10 febbraio: l’equivoco della memoria condivisa - Claudia Cernigoi
Va
innanzitutto detto che è necessario distinguere tra storia e memoria: la storia
è una materia scientifica, una raccolta di fatti inequivocabili: le
interpretazioni e le valutazioni possono poi essere diverse (e sono queste che
creano “memoria), ma è un dato di fatto, ad esempio, che il 28 ottobre si compì
la Marcia su Roma, evento che per i fascisti rappresenta una giornata di festa,
mentre per gli antifascisti significa la fine della democrazia; così come il 25
aprile, giorno in cui si celebra la Liberazione dal nazifascismo, è per i
nazifascisti giornata di lutto.
Premesso
questo, possiamo considerare che è ormai da più di trent’anni (dal cosiddetto
“crollo del comunismo”) che stiamo assistendo alla progressiva distruzione
della memoria storica di tutto quanto di positivo avevano fatto i paesi
socialisti, soprattutto nella lotta contro il nazifascismo (va ribadito che in
termini di perdite umane l’URSS e la Jugoslavia furono i Paesi che
percentualmente ebbero più morti durante la Seconda guerra mondiale).
Di
conseguenza abbiamo visto anche di anno in anno aumentare la criminalizzazione
della Resistenza comunista, la ricostruzione delle vendette (vere o presunte)
del dopoguerra, patrimonio all’inizio dei nostalgici del fascismo, che dopo
avere messo a ferro e fuoco la propria Patria, massacrando i propri
concittadini non omologati al regime golpista di Salò in una guerra fratricida,
non avevano accettato di avere perso la guerra e di conseguenza avere anche
subito regolamenti di conti ed esecuzioni capitali. In questo contesto, volendo
parlare (ad esempio) del “triangolo rosso” dell’Emilia Romagna, dell’eccidio di
Schio e dell’eccidio di Codevigo del Veneto, e molti altri casi simili, i testi
che fino all’inizio degli anni ’90 erano stati patrimonio esclusivo della
destra neofascista nostalgica hanno iniziato ad essere mutuati anche da
insospettabili esponenti di “sinistra”, come i libri di Pansa che minimizzano i
crimini fascisti per stigmatizzare la ferocia dei comunisti antifascisti.
Ma la
cosa peggiore è avvenuta relativamente alla propaganda sulle “foibe” al confine
orientale, con l’istituzione a partire dal 2005 del Giorno del ricordo, fissato
il 10 febbraio, a ridosso della Giornata della memoria, in modo da collegare i
due eventi in un tutt’uno, portando a termine quello che ancora negli anni ’70
lo storico triestino Giovanni Miccoli aveva definito “accostamento aberrante”,
cioè il paragonare le “foibe” alla Risiera.
Il 27
gennaio si commemorano i milioni di morti causati dalla politica nazifascista
che per raggiungere il proprio fine di “nuovo ordine europeo” aveva programmato
a tavolino il genocidio di interi popoli, l’eliminazione totale degli
oppositori politici e di quelle che venivano considerate “esistenze zavorra”,
cioè pesi per la società, disabili, omosessuali, non autosufficienti. Il 10
febbraio, due settimane dopo, vengono commemorati allo stesso livello anche i
morti genericamente attribuiti “all’espansionismo jugoslavo”, senza considerare
che furono per la maggior parte militari morti nei campi di prigionia o
fascisti e collaborazionisti condannati a morte dai tribunali jugoslavi (che
avevano lo stesso diritto delle altre corti alleate di processare i criminali
di guerra) o vittime di quella giustizia sommaria che fu comune a tutta
l’Europa e che anzi nelle zone controllate dagli Jugoslavi fu di gran lunga
inferiore a quella del resto d’Europa.
E, lo
diciamo per inciso, noi che riportiamo dati storici a conferma delle nostre
analisi che smentiscono la propaganda che parla di “migliaia” di “infoibati”,
siamo noi ad essere criminalizzati come “negazionisti” ai quali dovrebbe essere
vietato di parlare (cosa che spesso purtroppo avviene, in quanto le istituzioni
ci negano le sale pubbliche, accogliendo le proteste della canea neofascista
che ci vuole silenziati), mentre i diffusori di menzogne, bufale, quelle che
oggi va di moda definire fake news, sulle foibe vengono invitati a
parlare a convegni istituzionali, con un’esibizione di simbologia fascista che
non sembra fare scandalo.
