Parola di
Premio Nobel. Isaac B. Singer è uno degli scrittori più geniali e antipatici
del Novecento. Trapiantato negli Stati Uniti, preferiva, per esprimersi come
scrittore, la lingua yiddish, l’idioma degli ebrei dell’Europa orientale: nel
1978 è stato ornato con il Premio Nobel per la letteratura e a Stoccolma,
scrupolosamente anticonvenzionale, si presentò con un memorabile panama bianco.
Oltre a scrivere dei romanzi oscuri e ustionanti, Singer è stato uno
straordinario narratore per bambini. Secondo lui “non importa quanto
siano piccoli, i bambini sono assai interessati alle questioni eterne: chi ha
fatto il mondo? Chi ha fatto la Terra, il cielo, gli uomini, gli animali? […] I
bambini riflettono e si interrogano su questioni come la giustizia, il senso
della vita, il perché del dolore”. A meno che non li si imprigioni
nella bolla di vetro di un iPad, dirà il tronfio didatta. Vero, vero. Ma è pur
vero che i bambini sanno intravedere lo shuttle in una caffettiera, fanno un
uso feroce e fantasmagorico di Google Earth che neanche James Cook. Ha ragione
Singer, comunque. Anche quando gode nell’esagerare: “quando ero piccolo facevo
tutte quelle domande che poi ho ritrovato nelle opere di Platone, Aristotele,
Spinoza, Leibniz, Hume, Kant e Schopenhauer”. Se c’è una cosa insopportabile
dei libri “per bambini”, in effetti, sono proprio i libri “per bambini”. Cioè
libri scritti da adulti che pensano che i bambini siano quegli affari alti
così, un po’ imbecilli, che della vita non sanno nulla – come se gli adulti ne
sapessero molto di più.
L’altra cosa
insopportabile è che di solito i libri per bambini scritti dagli adulti sono
illustrati dagli adulti. Insomma, sono sempre gli adulti a decidere che cosa è
“per bambini”. E sono sempre gli adulti a comprare i libri per i propri bimbi,
determinando ciò che per loro è giusto. Perché? Perché gli adulti sono
terrorizzati dai bambini. Perché? Perché i bambini ne sanno più di loro.
In realtà, i
grandi classici per giovani lettori (dai Libri della giungla ad Alice
nel Paese delle Meraviglie, dalle Avventure di Tom Sawyer a Lord
Jim) sono semplicemente libri meravigliosi, scritti da romanzieri che sono
rimasti bambini. Il
genio dei grandi scrittori è proprio questo, restare bambini, credere “a tutti
gli incantesimi”, come scrive Arthur Rimbaud, che nella sua cronaca poetica fa
una lista di desideri infantili, “sognavo crociate, spedizioni di cui non è
rimasta relazione, repubbliche senza storie, guerre di religione soffocate,
rivoluzioni di costumi, spostamenti di razze e di continenti”.
Un gesto di
giustizia verso i propri figli è scarcerarli dalla moda dei libri “per
bambini”. Lasciando che siano loro a scrivere la storia che vorrebbero sentirsi
raccontare. I bambini devono liberarsi dalle storie che gli adulti hanno
scritto per loro. Ralph Waldo Emerson, ciarliero filosofo americano, credeva
che uno Shakespeare in potenza riposi in ogni uomo e che tutti, in fondo,
possono diventare Dante. Più modestamente, penso che ogni bambino sia un ottimo
narratore. Ma come si fa? Così.
1.
Ascoltarli Senza farsi
vedere. Acquattati. Quando i bambini non imitano il dizionario dei grandi, ma
ne fondano uno loro. Ascoltare i bimbi anche di notte, mentre dormono e sono
visitati da sogni avventurosi.
2. Provocarli Gettare
una parola in mezzo alla sala. Giocarla. Assaporare il sale del linguaggio.
Dire “gatto” e piantare la parola lì, nella testa del bimbo. Procedere per
associazioni. “Matto”, “cotto”, “prosciutto”. Legare queste parole in una
trama, in una ragnatela di senso e di sensi.
