martedì 31 dicembre 2019

Discorso di Capodanno 2020, di Natalino Balasso

Nicoletta Dosio va in galera


ieri sera è stata arrestata Nicoletta Dosio. Ecco le notizie i messaggi che abbiamo ricevuto stanotte e nelle prime ore di oggi. Mandateci commenti e appuntamenti, approfittando anche dello spazio “commenti” soprattutto per informare sulla mobilitazione che qui in bottega ci auguriamo travolgente anzi TAVolgente che cioè travolga tutto il sistema di tav-cialtroni, di tav-inquinatori, di tav-ladri, di tav bugiargiornalisti, di felicemente tav-zombi che vogliono un mondo a loro immagine cioè veleni e tirannia. [db]

Notificata a Nicoletta Dosio la sospensione delle misure alternative. Questa è una sua lettera dell’11 novembre.
A questo principio si ispira ormai da trent’anni il movimento NO TAV e, da sempre, rispondono le lotte sociali e ambientali, in tante parti del paese e del mondo.
Contro tale resistenza, il sistema ha messo in campo leggi, eserciti, tribunali e carceri.
I territori, le persone, la natura sono più che mai materia bruta di sfruttamento da parte di un capitale che, nella sua arroganza dimentica di ogni limite, in nome del profitto infinito, accumula sulla propria strada morti e rovine, fino a mettere in discussione la sopravvivenza stessa del Pianeta. Anche in Valle di Susa l’opposizione popolare che, forte della memoria operaia e resistenziale, ha deciso di dire NO al TAV, grande, mala, inutile, costosissima opera, e al modello di vita che la produce, sta pagando tale resistenza ad un prezzo altissimo, a livello giudiziario, economico, esistenziale, con centinaia di condanne penali e civili, multe, fogli di via, revoche di permessi, militarizzazione del territorio. Il tutto con la complicità attiva dei governi passati e presenti, espressione istituzionale del partito trasversale degli affari, e con il supporto dei mass media di regime.
Per denunciare tutto questo e per ribadire la dignità di una lotta collettiva che non si piegherà, ho deciso di non chiedere sconti al potere invidioso e vendicativo che, con i tre gradi di giudizio dei suoi tribunali, ha condannato al carcere me e altri undici attivisti, per “ violenza privata e interruzione di pubblico servizio”.
Denuncio inoltre le storture e l’iniquità di un sistema poliziesco e giudiziario che, lungi dal garantire I diritti di tutti e soprattutto dei più deboli, si è piegato ad altri e diversi interessi, rendendosi complice del tentativo di silenziare con la violenza chi lotta per la giustizia sociale e ambientale.
Come me, sono state condannate ormai centinaia di persone e, in particolare, i nostri migliori giovani, che si sono visti infliggere pene abnormi per aver esercitato un diritto garantito dalla costituzione: condanne per cui essi oggi rischiano di perdere il lavoro, il diritto allo studio, la famiglia, la casa, il futuro.
Erano i primi giorni di marzo 2012, giornate di rabbia e di mobilitazione: la nostra piccola baita – presidio in Clarea occupata a suon di manganellate dalle “forze dell’ordine” dopo gli otto mesi di resistenza che seguirono alla presa della Libera repubblica della Maddalena e all’occupazione militare del territorio. Luca, uno di noi, in ospedale a lottare tra la vita e la morte dopo che un poliziotto l’aveva fatto cadere dal traliccio su cui si era arrampicato per sfuggire alle botte: Le dichiarazioni provocatorie del governo Monti a favore del TAV e contro la resistenza di un’intera popolazione al progetto.
Salimmo in manifestazione sull’autostrada con uno striscione su cui era scritto “ Oggi paga Monti” ed alzammo le barriere dei caselli, permettendo la libera circolazione su una delle strutture autostradali più devastanti e costose d’Italia.
Non me ne pento e sarei pronta a rifarlo. Non chiedo per me misure alternative al carcere perché, per ottenerle, dovrei riconoscere il disvalore della mia condotta: non sono disponibile ed esercito così, ancora una volta, la mia libertà.
So di avere con me il sostegno delle mie sorelle e dei miei fratelli di una lotta bella e irriducibile, perché porta nelle sue mani la memoria del passato, l’indignazione per la precarietà presente, la necessità di un futuro più giusto e vivibile per tutti.
Se andrò in carcere, non me ne pentirò, perché, come scrisse Rosa Luxemburg, dalla cella dove scontava la sua ferma opposizione alla guerra, “ mi sento a casa mia in tutto il mondo, ovunque ci siano nubi, e uccelli, e lacrime umane”.
Nicoletta Dosio 

Valsusa – Acerbo e Locatelli (Prc-Se): Mobilitiamoci perchè sia ridata libertà a Nicoletta e a tutti gli attivisti NoTav
Maurizio Acerbo e Ezio Locatelli, rispettivamente segretario nazionale di Rifondazione Comunista e segretario provinciale di Torino hanno rilasciato la seguente dichiarazione:
Ingiustificabile la decisione di revocare la sospensione dell’ordine di carcerazione a Nicoletta che, ricordiamo, non ha chiesto nessuna misura alternativa al carcere.  La Procura Generale di Torino ancora una volta dà dimostrazione dell’ossessione repressiva contro il movimento NoTav
Nicoletta a 73 anni è stata condannata lo scorso novembre insieme ad altri 12 compagni per una manifestazione di protesta pacifica davanti a un casello autostradale del 2012. Una professoressa di greco e latino della Val di Susa è considerata talmente pericolosa da revocare la sospensione dell’esecuzione di una condanna già palesemente abnorme.
Chi conosce Nicoletta, e siamo in tante/i, sa bene che affronta anche questa prova con serenità e determinazione.
Ma non per questo possiamo accettare questo arresto insensato.   
E’ inaudito, intollerabile che Nicoletta di cui tutti conoscono dignità, coerenza, animo pacifico sia stata tradotta in carcere. La sua unica colpa, imperdonabile, al pari di molti altri attivisti denunciati o arrestati nel corso di questi mesi e anni, è di essere irriducibilmente NoTav, di continuare ad anteporsi alla realizzazione di un’opera affaristica, inutile, dissipativa di colossali somme di denaro pubblico. Rifondazione Comunista chiama tutti i suoi iscritti e simpatizzanti a partecipare o a promuovere nelle prossime ore e nei prossimi giorni iniziative unitarie su tutto il territorio nazionale perché sia restituita piena libertà a Nicoletta e a tutte le persone sottoposte ingiustamente a misure restrittive. La lotta contro il Tav non si fermerà. Meritano un grande ringraziamento i cittadini di Bussoleno che stanno bloccando l’auto dei carabinieri in strada dimostrando di quali valori di solidarietà sia testimonianza la resistenza popolare della Val di Susa contro un mega-affare devastante. 

Nicoletta Dosio, 73 anni, del movimento No Tav, è stata arrestata.
Era stata condannata a due anni di reclusione, insieme ad altri 11 attivisti. Il “reato”? Aver presidiato nel 2012 il casello di Avigliana  dell’autostrada A32, ai tempi del governo Monti, lasciando passare gli automobilisti senza pagare il pedaggio.  In quei giorni in Valle di Susa si stavano svolgendo numerose manifestazioni di protesta dopo l’incidente occorso a  Luca Abbà, rimasto gravemente ferito dopo essere stato inseguito dai carabinieri fin sopra un traliccio, da cui era poi caduto a causa dell’alta tensione. Se non ricordiamo male il “danno” per la società autostrade fu di 700 euro!
È una vendetta a freddo di chi vuol imporre un’opera totalmente inutile; un provvedimento che stride a fianco con i comportamenti vergognosi e la mancanza di manutenzione delle società che gestiscono le autostrade, un arresto incredibile dopo che le cronache di questi giorni vedono politici, fanatici sostenitori del tunnel Torino Lione, accusati di collusioni con la ‘drangheta per l’acquisto di pacchetti di voti.
Nicoletta, come il movimento No TAV, ha sempre fatto le cose alla luce del sole, conscia che la sua lotta fosse fatta per il bene comune, nell’interesse della collettività; ci ha messo la faccia con una coerenza e una dignità che sono un atto di accusa contro il malaffare che fermenta dietro tutte le grandi opere inutili (ricordiamo di come la camorra fosse connessa anche con la realizzazione del sottoattraversamento di Firenze).

