Avete visto nella breve
presentazione appena proiettata che l’idea di questo incontro è stata ispirata da Encyclomedia – una panoramica cartacea e online della Storia del Mondo Occidentale dal Big Bang ai giorni nostri.
Non sono qui ora per recensire quel lavoro,
perché figuro tra i suoi autori e penso che non
sarebbe molto elegante
analizzare un’opera
alla quale ho io stesso
collaborato.
Ma l’idea
alla base di Encyclomedia si ispira ad una concezione della nostra memoria
storica ed è proprio
sul concetto di memoria che elaborerò alcune
riflessioni che oggi rivestono un interesse primario,
anche se Encyclomedia non
fosse mai esistita.
Posso soltanto dire che l’idea
originaria che ha spinto me e altre
persone a imbarcarsi in un’impresa editoriale di questo tipo è stata la considerazione che pochi sanno quanto tempo è trascorso tra Sant’Agostino e San Tommaso, anche
se hanno studiato
al liceo o all’università che sono entrambi protagonisti della filosofia medievale.
Bene, tra Agostino e Tommaso d’Aquino ci sono otto secoli, che è la stessa distanza temporale che separa Tommaso d’Aquino da noi.
Per rendere il concetto del tempo evidente
attraverso una rappresentazione spaziale, all’inizio del nostro
lavoro abbiamo concepito una sorta di linea continua
che mostra il periodo di tempo
presumibile, se non proprio dal
Big Bang a noi, almeno
dall’estinzione dei dinosauri
alla nascita di Gesù Cristo.
Questa linea percorre
una lunga porzione
di spazio (e tempo),
mentre, una volta arrivata all’inizio del primo millennio, il tempo tra Cristo e noi occupa solo una lunghezza microscopica della nostra linea,
tanto che si è costretti a zoomarla per avere una rappresentazione visiva
di quanto accadde
negli ultimi duemila
anni.
A questo punto ci si può girare verso una data porzione di storia e scoprire, per esempio, che alcuni artisti, pensatori o scienziati sono vissuti nello stesso momento storico, o persino domandare al programma se - per caso - Goethe avrebbe potuto incontrare Napoleone. Il programma può dirci se un evento simile avrebbe potuto essere cronologicamente plausibile e cliccando sui link ipertestuali si può scoprire che quell’incontro accadde realmente.
L’intera operazione è stata ispirata dalla convinzione che,
specialmente tra le nuove generazioni, da entrambi i lati dell’Oceano Atlantico, stiamo assistendo a una perdita
della memoria storica.
LA NECESSITÀ DELLA MEMORIA
I mass
media sono principalmente interessati al presente. Accade sempre più spesso che in
Italia i giovani
(inclusi molti studenti
universitari), quando interrogati su fatti che riguardano,
diciamo, la Seconda
Guerra Mondiale, non sanno come definire personaggi storici come Badoglio, Churchill o Roosevelt – o che pensino (come è
realmente accaduto) che Aldo Moro fosse il leader delle Brigate
Rosse. Peggio ancora,
non sono in grado di raccontare
qualcosa di preciso
su eventi avvenuti
dieci anni prima
della loro nascita.
Purtroppo, una tale
perdita di memoria
si sta verificando anche nel mondo
degli eruditi. Se consulto
un testo americano pubblicato oggi su un tema
specialistico, posso rilevare che la bibliografia non va oltre
gli anni Ottanta, cosa che può essere comprensibile per determinate scienze
in corso di sviluppo, ad esempio quelle
che si occupano
del bosone di Higgs, ma che
è bizzarra se riguarda le scienze umanistiche. Ricordo di aver
visto un libro
di filosofia che a un certo punto menzionava una determinata idea di Kant e una nota a piè di pagina riportava “Vedere Brown
1982”: i testi
di Kant erano considerati troppo vecchi persino
per essere inseriti in nota.
In molti documenti
fruibili online manca una data di riferimento, mentre sarebbe importante sapere
se sono stati elaborati nel 2009, 2010 o 2012: si è persa qualunque profondità temporale.
