Vorrei che voi faceste una verifica. Cercate su Google le parole
“uccisa famiglia di otto persone” e vi verranno fornite diverse alternative: una
a Sonora, in Messico, un’altra a Pike, nell’Ohio, un’altra nella Contea di
Mendocino, in California. Ma la sconfinata memoria di Google sembra
essere stata colpita da amnesia riguardo a quanto è successo solo un mese fa a
Deir al-Baba, a Gaza. Ricapitolando, perché anche voi potreste aver
dimenticato: il 14 novembre un pilota israeliano ha lanciato una bomba
JDAM [Joint Direct Attact Munition[ da una tonnellata su un edificio in cui
dormivano otto membri di una famiglia. Cinque di loro erano minori, due dei
quali neonati.
Inizialmente, l’esercito israeliano ha cercato con la menzogna di liberarsi
della responsabilità per l’uccisione della famiglia di al-Sawarka (un altro
membro della famiglia è morto in seguito a causa delle ferite, portando il
totale a nove). Il suo portavoce in lingua araba ha sostenuto che l’edificio
era una postazione di comando nel centro della Striscia di Gaza per un’unità di
lancio di missili della Jihad islamica.
Tuttavia, come ha rivelato Haaretz [quotidiano
israeliano di centro sinistra, ndtr.], il bersaglio era stato considerato tale
almeno un anno fa. Le informazioni erano fondate su delle voci e
nessuno si era preso la briga di verificare chi vivesse all’interno di
quell’edificio: ma hanno lanciato lo stesso la bomba.
L’intelligence militare in grado di identificare e colpire obiettivi in
movimento come Bahaa Abu al-Atta, il comandante della Jihad islamica nella
Striscia di Gaza settentrionale – o di attentare alla vita di Akram al-Ajouri,
un membro del suo ufficio politico a Damasco – è contemporaneamente
incapace di aggiornare la banca dati dei suoi obiettivi, risalente ad un anno
fa.
L’esercito israeliano non aveva necessità di mentire. Nessuno ci ha fatto
caso. Né lo scambio di lanci di razzi né l’uccisione della famiglia Sawarka
hanno riempito le prime pagine del Guardian [quotidiano
inglese di centro sinistra, ndtr.], del New York Times o
del Washington Post.
Piano dietetico israeliano per Gaza
Questo è Gaza ora: un brutale assedio di una popolazione dimenticata che
sopravvive in condizioni che le Nazioni Unite hanno previsto come invivibili
entro il 2020, un anno che è solo a poche settimane di distanza.
È inesatto affermare che le morti della famiglia Sawarka abbiano
riscontrato indifferenza in Israele.
L’unico rivale di Benjamin Netanyahu per la leadership è Benny Gantz.
Chiunque nelle capitali occidentali scambi Gantz per un pacifista,
semplicemente perché sta sfidando Netanyahu, dovrebbe guardare una serie di
video della campagna elettorale che l’ex capo dell’esercito israeliano ha
recentemente diffuso riguardo a Gaza.
Uno di questi inizia con una sorta di sequenze che avrebbe potuto
realizzare un drone russo dopo il bombardamento di Aleppo Est. La
devastazione è come [quella di] Dresda o Nagasaki. Ci vogliono alcuni
secondi inquietanti per rendersi conto che queste orribili riprese da parte di
un drone non sono una denuncia ma una esaltazione della distruzione.
Il suo messaggio in ebraico è chiaramente ciò che nel diritto
internazionale è considerato un crimine di guerra. “Parti di Gaza sono state
riportate all’età della pietra … 6.231 bersagli distrutti … 1.364 terroristi
uccisi … 3.5 anni di quiete … Solo i forti vincono”.
Indifferenza non è la parola giusta. Assomiglia di più ad un’esultanza.
Il soffocamento di Gaza da parte di Israele precede l’assedio iniziato
quando Hamas prese il potere nel 2007. Come ha detto lo scrittore israeliano
Meron Rapoport, i leader israeliani hanno a lungo nutrito pensieri
genocidi su cosa fare con l’enclave in cui hanno cacciato tutti quei rifugiati
dopo il 1948.
Nel 1967, l’ex primo ministro israeliano Levi Eshkol istituì un’unità
operativa rivolta a incoraggiare i palestinesi ad emigrare.
“Proprio perché si trovano là soffocati e imprigionati, forse gli arabi si
sposteranno dalla Striscia di Gaza … Forse se non diamo loro abbastanza
acqua non avranno scelta, perché gli orti ingialliranno e appassiranno”,
egli ipotizzava, secondo i verbali declassificati delle riunioni del governo
declassificati nel 2017.
