giovedì 18 febbraio 2021

I dati dei processi contro i/le No Tav: un contributo al dibattito - Alessandro Senaldi

 


Il testo seguente è stato pubblicato originariamente sul sito studiquestionecriminale.

Riceviamo e pubblichiamo un contributo di Alessandro Senaldi (Università degli Studi di Genova) sui primi importanti risultati dell’attività di ricerca svolta durante il suo PhD.

Ringraziamo Alessandro e vi auguriamo buona lettura!

 

Precisazioni sulla ricerca

Questo testo è stato immaginato come un contributo al dibattito – pubblico, professionale e accademico – che si sta sviluppando1 a seguito degli ultimi eventi giudiziari riguardanti la cultura giuridica locale torinese2. È mia intenzione, quindi, fornire – sotto forma di una nota di ricerca e senza l’inclusione di troppi elementi teorico-interpretativi – alcuni risultati emersi durante il lavoro svolto nel corso della mia esperienza dottorale3.

I dati di seguito presentati, sono stati elaborati attraverso lo studio della (quasi) totalità dei processi aventi come imputati e imputate militanti del movimento No Tav. Per la precisione, la ricerca riguarda i processi che, al termine dell’assunzione del materiale empirico (il 31 dicembre 2017), erano giunti (almeno) alla conclusione del primo grado di giudizio. Complessivamente, quindi, ho analizzato i materiali giudiziari prodotti in quasi 12 anni (4.061 giorni) – per un totale 7.301 documenti – e identificati 151 procedimenti iscritti (dal 2005 al 2016) al Registro Generale Notizie di Reato, di cui di 86 è stato possibile ricostruire in maniera completa la storia processuale.

La speranza è che, attraverso questa didascalica restituzione di elementi tecnico-giuridici, storici e statistico-descrittivi, sia possibile – osservando attraverso la lente focale della criminalizzazione secondaria4 della “questione criminale No Tav” – mettere in luce tendenze e specificità della cultura giuridica locale torinese.

Evoluzione dei processi contro attivisti e attiviste No Tav

 

Dal punto di vista temporale l’azione penale legata alla vicenda del TAV/TAC in Val di Susa comincia a strutturarsi nel 1998, con il processo contro gli anarchici Edoardo Massari, Maria Soledad Rosas (entrambi tragicamente morti suicidi in condizioni detentive) e Silvano Pellissero. Segue, fino al 2005, una sorta di pax giudiziaria, motivata anche da una certa inattività da parte della compagine promotrice dell’opera. Per un notevole incremento delle notizie di reato, si dovrà attendere il 2010, anno in cui si registra una brusca impennata degli RGNR iscritti. Tale impennata, se per alcuni versi appare naturale conseguenza della radicalità espressa dal movimento a fronte dei primi passi concreti mossi dalla compagine promotrice, può anche essere letta come l’effetto della nascita del “Gruppo Tav”, ovvero il pool di magistrati istituito, contestualmente alle prime operazioni di implementazione dell’opera, dal procuratore capo Caselli (il 13/1/10)5. A partire dal 2013, poi, il numero di iscrizioni discende nuovamente tornando ad una situazione di “normalità” nel 2016.

Sul punto occorre, inoltre, porre un’evidenza. Infatti, se è vero quanto riportato da LaRepubblica Torino (1/3/14) – cioè che secondo il Registro Informatico della Procura tra il 2010 e il 2014 sono state indagate più di mille persone (123 i fascicoli aperti tra il 2010 e il 2012 per un totale di 707 indagati, mentre, nel 2013 sono stati aperti 70 fascicoli con un totale di 280 indagati) – vi è un’importante una discrasia tra quanto riportato ai media dalla Procura di Torino e quanto emerso da questo studio. In quanto, dalla ricerca svolta, risultano essere – in un arco temporale maggiore – solamente 477 gli imputati. Questo, se non può mettere in dubbio la veridicità della notizia, sta quantomeno a significare che, a fronte di un’alta attività investigativa della procura, solo una parte minoritaria di questa si conclude con un addebito.

Imputat*: età, provenienza e selettività dell’organizzazione procura-polizia

 



Gli imputati sono di un’età compresa tra i 17 e gli 78 anni, il che dimostra una spiccata inter-generazionalità del movimento. Sul punto, l’aspetto più saliente riguarda il dato della popolazione “anziana”. Il numero di coloro che hanno più di 64 anni rappresenta il 6,7% del totale. Tale risultato è interessante, in quanto emerge come la percentuale degli attivisti ultrasessantenni imputati sia assai superiore rispetto a quella che si incontra nelle statistiche nazionali, le quali descrivono un’incidenza del numero di indagati over 64 solo del 2,5%incidenza del numero di indagati over 64 solo del 2,5%. Inoltre, la percentuale di attivisti imputati sopra ai 45 anni è sostanzialmente costante (imputati fino ai 34 anni sono il 54,8%, mentre gli imputati con più di 35 anni sono il 45,2%.), indice di come la radicalità non sia un fenomeno esclusivamente giovanile. Cade, cioè, la narrazione dell’esistenza di “manifestanti buoni” e “manifestanti cattivi” che si poggia sulla coppia concettuale oppositiva buoni/cattivi=vecchi/giovani.




Per quanto riguarda la provenienza degli imputati, la maggioranza di questi (37,1%) è residente in uno dei comuni valsusini, in seconda posizione vi sono coloro che risiedono a Torino (27,9%), mentre, il terzo gruppo è quello che comprende gli imputati che risiedono fuori dal Piemonte (21,4%). Ancora, vi è poi pochissimo scarto tra gli imputati residenti in provincia di Torino e quelli residenti in regione, rispettivamente il 7,6% e il 5,9%, infine, tra gli imputati vi è un’unica presenza straniera. È possibile constatare la crisi del meccanismo di criminalizzazione che ascrive la conflittualità espressa unicamente ai “forestieri”, distinguendo tra coloro che vivono sul territorio conteso, che sarebbero legittimati alla protesta e quindi “buoni”, e coloro che non vivono sul territorio conteso, che sono “cattivi” in quanto accusati di “turismo da protesta”. Infatti, non solo il gruppo di imputati residenti in valle è il più consistente ma, in termini percentuali, gli imputati residenti fuori dal Piemonte sono solo un quinto del campione (il 21,4%).

Tentando, poi, di capire quali sono i soggetti di fatto interessati dai procedimenti giudiziari, al di là quindi del mero numero assoluto di imputati, emerge una selettività di polizia e procura. Tale affermazione è suffragata da due elementi: l’uno (per l’appunto) di natura numerica, l’altro di tipo qualitativo. Per quel che riguarda il primo elemento, se è vero che negli atti giudiziari analizzati vi sono 477 imputati, molti procedimenti hanno come protagonisti i medesimi soggetti, infatti, le persone realmente coinvolte sono 301. Mentre, dal punto di vista qualitativo, il meccanismo selettivo – esempio lampante di come si esprime nel caso di specie la criminalizzazione secondaria – è così spiegato dal capo della Digos torinese Petronzi durante il maxi processo: «[…] si è scelto di concentrare l’attenzione di carattere investigativo su quei soggetti potenzialmente identificabili […]. Quindi non ci si è concentrati su quelle altre figure […] ma si è concentrata l’attenzione su questi soggetti […] perché diciamo altresì che non si stava lavorando su una massa indistinta di soggetti arrivata da chissà dove, quindi si operava altresì su di una soggettività in buona parte anche nota, sia perché facente parte del variegato movimento No Tav, sia perché molti facenti parte di circuiti antagonisti, anche anarchici, nazionali e non solo nazionali»...

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