In nome dell’Olocausto? - Patrizia Cecconi
Amir Rafat Mohammad, 7 anni, ucciso ieri
a Gaza City da un drone israeliano mentre era in motocicletta con suo padre e
il fratello, entrambi morti con lui. Foto Defense for Children
Chi dà a Israele il diritto di somministrare la pena di morte ai
palestinesi, senza neanche un processo e senza doverne rendere conto? E chi dà
a Israele il diritto di arrestare bambini palestinesi, contro ogni norma del
diritto universale? Chi dà a Israele il diritto di detenere migliaia di
palestinesi spesso senza capi d’accusa e di infliggere loro torture
psicologiche e fisiche spesso conclusesi con la morte o la menomazione a vita?
Chi dà a Israele il diritto di comportarsi come uno dei peggiori Stati canaglia
pur essendo inserito nella categoria degli Stati democratici?
Domande che ogni osservatore onesto si è posto centinaia di volte e alle
quali, purtroppo, centinaia di volte ha ottenuto solo due risposte, sempre le
stesse. Una è piuttosto comune non solo a Israele ma a tutti i Paesi con i
quali è comodo avere scambi economici o interessi finanziari, l’altra, invece,
riguarda esclusivamente quello Stato ed è composta di una sola
parola: “olocausto”.
In nome dell’olocausto, orrore specifico che ha accompagnato l’orrore
generale del nazi-fascismo del secolo scorso, a Israele è tutto concesso. Lo
aveva chiaro anche Golda Meir, la cinica statista israeliana cui è dovuta
l’idea, poi diventata pratica comune, degli assassinii cosiddetti mirati,
ovvero la negazione del diritto in nome della vendetta o della
semplice eliminazione di un avversario considerato politicamente
pericoloso.
Cioè quel che è successo ancora in questi due giorni a Gaza e Damasco. E
Israele, in nome dell’olocausto, risulta intoccabile, pena l’accusa ignobile e
strumentale di antisemitismo. I nostri media mainstream fanno scuola e ripetono
più o meno all’unisono una frase che, analizzata in base alla pura realtà,
risulta illogica, ma il cui effetto soporifero sull’opinione pubblica è
assicurato: Israele si difende.
A questo stato di cose, ormai pluridecennale, si oppone potremmo dire
eroicamente una minoranza di ebrei che trova disgustoso utilizzare
la sofferenza dei padri o dei nonni per schiacciare un popolo al quale si è
espropriata gran parte della terra e al quale si vuole espropriarne il
resto. Sono solo una minuscola minoranza, è vero, e di questa minoranza
fanno parte soprattutto intellettuali o, comunque, persone che legano la
propria onestà politica e morale alla conoscenza storica della situazione detta
comunemente “conflitto israelo-palestinese”.
In proposito possiamo ricordare le parole dello storico americano Norman
Filkenstein, i cui genitori furono tra i pochi superstiti di un campo di
sterminio nazista, o degli storici israeliani Shlomo Sand e Ilan Pappe, o del
filosofo americano Noam Chomsky, o dei giornalisti israeliani Amira Hass,
Gideon Levy o Zvi Shuldiner, o del drammaturgo italiano Moni Ovadia, o degli
ebrei americani di Mondoweiss o dei rabbini di Neturei karta, solo
per citarne alcuni ai quali l’appartenenza religiosa e la discendenza familiare
non hanno fatto perdere di vista l’orrore che Israele produce da oltre 71 anni
nella terra di Palestina contro i palestinesi. Orrore che NON può
essere giustificato o tacitato in nome dell’olocausto senza essere profondamente
disonesti e oltraggiosi verso la sofferenza subita dagli ebrei perseguitati “in
quanto ebrei” durante gli anni più ignobili del “900.
