mercoledì 11 dicembre 2019

Chi applaude Greta e vuole il TAV non la racconta giusta - Claudio Giorno




La corsa all’accaparramento di Greta Thunberg registra ogni giorno nuove sospette adesioni; e si fa asfissiante (quasi più dell’effetto-serra) il corteggiamento del Movimento FFF, nato per lo stimolo potente, la coraggiosa intransigenza e la determinazione sorprendenti di una ragazzina che ha avuto il coraggio di denunciare i tanti re nudi che ci circondano e senza che nessuno li indicasse prima alla pubblica disapprovazione.
Visto dalla Valle di Susa questo vero e proprio tentativo di abbraccio mortale rivela particolari addirittura grotteschi: se c’è un luogo dove in 30 anni si sono adoperati tutti i vecchi arnesi oggi raggruppabili nello slogan “ecocompatibilità” è il nostro. “Ecocompatibile” per antonomasia (prima ancora che divenisse d’uso comune lo stesso termine ecologia) fu la realizzazione a scopo idroelettrico di uno dei più grandi bacini d’alta quota (2 mila metri s.l.m.): il lago del Moncenisio, un invaso lungo circa 6 Km ottenuto sbarrando il pendio italiano del valico ceduto alla Francia come “bottino di guerra” ma dove di comune accordo EDF & ENEL (del resto partner anche sul nucleare) realizzarono, decapitando una montagna, una della più grandi dighe in terra d’Europa! Sommergendo per sempre la strada napoleonica, lo storico ospizio, il paese con la sua chiesetta e il piccolo cimitero sotto oltre 300 milioni di metri cubi d’acqua che alimentano le sottostanti centrali idroelettriche in caverna (quella “nostra” è a Venaus): un movimento terra da leccarsi i baffi, per i mafiosi mandati al confino… Poi, più di mezzo secolo dopo, si sbarra, questa volta con calcestruzzo e paratoie metalliche, l’altro versante (quello della Dora Riparia), che viene semi-prosciugato per alimentare un nuovo e moderno sistema idroelettrico marchiato IREN, che dell’ecocompatibilità ha fatto la sua mission, soprattutto grazie alla catena di termovalorizzatori pubblicamente sovvenzionati, a corredo di vecchie e nuove centrali idroelettriche o policombustibile. Nello spazio dei 50 anni racchiusi nell’arco voltaico alla valle viene fatto dono – negli anni ’80 – del raddoppio (quasi completamente in galleria) del binario unico sul tratto più acclive e tortuoso (Bussoleno-Salbetrand) della ferrovia che collega Italia e Francia fin da quando il tutto ancora si chiamava Savoia. Per venire ai giorni nostri agli impegnativi e onerosi lavori di risagomatura del traforo ferroviario del Frejus. Un ampliamento destinato a rendere più scorrevole il trasporto di camion su treno sul tratto a cavallo del confine, da Bardonecchia a Modane. Poco meno di un miliardo di euro di denaro pubblico interamente speso, ma che viene “svalutato” dagli stessi amministratori delegati che adesso siedono ai vertici di TELT (il nuovo logo scelto per quel che resta del TAV Lyon-Turin, vale a dire il tunnel Bussoleno-St.Jean): gente che, prima della folgorante conversione sulla via del ferro, adorava la dea gomma e sedeva sulla poltrona SITAF (traforo & autostrada del Frejus); gli stessi personaggi che hanno spinto per la realizzazione di un tunnel e di un’autostrada (quasi tutta in galleria) e che (come aperitivo al buco per l’eco-treno) hanno scavato il raddoppio del tunnel stradale per i futuri eco-Tir (del resto chi vende camion li dichiara sempre più ecocompatibili, prossimamente elettrici): la quadratura del cerchio tra SITAF, IREN, ENEL & TAV…
