(ripreso da
100 giorni
di buio sulla guerra a nascondere cosa?
«I racconti dell’orrore della guerra-ombra del Tigrai squarciano il buio
che li ha avvolti in questi 100 giorni esatti di blackout informativo e di
isolamento», segnala Paolo Lambruschi su Avvenire. E molti testimoni confermano
o crimini di guerra e le atrocità denunciate sui social o sussurrato al
telefono da giornalisti, attivisti e operatori umanitari. «Confermati i
massacri di civili – anziani, donne e bambini compresi – e di religiosi copti».
Complicità
etiope ai massacri eritrei
Stupri di
massa, uccisioni e deportazioni forzate in Eritrea dei rifugiati eritrei dei
campi di Hitsats e Shimelba, distrutti e che il governo di Addis Abeba ha
dichiarato di non voler più riaprire e vietati all’ Onu. «Inequivocabili le
notizie forniteci da fonti cattoliche, che non citiamo per ragioni di sicurezza
–scrive il quotidiano dei vescovi italiani- . Ad Irob, piana semidesertica
confinante con la regione Afar e l’Eritrea, sono stati uccisi solo a gennaio 30
preti copti ortodossi che pregavano in chiesa. A Wukro, Adigrat e Kobo mancano
cibo e medicinali».
La saga degli orrori
«Meglio uccidere le donne del Tigrai perché domani partoriranno i woyane»
(la formazione separatista), avrebbero detto i militari eritrei a chi chiedeva
il perché di tanto odio.
Le mogli dei
Woyane
Alla fine di
gennaio, sempre a Irob, etiopi ed eritrei hanno ucciso 50 «mogli dei Woyane».
Uccisioni di giovanissimi sotto gli occhi dei genitori, cento solo a Irob, e le
frequenti violenze sessuali su donne e ragazze anche davanti ai mariti, spesso
seguite dalla spietata uccisione delle vittime.
Venerdì per la prima volta il governo etiope, con un tweet della ministra delle
donne Filsan Abdullahi Ahmed, ha ammesso che una task force governativa
«purtroppo ha stabilito che le violenze sessuali hanno avuto luogo con certezza
e senza alcun dubbio».
Gli Shabia
eritrei
Molte donne
sostengono di essere state violentate dalle forze eritree, gli shabia, soldati
in sandali di plastica che avrebbe ricevuto l’ordine di eliminare anche i
maschi tigrini sopra i sei anni proibendone la sepoltura. Circostanziata
l’accusa di ‘Human Rights Watch’ alle truppe federali e a quelle eritree: a
novembre avrebbero bombardato scuole, ospedali, chiese e mercati di Humera,
Macallè e Scire uccidendo 187 civili tra cui donne e bambini e ferendone oltre
300.
Contro i
simboli religiosi
Non sono stati risparmiati i simboli religiosi. Testimoni parlano della
chiesa ortodossa di Sant’Amanuel nel villaggio di Negash, in cima a una
montagna, bombardata il 23 e 24 novembre da tank e artiglieria pesante di
Isaias Afewerki.
Saccheggiate
missioni e conventi cattolici, religiosi e religiose sono stati rapinati
persino dei crocifissi portati al collo. Sul banco degli imputati l’esercito
federale e soprattutto gli alleati eritrei. La loro presenza, negata dal regime
di Asmara e dal governo etiope (ma ammessa da autorità locali e da comandanti
federali, precisa Avvenire).
Nei giorni scorsi, Usa e Ue hanno chiesto all’Eritrea il ritiro immediato dei
soldati, colpevoli di violenze indicibili, e l’istituzione di una commissione
d’inchiesta indipendente che dovrà affrontare anche il dramma dei rifugiati
eritrei deportati, probabilmente 10 mila.
Il
presidente poco Nobel di Adis Abeba
Per la prima
volta il governo di Addis Abeba riconosce le violenze sessuali avvenute nella
zona dei combattimenti. L’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi
ha denunciato la scomparsa di 20 mila rifugiati eritrei sui 96 mila sotto
protezione etiope in quattro campi nel Tigrai. Shimelba, campo di 8.500 eritrei
di etnia Cunama, è stato distrutto ai primi di gennaio. Fucilati i capi
tigrini. Ma quando il 5 gennaio sono tornati gli eritrei, l’esercito di Isaias
ha iniziato a incendiare tutto e a uccidere anche donne e bambini.
La sorte dei
deportati
Che sorte è
toccata in Eritrea ai deportati? La sequenza degli orrori dalle testimonianza
raccolte da Paolo Lambruschi continua.
I rifugiati Cunama sono prigionieri in campi di accoglienza in attesa che passi
il Covid o passino loro, denutriti da settimane. Il regime vuole spedire i
giovani nei campi di addestramento per il servizio di leva a vita dal quale
erano fuggiti. Gli altri, finita la pandemia, torneranno nei villaggi. Sperando
esistano ancora, denuncia la Caritas Italiana che, con quella eritrea, sta
raccogliendo aiuti di sopravvivenza.
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