Una leggenda dice che alla porta d’ingresso di un celebre dipartimento americano di filosofia era appeso un cartello con scritto “Ingresso vietato agli storici di filosofia”. E ricordo una mia conversazione con un amico filosofo il quale mi aveva domandato: “Perché dovremmo conoscere la logica degli Stoici, se la logica formale ha fatto enormi progressi dai loro tempi ai giorni nostri ed è più efficace studiare un manuale contemporaneo piuttosto che una ricostruzione storica?”. Gli risposi che: 1) se per caso gli Stoici si fossero sbagliati è importante conoscere anche la storia degli errori passati per evitarli e che per comprendere Copernico è fondamentale sapere perché Tolomeo avesse torto, dal momento che Copernico non iniziò da zero, ma iniziò criticando le idee di Tolomeo; 2) Non ignorare la storia della filosofia antica, o di qualunque altra disciplina, può aiutarci a non inventare l’acqua calda (come diciamo in Italia), e ci sono molti studiosi contemporanei che sprecano la propria intelligenza a riscoprire con sforzi vani idee che erano già state espresse in modo molto chiaro da pensatori antichi; 3) il vecchio detto historia magistra vitae (la storia è maestra di vita) è più serio di quanto comunemente si pensi, perché, se Hitler avesse letto qualcosa su Napoleone (o almeno Guerra e Pace di Tolstoj), avrebbe compreso che è piuttosto difficile per un esercito raggiungere Mosca prima dell’arrivo dell’inverno – e se Bush avesse letto racconti storici documentati sui tentativi inglesi e russi di vincere una guerra in Afghanistan nel 19esimo secolo, avrebbe sospettato che quel Paese presenta molte caratteristiche orografiche e sociali che rendono molto difficile sottometterne il territorio.
Questa diffidenza nei confronti della
storia era ed è ancora
una caratteristica tipica
di molti filosofi analitici
- e permettetemi di citare
una sintesi efficace
del problema che ho trovato nel volume
Continental Philosophy: A Very Short Introduction (Oxford; New York: Oxford
University Press, 2001) di Simon
Critchley:
“La filosofia continentale solitamente considera queste
condizioni di esperienza possibile come variabili: determinate almeno in parte
da fattori come il contesto, lo spazio e il tempo, il linguaggio, la cultura
o la storia. La filosofia continentale, quindi, tende verso lo storicismo. Laddove la filosofia analitica
tende a trattare la filosofia in termini di problemi separati, che possono
essere analizzati separatamente dalle loro origini
storiche (come gli scienziati
considerano la storia
della scienza non necessaria all’indagine scientifica), la filosofia continentale suggerisce tipicamente che un argomento filosofico non può essere
separato dalle condizioni testuali e contestuali della
sua nascita storica”.
Il problema che entra in gioco è che nessuna
civiltà (nel senso antropologico della parola,
intesa come sistema di idee
scientifiche e artistiche, miti, religioni, valori
e abitudini quotidiane) può sussistere e sopravvivere senza una memoria
collettiva. Le società
hanno sempre fatto affidamento sulla
memoria per preservare la loro identità, a partire dal vecchio che, seduto sotto un albero,
raccontava storie sullo
sfruttamento dei suoi
antenati e sul
mito fondatore della tribù.
E quando un qualche atto
di censura spazza
via una parte
della memoria di una società, questa
società attraversa una crisi di identità.
ECCESSO DI MEMORIA
Permettetemi ora di considerare il lato opposto
del nostro tema:
ovvero i danni
di un eccesso di memoria.
Ricordare troppo può finire in tragedia. Jorge Luis Borges ci ha raccontato la storia di Funes el Memorioso, e lasciate che io legga alcuni passaggi dal breve racconto di Borges:
“Arrivo, ora, al punto più difficile del mio racconto; il quale (è bene che il lettore lo sappia fin d’ora) non ha altro tema che questo dialogo di mezzo secolo fa. Non tenterò di riprodurre le sue parole, ormai irrecuperabili. Preferisco riassumere con veracità le molte cose che Ireneo mi disse. […]
Ireneo cominciò con l’enumerare, in latino e in spagnolo, i casi di memoria prodigiosa registrati dalla Naturalis Historia: Ciro, re dei persiani, che sapeva chiamare per nome tutti i soldati del suo esercito; Mitridate Eupatore, che amministrava la giustizia nelle ventidue lingue del suo impero; Simonide, inventore della mnemotecnica; Metrodoro, che professava l’arte di ripetere con fedeltà ciò che aveva ascoltato una sola volta. Con evidente buona fede si meravigliò che simili casi potessero meravigliare. Mi disse che prima di quella sera piovosa in cui il cavallo lo travolse, era stato ciò che sono tutti i cristiani: un cieco, un sordo, uno stordito, uno smemorato. […] Aveva vissuto diciannove anni come un sognatore: guardava senza vedere, ascoltava senza udire, si dimenticava di tutto, di quasi tutto. Cadendo, perdette i sensi; quando li riprese, il presente era quasi intollerabile tanto era ricco e nitido, e così i ricordi più antichi e banali. Poco dopo s’accorse ch’era paralizzato; la cosa appena l’interessò; ragionò (sentì) che l’immobilità era un prezzo minimo; ora la sua percezione e la sua memoria erano infallibili.