Arrestata Nicoletta Dosio, professoressa coraggiosa che si era opposta ai lavori della TAV in Val di Susa
Nel pomeriggio di oggi 30 dicembre 2019, era arrivata la notifica che sospendeva le misure alternative al carcere per Nicoletta Dosio.  Con la notifica, perché venisse eseguito l’arresto, ogni momento era buono, di fatti i carabinieri non si sono fatti attendere; poche ore dopo sono andati a prelevare Nicoletta dalla sua abitazione.
La macchina dove si trovava Nicoletta era stata inizialmente bloccata da diversi cittadini di Bussoleno accorsi in strada alla spicciolata hanno tentato invano di opporsi coi loro stessi corpi al passaggio dell’auto dei carabinieri con Nicoletta a bordo.
La revoca delle misure cautelari con l’arresto di Nicoletta seguito a distanza di poche ore, è arrivato durante i giorni di festa,  la notte prima dell’ultimo dell’anno. Qualche compagno e attivista No Tav scrive che ciò non sia casuale, ma che abbia un doppio scopo: quello di far passare la cosa nel modo più inosservato possibile approfittando dei giorni di festa, e si suppone anche un intento ulteriormente punitivo, revocando le misure alternative e eseguendo l’arresto proprio in questo periodo natalizio in cui tutti i familiari si erano riuniti e stretti intorno a Nicoletta.
L’arresto di Nicoletta è seguito a quello di altri attivisti No Tav operati proprio in queste ultime settimane.
L’ordine di carcerazione era stato notificato a Nicoletta Dosio questo novembre, a cui poi erano seguite in un primo momento le misure alternative al carcere, poi revocate oggi.
Nicoletta, 73 anni, insegnante di greco in pensione, del movimento No Tav, processata e condannata per aver partecipato in Val di Susa nel 2012 a una manifestazione di protesta contro i lavori dell’Alta Velocità. Di fatto Nicoletta viene punita non tanto per aver partecipato alla manifestazione di protesta del 2012, ma perché oggi rappresenta un simbolo, un simbolo di disobbedienza civile e di resistenza popolare, per essersi opposta allo scempio della valle dove abita. Nicoletta al di là delle motivazioni della sentenza, viene condannata nel tentativo di far piegare la testa a tutto il movimento No Tav che da anni si oppone ai lavori della tratta ferroviaria ad Alta velocità; in primis per il forte impatto e danno ambientale e alla salute delle persone residenti, che si sta procurando in tutta l’area interessata dai lavori,  in secondo luogo per il sospetto fin da subito di forti infiltrazioni mafiose nella aziende a cui sono stati affidati in appalto i lavori. Sospetto che poi si è confermato avere sicuramente una base di verità, quando tempo addietro fu aperta una indagine da parte dei Ros per possibili infiltrazioni della ‘ndrangheta a carico di aziende collegate ai lavori della TAV.
Con la notifica di novembre Haidi Gaggio Giuliani (mamma di Carlo Giuliani) aveva detto proprio rivolgendosi a Nicoletta: “Sono una vecchia maestra, le dico, mi sembra di vivere nelle Favole a rovescio di Gianni Rodari che divertivano tanto i miei bambini e le mie bambine. Mi sembra di vivere in un mondo capovolto. Ma c’è poco da divertirsi.”
Queste invece le parole che Nicoletta aveva scritto solo due giorni fa nella sua bacheca fb:
“Un altro Natale se n’è andato.
Giornata di vento, con raffiche di caldo fohn che combattono contro il gelo della tramontana. Nell’aria un’improbabile primavera, fatta di erba novella spuntata fuori stagione e di montagne candide di neve.
Siamo scesi in città, al carcere delle Vallette, per dare un saluto, almeno da lontano, a Giorgio, Mattia, Luca – (altri compagni e attivisti No Tav arrestati in questi giorni) – e, con loro alla sofferente umanità che quel non-luogo rinchiude.Intorno si allarga una sera gelida, grondante di umidità, squarciata dai riflettori del carcere: muri e cancelli, le sagome degli edifici di reclusione, l’angoscia di un non-quartiere delimitato dalla mole della centrale Iren lampeggiante di luci psichedeliche e dalle colline artificiali della discarica Barricalla. Poco lontano, mascherato dalla notte, il mattatoio, silenzioso dopo la mattanza prenatalizia.
A questo paesaggio fa da sfondo la periferia operaia, i grandi falansteri degli anni sessanta, popolati dagli immigrati del sud depresso, manovalanza della Fiat e del boom industriale di un nord ricco e arrogante. Le luci natalizie che trapelano dalle finestre, gli stenti alberelli addobbati che popolano i giardini condominiali sono un’anomalia che moltiplica l’insensatezza di quell’altro mondo di sbarre e dolore, fatto anch’esso di uomini, donne e bambini, sì i piccoli figli delle detenute, nati in carcere, che condividono con le madri la vita buia, le inferriate alle finestre. E i malati, per i quali neanche l’incapacità fisica o la prospettiva della morte diventa motivo di clemenza.
Mi chiedo come tutto questo possa giovare alla giustizia sociale, alla costruzione di un mondo migliore….
Quando ha inizio la nostra “camminata musicale” intorno alle mura del carcere, si avvicinano i lampeggianti blu dei blindati, si materializzano gli armati in assetto antisommossa a farci da scorta minacciosa.
Dal furgone che apre la piccola folla di resistenti si alternano musica e parole, saluti ai nostri compagni ed a tutti i detenuti insieme agli slogan liberatori della lotta NO TAV.
I pochi passanti guardano incuriositi quell’insolito corteo, lo sventolio di bandiere.
Giungiamo nella zona retrostante il carcere, il luogo più vicino ai blocchi di detenzione, mascherati dalle alte mura, ma non abbastanza perché non se ne scorgano le finestrelle degli ultimi piani.
Qui finisce la città e iniziano i campi seminati a frumento, le macchie di robinia che nascondono i ruderi delle vecchie cascine, la terra smangiata dall’asfalto e minacciata dai centri commerciali.
Ed è proprio ai margini di un campo di grano, di cui si intravede il verde spuntato anzitempo per la confusione delle stagioni, che si dispiega il momento più liberatorio del nostro lento andare solidale. Improvvisamente in cielo fiorisce una fantasmagoria di girandole e stelle: cascate di luce che ricadono tutt’intorno, a illuminare la notte, rompendo il silenzio murato dei giorni che non passano mai.
Penso ai bambini e alla loro meraviglia: forse questa notte sogneranno un mondo a colori.”
Davanti a uno Stato italiano che ormai si è fatto sempre più piccoloNicoletta con la sua gentilezza, il suo sorriso mostrato anche quando viene portata via per eseguirne l’arresto, e a fronte della sua coerenza e determinazione , oggi appare come un gigante.
A Nicoletta purtroppo, per ora possiamo solo inviare tutta la nostra solidarietà e la vicinanza della nostra redazione, e augurarle, come ha fatto lei ai bambini a cui per tanti anni ha insegnato, di tornare presto a sognare e a rivedere un mondo a colori.
La redazione di Pressenza


VIDEO: “L’ARRESTO DI NICOLETTA
30 dic 19 FQ :
VAL DI SUSA, ARRESTATA LA 73ENNE NO TAV NICOLETTA DOSIO.
Tensione a Bussoleno: militanti bloccano l’auto dei carabinieri per quasi 2 ore
di Simone Bauducco
VIDEO: “DIRETTA DEL TRASFERIMENTO DI NICOLETTA A BUSSOLENO”

30 dic 19 La Valsusa :
NO TAV, NICOLETTA DOSIO È STATA CONDOTTA IN CARCERE
È stata arrestata nel tardo pomeriggio di oggi, lunedì 30 dicembre, Nicoletta Dosio, 73 anni, storica militante del movimento No Tav valsusino.
Carabinieri hanno prelevato Dosio nella sua abitazione di Bussoleno e la stanno conducendo in questo momento al carcere Lorusso e Cutugno di Torino….”