Questo
“accorpamento” delle due ricorrenze ha portato ad un’interessante evoluzione
del concetto di “memoria condivisa” perché le stesse autorità che il 27 gennaio
nella Risiera di San Sabba a Trieste commemorano le vittime del nazifascismo,
il 10 febbraio si recano invece alla foiba di Basovizza a ricordare coloro che
causarono quelle vittime, se risultano in qualche modo “infoibati”, cioè
arrestati dalle autorità jugoslave e scomparsi.
Così il
27 gennaio commemoriamo nella Risiera di San Sabba i caduti della missione
alleata del capitano Valentino Molina (Gino Pelagalli, Sante de Fortis e la
loro basista Clementina Tosi vedova Pagani), mentre il 10 febbraio, come
“infoibati”, commemoriamo (in quanto furono arrestati dall’Ozna nel maggio
1945) i componenti del Gruppo Baldo agli ordini delle SS (Giovanni Burzachechi,
già carabiniere entrato nelle SS da prima dello scioglimento dell’Arma, Ermanno
Callegaris, Alfredo Germani e Remo Lombroni), che causarono l’arresto e la
morte di Molina e dei suoi collaboratori.
Il 27
gennaio commemoriamo anche gli agenti di custodia deportati nei lager dove
persero la vita, tra i quali Francesco Tafuro e commemoriamo gli ebrei
triestini scomparsi nei campi di sterminio; ma il 10 febbraio si rende omaggio
tra gli altri al capo degli agenti di custodia Ernesto Mari, che si trovò per
alcuni mesi anche a tenere il registro degli ingressi al Carcere triestino del
Coroneo, e che firmò il registro d’entrata di molti ebrei, tra cui i tre
fratellini Simeone, Michele ed Isacco Gruben, rispettivamente di 11, 8 e 3
anni, imprigionati senza i genitori, l’ottantunenne avvocato Oscar Pick ed il
settantottenne Adolfo Deutsch. Mari firmò anche la scarcerazione di questi,
consegnandoli alle SS, che provvederanno ad inviarli tutti ad Auschwitz, dove
trovarono la morte; Mari fu anche il responsabile dell’internamento in Germania
di Tafuro (e di altri agenti di custodia che fortunatamente rientrarono dalla
prigionia e testimoniarono contro di lui), ma, essendo stato arrestato in
seguito alle accuse mossegli dai suoi ex sottoposti, fu ucciso e gettato
nell’abisso Plutone da un gruppo di criminali comuni infiltratisi nella Guardia
del popolo: perciò viene considerato “infoibato” e quindi commemorato in sede
ufficiale degno (gli è stato persino intitolato il carcere triestino).
Il 10
febbraio vengono inoltre commemorati i 67 agenti dell’Ispettorato Speciale di
PS che furono arrestati dalle autorità jugoslave a Trieste alla fine del
conflitto, in quanto si erano resi responsabili di rastrellamenti, arresti
arbitrari, esecuzioni sommarie, torture e violenze varie (come Alessio Mignacca
e Domenico Sica, che picchiarono una donna facendola abortire); e citiamo anche
l’agente Mario Suppani, responsabile dell’arresto (e della successiva
esecuzione capitale) dell’anziano militante del Partito d’Azione Mario Maovaz,
fucilato il 28 aprile 1945 e degli arresti di altri esponenti del CLN giuliano,
tra i quali il democristiano Paolo Reti, poi ucciso in Risiera (commemorato il
27 gennaio, un paio di settimane prima di chi lo fece arrestare).
Il caso
però più eclatante è quello dell’ultimo prefetto di Zara italiana, Vincenzo
Serrentino (fondatore del Fascio in Dalmazia, squadrista, ufficiale della
Milizia e nel Direttorio del PFR) che aveva anche svolto il ruolo di giudice a
latere (assieme a Pietro Caruso, che fu poi fucilato a Roma alla fine della
guerra) del Tribunale Straordinario per la Dalmazia (presieduto dal generale
Gherardo Magaldi), che si spostava in volo da Roma per emanare condanne a morte
ad antifascisti. Denunciato come criminale di guerra alle Nazioni unite, si era
rifugiato a Trieste, dove fu arrestato l’8/5/45; sottoposto a processo, fu
condannato e fucilato a Sebenico un paio di anni dopo. I familiari di
Serrentino hanno ricevuto l’onorificenza prevista dalla legge sul Giorno del
ricordo. Come sarebbe considerata un’eventuale onorificenza attribuita oggi ai
familiari di Pietro Caruso, che con le stesse accuse fu fucilato dalle autorità
italiane?