Noi, con un’occhiata, percepiamo tre bicchieri di vino su una tavola. Funes, tutti i tralci, i grappoli e gli acini d’una vite. Sapeva le forme delle nubi australi dell’alba del 30 aprile 1882 e poteva confrontarle, nel ricordo, con le venature della copertina d’un libro che aveva visto una sola volta, o con le spume che sollevò un remo, nel Rio Negro, la vigilia della battaglia di Quebracho. Questi ricordi non erano semplici: ogni immagine visiva era legata a sensazioni muscolari, termiche, ecc. Poteva ricostruire tutti i suoi sogni, tutti i suoi dormiveglia. Due o tre volte aveva ricostruito una giornata intera; non aveva mai esitato, ma ogni ricostruzione aveva richiesto un’intera giornata. Mi disse: «Ho più ricordi io da solo di quanti ne avranno avuti tutti gli uomini da che mondo è mondo» E disse anche: «I miei sogni sono come la vostra veglia – E anche, verso l’alba: «La mia memoria, signore, è come un immondezzaio». Un cerchio su una lavagna, un triangolo rettangolo, un rombo, sono forme che noi possiamo intuire pienamente; lo stesso capitava a Ireneo con i crini scarmigliati d’un puledro, con il fuoco cangiante e l’innumerevole cenere, con una mandria di bestiame in una cuchilla, con i tanti volti d’un morto durante una lunga veglia funebre. Non so quante stelle vedeva nel cielo.
[…] Mi disse che nel 1886 aveva scoperto un sistema originale di numerazione e in pochi giorni aveva superato il ventiquattromila. Non l’aveva scritto, perché già il fatto d’averlo pensato una volta sola bastava per non cancellarlo. Il primo stimolo, credo, gli venne dal di- spiacere che per il 33 in numeri arabi ci volessero due segni e due parole, al posto d’una sola parola e d’un solo segno. Applicò subito questo pazzo principio agli altri numeri. Al posto di settemilatredici diceva (per esempio) «Maximo Perez»; al posto di settemilaquattordici,
«La Ferrovia»; altri numeri erano «Luis Melian Lafinur, Olimar, zolfo, i fiori (delle carte), la balena, il gas, la caldaia, Napoleone, Agustin de Vedia». Al posto di cinquecento, diceva «nove». Ogni parola aveva un segno particolare, una specie di marchio; gli ultimi erano molto complicati… Cercai di spiegargli che questa rapsodia di voci sconnesse era precisamente il contrario di un sistema di numerazione […] Funes non mi sentì o non volle sentirmi.
Locke, nel XVII° secolo,
propose (e respinse) un linguaggio impossibile in cui ogni
singola cosa, ogni pietra,
ogni uccello e ogni ramo avesse un nome proprio;
Funes aveva pensato, una volta,
a un linguaggio analogo, ma l’aveva
scartato perché gli sembrava troppo
generico, troppo ambiguo. In effetti, Funes
non solo ricordava ogni foglia di ogni albero
di ogni montagna, ma anche ogni
volta che l’aveva percepita o immaginata. Decise
di ridurre ciascuno dei suoi giorni passati
a un settantamila ricordi, da definire in seguito con cifre. Lo dissuase-
ro due considerazioni: la consapevolezza che il compito era interminabile e che era inutile.
Pensò che all’ora della
sua morte non avrebbe ancora
finito di classificare tutti i ricordi
della sua infanzia.