30 dic 19 Lagenda :
MOVIMENTO NOTAV, NICOLETTA DOSIO PORTATA IN CARCERE A TORINO
Condannata in via definitiva ha rifiutato misure differenti
.Quattrocento NoTav arrivarono al pedaggio di Avigliana e alzarono le sbarre del casello.
Poi dopo una mezz’ora se ne andarono.
Un’azione che aveva permesso ad altri manifestanti di salire, non era la prima volta, sulle rampe dell’uscita di Chianocco.
Dopo aver rimosso i new jersey, i NoTav avevano lasciato lo svincolo di Chianocco per marciare in corteo verso Bussoleno.
I manifestanti avevano poi distribuito agli automobilisti un volantino dal titolo: “Oggi paga Monti”.…”

30 dic 19 Valsusa oggi:
ARRESTATA NICOLETTA DOSIO, STORICA ATTIVISTA NO TAV
Lunedì 30 dicembre è stata arrestata Nicoletta Dosio, storica attivista No Tav. Proprio oggi le era stata notificata la sospensione delle misure alternative. La Dosio sarà portata in carcere. “Stanno arrestando Nicoletta, vergogna allo stato italiano” – commenta il Movimento No Tav.
Alcuni manifestanti No Tav stanno tentando di bloccare, in via San Lorenzo, l’automobile dei carabinieri che deve portare la Dosio in carcere….”

30 dic 19 Stampa :
ARRESTATA LA PASIONARIA NO TAV, CAPODANNO IN CARCERE PER NICOLETTA DOSIO
I carabinieri l’hanno prelevata nella sua casa di Bussoleno, in Val di Susa
Francesco Falcone
.La macchina dei carabinieri ha dovuto procedere lentamente per evitare di aumentare la tensione, visto che sono stati molti i manifestanti scesi in strada per protesta nella zona di via San Lorenzo. 
E’ stata questione di una manciata di minuti: arrivata al sottopasso di via Traforo l’auto dei carabinieri è riuscita a proseguire per Torino.
Tra 60 e 100 i manifestanti che hanno inscenato il presidio da casa di Nicoletta Dosio verso il centro paese tra fischi dei manifestanti. 
In serata è arrivato anche il commento sull’arresto, via Facebook, da parte del segretario metropolitano del Pd di Torino Mimmo Carretta: «L’arresto di #nicolettadosio lo trovo una misura eccessiva, evitabile. Non condivido nulla delle sue battaglie, ma così non va».

30 dic 19 Repubblica:
FINISCE IN CARCERE NICOLETTA DOSIO, LA PASIONARIA NO TAV HA RIFIUTATO MISURE ALTERNATIVE
La settantatreenne era stata condannata per una protesta del 2012, in cui un gruppo di manifestanti aveva aperto le sbarre di un casello autostradale
di Camilla Cupelli

30 dic 19 Fanpage :
NO TAV, ARRESTATA NICOLETTA DOSIO: L’ATTIVISTA 73ENNE PRELEVATA DA CASA DAI CARABINIERI
È stata prelevata da casa sua dai carabinieri dopo la revoca della sospensiva delle misure di carcerazione….”

L’appello di Potere al popolo
MOBILITIAMOCI PER NICOLETTA DOSIO!
Hanno arrestato Nicoletta Dosio, 74 anni, tra le fondatrici del movimento NO TAV e coordinatrice nazionale di Potere al Popolo!
Stamattina le avevano notificato la sospensione delle misure alternative.
Nessuna sbarra potrà fermare chi combatte per la libertà.
A Nicoletta arriverà tutto il nostro calore e il nostro abbraccio.
Chiediamo la liberazione immediata di tutte e tutti i notav detenuti per le loro mobilitazioni.
Diffondiamo la notizia, restiamo aggiornati per i prossimi momenti di solidarietà. Non resteremo in silenzio!
Nicoletta libera, notav liberi!  [CONTINUA]
PRESIDI (in aggiornamento) in tutta Italia:
 [Milano] – Presidio sotto la Prefettura – ore 12
 [Roma] – Presidio – ore 16
 [Napoli]  Presidio a Largo Berlinguer – ore 10.30
 [Bologna] – Presidio alle Due Torri – ore 14
 [Reggio Calabria] – Presidio in Piazza Italia – ore 17
[Firenze] Presidio sotto la Prefettura – ore 15.30
[Taranto] Presidio al Tribunale – ore 11.45
[Grosseto] Presidio sotto la Prefettura – ore 11.30
[Pisa] Presidio Piazza XX Settembre – ore 12
[Cagliari] Presidio sotto la Prefettura – ore 15


SEGNALIAMO ANCHE
In nome di chi? (di Erri De Luca) e La lezione di libertà di Nicoletta (di Marco Arturi) in “bottega”
comune-info.net/un-mondo-a-colori : l’ultimo articolo scritto da Nicoletta prima dell’arresto

da qui

lunedì 30 dicembre 2019

Le cure per i ricchi e la politica dei farmaci - Nicoletta Dentico



Nel 2018 il budget per la farmaceutica è esploso in molti Paesi, Italia inclusa, per il costo di salvavita per patologie croniche o malattie rare. Servono nuove trattative globali con le case produttrici, che l’Aifa aveva appena intrapreso. E ora?

Sono trascorsi venti anni esatti da quando a Seattle, alla prima Conferenza Interministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc), prorompeva sui media del mondo – grazie alla mobilitazione della società civile – il tema dell’accesso ai farmaci essenziali, e del pericoloso nuovo regime globale sui brevetti istituito con l’accordo TRIPS (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights), che istituzionalizzava la creazione di monopoli industriali fra cui, nella fattispecie, quello farmaceutico. Una questione sconosciuta e spinosissima, allora. Il virus dell’HIV/Aids aveva attecchito in diverse aree del sud del mondo con le fattezze di una pandemia inarrestabile, e con livelli di prevalenza semplicemente spaventosi soprattutto in Africa sub-sahariana, in Paesi da poco pacificati come il Sudafrica e il Mozambico. Gli unici farmaci a disposizione per curare i pazienti, gli antiretrovirali sviluppati e prodotti nel Nord industrializzato, avevano un prezzo talmente inafferrabile che il 95% dei malati non riuscivano a procurarseli. I governi a basso reddito non potevano in alcun modo comprare quei farmaci di lusso. Così le morti si sprecavano, anzi si sprecavano le vite, in nome del profitto di Big pharma. Mai prima era accaduto, nella storia della medicina, che una terapia salvavita fosse così inavvicinabile e distante dai malati che maggiormente ne avevano bisogno. Intorno a questa impietosa omissione di soccorso, una delle pagine più ruvide della globalizzazione, si attivò una campagna globale di esperti e organizzazioni, medici e pazienti, che da allora prosegue senza soluzione di continuità.  
E in effetti, dopo due decenni, l’accesso ai farmaci essenziali non solo non è risolto per i Paesi impoveriti, ma ora agguanta come un virus anche il mondo occidentale. Non è un ironico rigurgito della storia, semmai una profezia largamente anticipata da molti esperti sul tema, che si è fatta incalzante realtà: da qualche tempo, le nuove classi di farmaci che la ricerca genetica sviluppa con grande impulso innovativo – 46 nuovi prodotti sono stati lanciati solo negli ultimi cinque anni – impongono ai Paesi ricchi di affrontare ostacoli insormontabili per i bilanci sanitari, se vogliono garantire ai loro cittadini nuove cure essenziali. Il primo assaggio del nuovo scenario si è presentato con i farmaci antitumorali di ultima generazione, ma gli esempi di medicinali con prezzi fuori controllo sono ormai molteplici.
Ci ha provato Luca Li Bassi, direttore generale dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) approdato in Italia un anno fa dopo una lunga carriera internazionale come medico ed esperto di management sanitario, a prendere il toro per le corna. Alla fine del 2018, in accordo con l’allora ministra Giulia Grillo, il neo direttore generale ha avviato una sorta di rivoluzione della gestione del rapporto con il mondo farmaceutico prendendo di mira la fitta coltre di opacità che domina sul ciclo di vita dei medicinali e che impone ai governi una negoziazione “alla cieca” del prezzo dei farmaci con le imprese multinazionali. Aifa, come tutte le agenzie nazionali del farmaco, è l’organismo pubblico responsabile della buona salute della popolazione; seleziona accuratamente i farmaci che possono entrare nel mercato in un’ottica di sostenibilità della spesa per i medicinali nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).  
Li Bassi si è messo al lavoro con i ministeri competenti (Salute e Affari esteri) e ha scoperto che esistono già direttive europee e risoluzioni internazionali che impongono la trasparenza su brevetti, studi clinici, prezzo dei farmaci. Innanzitutto, la Direttiva UE sulla Trasparenza del dicembre 1988 per lo sviluppo di un mercato competitivo nei paesi dell’Unione. Infine, ultima in ordine di tempo, la risoluzione del Parlamento Europeo del marzo 2017 per promuovere l’accesso ai farmaci essenziali. Strumenti approvati e rimasti lettera morta. Dispositivi da applicare con senso di priorità perché “il muro della riservatezza non giova alla salute pubblica”, mi dice in un colloquio nel suo ufficio a settembre.
Ma non basta farlo in un solo Paese. Così, con intuizione, Li Bassi ha rilanciato con intelligenza la palla nel campo di gioco a lui più familiare, all’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), così da far leva anche sui governi del Sud globale per guadagnare un graduale consenso. La sua demarche sulla trasparenza del prezzo dei farmaci ha preso di sorpresa un po’ tutti – l’Italia non è in genere una gran protagonista della salute sul piano internazionale – ma ha innescato un dirompente effetto domino di dibattiti e iniziative politiche, per approdare alla risoluzione che il nostro Paese ha lanciato a febbraio e presentato a maggio 2019 con altri dieci governi alla assemblea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (http://apps.who.int/gb/ebwha/pdf_files/WHA72/A72_ACONF2Rev1-en.pdf). Una “risoluzione storica”, come l’ha definita il direttore generale dell’Oms. Un game changer, un cambio di gioco che ha stimolato una nuova consapevolezza politica sul tema della relazione fra governi e settore farmaceutico; ha alimentato il fuoco di un nuovo dialogo pubblico nei dibattiti parlamentari di alcuni Paesi europei. Grazie alla risoluzione, il governo del Sudafrica ha riportato il tema in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Nuovi processi di collaborazione fra governi e agenzie nazionali del farmaco sono scaturiti in Europa –  il cosiddetto Valletta Group, composto da 9 paesi UE.