I nostri media più popolari ci stanno raccontando con partecipazione
commossa della grande paura degli israeliani costretti a correre nei rifugi per
salvarsi dalle centinaia di missili lanciati da uno dei gruppi della resistenza
palestinese, il partito del Jihad, ma si guardano bene dal dire che la lotta
dei palestinesi per ottenere SEMPLICEMENTE i diritti loro riconosciuti dalla
stessa ONU è regolarmente e brutalmente schiacciata da Israele, oppressore al
quale si dimenticano regolarmente di attribuire questo dovuto e veritiero
aggettivo.
La notizia che ieri all’alba Israele ha lanciato un potente missile
sull’abitazione di Baha Salim Abu Al Ata, uno dei capi del partito Jihad,
uccidendolo insieme a sua moglie, viene fornita come un fatto normale.
A Israele tutto è concesso. Poi ci sono altre due parole
magiche, ausiliari sempre presenti, a facilitare la comunicazione pro-Israele,
“sicurezza” e “terrorista”: Israele agisce per la sua
sicurezza e l’ucciso o gli uccisi sono “solo” dei terroristi. Basta scorgere i
commenti sulla pagina di qualche media online per rendersi conto di come
l’umanità tanto invocata, in particolare in questi giorni, contro l’odio, venga
del tutto annientata di fronte a queste due ancelle comunicative.
Sulla pagina di Rainews, ad esempio, che ieri forniva la notizia
dell’uccisione “di Baha Abu Al Atta in un omicidio mirato in cui è morta
anche la moglie” i numerosi commenti spaziavano dal “grazie
Israele” con diverse variazioni sul tema, al disumano dire di una certa
signora A. Sadun che assolveva Israele scrivendo testualmente che “Comunque
non ammazza ‘persone’ i terroristi NON sono persone”.
Normale è anche la notizia che un missile abbia centrato e colpito la moto
guidata da signor Ayad, sulla quale questo ignaro padre di famiglia viaggiava
con i suoi figli di 25 e 7 anni. Tutti uccisi, ovviamente. Forse anch’essi in
odor di terrorismo e tanto basta a cancellare l’habeas corpus che
sembrava una grande conquista ormai acquisita per sempre, la cui violazione
nessun convinto e onesto democratico, se portato a riflettere, potrebbe
accettare.
E in modo altrettanto normale veniva data la notizia che un aereo da guerra
israeliano avesse raggiunto la città di Damasco andando a bombardare la casa di
un altro esponente del Jihad uccidendo chi ci stava dentro. I bravi giornalisti
delle nostre TV si sono soffermati sul fatto che forse il ricercato se l’è cavata
e, quindi, l’operazione pur avendo fatto morti e feriti è fallita, ma non hanno
fatto riflettere sulla violazione dello spazio aereo di un altro Paese sovrano,
né sulla somministrazione della pena di morte da parte di uno Stato, Israele,
che a furia di effettuare omicidi mirati, si è ridoto ad essere un vero e
proprio Stato serial killer, cosa che cozza con il concetto di Stato
democratico, concetto già piuttosto inappropriato in considerazione di quanto
scritto sopra, nonché dell’illegale occupazione da ben 52 anni di Territori
palestinesi.
Ma a Israele tutto è concesso. Anche accrescere la disumanità dei suoi
sostenitori o giustificazionisti grazie ai servigi dei media che, in
ossequio a quell’uso a mo’ di clava dell’ olocausto, non svolgono un buon
servizio né alla verità, ne’ alla democrazia (visto che definire democratico
uno Stato colpevole di sistematici crimini e violazioni dei diritti umani e
della legalità internazionale è una contraddizione in termini) e, in ultima
analisi, portano a ridurre a crimine solo ciò che non soddisfa le mire sioniste
diseducando al rispetto di valori che rappresentano sia i principi fondamentali
del diritto universale umanitario, sia gli stessi valori che sono riconosciuti
anche dalla nostra Costituzione. Se riusciamo a guardare un po’ più
lontano del contingente ci accorgiamo di quanto questo sia grave.