La storia
è unica, si diceva, ma la memoria è diversa. E se pure è difficile creare una
memoria condivisa tra i parenti di Maovaz e quelli di Suppani, il parlamento
italiano ci è riuscito perfettamente istituendo due giornate diverse per
ricordare in ciascuna di esse l’una e l’altra categoria di morti.
Non
mettiamo in dubbio che anche i partigiani che lottarono per il comunismo e la
libertà commisero degli errori, “ebbero dei difetti”, come scrisse Pinko
Tomažič, fucilato dai fascisti nel 1941: ma se li confrontiamo con i fascisti
va considerato che erano diversi gli ideali di partenza, ideali di amore e non
di morte, ideali di giustizia e non di prevaricazione.
A tutto
coloro che oggi pretendono di assimilare il comunismo al fascismo, agli
amministratori che accettano labari di formazioni fasciste e collaborazioniste
alle manifestazioni ufficiali, ai magistrati che minimizzano i saluti romani in
quanto non rappresenterebbero apologia di fascismo, agli eurodeputati che hanno
votato l’immonda mozione di cui sopra, dedichiamo queste frasi di Italo Calvino
(che di fascismo e antifascismo ne sapeva qualcosa).
… dietro il milite delle brigate nere più onesto,
più in buona fede, più idealista, c’erano i rastrellamenti le operazioni di
sterminio le camere di tortura le deportazioni l’olocausto…
… mentre dietro il partigiano più ladro, più
spietato c’era la lotta per una società più pacifica più democratica e
ragionevolmente più giusta.
Claudia
Cernigoi, gennaio 2021.
(*) ripreso da http://www.diecifebbraio.info
RIFLESSIONI
SULLE FOIBE
di
Francesco Mandarano, antifascista militante
In una Italia che non ha mai fatto i conti con
il proprio passato fascista e colonialista, né su piano storico-culturale, né
su quello politico, è invalsa l’abitudine scorretta di parlare di un singolo
episodio della nostra storia, senza minimamente inquadrarlo nel periodo storico
in cui tale evento si è verificato.
Sarebbe come se, alla mostra del Cinema di
Venezia venissero proiettate soltanto le ultime scene di un film, senza alcun
riferimento alle scene precedenti.
Questa è una concezione culturale errata e
serve a manipolare la Storia, in tale concezione si inserisce la “giornata del
ricordo”, che verrà celebrata il giorno 10 Febbraio 2021.
In tale giorno, ci saranno una serie di
iniziative dove si parlerà delle Foibe e dell’esodo Giuliano-Dalmata. Nessuno
penserà di parlare della prima e della II guerra mondiale, nonché del fascismo
e del nazifascismo. Singolare è, poi, il fatto che l’Italia ricordi un episodio
finale del II conflitto mondiale, ma che nessuno pensi ad istituire il “giorno
della vergogna”, che dovrebbe essere fissato per il 10 Giugno di ogni anno.
In tal modo gli Italiani potrebbero finalmente
riflettere in assemblee e convegni sulla inutilità e sui danni che una guerra
produce, tanto più quando essa è condotta contro potenze storicamente alleate,
come la Gran Bretagna, od addirittura culturalmente molto vicine come la
Francia.
Premesso quanto precede, abbiamo l’obbligo
culturale e morale di esprimere un giudizio equilibrato sulla vicenda delle
Foibe, prima che la propaganda neofascista della Meloni e dei suoi sodali ci
inondi di dati completamente errati e di psedo-riflessioni volutamente
sbagliate.
Purtroppo, queste pseudo-considerazioni
trovano credito su alcune TV e su alcuni giornali, dove si parla di “Italiani
infoibati”, senza, però, ricordare che quelli Italiani durante il ventennio
erano stati mandati da altre regioni nell’Istria e nella Dalmazia, proprio per
italianizzarla e sottomettere i popoli di lingua slava.
Come se questo non bastasse, dopo l’8
Settembre 1943, questi Italiani erano stati “ceduti” da Mussolini ad Hitler.
