Il testo
seguente è stato pubblicato originariamente sul sito studiquestionecriminale.
Riceviamo e
pubblichiamo un contributo di Alessandro Senaldi (Università degli Studi di Genova)
sui primi importanti risultati dell’attività di ricerca svolta durante il suo
PhD.
Ringraziamo
Alessandro e vi auguriamo buona lettura!
Precisazioni
sulla ricerca
Questo testo è stato immaginato come un contributo al
dibattito – pubblico, professionale e accademico – che si sta sviluppando1 a seguito degli ultimi eventi giudiziari riguardanti la cultura
giuridica locale torinese2. È mia intenzione, quindi, fornire – sotto forma di una nota di ricerca e
senza l’inclusione di troppi elementi teorico-interpretativi – alcuni risultati
emersi durante il lavoro svolto nel corso della mia esperienza dottorale3.
I dati di seguito presentati, sono stati elaborati
attraverso lo studio della (quasi) totalità dei processi aventi come imputati e
imputate militanti del movimento No Tav. Per la precisione, la ricerca riguarda
i processi che, al termine dell’assunzione del materiale empirico (il 31
dicembre 2017), erano giunti (almeno) alla conclusione del primo grado di
giudizio. Complessivamente, quindi, ho analizzato i materiali giudiziari
prodotti in quasi 12 anni (4.061 giorni) – per un totale 7.301 documenti – e
identificati 151 procedimenti iscritti (dal 2005 al 2016) al Registro Generale
Notizie di Reato, di cui di 86 è stato possibile ricostruire in maniera
completa la storia processuale.
La speranza è che, attraverso questa didascalica
restituzione di elementi tecnico-giuridici, storici e statistico-descrittivi,
sia possibile – osservando attraverso la lente focale della criminalizzazione
secondaria4 della “questione criminale No Tav” – mettere in luce tendenze e
specificità della cultura giuridica locale torinese.
Evoluzione
dei processi contro attivisti e attiviste No Tav
Dal punto di vista temporale l’azione penale legata
alla vicenda del TAV/TAC in Val di Susa comincia a strutturarsi nel 1998, con
il processo contro gli anarchici Edoardo Massari, Maria Soledad Rosas (entrambi
tragicamente morti suicidi in condizioni detentive) e Silvano Pellissero.
Segue, fino al 2005, una sorta di pax giudiziaria, motivata anche da una certa
inattività da parte della compagine promotrice dell’opera. Per un notevole
incremento delle notizie di reato, si dovrà attendere il 2010, anno in cui si
registra una brusca impennata degli RGNR iscritti. Tale impennata, se per
alcuni versi appare naturale conseguenza della radicalità espressa dal
movimento a fronte dei primi passi concreti mossi dalla compagine promotrice,
può anche essere letta come l’effetto della nascita del “Gruppo Tav”, ovvero il
pool di magistrati istituito, contestualmente alle prime operazioni di
implementazione dell’opera, dal procuratore capo Caselli (il 13/1/10)5. A partire dal 2013, poi, il numero di iscrizioni discende nuovamente
tornando ad una situazione di “normalità” nel 2016.
Sul punto occorre, inoltre, porre un’evidenza.
Infatti, se è vero quanto riportato da LaRepubblica Torino (1/3/14) – cioè che
secondo il Registro Informatico della Procura tra il 2010 e il 2014 sono state
indagate più di mille persone (123 i fascicoli aperti tra il 2010 e il 2012 per
un totale di 707 indagati, mentre, nel 2013 sono stati aperti 70 fascicoli con
un totale di 280 indagati) – vi è un’importante una discrasia tra quanto
riportato ai media dalla Procura di Torino e quanto emerso da questo studio. In
quanto, dalla ricerca svolta, risultano essere – in un arco temporale maggiore
– solamente 477 gli imputati. Questo, se non può mettere in dubbio la
veridicità della notizia, sta quantomeno a significare che, a fronte di un’alta
attività investigativa della procura, solo una parte minoritaria di questa si
conclude con un addebito.
Imputat*:
età, provenienza e selettività dell’organizzazione procura-polizia
Gli imputati sono di un’età compresa tra i 17 e gli 78
anni, il che dimostra una spiccata inter-generazionalità del movimento. Sul
punto, l’aspetto più saliente riguarda il dato della popolazione “anziana”. Il
numero di coloro che hanno più di 64 anni rappresenta il 6,7% del totale. Tale
risultato è interessante, in quanto emerge come la percentuale degli attivisti
ultrasessantenni imputati sia assai superiore rispetto a quella che si incontra
nelle statistiche nazionali, le quali descrivono un’incidenza del numero di indagati over 64 solo del 2,5%. Inoltre, la percentuale di
attivisti imputati sopra ai 45 anni è sostanzialmente costante (imputati fino
ai 34 anni sono il 54,8%, mentre gli imputati con più di 35 anni sono il
45,2%.), indice di come la radicalità non sia un fenomeno esclusivamente
giovanile. Cade, cioè, la narrazione dell’esistenza di “manifestanti buoni” e
“manifestanti cattivi” che si poggia sulla coppia concettuale oppositiva
buoni/cattivi=vecchi/giovani.
Per quanto riguarda la provenienza degli imputati, la
maggioranza di questi (37,1%) è residente in uno dei comuni valsusini, in
seconda posizione vi sono coloro che risiedono a Torino (27,9%), mentre, il
terzo gruppo è quello che comprende gli imputati che risiedono fuori dal
Piemonte (21,4%). Ancora, vi è poi pochissimo scarto tra gli imputati residenti
in provincia di Torino e quelli residenti in regione, rispettivamente il 7,6% e
il 5,9%, infine, tra gli imputati vi è un’unica presenza straniera. È possibile
constatare la crisi del meccanismo di criminalizzazione che ascrive la
conflittualità espressa unicamente ai “forestieri”, distinguendo tra coloro che
vivono sul territorio conteso, che sarebbero legittimati alla protesta e quindi
“buoni”, e coloro che non vivono sul territorio conteso, che sono “cattivi” in
quanto accusati di “turismo da protesta”. Infatti, non solo il gruppo di
imputati residenti in valle è il più consistente ma, in termini percentuali,
gli imputati residenti fuori dal Piemonte sono solo un quinto del campione (il
21,4%).
Tentando, poi, di capire quali sono i soggetti di fatto interessati dai procedimenti giudiziari, al di là quindi del mero numero assoluto di imputati, emerge una selettività di polizia e procura. Tale affermazione è suffragata da due elementi: l’uno (per l’appunto) di natura numerica, l’altro di tipo qualitativo. Per quel che riguarda il primo elemento, se è vero che negli atti giudiziari analizzati vi sono 477 imputati, molti procedimenti hanno come protagonisti i medesimi soggetti, infatti, le persone realmente coinvolte sono 301. Mentre, dal punto di vista qualitativo, il meccanismo selettivo – esempio lampante di come si esprime nel caso di specie la criminalizzazione secondaria – è così spiegato dal capo della Digos torinese Petronzi durante il maxi processo: «[…] si è scelto di concentrare l’attenzione di carattere investigativo su quei soggetti potenzialmente identificabili […]. Quindi non ci si è concentrati su quelle altre figure […] ma si è concentrata l’attenzione su questi soggetti […] perché diciamo altresì che non si stava lavorando su una massa indistinta di soggetti arrivata da chissà dove, quindi si operava altresì su di una soggettività in buona parte anche nota, sia perché facente parte del variegato movimento No Tav, sia perché molti facenti parte di circuiti antagonisti, anche anarchici, nazionali e non solo nazionali»...
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