrebbero essere considerati
parassiti, la vegetazione e le foreste, ecc. Memorizzano ed elaborano le
informazioni nei cloud informatici di grandi imprese tecnologiche e
restituiscono “suggerimenti” agli agricoltori, indicando che cosa, quanto e dove
utilizzare determinati prodotti nel loro campo.
Generalmente, i contratti stabiliscono come condizione per il
raggiungimento dei risultati l’impegno ad utilizzare le sementi e gli
agrotossici delle imprese stesse.
Bayer – che dopo aver acquistato Monsanto è diventata proprietaria della
piattaforma digitale Climate Fieldview, una delle più diffuse – ha annunciato
nel 2022 il suo accordo con Microsoft Azure (cloud informatico) per attivare,
oltre all’azione nei campi, il monitoraggio digitale delle catene di
distribuzione. Microsoft offriva già il programma Farmbeat. Basf ha
lanciato in Messico la piattaforma Xarvio, che promette di rilevare erbe
infestanti, parassiti e malattie locali nelle principali colture a partire
dalle foto dei telefoni cellulari. Corteva aggiunge a molte delle sue
piattaforme – come Granular e MiLote, dotate di funzioni simili a quelle citate
sopra – la possibilità di misurare “l’impronta di carbonio” nei campi. Si
affianca così a Bayer nella corsa a potenziali crediti di carbonio nei suoli
agricoli, una questione con molti risvolti, tutti negativi.
La diffusione della digitalizzazione e della robotizzazione nelle campagne è
andata di pari passo con accordi e fusioni tra le più grandi imprese
agroalimentari (sementi, agrotossici, fertilizzanti, commercializzazione) con
quelle delle macchine agricole e con i colossi tecnologici. Ognuna delle fasi
della catena agroalimentare industriale è dominata da poche imprese: tra le 5 e
le 10 in ogni settore controllano più della metà del mercato globale. Il
cambiamento più forte nel settore agroalimentare negli ultimi anni è
l’irruzione dei giganti tecnologici statunitensi (noti come GAFAM prima che
cambiassero i loro nomi commerciali: Google, Amazon, Facebook, Apple,
Microsoft) insieme ai cinesi Alibaba e Tencent.
In proporzioni crescenti, le imprese che decidono sulla produzione, la
distribuzione e i mercati agroalimentari non hanno nessuna esperienza né
conoscenza del settore. Il fatto che l’interesse principale delle imprese
transnazionali agroindustriali non sia la produzione di alimenti, ma il
profitto, assume nuove sfaccettature con l’ingresso di potenti imprese,
altrettanto o ancor di più senza scrupoli, il cui obiettivo immediato è raccogliere
la maggior quantità possibile di dati, per vendere informazioni e sistemi di
manipolazione dei comportamenti di produzione e di consumo alimentare di
grandi gruppi sociali.
Quello che Shoshana Zuboff ha chiamato il “capitalismo della sorveglianza”
ha quindi la sua versione nell’”agricoltura della sorveglianza”. I dati su
quello che mangiamo, su come viene prodotto e commercializzato, e dove,
forniscono un’informazione fondamentale sull’ambiente rurale e sulla società in
generale.
Pertanto, le piattaforme digitali non sono destinate soltanto ai grandi
proprietari e all’agricoltura industriale. Per ottenere la più grande
raccolta di dati sulle coltivazioni e sui processi alimentari, c’è un’ampia
rete di commercializzazione e di agevolazioni per agganciare l’agricoltura su
piccola scala e contadina, che include la maggior parte degli abitanti delle
campagne.
L’introduzione di piattaforme digitali consolida la dipendenza degli
agricoltori di tutti i livelli dalle grandi imprese, attraverso contratti che
li obbligano a utilizzare i loro prodotti e la loro conduzione agricola, un
meccanismo che già esisteva, ma che è incrementato in modo significativo
dall’introduzione delle tecniche digitali.
Ora, il nuovo affare per gli oligopoli consiste nell’appropriarsi di
un’infinità di dati su ogni campo (compresi i dati che riguardano terra,
foreste, acqua, territori), di conoscenze sulla produzione, le sementi, la
gestione del suolo e delle colture, le forme di commercializzazione, le
abitudini alimentari dei consumatori. Lungi dal fornire “servizi” alle comunità
contadine, queste sono oggetto di una massiccia estrazione di informazioni che,
una volta trasformate in “dati” e interpretate dai loro algoritmi, diventano per
le imprese una merce per ottenere profitto ed esercitare un maggiore controllo.
Fonte originale: “Nubes sobre la agricultura campesina”, in
nodal – noticia de América Latina y el Caribe – n. 3282 – 27/07/2022. Traduzione
a cura di Camminardomandando.
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