Infatti, l’ex “duce”, Mussolini, oltre ad
asservire dopo l’armistizio dell’8 Settembre 1943, l’Italia del centronord ad
Hitler con la creazione della repubblica fantoccio di Salò, ha ceduto
letteralmente al terzo reich molte regioni italiane, quali il Friuli Venezia
Giulia, il Trentino Alto Adige e la provincia di Belluno.
L’insieme di queste regioni costituivano la
“zona di operazione” ed erano parte integrante della Germania nazista. Questa
vicenda dimenticata è molto triste e dimostra che l’istrione Mussolini, che per
ben venti anni aveva parlato di “Patria” di “Italia” e di “Italiani” al momento
opportuno dimenticava questi concetti e regalava la sua patria ed il suo popolo
ad Hitler, facendo così perdere a quelle popolazioni persino la loro identità
di italiani.
La rabbia è tanta quando si pensa che dopo oltre
20 anni di retorica patriottarda si constata che tra i territori della
Repubblichina di Salò e le zone di “occupazione” c’era persino una frontiera, a
riprova che le zone del confine orientale non facevano più parte né del regno
d’Italia, né della repubblica fantoccio di Salò.
Premesso quanto precede, abbiamo l’obbligo
culturale di diffondere a tutti i democratici i risultati delle nostre
ricerche.
Tali ricerche ci consentono di affermare che
per oltre venti anni il fascismo ha condotto sul confine orientale, cioè in
Istria, Croazia e Dalmazia, una sistematica politica di pulizia etnica,
abolendo le lingue slave e deportando molti abitanti di quelle zone in varie
regioni d’Italia, dalla Puglia alla Sardegna.
Inoltre, il fascismo ha italianizzato tutti i
cognomi di origine slava delle persone abitanti in Italia.
Per quanto riguarda le provincie orientali
dell’Italia di allora in tutte le scuole di ogni ordine e grado era
obbligatoria la lingua italiana, senza alcun riguardo per le popolazioni di
lingua croata o slovena che avrebbero voluto mantenere le loro tradizioni e la
loro identità.
Per di più, il 10 giugno 1940 Mussolini
entrava in guerra accanto alla Germania nazista nella impreparazione bellica
più assoluta, tanto che il nostro esercito non solo non ha vinto la II guerra
mondiale, ma non è stato neanche in grado di vincere una battaglia.
Mussolini avrebbe fatto bene ad assecondare il
desiderio di pace degli Italiani, anziché mandarli in guerra allo sbaraglio.
Per quanto riguarda le Foibe, c’è da dire che
per venti anni in quelle cavità carsiche erano finiti gli Antifascisti, sia
Italiani che Sloveni o Croati. Quando, poi, le sorti della guerra sono cambiate
i partigiani di Tito hanno spinto nelle Foibe non gli Italiani, in quanto tali,
bensì i fascisti, che li avevano oppressi e perseguitati per oltre venti anni.
Dal momento che i numeri hanno un loro
significato e che oggi circolano cifre assolutamente esagerate, c’è da
affermare che in totale il numero degli Infoibati non supera i 700, prendendo
in considerazioni i due periodo cruciali quello dell’armistizio dell’8
settembre 1943 e quello di fine guerra di Aprile-Maggio 1945; tenuto conto dei
cadaveri identificati e delle persone scomparse.
E’ bene sottolineare ancora una volta che
quelli Italiani che sono finiti nelle Foibe erano dei fascisti di provata fede,
che spinti dalla propaganda di Mussolini, volevano colonizzare quelle terre e
schiavizzare la popolazione.
Questo fenomeno delle Foibe, che oggi viene
ingigantito ad opera della destra politica e culturale italiana, nell’immediato
dopo guerra non è stato trascurato né dagli Inglesi né dagli Americani, che
hanno condotto delle inchieste in merito.
Tali inchieste hanno, però, portato alla
conclusione che il fenomeno dell’infoibamento c’era stato, ma era di portata
irrilevante, tenuto anche conto dello sconvolgimento che la guerra aveva
portato in parecchi stati d’Europa.
In ogni caso, è da sottolineare che i
Partigiani Italiani sono fuori da questa storia.
In tutta la guerra di Liberazione c’è stato un
solo scontro tra i partigiani bianchi e rossi, a Porzùs.