Che servisse una terapia d’urto della politica per riorientare il mercato lo spiegano i dati: nel 2018, è cresciuto a vista d’occhio (+42%) l’impatto sulla spesa farmaceutica globale delle terapie contro le malattie croniche complesse. In Europa la questione era esplosa con una certa durezza per via del farmaco Sofosbuvir contro l’epatite C, lanciato a dicembre 2013 negli Stati Uniti al costo di 84 mila dollari, in Italia circa 41 mila euro a trattamento in regime ospedaliero (74 mila euro per acquisto privato in farmacia), per una terapia di 12 settimane. Di fronte al potenziale collasso per i budget sanitari nazionali, diversi Paesi della UE in quella occasione avevano fatto a gara tra loro per spuntare il prezzo migliore per il farmaco con la azienda Gilead Sciences, con trattative del tutto segretate.
Dal canto suo, la Norvegia dichiara di essere preoccupata dalla sfida democratica che l’attuale scenario comporta, e dalle ripercussioni sulla salute delle popolazioni – nel 2018 il governo norvegese ha dovuto rifiutare il 51% dei nuovi farmaci sul mercato, a causa di prezzi troppo elevati. Per questo appoggia la proposta dell’Italia. Basti pensare infine alla terapia che l’agenzia del farmaco statunitense ha autorizzato a luglio per la vendita negli USA, e che è stato raccontato come il “medicinale più costoso della storia”. Mi riferisco a Zolgensma, prodotto da Novartis: la prima terapia genetica che cura la atrofia muscolare spinale (SMA) nei bambini sotto i due anni, a un prezzo di 2,125 milioni di dollari!  Viene da chiedersi: ma a chi serve un’innovazione che nessuno può permettersi? 
Ora, invece di sostenere e accompagnare questo faticoso ma premiante percorso di cui è protagonista, l’Italia che fa? Per quella vocazione all’autofagia che contraddistingue il nostro Paese, nel passaggio dal governo gialloverde al governo giallorosso l’Italia compromette definitivamente questo straordinario e innovativo esercizio di leadership, esautorando Luca Li Bassi dal posto di comando di Aifa.  Oggi, 9 dicembre, è il suo ultimo giorno di lavoro. 
Ricopre il ruolo di ministro della Sanità da poche settimane Roberto Speranza quando, il 24 ottobre, apre un nuovo bando per l’incarico di dirigere Aifa.  Spoil system, si dice. Questa almeno la giustificazione consegnata a Luca Li Bassi. Se così fosse, in una compagine governativa che ancora comprende il Movimento 5 Stelle, il ministro Speranza farebbe l’errore clamoroso e imperdonabile di prediligere una figura di forte obbedienza politica a una persona di forte competenza e credibilità internazionale, come Li Bassi. Un medico che sa di farmaci, ma ha anche spiccate doti politiche di mediatore e soprattutto una chiara visione di salute pubblica. Se il motivo fosse invece legato più a dinamiche di gestione della agenzia o a scontri interni di potere, come mi è parso di intuire cercando di interloquire nel frattempo con alcune tra le persone più vicine al ministro, allora Speranza farebbe un errore, ugualmente clamoroso e imperdonabile. Quello di non saper gestire la vicenda con la necessaria contezza delle conseguenze geopolitiche della sua decisione, o con la creatività istituzionale adatta a salvaguardare la leadership conquistata da Aifa nell’ultimo anno sulla scena internazionale. 
Speranza deve sapere che la sua scelta danneggia pesantemente un ambizioso processo diplomatico di salute globale. E’ un peccato che non abbia dato ascolto all’appello firmato dalle principali organizzazioni impegnate nel mondo da anni per l’accesso ai farmaci , a sostegno di Li Bassi. 
Speranza deve sapere anche che la sua decisione affossa l’Italia. Non solo per la incommensurabile fragilità dei processi che il Paese intraprende. L’interpretazione intorno alla rimozione dopo un anno del direttore generale di Aifa, fuori dai confini nazionali, sarà intuitiva. Il governo italiano si è fatto intimidire dall’industria farmaceutica, la quale non è rimasta inerte, a fronte del risveglio della politica internazionale. Non possiamo sapere quanto sia verosimile questa supposizione. Di certo sarà univoco il sentimento generale: se neppure un paese del G7 riesce a tener testa alla lobby farmaceutica, per provare a ricreare i presupposti essenziali di un mercato disciplinato, chi altri mai potrà farlo? 
Ritorni sui suoi passi, ministro Speranza. Dopo anni di incrostazioni di potere ad Aifa, preservi il positivo criterio di discontinuità introdotto da chi l’ha preceduto, nel segno della competenza e della visione. Faccia restare Luca Li Bassi alla direzione generale di Aifa, e lo faccia lavorare per i prossimi anni, come previsto dal suo contratto.  Ci lasci una speranza, per favore!
Le cure per i ricchi e la politica dei farmaci
10 Dicembre 2019 Sezione: primo pianoSocietà
Nel 2018 il budget per la farmaceutica è esploso in molti Paesi, Italia inclusa, per il costo di salvavita per patologie croniche o malattie rare. Servono nuove trattative globali con le case produttrici, che l’Aifa aveva appena intrapreso. E ora?
Sono trascorsi venti anni esatti da quando a Seattle, alla prima Conferenza Interministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc), prorompeva sui media del mondo – grazie alla mobilitazione della società civile – il tema dell’accesso ai farmaci essenziali, e del pericoloso nuovo regime globale sui brevetti istituito con l’accordo TRIPS (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights), che istituzionalizzava la creazione di monopoli industriali fra cui, nella fattispecie, quello farmaceutico. Una questione sconosciuta e spinosissima, allora. Il virus dell’HIV/Aids aveva attecchito in diverse aree del sud del mondo con le fattezze di una pandemia inarrestabile, e con livelli di prevalenza semplicemente spaventosi soprattutto in Africa sub-sahariana, in Paesi da poco pacificati come il Sudafrica e il Mozambico. Gli unici farmaci a disposizione per curare i pazienti, gli antiretrovirali sviluppati e prodotti nel Nord industrializzato, avevano un prezzo talmente inafferrabile che il 95% dei malati non riuscivano a procurarseli. I governi a basso reddito non potevano in alcun modo comprare quei farmaci di lusso. Così le morti si sprecavano, anzi si sprecavano le vite, in nome del profitto di Big pharma. Mai prima era accaduto, nella storia della medicina, che una terapia salvavita fosse così inavvicinabile e distante dai malati che maggiormente ne avevano bisogno. Intorno a questa impietosa omissione di soccorso, una delle pagine più ruvide della globalizzazione, si attivò una campagna globale di esperti e organizzazioni, medici e pazienti, che da allora prosegue senza soluzione di continuità.  
E in effetti, dopo due decenni, l’accesso ai farmaci essenziali non solo non è risolto per i Paesi impoveriti, ma ora agguanta come un virus anche il mondo occidentale. Non è un ironico rigurgito della storia, semmai una profezia largamente anticipata da molti esperti sul tema, che si è fatta incalzante realtà: da qualche tempo, le nuove classi di farmaci che la ricerca genetica sviluppa con grande impulso innovativo – 46 nuovi prodotti sono stati lanciati solo negli ultimi cinque anni – impongono ai Paesi ricchi di affrontare ostacoli insormontabili per i bilanci sanitari, se vogliono garantire ai loro cittadini nuove cure essenziali. Il primo assaggio del nuovo scenario si è presentato con i farmaci antitumorali di ultima generazione, ma gli esempi di medicinali con prezzi fuori controllo sono ormai molteplici.
Ci ha provato Luca Li Bassi, direttore generale dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) approdato in Italia un anno fa dopo una lunga carriera internazionale come medico ed esperto di management sanitario, a prendere il toro per le corna. Alla fine del 2018, in accordo con l’allora ministra Giulia Grillo, il neo direttore generale ha avviato una sorta di rivoluzione della gestione del rapporto con il mondo farmaceutico prendendo di mira la fitta coltre di opacità che domina sul ciclo di vita dei medicinali e che impone ai governi una negoziazione “alla cieca” del prezzo dei farmaci con le imprese multinazionali. Aifa, come tutte le agenzie nazionali del farmaco, è l’organismo pubblico responsabile della buona salute della popolazione; seleziona accuratamente i farmaci che possono entrare nel mercato in un’ottica di sostenibilità della spesa per i medicinali nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).  
Li Bassi si è messo al lavoro con i ministeri competenti (Salute e Affari esteri) e ha scoperto che esistono già direttive europee e risoluzioni internazionali che impongono la trasparenza su brevetti, studi clinici, prezzo dei farmaci. Innanzitutto, la Direttiva UE sulla Trasparenza del dicembre 1988 per lo sviluppo di un mercato competitivo nei paesi dell’Unione. Infine, ultima in ordine di tempo, la risoluzione del Parlamento Europeo del marzo 2017 per promuovere l’accesso ai farmaci essenziali. Strumenti approvati e rimasti lettera morta. Dispositivi da applicare con senso di priorità perché “il muro della riservatezza non giova alla salute pubblica”, mi dice in un colloquio nel suo ufficio a settembre.
Ma non basta farlo in un solo Paese. Così, con intuizione, Li Bassi ha rilanciato con intelligenza la palla nel campo di gioco a lui più familiare, all’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), così da far leva anche sui governi del Sud globale per guadagnare un graduale consenso. La sua demarche sulla trasparenza del prezzo dei farmaci ha preso di sorpresa un po’ tutti – l’Italia non è in genere una gran protagonista della salute sul piano internazionale – ma ha innescato un dirompente effetto domino di dibattiti e iniziative politiche, per approdare alla risoluzione che il nostro Paese ha lanciato a febbraio e presentato a maggio 2019 con altri dieci governi alla assemblea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (http://apps.who.int/gb/ebwha/pdf_files/WHA72/A72_ACONF2Rev1-en.pdf). Una “risoluzione storica”, come l’ha definita il direttore generale dell’Oms. Un game changer, un cambio di gioco che ha stimolato una nuova consapevolezza politica sul tema della relazione fra governi e settore farmaceutico; ha alimentato il fuoco di un nuovo dialogo pubblico nei dibattiti parlamentari di alcuni Paesi europei. Grazie alla risoluzione, il governo del Sudafrica ha riportato il tema in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Nuovi processi di collaborazione fra governi e agenzie nazionali del farmaco sono scaturiti in Europa –  il cosiddetto Valletta Group, composto da 9 paesi UE.