I nostri giornalisti mainstream non ci hanno raccontato che Israele in una
manciata di ore ha demolito una quindicina di scuole compresa una scuola delle
Nazioni Unite, ha distrutto del tutto o in parte alcune dozzine di palazzi, ha
devastato con attacchi sia aerei che terrestri decine di campi agricoli,
ha ferito circa 80 persone compresi una trentina di bambini, ha ucciso, fino al
momento in cui scriviamo, 24 persone alle quali vogliamo, proprio per
quell’umanità che fa parte del nostro sentire politico, restituire almeno la
dignità del nome proprio…
Bahaa Salim Abu Al Ata 42 anni, ucciso con sua moglie Asma M.
Hassan Abu El Ata di 39 anni; Mohammed Shurab, 28 anni; Mohammed
Attia Musleh Hamuda di 20 anni; Ebrahim Ahmed Abdul L. Al
Dabous di 26 anni; Zaki Adnan Mohammed Ghanameh di
25 anni; Abdul Salam Ramadam Ahmed di 28 anni; Rani
Fayez Rajab Abu Nasr di 35 anni; Jihad Ayman Abu Khater di
22 anni; Wael abdul Aziz Abdallah Abdul Nabi, 43 anni; Khaled
Moawad Salem Farraj di 38 anni; Ebrahim Ayman Fathi Abdel
Aal di 17 anni e suo fratello Ismail di 16 anni;
Haitam Al Bakri, 22 anni;
Abdallah Al Belbeisi, 26 anni, si era sposato due mesi fa e ancora in casa
erano esposte le partecipazioni che tra disegni e cuoricini facevano immaginare
una coppia destinata a un futuro di grande allegria;
Abed Alsalam Ahmed di 24 anni; Ra’fat Ayyad, 45
anni e suoi due figli, Islam di 25 anni e Amir di
7; Suhail Khader K. Quneitah di 23 anni; Momen
Mohammed Salman Qaddum di 26 anni; Ala Jaber Abdul
Shteiwi di 30 anni;
I nostri media, in compenso, ci forniscono notizia di centinaia di
missili che il Jihad ha lanciato a sua volta per dire a Israele – ma questo non
lo specificano certo! – che la Resistenza non si ferma e che, seppure non
abbia le armi per bloccare il potentissimo Israele, ne ha per ricordare
che esiste. I nostri media ci dicono che ben 75 israeliani sono ricorsi a cure
mediche perché in stato di chock e qualcuno pare sia caduto correndo nei
rifugi. Cosa che ai palestinesi non può succedere perché non hanno dove
rifugiarsi.
In un prossimo articolo faremo riflessioni politiche sul “cui prodest”. Qualche
analista ipotizza che nel braccio di ferro Gantz-Netanyahu, Gaza rappresenti il
fulcro e ne paghi, quindi le conseguenze. Qualcuno avanza l’ipotesi di una
compiacenza di Hamas nel veder distrutto un suo possibile avversario, il Jihad.
Qualcun altro avanza l’ipotesi che l’Anp stia aspettando alla finestra.
La fantasia corre. Al momento sappiamo soltanto che Israele ha violato ancora una volta i
diritti di tutti noi, i diritti umani. Ha stroncato vite di combattenti per la
libertà e di non combattenti. Ha indotto persone probabilmente normali a
diventare disumane e orgogliose di esserlo spostando la propria disumanità sul
martire al quale non si riconoscono diritti perché definito terrorista.
Mentre le famiglie dei martiri piangono, mentre a Gaza quasi due
milioni di persone stanno tremando non sapendo se domattina si
sveglieranno e se rivedranno i loro cari, a noi, fortunati osservatori
a distanza, non resta che sperare che le Istituzioni nazionali, internazionali
e sovranazionali, fermino Israele portandolo finalmente nell’alveo della
legalità. Sarebbe la prima volta da quel famoso 14 maggio del “48 in cui si è
autoproclamato Stato per bocca di Ben Gurion, e sarebbe un bene per i
palestinesi, per il mondo e per gli stessi israeliani non ancora corrotti dalla
barbarie del potere impunito che è così difficile da condannare.
(Articolo uscito anche su Pressenza.com)
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