3. Costruire
un vocabolario Che
tenga conto del linguaggio dei bambini. Se il sole è un giaguaro che sbadiglia,
deve essere un giaguaro che sbadiglia. Svaligiare la lingua rovesciando
neologismi: se partiamo da “gatto”, tentiamo “sgattare”, “gattolare”,
“gattinga”, “ragattolo”. E diamo un significato a questi neologismi.
Ipotizziamo un mondo non convenzionale, dove tutte le tribù di verbi ignoti e
di aggettivi inesplorati possano abitare.
4. Lasciare che la storia
segua l’indole dei piccoli Fino a un certo limite. Ai bimbi basta un soffio
di vento, un fischio, per distruggere una cattedrale. Bisogna accompagnarli nel
labirinto della propria fantasia. Cominciando con la distinzione dei
personaggi. Chi agisce in questa storia? Che cosa gli facciamo fare? Ha degli
amici? In quale luogo si muove? Senza smorzare potenzialità alla fantasia – un
topo può diventare un astronomo che viaggia per galassie
lontane – approfondire le ragioni di ogni gesto – perché quel topo ama
l’astronomia? perché viaggia, per trovare chi? Dare corpo, compimento e giustizia
ad ogni atto. Sforzarsi di sprofondare nel pozzo dei propri sogni.
5. Non c’è
uno scopo né un indirizzo morale nella costruzione della storia La buona novella e il lieto
fine lasciamole alle educate storie dei “grandi”. Si racconta una storia perché
è bella. E perché ci piace raccontarla. I bambini non devono essere protetti da
nulla: con loro si possono affrontare tutti i temi, anche la morte. Le difese
le erigono gli adulti, che sono colpevoli. Gli adulti hanno paura della morte,
non i bambini, che sono immortali.
6. Elogio della disobbedienza
(per una obbedienza più grande) Davanti ai bambini non sono ammesse
scappatoie o vie di fuga. Ogni storia deve essere autentica, vera. Sigillata da
una autorevole furia fantastica. Sono possibili, però, i sentieri. Non
fossilizzatevi sulla trama, non difendete le vostre opinioni: si va 10 da 1 a
10, progressivamente, soltanto nel mondo dei grandi, la logica (ad A deve
seguire B poi C) è la dinamica degli adulti per celare come possono le proprie
angosce. Per i bambini 2 più 2 può fare 575 e l’alfabeto può cominciare dalla
lettera X (che è, notoriamente, il luogo dove si nasconde il tesoro dei
pirati). Lo scopo di una storia è stimolare altre storie. I bambini non
vogliono applausi e medaglie, ma nuove imprese. I complimenti frenano la voglia
di avventura e di inedito.
7. Ode all’anarchia La
storia va illustrata. E i disegni li devono compiere i bambini, perché
l’alfabeto pittorico, dei segni, è importante quanto quello verbale. Se non
vogliono obbedire ai vostri ordini (ora devi disegnare una tigre, ora un drago
cavalcato da un robot, perché la storia dice così…), accogliete la
disobbedienza come una benedizione. E lasciateli fare. Sono loro gli interpreti
della loro storia. Se nella storia la bambina è issata su una renna, ma vostra
figlia vuole disegnarla a cavalcioni di una stella, permettete questa libertà.
Il disegno sarà bellissimo.
Accompagnando
i vostri figli nella scrittura di una storia, imparerete a scrivere la vostra
vita. (d.b.)
*Postfazione
(con dono). Per anni – fino a quest’anno – ho scritto storie con i miei figli.
Poi le mandavo a stampare e il regalo per i parenti era pronto. Alcuni di
questi libri sono stati pubblicati da editori amici. Nel 2014 Guaraldi, uno
pronto ad alimentare le sfide, mi ha chiesto di aggiungere al testo un breve
manuale per scrivere storie con i propri figli, in proprio. Il libro
s’intitola “La bambina che ha sconfitto il male”, il testo, che qui si
riproduce, gridava con forza bianca, “Tranquilli, i vostri figli sono
intelligenti. Istruzioni per scrivere favole”. Quel testo lo
ricalco qui; il libro, invece, se vi va, lo regalo, in formato pdf, se scrivete
a info@pangea.news. È illustrato dai miei
figli.
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