Che servisse una terapia d’urto della politica per riorientare il mercato lo spiegano i dati: nel 2018, è cresciuto a vista d’occhio (+42%) l’impatto sulla spesa farmaceutica globale delle terapie contro le malattie croniche complesse. In Europa la questione era esplosa con una certa durezza per via del farmaco Sofosbuvir contro l’epatite C, lanciato a dicembre 2013 negli Stati Uniti al costo di 84 mila dollari, in Italia circa 41 mila euro a trattamento in regime ospedaliero (74 mila euro per acquisto privato in farmacia), per una terapia di 12 settimane. Di fronte al potenziale collasso per i budget sanitari nazionali, diversi Paesi della UE in quella occasione avevano fatto a gara tra loro per spuntare il prezzo migliore per il farmaco con la azienda Gilead Sciences, con trattative del tutto segretate.
Dal canto suo, la Norvegia dichiara di essere preoccupata dalla sfida democratica che l’attuale scenario comporta, e dalle ripercussioni sulla salute delle popolazioni – nel 2018 il governo norvegese ha dovuto rifiutare il 51% dei nuovi farmaci sul mercato, a causa di prezzi troppo elevati. Per questo appoggia la proposta dell’Italia. Basti pensare infine alla terapia che l’agenzia del farmaco statunitense ha autorizzato a luglio per la vendita negli USA, e che è stato raccontato come il “medicinale più costoso della storia”. Mi riferisco a Zolgensma, prodotto da Novartis: la prima terapia genetica che cura la atrofia muscolare spinale (SMA) nei bambini sotto i due anni, a un prezzo di 2,125 milioni di dollari!  Viene da chiedersi: ma a chi serve un’innovazione che nessuno può permettersi? 
Ora, invece di sostenere e accompagnare questo faticoso ma premiante percorso di cui è protagonista, l’Italia che fa? Per quella vocazione all’autofagia che contraddistingue il nostro Paese, nel passaggio dal governo gialloverde al governo giallorosso l’Italia compromette definitivamente questo straordinario e innovativo esercizio di leadership, esautorando Luca Li Bassi dal posto di comando di Aifa.  Oggi, 9 dicembre, è il suo ultimo giorno di lavoro. 
Ricopre il ruolo di ministro della Sanità da poche settimane Roberto Speranza quando, il 24 ottobre, apre un nuovo bando per l’incarico di dirigere Aifa.  Spoil system, si dice. Questa almeno la giustificazione consegnata a Luca Li Bassi. Se così fosse, in una compagine governativa che ancora comprende il Movimento 5 Stelle, il ministro Speranza farebbe l’errore clamoroso e imperdonabile di prediligere una figura di forte obbedienza politica a una persona di forte competenza e credibilità internazionale, come Li Bassi. Un medico che sa di farmaci, ma ha anche spiccate doti politiche di mediatore e soprattutto una chiara visione di salute pubblica. Se il motivo fosse invece legato più a dinamiche di gestione della agenzia o a scontri interni di potere, come mi è parso di intuire cercando di interloquire nel frattempo con alcune tra le persone più vicine al ministro, allora Speranza farebbe un errore, ugualmente clamoroso e imperdonabile. Quello di non saper gestire la vicenda con la necessaria contezza delle conseguenze geopolitiche della sua decisione, o con la creatività istituzionale adatta a salvaguardare la leadership conquistata da Aifa nell’ultimo anno sulla scena internazionale. 
Speranza deve sapere che la sua scelta danneggia pesantemente un ambizioso processo diplomatico di salute globale. E’ un peccato che non abbia dato ascolto all’appello firmato dalle principali organizzazioni impegnate nel mondo da anni per l’accesso ai farmaci , a sostegno di Li Bassi. 
Speranza deve sapere anche che la sua decisione affossa l’Italia. Non solo per la incommensurabile fragilità dei processi che il Paese intraprende. L’interpretazione intorno alla rimozione dopo un anno del direttore generale di Aifa, fuori dai confini nazionali, sarà intuitiva. Il governo italiano si è fatto intimidire dall’industria farmaceutica, la quale non è rimasta inerte, a fronte del risveglio della politica internazionale. Non possiamo sapere quanto sia verosimile questa supposizione. Di certo sarà univoco il sentimento generale: se neppure un paese del G7 riesce a tener testa alla lobby farmaceutica, per provare a ricreare i presupposti essenziali di un mercato disciplinato, chi altri mai potrà farlo? 
Ritorni sui suoi passi, ministro Speranza. Dopo anni di incrostazioni di potere ad Aifa, preservi il positivo criterio di discontinuità introdotto da chi l’ha preceduto, nel segno della competenza e della visione. Faccia restare Luca Li Bassi alla direzione generale di Aifa, e lo faccia lavorare per i prossimi anni, come previsto dal suo contratto.  Ci lasci una speranza, per favore!

