L’extrema ratio di un cartello tecnico con adesione di tutte le forze politiche (con la propria autonomia) contro il trionfo del centrodestra nei collegi uninominali dovuto a una pessima legge elettorale
Le elezioni in tempi ravvicinati sono una certezza.
Che si risolvano in un tentativo di plebiscito improvvisato intorno alla figura
di Mario Draghi o in una rivincita della destra unita per l’occasione, occorre
innanzitutto salvaguardare l’essenza della democrazia che è la sovranità del
popolo esercitata attraverso il voto. Persino la Costituzione potrebbe
risultare a rischio. Perciò il superamento della legge elettorale vigente, il
Rosatellum, torna di bruciante attualità, ignorata da tutti o quasi.
È inquietante il fatto che, nelle circostanze insolite
determinate dallo scioglimento subitaneo delle Camere da parte del presidente
della Repubblica, non se ne parli; dando per scontato che tale è e resta. Forse
a qualcuno serve mantenere un parlamento nella condizione dequalificata
attuale, con la complicità dei capi bastone partitici a cui fa troppo comodo
scegliere liberamente tra i propri fedelissimi.
La legge attuale viene in ogni caso silenziosamente
ritoccata – un ritocco spacciato per tecnico – perché la composizione del
Parlamento è stata ridotta di oltre un terzo per via referendaria: 200 membri
del Senato e 400 della Camera. Invece, la modifica radicale del Rosatellum
costituisce una priorità perché con premio di maggioranza e listini,
indipendentemente dall’esito prodotto nelle urne, priva i cittadini del diritto
di scegliere una parte cospicua dei propri rappresentanti con conseguenze che
sono sotto i nostri occhi e che non hanno nulla a che fare con l’approvazione o
meno del governo Draghi.
Parlamentari vagolanti da un gruppo parlamentare a un
altro, alla ricerca di padroni in grado di assicurare la loro carriera futura,
senza rispondere agli elettori in un ambito territorialmente definito; privi
del potere che ne deriva, quello proveniente da una frazione di popolo solo più
in teoria sovrano.
In altre parole, occorrerebbe una legge elettorale che
sopprimesse i nominati, restituendo al cittadino il diritto di scegliere la
parte politica, ma anche la persona, con la speranza che questa restituzione di
poteri, attualmente menomati, contribuisca a motivare a recarsi alle urne. La
priorità è questa, indipendentemente dalla scelta tra un sistema proporzionale
e un sistema maggioritario.
Il ritorno a una legge proporzionale con indicazione
di preferenza (meglio se doppia, per assicurare l’equilibrio di genere), con
una soglia minima, avrebbe il doppio vantaggio di generalizzare il potere
dell’elettorato nella scelta dei propri rappresentanti – indispensabile
soprattutto con una costituzione che, all’art. 67, esclude il vincolo di
mandato, mentre resta inattuata la struttura democratica interna ai partiti,
prevista dall’art. 49 – e di trovare i consensi necessari per essere approvata
nei pochi mesi restanti di attività parlamentare.
È vero che quanto assomiglia a un ritorno alla Prima
Repubblica, con il pericolo di crisi endemiche di governo, non è allettante.
Chi, come chi scrive, compreso Enrico Letta prima maniera, avrebbe preferito il
maggioritario in una forma che al 75% assicurerebbe anche la scelta del
parlamentare (il Mattarellum), farà bene ad
attendere tempi migliori.
La legge vigente rischia di esprimere un governo di
centrodestra – e questo è fisiologico in regime di democrazia – ma, grazie al
premio di maggioranza e ai listini vigenti, chiunque vinca, in queste
circostanze ripeto insolite, potrebbe totalizzare il quorum necessario per
modificare la Costituzione con la semplice applicazione dell’art. 138. Forse da
evitare.
Se, come sembra, ogni mutamento del Rosatellum fosse
ormai politicamente impossibile – i tempi tecnici ci sarebbero – come
sopravvivervi? Il
rimedio di Antonio Floridia (cfr. il manifesto, 24
luglio) è quello di un cartello tecnico a cui aderirebbero tutte le forze
politiche. Pur conservando la propria autonomia politica, impedirebbero il
trionfo maggioritario dell’alleanza di centrodestra nei collegi uninominali
previsti da una pessima legge elettorale vigente. Potrebbe costituire una
extrema ratio a due condizioni.
In primo luogo, non è tollerabile che si dia per
scontata l’applicazione di una legge elettorale di dubbia costituzionalità che
menoma ab origine l’autorevolezza del futuro parlamento.
Il tutto senza alcun dibattito politico, attraverso un tacito pactum sceleris tra segreterie di partiti,
piccoli e grandi, di destra e di sinistra. Lo stesso Presidente della
Repubblica non ha nulla da dire in proposito?
In secondo luogo, in ogni caso occorre la presenza di
una proposta politica che risponda a una diffusa domanda popolare di chiarezza
rispetto ad alcuni nodi essenziali del proprio convivere civile:
·
una politica
estera europea di pace che abbia come obiettivo immediato la cessazione delle
guerre in corso, in primo luogo sul proprio territorio (Ucraina);
·
una radicale
redistribuzione del reddito, con un uso appropriato dei fondi europei
disponibili, da una esigua minoranza privilegiata, dominata dalla finanza, alla
maggioranza individualmente e territorialmente meno abbiente;
·
la
salvaguardia dei diritti del lavoro e di un’immigrazione a cui offrire vita,
asilo e cittadinanza;
·
il
rafforzamento drastico dei servizi pubblici, a partire da quello della tutela
della salute;
·
la
salvaguardia della sopravvivenza del pianeta, minacciato dalla distruzione
dell’ambiente e dalla diffusione non controllata di armi di distruzione di
massa.
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