I due progetti che ho detto (un vocabolario infinito per la serie naturale dei numeri, un inutile catalogo mentale di tutte le immagini della memoria) sono insensati, ma rivelano una certa balbuziente grandezza. Ci permettono di intravedere o di dedurre il vertiginoso mondo di Funes. Questo, non dimentichiamolo, era quasi incapace di idee generali, platoniche. Non solo aveva difficoltà a comprendere che il simbolo generico cane potesse designare molti disparati individui di varia dimensione e forma diversa; ma lo infastidiva il fatto che il cane delle tre e quattordici (visto di profilo) avesse lo stesso nome del cane delle tre e un quarto (visto di fronte). Il suo proprio volto nello specchio, le sue proprie mani, lo sorprendevano ogni volta. Swift racconta che l’imperatore di Lilliput discerneva il movimento delle lancette d’un orologio; Funes discerneva continuamente il calmo progredire della corruzione, della carie, della fatica. Notava i progressi della morte, dell’umidità. Era il solitario e lucido spetta- tore di un mondo multiforme, istantaneo e quasi intollerabilmente preciso. Babilonia, Londra e New York hanno offuscato con il loro feroce splendore l’immaginazione degli uomini; nessuno, nelle loro torri popolose e nelle loro strade frenetiche, ha mai sentito il calore e la pressione d’una realtà così intangibile come quella che giorno e notte convergeva sull’infelice Ireneo, nel suo povero sobborgo sudamericano. Gli era molto difficile dormire. Dormire è distrarsi dal mondo; Funes, sul letto, nell’ombra, si figurava ogni fessura e ogni rilievo delle case precise che lo circondavano. (Ripeto che il meno importante dei suoi ricordi era più minuzioso e più vivo della nostra percezione d’un piacere o d’un tormento fisico). Verso est, in un lotto di terra lontano, c’erano case nuove, sconosciute. Funes le immaginava nere, compatte, fatte di tenebra omogenea; in quella direzione voltava il capo per dormire.
Era anche solito
immaginarsi in fondo al fiume, cullato e annullato dalla corrente.
Aveva imparato senza fatica l’inglese, il francese, il portoghese, il latino. Sospetto,
tuttavia, che non fosse
molto capace di pensare. Nel mondo brulicante di Funes non c’erano
che dettagli,
quasi immediati.
Il chiarore sospettoso
dell’alba entrò per il patio di terra.
Allora vidi
il volto di quella voce che aveva
parlato tutta la notte. Ireneo
aveva diciannove anni; era nato nel 1868; mi parve monumentale come il bronzo, più antico dell’Egitto, anteriore alle profezie e alle piramidi. Pensai che ciascuna
delle mie parole
(ciascuno dei miei gesti) sarebbe
durato nella sua implacabile memoria;
mi gelò il timore di moltiplicare inutili gesti.
Ireneo Funes mori nel
1889, d’una congestione polmonare.”
Perciò, proprio per questa
infelice virtù, Funes
era un perfetto idiota. Non poteva
fare più nulla…
Ora, se qualcuno crede che il World
Wide Web possa contribuire a rinforzare la nostra memoria degli eventi passati,
consideriamo che il World Wide Web è già (o presto sarà)
simile al cervello di Funes. Fino
ad ora la società ha filtrato le cose per
noi, attraverso i libri di testo
e le enciclopedie. Con l’arrivo del Web, tutte le possibili conoscenze e informazioni, persino le più inutili, sono
lì a nostra disposizione. Quindi
la domanda è: chi sta
filtrando?
L’estate scorsa stavo lavorando nella mia casa di campagna,
senza i trenta mila volumi
che ho a Milano, e avevo bisogno
di alcuni dati
sull’Olocausto. Interpellai il Web e trovai
un’incredibile quantità di siti. Conoscendo abbastanza bene la storia contemporanea, fui in grado
di eliminare i siti che fornivano solo informazioni superficiali e fui lentamente in grado di selezionare, diciamo, i 10 siti che contenevano informazioni vitali. Cosa accade al profano che per la
prima volta cerca sul Web delle
informazioni elementari sull’Olocausto? L’incapacità
di filtrare comporta
l’impossibilità di discriminare. Per me, avere dieci
mila siti sullo
stesso argomento equivale a non averne nessuno,
perché un individuo (specialmente un giovane) non è in grado di selezionare quelli importanti e affidabili, e anche se fosse in grado non avrebbe tempo di
esplorarli tutti.
Abbiamo incrementato la nostra capacità
di memoria, ma non abbiamo
ancora trovato i nuovi parametri di filtraggio.
Quando ci confrontiamo con il Web, non abbiamo a disposizione né una regola
per selezionare le informazioni né una regola
per dimenticare ciò
che è inutile ricordare. Possediamo criteri di selezione solo
nella misura in cui siamo
preparati intellettualmente ad affrontare
il calvario di navigare il Web. Necessitiamo di centri di formazione (la scuola, i libri, le istituzioni scientifiche, alcuni
siti web) che ci insegnino come operare la selezione: deve essere
inventata una nuova arte della decimazione.