La violenza estrattivista in chiave italiana - Alberto Acosta



[L’economista Alberto Acosta Espinosa è fra i padri della Costituzione dell’Ecuador del 2008, l’unica a riconoscere la Natura come soggetto di diritto.
Sostenitore della prima ora della Revolución Ciudadana, ha ricoperto il ruolo di Ministro dell’Energia e delle Miniere nel primo governo di Rafael Correa, prima di maturare la rottura con il Correismo su posizioni antiestrattiviste ed antiautoritarie.
Attualmente è autorevole membro del Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura, e pienamente interno al dibattito dei movimenti ecuadoriani che hanno animato la rivolta contro le politiche del governo di Lenin Moreno e del FMI.
In occasione della sua presenza in Italia all’incontro “Estrattivismo. Diritti della Natura, diritti dei Popoli“, si è confrontato  con i compagni e le compagne della Associazione Bianca Guidetti Serra in merito alle ripercussioni dell’estrattivismo sulle società, sugli Stati e sulle classi sociali, ed ai conflitti ad esso correlati.
Quella che segue è la prima parte di questo confronto.]
[Ass.BGS] Da alcuni mesi l’America Latina è in rivolta, dal Cile all’Ecuador, da Haiti alla Colombia. Come si inseriscono in questo contesto i conflitti generati dall’estrattivismo?

[Acosta] Il concetto di estrattivismo è un concetto relativamente nuovo.
Quando ci accingiamo ad analizzarlo dobbiamo ricondurlo alla storia dei nostri paesi, di questa regione del mondo e delle sue relazioni con l’economia globale.
L’America Latina è stata integrata nel mercato mondiale circa 500 anni fa come una regione produttrice ed esportatrice di materie prime,  e possiamo dire che questa essenza di esportatrice di risorse primarie della nostra economia si mantiene fino al’attualità.
Ci sono molte storie differenti, ogni paese può contare sulla sua specificità, ma c’è una specie di scenario di fondo che spiega la storia dell’America Latina vista dalla prospettiva dell’estrattivismo.
I paesi dell’America Latina sono “paesi prodotto”: paesi caffè, paesi cacao, paesi bananieri, paesi minerari, paesi petroliferi.
C’è sempre qualche prodotto che caratterizza non solo l’economia ma anche la vita politica e la società di queste nazioni.
Questo è sempre stato un processo carico di violenza, sia contro la natura che contro le comunità.
Ha portato schiavismo, distruzione delle comunità indigene, un processo di deterioramento massivo della natura: deforestazione, perdita di suoli agricoli.
E questi processi  si stanno intensificando, perché negli ultimi dieci anni si è sviluppata una domanda mondiale crescente di prodotti primari che sta provocando un maggior impatto, una pressione maggiore sopra le risorse, sulla natura e sulle comunità in America Latina.
Inoltre molti giacimenti minerari dei paesi del nord, come in Canada, sono diventati di più difficile accesso, perché la società si organizza, ed ha stabilito norme ambientali.
Di conseguenza si cercano risorse in altre parti del pianeta, dove si genera un’altra caratteristica di questo tipo di attività: il gigantismo.
Sono progetti giganteschi, enormi, che provocano tremenda distruzione, un tremendo impatto, e per questo le comunità hanno cominciato a resistere con una forza maggiore.
Anche prima c’era resistenza. C’è sempre stata. Ma le resistenze di adesso sono molto più potenti dal momento che le pressioni sono maggiori, e le comunità hanno più coscienza.
Io direi che è anche il risultato degli avanzamenti tecnologici, perché ora la gente ha la possibilità di conoscere più facilmente queste realtà.
Sono resistenze che hanno messo definitivamente in discussione quel discorso dominante che ci diceva che per progredire bisognava fare certi sacrifici.
E invece non è così, perché stiamo vedendo che i sacrifici continuiamo a farli e non progrediamo mai, ma al contrario i problemi continuano ad acutizzarsi.
In questo contesto bisogna collocare l’estrattivismo in America Latina.
Possiamo dire che gran parte dei problemi che sta attraversando l’America Latina nell’attualità, indipendentemente dall’orientamento dei governi, ha a che fare con la problematica estrattivista.
[Ass.BGS] Qual’è la situazione nei singoli paesi ?
Ci sono differenze in base agli orientamenti politici dei governi ?
[Acosta] Ci sono situazioni molto complicate riguardo ai singoli paesi.
Abbiamo visto per esempio resistenze realmente interessanti in Bolivia davanti a un governo progressista, il governo di Evo Morales.
La gente ha resistito davanti all’intenzione di costruire una strada nel TIPNIS, il Territorio Indigeno e Parco Nazionale Isiboro Sécure1. Indigeni che hanno resistito di fronte al governo di un indigeno, perché questo governo approfondiva l’estrattivismo.
Abbiamo un paese con un governo neoliberista, la Colombia, dove le comunità – indigene e non indigene – stanno resistendo all’estrazione mineraria, e lo fanno anche con molta forza.
Ci sono gli esempi di resistenza pacifica in Colombia contro grandi imprese minerarie nel Dipartimento del Tolima, che affrontano una delle multinazionali minerarie più grandi del pianeta, la Anglo Gold Ashanti2.
Sempre in Colombia c’è la resistenza per preservare le lagune del Los Paramos3, e anche in Perù, in tutta la zona di Cajamarca4.
Stiamo vedendo anche il caso del Cile5 e dell’Argentina6, dove si lotta per impedire l’ampliamento dell’attività mineraria nel sud, nella zona dei ghiacciai.
Ci sono anche situazioni molto complicate in Ecuador, nel mio paese. E’ il paese che ha inserito nella Costituzione i diritti della Natura, che però non sono rispettati, anche se le comunità li reclamano.
C’è l’esempio della lotta degli Yasunidos [i difensori del Parco Nazionale dello Yasunì.NdR], che hanno fatto un enorme sforzo per proteggere una piccola regione nell’Amazzonia ecuadoriana da un progetto di estrazione petrolifera.
La resistenza non ha raggiunto l’obiettivo  perché il presidente dell’epoca, Rafael Correa, si è opposto alla richiesta di referendum7.
In  vari casi si ricorre a consultazioni popolari per cercare di frenare queste attività, come succede per esempio in Colombia, ed è molto interessante il fatto che queste resistenze siano di diversa natura, spesso muovendosi dentro al “labirinto giuridico”.
Parlo di labirinto giuridico perché i difensori della natura vengono perseguitati, criminalizzati, per il fatto di difendere la natura e difendere la loro vita.
Però questa gente ha anche imparato a muoversi dentro il labirinto giuridico per frenare l’estrattivismo.
Con diversi tipi di governo, con diversi tipi di lotta, in America Latina in questo momento c’è un processo per cercare di recuperare qualcosa di fondamentale: il diritto alla vita.
Perché gli estrattivismi sono stati storicamente, e ora ancor di più, una minaccia permanente per la vita.
Questo sistema vive per soffocare la vita, degli esseri umani e della natura.
[Ass.BGS] Paradossalmente i paesi che hanno più materie prime sono quelli più autoritari. Quali sono le conseguenze dell’estrattivismo sulla società e sullo Stato?
[Acosta] Gli estrattivismi caratterizzano l’economia, le società, e la vita politica.
Creano  economie basate sulla rendita, Stati rentiers.
Queste risorse economiche generano logiche sociali clientelari, e questo finisce per debilitare in ambito politico la vita democratica. Non è una caso che la crescita dell’estrattivismo vada di pari passo con la crescita dell’autoritarismo e del presidenzialismo.
L’iperestrattivismo coincide con l’iperpresidenzialismo, caratterizzato da governi autoritari, governi violenti, governi corrotti.
Gli estrattivismi sono violenti per definizione.
La violenza per l’estrattivismo – questo per me è fondamentale – non è una conseguenza ma una condizione necessaria.
Per provocare simili distruzioni della Madre Terra – come le amputazioni per un progetto minerario, o l’inquinamento tremendo di grandi territori per un progetto petrolifero – è necessaria la violenza.
E le comunità sono le vittime di questa violenza.
Torno al punto iniziale: l’estrattivismo costituisce uno scenario di fondo della storia e della realtà attuale.
E mi pongo la seguente domanda:  i nostri paesi sono poveri perché ricchi di risorse naturali?
C’è forse una sorta di maledizione, la maledizione dell’abbondanza.
Nella teoria economica si parla della maledizione delle risorse e del paradosso dell’abbondanza. Ne ho fatto una sintesi, la “maledizione dell’abbondanza”, per spiegare la realtà di queste economie8.
Però la vera maledizione è credere che non ci siano alternative, una maledizione che ha conformato l’immaginario della gente.
Il caso dell’Ecuador è paradigmatico: paese caffettero, paese cacaulero, paese bananero, paese petrolero, e ora che sta finendo il petrolio vogliamo essere un paese minero.
Non riusciamo ad immaginare un paese che non dipenda da una rendita della natura.
Allo stesso tempo siamo avvinghiati al progresso: non possiamo mettere a rischio il progresso, non possiamo mettere a rischio la crescita economica.
In nome di questo sacrifichiamo delle realtà.
Considero gli estrattivismi al plurale, perché non c’è ne è solo uno: c’è l’estrattivismo petrolifero, minerario,  agroindustriale, forestale …
Ebbene, gli estrattivismi cominciano ad essere presenti anche nei paesi del nord globale.
In Europa e negli USA c’è il problema del fracking, delle attività minerarie, e delle megaopere infrastrutturali collegate a progetti per trasportare gas, per trasportare petrolio, progetti per rendere la vita sempre più rapida, non in funzione di un miglioramento delle condizioni di vita della gente, ma per garantire una maggiore accumulazione del capitale.
[Ass.BGS] C’è una relazione abbastanza stretta con quella che era la maledizione della economia di enclave, soprattutto in Centro America,  dove  per esempio le infrastrutture, porti  o ferrovie ecc., erano esclusivamente finalizzate al trasporto della merce, e non al trasporto delle persone.
[Acosta] Gli estrattivismi, in diversa maniera, finiscono per produrre processi di de-territorializzazione dello Stato, che organizza la società al fine di collocare questi prodotti primari nel mercato mondiale.
Per me è sempre stata motivo di attenzione la rete ferroviaria argentina.
Ora non ne è rimasto molto perché è stata privatizzata e smantellata, però era come un flusso di vene dirette interamente verso Buenos Aires, perché in ogni parte la rete ferroviaria era stata pensata non per integrare l’Argentina con gli argentini, ma per integrare l’Argentina col mercato mondiale.