Chi ha avuto la pazienza di seguirmi sin qui si sarà fatto un’idea di quante infrastrutture sono state messe a dimora negli ultimi 50 anni in Val di Susa, ma forse non tutti sanno che il fondovalle “utile” è largo mediamente poco più di un Km. Le due grandi centrali elettriche di Venaus, ad esempio, trasportano l’energia a grandi distanze con imponenti elettrodotti che determinano pesanti servitù di passaggio; e il più recente – che collega la rete elettrica italiana a quella francese – sta venendo interrato sotto la rete stradale. Abbiamo sempre affermato senza mai essere smentiti che, sia per metri quadri di “territorio utile” che per metri cubi di calcestruzzo pro capite, siamo una delle vallate alpine a più alta concentrazione di infrastrutture (e di denaro pubblico in esse riversato in luogo di una sempre più necessaria politica di prevenzione idrogeologica, resa drammaticamente urgente proprio dal cambiamento climatico). E le grandi infrastrutture proteggono solo se stesse, e neanche sempre: Genova, tragicamente, insegna.
Ora, per la sua caratteristica di lotta popolare straordinariamente longeva, con momenti di vera e propria ribellione di popolo come nel dicembre 2005, ci siamo (ci hanno?) caricati addosso aspetti simbolici che vanno anche ben al di la della posta in gioco, per cui la propaganda a tappeto dei giornali di “proprietà finanziario-palazzinara” ha svolto il suo istituzionale ruolo di disinformazione con un accanimento particolare (ampiamente e approfonditamente documentato nei lavori del Controsservatorio Val Susa). Ai No TAV non solo non la si può dar vinta, ma per poter costruire indisturbati la fabbrica dei conci di galleria (in zona esondabile!) si è deciso di mettere mano alla costruzione di una nuova “fabbrica del consenso” che, nel fritto misto di fake news di regime, ha posto l’accento proprio sulla pretesa ecocompatibilità della Grandeopera, sulla sua taumaturgica azione virtuosa contro il cambiamento climatico, ottenuta grazie al trasferimento modale gomma/ferro.
In 30 anni di studi, dopo decine di libri di autorevolissimi (e disinteressati) esperti è stata prodotta una documentazione mai smentita, anzi confermata dai dati reali e addirittura rivelata dai dati progettuali dei proponenti. Dati sui quali, peraltro, ci siamo sempre rigorosamente basati citandoli nelle nostre controdeduzioni. C’è in rete una montagna di gigabyte di argomentazioni che nessuna talpa riuscirebbe mai a perforare… Ma per confutare la propaganda di coloro che tentano di usare Greta e il movimento giovanile che da lei ha preso vita basta dire che nei documenti ufficiali di Italia, Francia e UE non vi è traccia della fu Torino Lione (oltre 300 km desaparecidos) e che i francesi sono sì favorevolissimi allo scavo della galleria di valico, ma solo perché la pagano gli italiani e l”Europa” e hanno formalmente deciso che prima del 2035 non intendono rimettere mano neanche alle carte progettuali delle cinque gallerie (ben più complesse e onerose di quella di valico) tra St. Jean e Chambery (nonostante le solenni promesse delle prime e ormai storiche brochure di propaganda). Anzi, l’attuale governo transalpino per il traffico merci ha optato per l’uso della ferrovia esistente Torino-Digione (in luogo di una nuova Torino-Lione)! Ma soprattutto va evidenziato che scavare le gallerie di una intera ferrovia ex novo aumenterebbe le emissioni di CO2 fino al 2038 (dati del Quaderno 8 dell’Osservatorio del Governo italiano). E a patto che (con un tocco di bacchetta magica?) sparisca più della metà dei camion e le merci salgano spintaneamente in carrozza!
Se davvero l’obiettivo perseguito fosse quello di mettere le merci (possibilmente utili) sui treni e non le mani su una montagna di denaro pubblico a favore di lobby private, si potrebbe lavorare da subito al riempimento dei binari esistenti, oggi ben al di sotto di un quinto delle loro potenzialità: chi sa se nel 2038 ci sarà ancora un solo ghiacciaio sulle Alpi, nel frattempo ridotte a una groviera dalla banda dei buchi che ha rubato l’adolescenza di Greta?

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