Altrimenti sette
miliardi di abitanti di questo pianeta
produrranno sette miliardi di diverse procedure di selezione
ideologica. Il risultato potrebbe benissimo essere
una società composta da identità individuali giustapposte (che mi sembra un segno di progresso), senza
la mediazione di gruppi
(che mi sembra
un pericolo). Non so se una società di questo tipo
sarebbe in grado di funzionare correttamente. Persino per inventare qualcosa di nuovo avremmo
bisogno di un’enciclopedia condivisa dalla quale iniziare.
Il complesso di Funes ha
ossessionato l’umanità fin dall’inizio.
Fin dall’antichità classica, il problema del bisogno di dimenticare emerge
parallelamente allo sviluppo di tecniche di memorizzazione attraverso le quali affidare
alla memoria la quantità
massima di informazioni (specialmente nei secoli
in cui l’informazione non era facilmente
ottenibile
e trasportabile come è diventata, con l’invenzione della stampa prima
e dei dispositivi elettronici poi).
L’esempio classico di un dispositivo di memoria consiste nel
figurarsi un’immagine spaziale complessa (un palazzo,
una piazza, una città) in cui ci siano elementi
architettonici o statue, molte rappresentanti fatti strani
o paurosi, ai quali si possa associare ogni tipo di data, concetto, principio logico, evento
e così via, in modo che immaginandosi di visitare il luogo e ricordando queste
immagini, si possa
ricordare un sistema
completo di nozioni.
Ma a volte
è stato più difficile ricordare le immagini mnemoniche che le date da recuperare. Nel De oratore (II,
74), per esempio,
Cicerone cita il caso di Temistocle, che era stato dotato
di una memoria straordinaria. Quando
qualcuno gli offrì
di insegnargli un’ars memorandi, Temistocle rispose che il suo interlocutore gli avrebbe fatto
una grande cortesia se gli avesse insegnato
come dimenticare ciò che desiderava dimenticare piuttosto che insegnargli come
ricordare, dato che avrebbe preferito
essere in grado di dimenticare qualcosa che non voleva
ricordare
piuttosto che ricordare
tutto ciò che aveva sentito
o visto: Temistocle provava
a fuggire dalla sindrome di Funes.
Il problema dell’eccesso di memoria spiega perché uno dei timori dei praticanti dell’arte mnemonica fosse di ricordare così tanto da confondersi e come risultato dimenticare praticamente tutto. Sembra, infatti, che a un certo punto della sua vita Giulio Camillo (che inventò un teatro della memoria assolutamente infattibile) dovette scusarsi per il suo stato confusionale e per i suoi vuoti di memoria, citando come spiegazione l’applicazione protratta e frenetica delle sue tecniche di mnemonica… D’altra parte, nella sua polemica contro la mnemonica, Cornelio Agrippa (nel De vanitate scientiarum) affermava che la mente è resa ottusa da quegli artifici mostruosi e l’essere così sovraccaricata la porta alla pazzia. Da qui, subdolamente parallela alle fortune dell’ars memoriae, deriva la riapparizione di volta in volta del fantasma dell’ars oblivionalis.
Perciò nel 1592 un certo Filippo
Gesualdo scrisse una Plutosofia, un metodo per l’oblio
e, nel suo intento
di sviluppare un’arte per dimenticare, suggerì
le stesse tecniche
di un’arte per ricordare.
Gesualdo suggeriva di immaginare un teatro della memoria in cui di solito venivano
collocate diverse immagini
associate a qualcosa
da ricordare. E poi “durante il giorno con gli
occhi chiusi, o di notte
nell’oscurità, dovresti vagare con la mente attraverso tutti i posti
immaginati, evocando un’oscurità notturna
che nasconde tutti i luoghi e, procedendo in questa maniera, e andando indietro
molte volte con la mente e non vedendo alcuna immagine, ogni figura presto scomparirà… Proprio
come il pittore imbianca
i suoi dipinti per cancellarli, così anche noi possiamo
cancellare le immagini
dei colori dipinti
sopra. E questi
colori sono bianchi, verdi
o neri; immaginando bianche tende a coprire i luoghi, lenzuola
verdi o tessuti neri; e tornando su quei luoghi
numerose volte con i veli
dei colori. E si può anche immaginare i luoghi riempiti
con paglia, fieno,
legna da ardere,
merce, ecc.