In quella circostanza c’era tra i partigiani
bianchi una donna, Elide Turchetti, indicata precedentemente da Radio Londra
come spia dei nazisti. Pertanto, anche quell’episodio, più volte strumentalizzato,
merita di essere inquadrato non come una lotta tra rossi e bianchi, bensì’
semplicemente come un tentativo dei partigiani rossi di difendersi dalle spie e
dai traditori, che in quel periodo abbondavano.
A ben guardare, quelli che oggi parlano delle
Foibe dell’Italia e degli Italiani, commettono volutamente un grave errore
storico, in quanto dal 43 al 45 quelle zone non erano “Italia” bensì Germania
nazista.
Addirittura, c’è da ricordare e sottolineare
che durante la repubblichina di Salò Mussolini ha iniziato questa polemica a
favore degli “infoibati italiani”, dimenticando che per il suo spirito servile
quelle persone non erano più italiani ma sudditi del terzo Reich.
Parimenti, sia Mussolini che la Meloni
dimenticano volutamente tutte le stragi naziste operate nel centro nord
d’Italia tra il 1943 ed il 1945 dai nazisti, che apparentemente si presentavano
come “alleati”. Del resto, tutti coloro che piangono lacrime di coccodrillo sui
700 morti delle Foibe non dicono una parola sui milioni e milioni di morti
causati dalla II guerra mondiale, voluta da Hitler e da Mussolini.
Per di più bisogna sottolineare che l’esodo
Istriano-Dalmata è stata una libera scelta delle singole persone italiane, non
certo un’imposizione delle autorità jugoslave del tempo.
Addirittura, c’è da dire che in molte zone
alle autorità jugoslave avrebbe fatto comodo la permanenza di persone di lingua
italiana, che erano inserite nella società ed il cui allontanamento ha creato
un vuoto nella struttura amministrativa di quelle regioni.
Purtroppo, dobbiamo sottolineare che l’Italia
è un paese senza memoria e, dopo aver da tempo sdoganato il fascismo di
Mussolini, quello al quale la borghesia ha aperto le porte il 28 Ottobre 1922,
cerca ora anche di sdoganare la repubblica fantoccio di Salò.
La giustificazione di questa riabilitazione
del fascismo e del nazifascismo viene rinvenuta nella circostanza che il popolo
italiano, nel 1922, era stanco degli scioperi dei “rossi”.
La verità storica è ben diversa: la borghesia
e gli agrari hanno armato le squadracce fasciste in funzione antioperaia e di
antibracciantile.
Come se questo non bastasse, oggi storici o
presunti tali, nonché fascisti di tutte le risme, riabilitano persino il
nazifascismo, cioè Mussolini, Graziani e Giovanni Gentile, con le motivazioni
che questi personaggi avevano costituito la repubblica fantoccio di Salò, per
evitare conseguenze peggiori al popolo italiano, facendo da cuscinetto tra i
nazisti inviperiti per l’armistizio dell’8 Settembre 1943, firmato dall’Italia,
e la nostra popolazione.
Questa tesi è da respingere nel modo più
assoluto e categorico: l’Italia del centro-nord tra il 1943 ed il 1945 ha
subito stragi inaudite di popolazioni inermi, ragion per cui non c’è stato, né
ci poteva essere, alcun cuscinetto tra i nazisti feroci e sanguinari per
partito preso e l’inerme popolo italiano.
In questa ottica di falsificazione della
Storia, si insiste nella vulgata chiaramente errata di sostenere che i
Partigiani di Tito hanno condotto una pulizia etnica contro gli Italiani, in
quanto tale.
La verità è ben diversa: le reazioni
Jugoslave, ci sono state, non però, nei confronti degli Italiani come tali,
bensì esclusivamente nei confronti degli Italiani di provata fede fascista,
implicati fino al collo nelle nefandezze fasciste, che per oltre venti anni li
avevano perseguitati.
Proseguendo in questa strada di voler a tutti
i costi riabilitare il nazifascismo e di gettare discredito sui Partigiani
Jugoslavi, si arriva a sostenere che gli “Infoibati” sono stati decine e decine
di migliaia, ma non si forniscono assolutamente i nomi e i cognomi di queste
persone.
Noi, per amore di verità e per serietà di
studiosi, indichiamo le persone infoibate con il loro nome e cognome.