Questa logica è ancora presente in America Latina: si chiama I.I.R.S.A. (Iniciativa para la Integración de la Infraestructura Regional Suramericana), che è un sistema per integrare tutte le risorse naturali dell’America Latina nel mercato mondiale9. E’ un sistema progettato nel 2000 per impulso del Banco Interamericano de Desarrollo10.
In seguito, con i governi progressisti di Brasile, Argentina, Venezuela, Bolivia, Ecuador, e dello stesso Cile, si diede il via al CO.S.I.PLAN. (Consejo Suramericano de Infraestructura y Planeamiento), che è la stessa cosa, non è un cambiamento11.
L’America Latina con i governi progressisti non ha superato la maledizione dell’abbondanza, ma ha approfondito l’estrattivismo.
I problemi non sono stati risolti, la frustrazione aumenta, e questa è una delle principali spiegazioni dei conflitti.
Abbiamo società dove la gioventù sta perdendo la speranza. Non cerca più un’opzione di futuro, non cerca più una proposta politica per una via d’uscita, ma esce in strada a protestare per la frustrazione.
Per questo è importante evitare di costruire le nostre analisi sulla base di vecchi meccanismi, sulle nostre vecchie forme di interpretazione del mondo. Dobbiamo rifondarle, lasciare da parte le semplificazioni, per poter comprendere ciò che sta succedendo nella regione. (Continua)

Tratto da Carmilla on line.


3.      Diez páramos amenazados por minería y ganadería en Colombia, El Espectador, 16 febbraio 2016.
4.      Cajamarca: el Valle Llaucano continúa lucha contra la Minera YanacochaObservatorio de Conflictos Mineros en el Perù, 18 novembre 2019.
5.      Adele Lapertosa, Cile, lobby minerarie ostacolano legge per proteggere i ghiacciai, Il Fatto Quotidiano, 15 ottobre 2019.
7.      Verdetto del Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura sul caso Yasuni, 15 agosto 2014.
8.      Alberto Acosta Espinosa, La maldición de la abundancia, Comité Ecuménico de Proyectos CEP, Ediciones Abya-Yala, Quito, 2009, pp. 240.
9.      Ana Esther Ceceña, Paula Aguilar, Carlos Motto, Territorialidad de la dominación: La Integración de la Infraestructura Regional Sudamericana (IIRSA), Buenos Aires, 2007, 60 pp.
Video: IIRSA, La Infraestructura de la Devastacion.
10.  Il progetto dell’ I.I.R.S.A. consiste nella costruzione di 10 assi multimodali – in Europa li chiameremmo “corridoi” – attraverso il Sud America per collegare i grandi centri di produzione con quelli dei consumi, accelerando i trasferimenti delle merci (petrolio, gas, minerali, commodities agroindustriali, acqua, biodiversità) e rafforzandone il controllo. Nella sua fase iniziale il progetto dell’ I.I.R.S.A. è stato fortemente sponsorizzato dagli Stati Uniti.
11.  Nel gennaio 2009 la UNASUR (Unión de Naciones Suramericanas), ha istituito il CO.S.I.PLAN., un consiglio che ha incorporato l’I.I.R.S.A. come foro tecnico in tema di pianificazione delle infrastrutture. Nonostante le promesse di un modello di sviluppo differente, i progressismi sudamericani hanno adottato pienamente la progettualità sviluppata nel precedente contesto neoliberista.

da qui



La violenza estrattivista in chiave italiana - Alberto Acosta


Non ci sono amici nel lavoro,
la nostra amicizia è fondata sugli affari

Don Corleone, Il Padrino

Non arrenderti, sei ancora in tempo
ad arrivare e ricominciare di nuovo,
accettare le tue ombre, seppellire i tuoi timori,
liberare la zavorra, riprendere il volo
 “
Mario Benedetti

Nel bel mezzo del dibattito accademico, è successo l’inaspettato. All’Università del Salento – Lecce, Italia – mentre vari di noi stavano relazionando, è accaduto qualcosa di insolito per un paese considerato sviluppato e democratico, oltre che membro del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite: è stato individuato un agente della “polizia politica (DIGOS) ) mentre riprendeva l’evento, nel tentativo di registrare di nascosto i volti dei partecipanti. La protesta di uno degli organizzatori ha momentaneamente interrotto la “Giornata di Studio con Alberto Acosta. É reato difendere la Natura? L’uso asimmetrico del diritto nei conflitti ambientali”. L’eco sulla stampa locale e nei social network non si è fatto attendere. Il rettore dell’università, Fabio Pollice, si è scusato con il sottoscritto, affermando che “questo centro di studi è un luogo aperto a tutti e al libero confronto di idee. Chiunque può partecipare, sempre rispettando il libero confronto delle persone”. E nello stesso tempo assicurando che il suo “impegno sempre sarà di garantire a tutti questa libertà”.


Questo aneddoto (1) rivela come in tutte le parti del mondo la difesa dei diritti della natura – indissolubilmente legati ai diritti umani – comporta rischi, spesso anche gravi. Senza dubbio viviamo in un mondo perverso. Coloro che difendono la vita umana e la natura causano danno agli interessi di potenti gruppi, e perciò stesso vengono perseguitati, criminalizzati, intimiditi e purtroppo persino uccisi. Pertanto, anche se ciò che è accaduto in quel centro universitario non ha conseguenze più gravi, comunque contribuisce a ricordare ciò che le lotte di resistenza e la costruzione collettiva di alternative devono affrontare.