La considero una regola eccellente per realizzare nuove figure; perché
proprio come un chiodo
ne scaccia un altro, così formare nuove
immagini e collocarle nei luoghi già immaginati cancella le prime immagini
dalla nostra memoria.
O immaginate una grande tempesta
di vento, grandine, polvere,
edifici e luoghi
e templi in rovina,
un flusso che lascia tutto in uno stato di confusione. E quando questo
pensiero nocivo è proseguito per un po’ ed è stato ripetuto
per numerose volte,
alla fine andate
a passeggiare in quei luoghi con la vostra
mente, immaginando un tempo luminoso
e calmo e pacifico, e vedrete quei luoghi vuoti
e nudi come se fossero
creati per la prima volta.
O immaginate un uomo ostile, terribile e temibile (il più crudele e bestiale e aggressivo possibile) che con una truppa di compagni armati entra e passa impetuosamente in quei luoghi e con flagelli, bastoni e altre armi caccia via le sembianze, assalta le persone, manda in frantumi le immagini, mette in fuga da porte e finestre tutti gli animali e le persone animate che abitavano quei luoghi. Fino a che, dopo che il tumulto e la rovina sono passati, guardare quei luoghi con una mente guarita dal terrore, li farà sembrare nudi e vuoti come lo erano prima.”
Non sappiamo se qualcuno abbia
mai messo in pratica gli artifici che Gesualdo aveva
raccomandato, ma siamo autorizzati a sospettare che tutti questi stratagemmi abbiano
reso possibile, non tanto
dimenticare, quanto ricordare ciò che il praticante voleva
dimenticare
– come accade
quando gli amanti
cercano di cancellare l’immagine della persona
che li ha abbandonati, e più la cancellano più vividamente il volto della
persona amata si ripropone.
Un altro autore che
secoli dopo ha messo in guardia contro
l’eccesso di memoria è stato
Nietzsche nelle sue seconde Considerazioni inattuali, sui vantaggi e gli svantaggi degli studi storici
per la vita. Scrisse sulla capacità di percepire le cose astoricamente: “Chi non sa sedersi sulla soglia dell’attimo, dimenticando tutto il passato,
chi non sa stare dritto
su un punto senza
vertigini e paura
come una dea della vittoria, non saprà mai che cos’è la felicità
e ancora peggio, non farà mai qualcosa
che renda felici
gli altri. Immaginatevi l’esempio estremo, un uomo che non possedesse affatto
la forza di dimenticare, che fosse condannato a vedere ovunque un divenire (e lasciatemi supporre
che Borges, quando
inventò Funes, stava pensando a queste
pagine di Nietzsche). Un tale uomo non crederebbe più al suo proprio
essere, non crederebbe più a se stesso,
vedrebbe scorrere ogni
cosa l’una dall’altra in un movimento di punti e si perderebbe in questa fiumana
del divenire […] Un uomo che volesse
sentire in tutto e per tutto in modo storico,
sarebbe simile a colui che fosse costretto ad astenersi dal sonno, o all’animale che dovesse vivere
soltanto del suo ruminare e di un sempre
ripetuto ruminare. Dunque, è possibile vivere
quasi senza ricordare, anzi vivere felicemente, come mostra l’animale; ma è del tutto impossibile vivere in generale senza dimenticare. O, per spiegare
più chiaramente la mia tesi:
C’è un grado di insonnia, di ruminazione, del senso
storico, che rende la vita un danno e alla fine la distrugge, che si tratti di una persona
o di un popolo o di una civiltà”.
Una delle cose interessanti di questo testo
è che, mentre queste osservazioni sembrano rispondere all’esigenza di sopravvivenza dell’individuo, da parte delle
civiltà in generale
l’enfasi si sposta sul
bisogno di una dimenticanza sistematica. Questo spostamento è di importanza capitale perché,
una volta dimostrata l’impossibilità di dimenticare volontariamente ciò che la memoria
individuale ha registrato, le civiltà si presentano come
sistemi che funzionano, non solo per preservare e trasmettere informazioni utili alla loro
sopravvivenza in quanto civiltà, ma anche per cancellare le informazioni giudicate
in eccesso.
FILTRAGGIO
Per preservare la propria identità, una civiltà non
deve solo comportarsi come un archivio di informazioni, ma anche
come un filtro.