Nel 2006, Dov Weisglass, consigliere del governo, dichiarò: “L’idea è di
mettere i palestinesi a dieta, ma non di farli morire di fame”.
Il valico di Rafah come valvola di sicurezza
Il passare del tempo non ha intaccato né modificato queste intenzioni.
La differenza oggi è che i leader israeliani non sentono più il bisogno di
mascherare le proprie opinioni su Gaza. Come ha fatto Gantz, dicono ad
alta voce ciò che in precedenza avevano detto o pensato in privato.
In privato, i primi ministri israeliani non hanno mai smesso di comunicare
con Hamas attraverso intermediari, principalmente riguardo agli scambi di
prigionieri.
Tony Blair, ex inviato del Medio Oriente per il Quartetto [gruppo composto
da ONU, USA, UE e Russia, costituitosi a Madrid nel 2002 al fine di mediare sul
processo di pace tra Israele e Palestina, ndtr.] si impegnò sul piano
diplomatico offrendo ad Hamas un porto marittimo e un aeroporto in cambio della
fine del conflitto con Israele. Non ottenne niente.
Hamas ha offerto autonomamente una hudna [tregua in arabo,
ndtr.] o un cessate il fuoco a lungo termine ed ha modificato il proprio
statuto per rispecchiare un accordo basato sui confini palestinesi del giugno
1967. Ma ha rifiutato di smantellare o trasferire le sue forze militari. Fatah
e l’OLP hanno intrapreso un percorso di declino e di perdita di rilevanza
politica nel momento in cui hanno riconosciuto l’esistenza di Israele. Ciò non
costituisce un grande incentivo per Hamas e gli altri gruppi della resistenza
armata a Gaza.
Nel frattempo, sono emerse anche le oscillazioni tra colloqui e guerra, e
gli interessi di altre parti nell’assedio di Gaza. A volte, queste parti sono
state più realiste del re riguardo al desiderio di vedere Gaza e Hamas
sottomesse.
Uno di questi è l’Egitto sotto il governo guidato da Abdel Fattah
al-Sisi.
Nel 2012, sotto il governo del presidente Mohamed Morsi, una media di
34.000 persone attraversava ogni mese il valico di Rafah. Nel 2014, dopo
l’arrivo al potere di al-Sisi, il confine con l’Egitto è rimasto chiuso per 241
giorni. Nel 2015 è stato chiuso per 346 giorni – e aperto solo per 19
giorni. Al-Sisi ha gestito il valico di frontiera di Rafah esattamente come
Israele.
Il valico è [come] un rubinetto. Lo chiudi e fai pressione politica su
Hamas negando l’accesso dei malati terminali a cure mediche adeguate. Lo apri e
alleggerisci la pressione sui detenuti di questa gigantesca prigione.
Un terzo complice dell’assedio è la stessa Autorità Palestinese. Secondo Hamas,
dall’aprile 2007 l’ANP ha ridotto gli stipendi dei suoi dipendenti a Gaza,
costretto alla pensione anticipata 30.000 dipendenti pubblici, ridotto il
numero di permessi medici per ricevere cure all’estero, tagliato medicine e
forniture mediche. I tagli agli stipendi sono in gran parte indiscutibili.
Un esperimento disumano
L’effetto a lungo termine dell’assedio sull’enclave è devastante, come
riportato da MEE questa settimana.
Immaginate come reagirebbe la comunità internazionale se a Hong Kong o a
New York, altri due territori altrettanto densamente abitati, la disoccupazione
fosse del 47%, il tasso di povertà del 53%, il numero medio [degli alunni] in
una classe fosse di 39 e il tasso di mortalità infantile al 10,5 per 1.000
nati.
La comunità internazionale si è assuefatta ad assolvere Israele da ogni
responsabilità per le punizioni collettive e le gravi violazioni dei diritti
umani. Ma sicuramente il punto ora è che Gaza deve essere considerata una
vergogna umana sulla coscienza del mondo.
Per negligenza o per omissione, tutti i governi occidentali hanno
contribuito attivamente alla sua sofferenza. Tutti sono profondamente complici
di un esperimento disumano: come mantenere oltre 2 milioni di persone a un
livello di sussistenza considerato intollerabile e invivibile dalle Nazioni
Unite, senza spingerle verso un’estinzione di massa.
Cosa deve succedere perché questo cambi? Per quanto ancora cancelleremo,
come sembra fare Google, Gaza, i suoi rifugiati, la sua sofferenza quotidiana
dalla coscienza collettiva del mondo?
(David Hearst è caporedattore del Middle
East Eye, da cui è tratto questo articolo tradotto dall’inglese
da Aldo Lotta per Zeitun)
Nessun commento:
Posta un commento