La corsa all’accaparramento di Greta Thunberg registra
ogni giorno nuove sospette adesioni; e si fa asfissiante (quasi più
dell’effetto-serra) il corteggiamento del Movimento FFF, nato per lo stimolo
potente, la coraggiosa intransigenza e la determinazione sorprendenti di una
ragazzina che ha avuto il coraggio di denunciare i tanti re nudi che ci
circondano e senza che nessuno li indicasse prima alla pubblica
disapprovazione.
Visto dalla Valle di Susa questo vero e proprio
tentativo di abbraccio mortale rivela particolari addirittura grotteschi: se
c’è un luogo dove in 30 anni si sono adoperati tutti i vecchi arnesi oggi
raggruppabili nello slogan “ecocompatibilità” è il nostro. “Ecocompatibile” per
antonomasia (prima ancora che divenisse d’uso comune lo stesso termine
ecologia) fu la realizzazione a scopo idroelettrico di uno dei più grandi
bacini d’alta quota (2 mila metri s.l.m.): il lago del Moncenisio, un invaso
lungo circa 6 Km ottenuto sbarrando il pendio italiano del valico ceduto alla
Francia come “bottino di guerra” ma dove di comune accordo EDF & ENEL (del
resto partner anche sul nucleare) realizzarono, decapitando una montagna, una
della più grandi dighe in terra d’Europa! Sommergendo per sempre la strada
napoleonica, lo storico ospizio, il paese con la sua chiesetta e il piccolo
cimitero sotto oltre 300 milioni di metri cubi d’acqua che alimentano le
sottostanti centrali idroelettriche in caverna (quella “nostra” è a Venaus): un
movimento terra da leccarsi i baffi, per i mafiosi mandati al confino… Poi, più
di mezzo secolo dopo, si sbarra, questa volta con calcestruzzo e paratoie
metalliche, l’altro versante (quello della Dora Riparia), che viene
semi-prosciugato per alimentare un nuovo e moderno sistema idroelettrico
marchiato IREN, che dell’ecocompatibilità ha fatto la sua mission,
soprattutto grazie alla catena di termovalorizzatori pubblicamente
sovvenzionati, a corredo di vecchie e nuove centrali idroelettriche o
policombustibile. Nello spazio dei 50 anni racchiusi nell’arco
voltaico alla valle viene fatto dono – negli anni ’80 – del raddoppio
(quasi completamente in galleria) del binario unico sul tratto più acclive e
tortuoso (Bussoleno-Salbetrand) della ferrovia che collega Italia e Francia fin
da quando il tutto ancora si chiamava Savoia. Per venire ai giorni nostri agli
impegnativi e onerosi lavori di risagomatura del traforo ferroviario del
Frejus. Un ampliamento destinato a rendere più scorrevole il trasporto di
camion su treno sul tratto a cavallo del confine, da Bardonecchia a Modane.
Poco meno di un miliardo di euro di denaro pubblico interamente speso, ma che
viene “svalutato” dagli stessi amministratori delegati che adesso siedono ai
vertici di TELT (il nuovo logo scelto per quel che resta del TAV Lyon-Turin,
vale a dire il tunnel Bussoleno-St.Jean): gente che, prima della folgorante
conversione sulla via del ferro, adorava la dea gomma e sedeva sulla poltrona
SITAF (traforo & autostrada del Frejus); gli stessi personaggi che hanno
spinto per la realizzazione di un tunnel e di un’autostrada (quasi tutta in
galleria) e che (come aperitivo al buco per l’eco-treno) hanno
scavato il raddoppio del tunnel stradale per i futuri eco-Tir (del
resto chi vende camion li dichiara sempre più ecocompatibili, prossimamente
elettrici): la quadratura del cerchio tra SITAF, IREN, ENEL & TAV…
Chi ha avuto la pazienza di seguirmi sin qui si sarà
fatto un’idea di quante infrastrutture sono state messe a dimora negli ultimi
50 anni in Val di Susa, ma forse non tutti sanno che il fondovalle “utile” è
largo mediamente poco più di un Km. Le due grandi centrali elettriche di
Venaus, ad esempio, trasportano l’energia a grandi distanze con imponenti
elettrodotti che determinano pesanti servitù di passaggio; e il più recente –
che collega la rete elettrica italiana a quella francese – sta venendo
interrato sotto la rete stradale. Abbiamo sempre affermato senza mai essere
smentiti che, sia per metri quadri di “territorio utile” che per metri cubi di
calcestruzzo pro capite, siamo una delle vallate alpine a più alta concentrazione
di infrastrutture (e di denaro pubblico in esse riversato in luogo di una
sempre più necessaria politica di prevenzione idrogeologica, resa
drammaticamente urgente proprio dal cambiamento climatico). E le grandi
infrastrutture proteggono solo se stesse, e neanche sempre: Genova,
tragicamente, insegna.