La storia delle
civiltà è una sequenza di abissi nei quali si sono perse tonnellate di informazioni. I Greci erano già incapaci
di recuperare le competenze matematiche degli Egizi;
il Medioevo ha perso la scienza greca,
tutto Platone (eccetto un dialogo) e metà Aristotele. Alcune di queste
perdite furono meramente accidentali (è stato un peccato
aver perduto, ad esempio, la matematica della Mesopotamia, se c’è mai
stata una cosa
del genere), alcune
furono dovute alla
censura, alcune parti
della conoscenza perduta
furono in qualche
modo riscoperte più tardi, ma in generale la funzione di una memoria sociale e culturale è di agire
da filtro, non di preservare tutto.
Sarebbe folle che un libro
si storia romana
riportasse ciò che accadde a Calpurnia, la moglie
di Cesare, dopo la morte
di suo marito. Che tra l’altro
non fu una cospirazione maschilista, perché la storia ha invece registrato ciò che accadde
a Clara Schuman
dopo la morte
di Robert, dal momento che Clara durante
la vedovanza era ancora famosa
come pianista e, per
di più, c’erano molte
voci su una relazione con Brahms – così che la sua vita appartiene agli eventi che una civiltà giudica
importante ricordare.
La mia vita non è stata e certamente non sarà abbastanza lunga per darmi l’opportunità di scoprire la struttura
del Sistema Solare,
la tavola di Mendeleev, il teorema di Pitagora, la storia inglese e la grammatica e per decidere se Darwin aveva
ragione e Lamarck
torto. Ecco perché ho bisogno di istituzioni che filtrino le informazioni importanti al posto mio, così
che il nucleo delle mie informazioni sul Sistema Solare
sia più o meno simile
(non uguale per dimensione) al vostro. Per raggiungere un tale obiettivo, è necessario un certo gregarismo culturale. Ecco perché
accettiamo il filtro
fornito dalla memoria
collettiva, dalla storia e dalla tradizione.
Filtrare non significa cancellare. È un dato di fatto che di frequente le società non ci faccia- no dimenticare ciò che sappiamo o sapevamo, ma ci impediscono di scoprire ciò che non sappiamo ancora. Perciò accade
che una civiltà
possa operare diversi
tipi di cancellazione che può spaziare dalla
censura (la cancellazione di manoscritti, i falò di libri, la damnatio
memoriae, la falsificazione di fonti
documentarie, il negazionismo) fino alla dimenticanza causata da vergogna, inerzia,
e rimorso.
LATENZA
Come reagire
a perdite di memoria ed eccessi di cancellazione? Come decidere quando
è necessario un filtraggio e quando dovremmo recuperare quanto illecitamente eliminato?
Se leggiamo la Poetica di Aristotele troviamo la menzione di molte tragedie che non sono sopravvissute fino ai giorni nostri. Non sappiamo perché queste tragedie siano andate perdute, così come i nomi dei loro autori. Un’ipotesi naive è che Sofocle, Eschilo ed Euripide siano sopravvissuti perché erano i migliori. I migliori secondo quale criterio? Per quali ragioni imperscrutabili sono stati selezionati per entrare nel canone? Forse furono censurate tragedie meravigliose, forse qualche autorità ateniese corrotta ordinò che Sofocle fosse eseguito più frequentemente di qualche sfortunato collega?
Non so se queste tragedie
perdute possano essere
ritrovate da qualche
parte, come accadde con le pergamene del Mar Morto.
Ma so che vi sono
individui specializzati (come
gli storici e gli
archeologi) che sono
in grado di riportare alla
luce molti dati
cancellati. In questi
casi, la memoria collettiva recupera questi dati e li restaura nella
nostra enciclopedia condivisa. A volte, al contrario, una civiltà decide
che questi dati
possono essere utili
per ricerche specifiche ma che sono
irrilevanti per la gente comune
e li abbandona in qualche
‘riserva indiana’, ovvero nelle
enciclopedie specialistiche.
In questo
modo una civiltà
matura decide di relegare alcune
informazioni in uno stato di latenza. L’informazione in eccesso, quindi,
è o è stata congelata in modo che quando si riveli
necessaria gli esperti
possano metterla in un microonde e riesumarla, ad esempio per decifrare un antico
documento di recente
scoperta.