Sappiamo assai bene, nella Nostra America, che gli estrattivismi e le grandi opere infrastrutturali che li accompagnano comportano rischi enormi, poiché la violenza e la corruzione sono elementi intrinseci in quanto condizioni necessarie per la loro realizzazione. Nella nostra America, la persecuzione e la criminalizzazione dei difensori della vita sono pane quotidiano, sebbene i media spesso li ignorino o li minimizzino. I governi progressisti e neoliberisti, allo stesso modo, violano i diritti e indeboliscono la democrazia espandendo gli estrattivismi. Ma non solo l’America Latina vive tali abusi: questi si verificano anche in altre latitudini.
Alberto Acosta nel Salento
In Italia, è costante la criminalizzazione di coloro che difendono la Natura e i diritti dei suoi difensori, di coloro che si oppongono a grandi opere infrastrutturali e allo svuotamento dei loro territori per aprire le porte a enormi attività di profitto. Esiste un intero sistema che “si basa sull’accaparramento e la finanziarizzazione delle risorse e della terra, in una prospettiva utilitaristica che perpetua valori e azioni sulla base dello sfruttamento ambientale e della violazione dei diritti umani, ignorando il concetto di giustizia climatica e sostenibilità”, come chiaramente affermato in un dettagliato rapporto su questa situazione: Defend the Defenders of the Earth: A dossier on the repression of the salentinian movements (2018), curato dall’avvocato Elena Papadia dell’Associazione Bianca Guidetti Serra e coordinato dal professor Michele Carducci.
I casi sono molteplici. Basti ricordare cosa succede nella penisola salentina, includendo le zone delle province di Lecce, Brindisi e Taranto. In queste terre si registrano una dopo l’altra complesse emergenze ambientali. Per anni, la centrale petrolchimica ENI e la centrale termoelettrica di Brindisi, l’impianto siderurgico ex ILVA a Taranto, hanno generato discussioni nonché l’opposizione da parte di associazioni locali, movimenti civili che difendono la Terra e – in generale – da parte di difensori dei diritti umani, per le loro gravi violazioni delle leggi ambientali nazionali e internazionali, che causano inquinamento, morte e una crisi sanitaria senza precedenti. E ci sono altri casi, come “Colacem SPA“, una fabbrica di cemento a Galatina (vicino a Lecce), una fabbrica considerata “malsana” dall’Agenzia Europea dell’Ambiente; la costruzione di una grande strada – la “S.S.275” – che collegherebbe rapidamente il sud del Salento con il capo di Santa Maria di Leuca: infrastruttura inutile che recherebbe grande danno al tipico paesaggio salentino.
Un’esperienza degna di nota è la “guerra agli ulivi“, come afferma chiaramente Alessandra Cecchi, membro dell’Associazione Bianca Guidetti Serra. Si tratta del progetto di eradicazione di migliaia di ulivi, anche centenari e millenari, con il pretesto della presenza di un batterio, la Xylella Fastidiosa, a cui è attribuita la causa di una fitopatologia che colpisce gli uliveti del Salento. Un batterio considerato – senza prove convincenti – quale causa del rapido essiccamento degli ulivi. Questo progetto di eradicazione è funzionale alle trasformazioni del territorio per operazioni speculative, sia nel segno del neoliberismo agricolo – che cerca di sostituire la coltivazione tradizionale dell’olivo con impianti superintensivi – sia al fine di creare spazi per il settore immobiliare o per installare infrastrutture energetiche, come gasdotti e grandi estensioni di pannelli fotovoltaici.

L’eradicazione di ulivi secolari imposta con la forza pubblica e con un ampio uso di strumenti repressivi ha trovato una resistenza determinata del “Popolo degli Ulivi”. Con solide argomentazioni questo movimento si oppone all’abbattimento degli ulivi affermando che quella fitopatologia può essere trattata con metodi agroecologici. Il piano adottato dalle istituzioni per
fermare l’emergenza (chiamato “Piano Silletti”) non solo riguardava gli alberi “malati” ma anche tutti gli alberi presenti in un raggio di 100 metri, con un uso massiccio di pesticidi e il conseguente grave rischio per la salute della popolazione locale. La magistratura locale ha bloccato il piano per
mancanza di basi scientifiche e per il suo approccio pericoloso, nonostante ciò gli attivisti sono stati (e continuano a essere) processati. Inoltre, l’accesso alla giustizia, imposto dalla Convenzione di Aarhus, è stato negato agli agricoltori locali che hanno rifiutato la distruzione indiscriminata dei
loro ulivi.
In questa regione esiste un altro caso paradigmatico di criminalizzazione di coloro che difendono la vita: l’esperienza del movimento NO-TAP, ovverosia No al TransAdriatic Pipeline (un gasdotto di 5.000 km, che inizia in Azerbaigian, attraversa la Turchia e la Grecia per entrare nel sud Italia). Questo è un grande esempio di resistenza civile, attivismo e difesa della Terra, così come di repressione e persecuzioni giudiziarie. Dal marzo 2017, quando il gasdotto TransAdriatico ha iniziato a lavorare sul lato italiano del progetto, attivisti, gente comune, associazioni e istituzioni locali hanno denunciato pubblicamente la loro opposizione con metodi pacifici e non violenti.
Dopo un’intensa campagna di discredito da parte dei media locali e nazionali, il governo e le autorità, avvalendosi delle forze di polizia, hanno iniziato a reprimere tutte le manifestazioni e iniziative di opposizione; sono state imposte a decine di attivisti (inclusi anziani, madri, politici locali) pesanti sanzioni monetarie per aver partecipato alle manifestazioni; a 15 attivisti è stato impedito per 3 anni l’accesso a Melendugno o ad alcuni territori della provincia di Lecce: la loro libertà di movimento personale è limitata (sono considerati soggetti pericolosi per la sicurezza pubblica e, in alcuni casi, soggetti antisociali); dal 13 novembre al 13 dicembre 2017, è stata imposta una zona rossa attorno al cantiere TAP di San Basilio (vicino a San Foca – Melendugno) con il divieto assoluto di accesso o transito a tutta l’area interessata, sotto lo stretto controllo delle forze di polizia.
La repressione adotta un numero incredibile di procedimenti penali contro gli attivisti al fine di punire a livello legale le loro attività, anche se sono protetti dalla Costituzione. Sono stati anche riportati alcuni episodi di violenza da parte della polizia (ad esempio l’aggressione nei confronti di
un giornalista straniero nell’ottobre del 2017 durante una manifestazione o attacchi contro attivisti feriti dalla polizia nel febbraio e aprile del 2018). Non si tratta solamente di maltrattamenti subiti dagli attivisti in quanto vittime della repressione: non può non provocare indignazione la superficialità di giudici e magistrati locali, da una parte estremamente puntuali nell’indagare e punire gli attivisti, ma non così diligenti nel perseguire allo stesso modo violazioni, comportamenti illegali , abusi da parte della società che realizza il progetto TAP, il governo e altre autorità italiane.
Il rischio per il nostro sistema democratico è reale e tangibile“, sintetizza la relazione di cui sopra con una motivazione giustificata. Questo caso dell’Italia meridionale non è isolato. Ci sono situazioni simili in altri luoghi, in Italia. Ad esempio, spicca la lotta di varie comunità contro il treno ad alta velocità TAV nella regione della Val Susa. Lì i casi di repressione sono molteplici, come indicato dall’impressionante documentazione del recente libro di Xenia Chiaramonte: “Governare il conflitto – La criminalizzazione del Movimento NO TAV” (2019).
Queste violenze legate agli estrattivismi e alle loro grandi opere di infrastruttura, come accade in tutto il pianeta, hanno consolidato processi di resistenza sempre più forti e intensi. Se la violenza estrattivista emerge in tutto il mondo, così è anche per la resistenza. E in Italia l’8 dicembre donne e uomini difensori della vita scenderanno in piazza per una nuova giornata contro le grandi opere che distruggono i territori in memoria del giorno in cui, 14 anni fa, migliaia di persone occuparono il cantiere del treno ad alta velocità TAV in Val Susa.
Tutto ciò dimostra che non possiamo tacere di fronte ad alcun sopruso – per quanto piccolo possa sembrare – sia per noi, per i nostri figli, per i nostri nipoti, sia per tutti coloro che condividono queste lotte per la vita. Non possiamo tollerare restrizioni né minacce, da qualunque parte provengano, specialmente se cercano di intimidire noi che esercitiamo il diritto di esprimere liberamente le nostre opinioni, e che difendiamo i Diritti Umani e i Diritti della Natura. La libertà di pensiero, di espressione e di azione sono fondamentali per costruire democraticamente società sempre più democratiche.
(1)   Quello che è successo quel giorno è solo un piccolo esempio della repressione in quel territorio che resiste alla distruzione ambientale e sociale, come è stato sottolineato in un importante seminario internazionale condotto dai movimenti del Salento e Transnational Institute di Amsterdam nel 2018.