Tali affermazioni secondo le quali ci
sarebbero migliaia e migliaia di infoibati, sono assolutamente errate e non
supportate da alcuna documentazione.
Le circostanze fondamentali che vengono
taciute sono due: nelle foibe per oltre venti anni sono finiti gli
Antifascisti, sia Italiani che Slavi!.
Dal Settembre 1943 al Maggio 1945, l’Istria e
la Dalmazia non erano “Italia” bensì Terzo Reich, in quanto provincie italiane
cedute, assieme ad altri, dal servo Mussolini al suo padrone Hitler.
In un Paese come l’Italia, dove la Storia si
studia poco e male, la neofascista Meloni, già l’anno scorso ha tentato
l’affondo ed è ragionevole pensare che insisterà sull’argomento anche il
prossimo 10 Febbraio, giorno della memoria: i milioni e i milioni di morti
causati dalla II guerra mondiale, scatenata da Hitler e Mussolini, nonché i sei
milioni di persone di etnia ebraica, ma cittadini di Stati dell’est europeo,
fucilati o sterminati nelle camere a gas, non hanno nessun peso e nessuna
importanza.
Per la Meloni, per La Russa e per Lollobrigida
e per i neofascisti di Casa Pound, Casaggi e Forza Nuova, nonché per tutti i
neofascisti della galassia nera, solo gli “infoibati” meritano rispetto, gli
altri milioni di morti sono “una tragedia” della storia.
Noi abbiamo rispetto per tutti i morti ma
rileviamo che non tutti i morti da vivi si sono comportati allo stesso modo.
La ricostruzione dei neofascisti è di comodo,
in quanto lo sterminio di milioni di persone nei lager nazisti non sono una
“tragedia”, come un fulmine che cade dal cielo e che non ha paternità, è la
conseguenza di una guerra di rapina, di conquista e di sterminio, voluta dai
nazisti tedeschi, dai fascisti italiani e dagli imperialisti giapponesi.
A tal riguardo è bene precisare che le guerre
“non scoppiano”, come un tuono improvviso, ma le guerre sono dichiarate e precedentemente
preparate da uno Stato ai danni di un altro. Come dovrebbe essere risaputo, i
popoli dalle guerre non hanno mai tratto beneficio e dovrebbero fare di tutto
per imporre ai loro governanti di non ricorrere mai alla guerra.
Infine è bene precisare che, chi come la
neofascista Meloni falsifica la Storia parlando ingiustamente di foibe, come
stragi organizzate dai comunisti italiani, è la stessa persona che erige
sacrari a Rodolfo Graziani, vuole mandare la marina militare contro i naufraghi
del mediterraneo, organizza feste in onore dello squadrista Italo Balbo ed ha
fatto intitolare piazze e vie d’Italia ad esponenti del passato regime
fascista.
Difatti, sempre per ordine della Meloni,
sciamana dell’era moderna, a Grosseto c’è una strada per Giorgio Almirante,
mentre ad Omegna (Verbania) è stato deliberato di intitolare una strada od una
piazza al generale Armando Diaz, enfaticamente chiamato il duca della Vittoria,
(Vittorio Veneto 1918, I guerra mondiale), ma che in concreto è stato un generale
dell’esercito italiano, che ha convinto Vittorio Emanuele III a non firmare
nell’Ottobre del 1922 lo “stato di assedio” ed invece ha fatto chiamare
Mussolini al governo. Il futuro duce lo ricompensò facendolo ministro della
guerra nel suo primo governo.
I due marciarono insieme per alcuni anni e
trovarono il modo di dare lo stipendio dello Stato italiano agli squadristi
fascisti, costituendo la milizia volontaria per la difesa dello Stato: un
esercito privato agli ordini ed al servizio di Mussolini.
Personaggi come Mussolini, Gentile, Graziani e
Diaz, capi del regime fascista, dovrebbero essere additati alle future
generazioni con l’epiteto a loro più confacente: traditori dell’Italia e della
Democrazia, guerrafondai e sterminatori dei Popoli!
I Partigiani e gli Antifascisti Italiani, oggi
come negli anni 1943 – 1945, hanno ben altra visione del mondo e gridano con
forza al mondo intero:
Pace tra gli Stati!
Democrazia, Libertà e benessere per i Popoli!
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