Questi luoghi di latenza sono rappresentati dal modello di una biblioteca o di un archivio
come gli indispensabili contenitori di una saggezza che può ancora
essere rivisitata anche se
non era stata riesumata per secoli.
Fino ad oggi nessuna enciclopedia e nessuna biblioteca tiene traccia di tutti i soldati che presero parte alla battaglia di Waterloo
(e immaginate che tragedia sarebbe
obbligare i giovani studenti a ricordare
a memoria questi nomi come sono obbligati
a ricordare la data
della battaglia di Waterloo
e i nomi di Wellington o Cambronne)… Supponiamo ora che uno studioso riesca a mettere
le mani su archivi ancora
sconosciuti e trovi
la lista di tutte le persone che hanno combattuto a Waterloo.
Non so quanto utile
possa essere avere
tutti quei nomi, ma potremmo sempre
trasformare questi dati in un’enciclopedia iperspecializzata. Perciò possiamo dimenticare facilmente questi
nomi e allo stesso tempo
essere certi che, se
ne abbiamo bisogno,
li possiamo trovare
in qualche archivio
latente.
A quale enciclopedia appartengono i testi delle tragedie perdute menzionate da Aristotele? Fino ad ora un’enciclopedia letteraria specializzata può semplicemente registrare il fatto che di questi testi conosciamo solo i titoli. Cosa succederebbe se questi testi non venissero mai recuperati? Poiché vi sono buone ragioni di credere che un tempo siano realmente esistiti (supponendo che Aristotele non fosse un maledetto bugiardo), continueremo a pensare che essi abbiamo potuto appartenere a una sorta di Enciclopedia Massima, anche se vi appartengono solo virtualmente in modo ottativo.
Perciò
l’Enciclopedia Massima, se solo il termine ci lascia pensare a qualcosa cujus nihil
majus cogitari possit, qualcosa di cui non possiamo
immaginare nulla di più grande,
come il Dio di Anselmo di Canterbury, è una struttura virtualmente a fisarmonica, che può ogni giorno essere allungata ad infinitum. E questo
non è di poco incoraggiamento per il progres- so della conoscenza.
Schiacciati
tra una memoria
debole e il suo massimo
eccesso nel labirinto di un’enciclopedia solo virtualmente massima, che cosa potremmo
suggerire ai nostri
figli che non sanno ne- anche che cosa accadde
solo pochi decenni
fa?
L’unica soluzione
per arricchire la nostra memoria
è leggere. Leggere
non solo arricchisce la nostra memoria, ma ci allunga
anche un po’ la vita.
Pensate ad un giorno o ad una settimana in cui avete
vissuto molti, molti
eventi, tutti emozionanti
(indipendentemente che fossero gioiosi o stressanti). Ricorderete queste ore o
giorni come ricchi di esperienze e avrete l’impressione di aver avuto una vita piena. Al contrario,
se avete passato
ore o giorni nei quali
non è accaduto nulla di rilevante, questi
giorni privi di eventi significativi scompariranno dalla vostra
memoria. Avrete l’impressione di non aver vissuto affatto
durante quel periodo
di tempo.
Penso che questa sia una delle
ragioni per le quali gli uomini hanno
speso molta energia
per recuperare le cose
del passato. Se,
insieme ai nostri
ricordi personali, conserviamo anche il ricordo del giorno in cui Giulio
Cesare fu assassinato, o della battaglia di Waterloo,
e persino del giorno
immaginario in cui
morirono Romeo e Giulietta, e se ricordiamo, come un ricordo personale, il viaggio
su Hispaniola con
Jim, il dottor Livesey, il capitano Smollett,
Lord Trelawney e Long John Silver – alla fine della nostra esistenza
dovremmo avere l’impressione di aver vissuto molto, non solo decenni,
ma persino secoli.
Nel mio ultimo istante
di vita ricorderò non solo ciò che è accaduto
a me, ma anche l’estinzione dei dinosauri, la battaglia di Poitier,
l’istante in cui Madame Curie
ha scoperto il radio,
e il momento magico in cui Dante vide la rosa mistica…
tutti questi ricordi
saranno parte della
mia esistenza.
Come lettore
ho vissuto una vita così
lunga che non posso ricordare tutto in un singolo momento e spero che avrò abbastanza tempo per ricordarla a puntate.
In un mondo in cui si è tentati
di dimenticare o ignorare troppo,
la riconquista del nostro
passato collettivo dovrebbe
essere tra i primi progetti
per il nostro futuro.
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