Ora, per la sua caratteristica di lotta popolare
straordinariamente longeva, con momenti di vera e propria ribellione di popolo
come nel dicembre 2005, ci siamo (ci hanno?) caricati addosso aspetti simbolici
che vanno anche ben al di la della posta in gioco, per cui la propaganda a
tappeto dei giornali di “proprietà finanziario-palazzinara” ha svolto il
suo istituzionale ruolo di disinformazione con un accanimento
particolare (ampiamente e approfonditamente documentato nei lavori del
Controsservatorio Val Susa). Ai No TAV non solo non la si può dar
vinta, ma per poter costruire indisturbati la fabbrica dei conci di galleria
(in zona esondabile!) si è deciso di mettere mano alla costruzione di una nuova
“fabbrica del consenso” che, nel fritto misto di fake news di regime, ha posto
l’accento proprio sulla pretesa ecocompatibilità della Grandeopera, sulla sua
taumaturgica azione virtuosa contro il cambiamento climatico, ottenuta grazie
al trasferimento modale gomma/ferro.
In 30 anni di studi, dopo decine di libri di
autorevolissimi (e disinteressati) esperti è stata prodotta una documentazione
mai smentita, anzi confermata dai dati reali e addirittura rivelata dai
dati progettuali dei proponenti. Dati sui quali, peraltro, ci siamo sempre
rigorosamente basati citandoli nelle nostre controdeduzioni. C’è in rete una
montagna di gigabyte di argomentazioni che nessuna talpa riuscirebbe
mai a perforare… Ma per confutare la propaganda di coloro che tentano di usare
Greta e il movimento giovanile che da lei ha preso vita basta dire che nei
documenti ufficiali di Italia, Francia e UE non vi è traccia della fu Torino
Lione (oltre 300 km desaparecidos) e che i francesi sono sì favorevolissimi
allo scavo della galleria di valico, ma solo perché la pagano gli italiani e
l”Europa” e hanno formalmente deciso che prima del 2035 non intendono rimettere
mano neanche alle carte progettuali delle cinque gallerie (ben più complesse e
onerose di quella di valico) tra St. Jean e Chambery (nonostante le solenni
promesse delle prime e ormai storiche brochure di propaganda). Anzi, l’attuale
governo transalpino per il traffico merci ha optato per l’uso della ferrovia
esistente Torino-Digione (in luogo di una nuova Torino-Lione)! Ma soprattutto
va evidenziato che scavare le gallerie di una intera ferrovia ex novo
aumenterebbe le emissioni di CO2 fino al 2038 (dati del Quaderno 8
dell’Osservatorio del Governo italiano). E a patto che (con un tocco di
bacchetta magica?) sparisca più della metà dei camion e le merci salgano spintaneamente in
carrozza!
Se davvero l’obiettivo perseguito fosse quello di
mettere le merci (possibilmente utili) sui treni e non le mani su una montagna
di denaro pubblico a favore di lobby private, si potrebbe lavorare da subito al
riempimento dei binari esistenti, oggi ben al di sotto di un quinto delle loro
potenzialità: chi sa se nel 2038 ci sarà ancora un solo ghiacciaio sulle Alpi,
nel frattempo ridotte a una groviera dalla banda dei buchi che ha rubato
l’adolescenza di Greta?
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